-Grazie,
Watari-
-Vado
a portare l’occorrente a Erin-
-Mi
raccomando, Watari. Tienila sempre d’occhio-
Sin
dall’inizio L avvertiva qualcosa di strano in quella ragazza.
Come se stesse
nascondendo più del dovuto. Per intenderci, anche lui non si
stava comportando
granchè bene, oscurandola di tutti i suoi ragionamenti. Ma
lui era fatto così,
era abituato a stare da solo. L’unica compagnia era Watari.
Quanti anni passati
insieme… Watari era una specie di ombra. E
cos’è un uomo senza ombra? Una
specie di fantasma, questo si rispondeva sempre L.
Si
era mostrato in viso davanti a una perfetta sconosciuta solo
perché
accompagnata da Watari. Stando a quanto aveva detto lui in gran
segreto,
all’inizio era stato colto di sorpresa col rischio di
rimanere sgozzato. Forse
era quello che aveva inconsciamente convinto entrambi ad aiutare quella
disperata di Erin.
In
città, nel frattempo, si era ormai fatta strada la fama di
questa nuova banda
di prostituzione. Era incredibile di come bastava una piccola spinta
per creare
una reazione a catena simile. Erin però era sempre
più preoccupata. L’avrebbero
cercata per paura? Pensavano che lei fosse passata a quel nuovo,
fasullo, giro?
Solo
in quel momento di rese conto che L la stava esponendo anche troppo al
pericolo. Altro che faticare poco!
All’ora
di pranzo, puntuale, Watari le portò una borsa.
-Dentro
ci sono dei documenti falsi. Da questo momento lei sarà
Emily Morgan e si
fingerà mia nipote. Anche io mi sono procurato dei documenti
falsi. Inoltre c’è
anche l’occorrente per il bambino. Dovrà fingere
che il bambino sia suo
fratello. L ha inoltre predisposto un’ottima facciata per
farla vagare
tranquillamente per Londra-
-Grazie-
si limitò a rispondere lei –E per
Caroline…?-
-Non
corra, signorina. L le assicura che è questione di poco. Ora
si prepari,
dobbiamo uscire-
-Per
andare dove?-
-Ha
bisogno di vestiti nuovi. Non vorrà continuare ad andare in
giro con quegli
stracci, vero?- Watari si fece scappare una risatina.
Forse
la sua era solo suggestione, ma si sentiva osservata. Maledizione. I
suoi capi
potevano essere a un passo da lei! Come faceva a camminare tranquilla?
-Erin,
stia calma- disse sottovoce Watari –Non si faccia
suggestionare-
Erin
annuì impeccertibilmente.
Già,
era una parola… Soprattutto quando vennero fermati da una
coppia di poliziotti.
Delle semplici informazioni, niente di che, su un bambino rapito.
Erin
tenne stretta a sé il piccolo.
-Mi
spiace, non sappiamo nulla- era Watari a tenere le redini della
conversazione
-Ne
è sicuro? Anche un dettaglio ai suoi occhi inutile potrebbe
essere
determinante-
-Le
assicuro, agente, che io e mia nipote non sappiamo nulla. Viviamo fuori
città,
in completa pace col mondo. Posso solo dire che mi dispiace per quel
bambino, e
mi auguro che lo troviate presto-
I
poliziotti lo guardarono un po’ di sottecchi –Va
bene, signore. In futuro
potremmo tornare-
-La
polizia è sempre benvenuta-
Quando
furono certi di essere lontani da orecchie indiscrete, poterono
formulare delle
ipotesi.
-Guarda
caso vengono proprio da noi a chiedere di un bambino…-
-Non
immaginavo che in una settimana appena si potessero muovere
così tanto.
Tuttavia, potrebbe essere troppo frettoloso azzardare ipotesi come
queste… La
accompagno a casa, Erin-
Quando
fu L, invece, a sapere di quei poliziotti, sorrise –Stanno
facendo più in
fretta di quel che credessi…- con una certa soddisfazione,
prese dei dolcetti
al cioccolato e crema e se li mangiò, masticando piano
–Watari, credo che sia
giunto il momento di agire. Mi presteresti un impermeabile?-
Quei
giorni sembravano non passare mai. Che si trovasse in uno di quegli
appartamenti, o da L, Erin si sentiva comunque in balia di qualcuno.
Erano
giorni di sconforto totale per lei, come se la libertà fosse
solo un lontano
ricordo.
-L,
sei sicuro? Potremmo mandare qualche criminale di nostra conoscenza-
-Ci
vorrebbe troppo tempo per organizzarsi, e nel frattempo potrebbero
accorgersi
che la “concorrenza” non esiste. È tutto
sotto controllo. A proposito, il
bambino?-
-Come
sempre- rispose semplicemente Watari
-Capisco…-
Bastarono
un paio di giorni, che già si erano fatte avanti delle
proposte. Divertimento
assicurato a buon prezzo. Che schifo di slogan.
-Come
avete fatto a farvi avvicinare così…?-
-Vede,
quando c’è di mezzo una presunta concorrenza
bisogna adeguarsi a certe cose.
Come le ho già detto, è bastato andare come se
nulla fosse in qualche pub e
dare l’impressione di essere… Mmh…-
-Maniaco?-
-E’
così che definisce i clienti?-
-Non
lo sono, forse?-
-Va
bene, vada per maniaco. Comunque, basta sembrarlo di poco, per farsi
avvicinare-
Erin
non volle nemmeno pensare a come avesse fatto L a sembrare un
potenziale
cliente. Anzi, non credeva nemmeno che L fosse sceso in qualche pub
-Immagino
sia stato Watari a fare da tramite…-
-Qualcosa
del genere. Ora stia bene a sentire. Tra poco andremo direttamente in
uno di
questi appartamenti. Se chiedessi una ragazza in particolare, avrebbero
da
ridire?-
-No…
Di solito i clienti si scelgono le ragazze… Sempre che non
sia occupata in quel
momento-
-Perfetto-
L sorrise –Ora le chiedo di lasciarmi il bambino. Lei torni
pure a casa-
Erin
accettò, un po’ a malincuore, perché
aveva notato una certa diffidenza in L
verso i bambini. Più che altro, era sicura che non sapeva
cambiare nemmeno un
pannolino. Ma d’altronde, che poteva fare? Per quanto potesse
essere sospetto,
quello strampalato detective era l’unico che poteva fermare
quella gentaglia.
A
vederlo da fuori non sembrava affatto una casa chiusa. Era tutto pulito
e ben
curato, Erin lo aveva avvertito. Sembrava una specie di albergo, alla
propria
destra, una volta entrati, c’era una specie di reception.
Erin spiegò che era
lì che prendevano gli appuntamenti con le ragazze.
A
passo calmo, si avvicinò, con un cappello, un impermeabile e
una pancia non
indifferente, chiedendo con voce flebile –Buongiorno. Un mio
sottoposto ha
preso appuntamento qui a nome mio-
-Vi
siete…?- chiese un uomo mezzo pelato, dagli occhiali tondi.
-Nicholas
Lewis-
Il
signore controllò su una specie di registro
–Sì, risulta-
-In
particolare, avevo richiesto una certa Caroline-
-Sì,
non c’è problema. Firmi qui cortesemente-
Al
signore della “reception” scappava quasi da ridere.
Quello che stava firmando
muoveva la pancia in modo strano, come se si stesse contenendo dal fare
qualcosa
di vergognoso! Evidentemente era la prima volta che si presentava a una
cosa
simile, e cercava di farsi riconoscere il meno possibile. Oltretutto,
era
davvero grasso.
-Stanza
230. Buon divertimento, signor Lewis-
-Grazie-
La
porta, semiaperta, mostrava una ragazza in accappatoio dal corpo esile,
provato, seduta davanti a uno specchio. Riflesso in esso era il viso di
una
ragazza dai lineamenti fini, con un cerotto sulla fronte e il trucco
pesante
appena fatto. I capelli, leggermente scompigliati, erano raccolti in
una
treccia malfatta.
-Chiuda
la porta, per cortesia- disse la ragazza senza voltarsi.
Lui
obbedì e fece qualche piccolo passo verso di lei.
La
ragazza si girò appena. Un ciccione. Le capitavano spesso.
Sbuffò, alzandosi in
piedi.
-Io
sono Caroline-
-Lo
so- lui si sbottonò l’impermeabile.
-Non
perde tempo, vedo- lei fece un sorriso di circostanza
-Infatti-
si tolse anche il cappello, liberandosi di quell’abito
ingombrante. Notava già
l’espressione della ragazza –Non urli-
-Ma
lei chi…-
-Togliendosi
l’impermeabile, tolse finalmente dei cuscinetti e un panno
che copriva un
bambino col ciuccio, che guardava disorientato dappertutto.
La
ragazza, senza riuscire a trattenere le lacrime, prese in braccio il
bambino.
-Chi
è lei…?- chiese, poi
-Sono
qui per aiutarla. Quindi cerchi di collaborare, per favore- rispose il
ragazzo
con le occhiaie.