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Autore: Thilwen    09/07/2005    7 recensioni
La vita continua a procedere come prima anche quando tutto è cambiato, mentre l’attesa d’agire può anche essere snervante. Perché, se è facile restar sedotti dal sibilo del serpente, ben più difficile è riparare gli errori commessi in gioventù…
Genere: Drammatico, Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Severus Piton
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Parte Settima

 

- Subdole speranze -

 

.

Qui illius culpa cedit velut prati

ultimi flos, praetereunte postquam

tactus aratro est.

 

Che per sua colpa cadde,

come il fragile fiore al ciglio d’un prato

sfiorato da un indifferente aratro.*

 

 (Catullo Carme XI 22-24)

.

 

Cercare conforto nel corpo rotondo di una donna, non è il modo più galante per dimenticare i problemi.

Eppure mi ritrovo qui,  a disegnare con i miei baci l’ennesima pelle sconosciuta, ad amare solo per pochi ed evanescenti minuti un corpo del quale non conosco l’anima.

Spesso sento il bisogno d’andare oltre questa triste e piacevole fisicità, a possedere veramente una donna e a restare posseduto da ella, oltre i confini del dominio.

Sento il bisogno d’amare, d’essere amato.

Mi sento squallido a guardare la testa bruna ed indifferente che riposa accaldata ed ansimante sul mio petto.

-Raccontami di te.- bisbiglia colei della quale non ricordo minimamente il nome e che forse ho addirittura ignorato - cosa fai bel tenebroso?-

Sento le sue dita sottili che percorrono il mio avambraccio.  Le sento accarezzare febbrilmente il marchio nero.

Rabbrividisco sotto il suo corpo nudo.

Le ride, una risata cruda.

-Allora sei un cattivo.-

Si tira su dal mio petto e mi guarda con i suoi occhi castani, il cui trucco pesante e volgare è un po’ colato. Un sorriso malizioso appare sulle sue labbra scarlatte ed i capelli disordinati le ricadono lungo le guance arrossate sfiorando i seni bianchi e nudi.

Non so cosa risponderle.

Si avvicina al mio orecchio.

-A me piacciono i cattivi. Magari, se vuoi, facciamo un secondo round. Ti faccio uno sconto- sussurra, le sua voce pizzica e stuzzica la mia mente, poi inizia a mordermi l’orecchio.

Il tutto è eccitante ma io la discosto, ferito. Mi guarda stupita.

-Non sono una cattivo- le spiego serio.

Si accoccola al mio fianco. Sul suo volto riappare quel sorriso malizioso.

-No? Ed allora cosa sei? Un pentito? - mi chiede in un sussurro.

-Sì - balbetto in risposta evasivo.

Lei resta in silenzio.  L’indice della sua mano sinistra  percorre dolcemente il mio petto. Sento il suo respiro, corto, irregolare, fresco, al mio fianco.

-Adesso cosa fai? Severus ti chiami…giusto? Che nome strano!- s’informa.

Sospiro pesantemente. Non mi di essere sgarbato  con una donna, anche se questa mi ha offeso. La tonalità innocente della sua voce mi fa tenerezza.

-Sì, mi chiamo Severus. E non è affatto un nome strano. Insegno Pozioni ad Hogwarts.-

-Oh!- emette un gridolino di stupore, smette d’accarezzarmi il petto e si tira su per guardarmi in faccia. – Davvero?-

-Sì, certo- ammetto, sconvolto dal suo stupore. – Perché?-

-Ma allora tu sei Severus Piton!- balbetta confusa e stupita. Le sue gote s’arrossano un po’ di più.

-Mi conosci?- le domando.

Resta in silenzio.  Affonda il suo capo sulla mia spalla. Poi si tira su dal letto e si riveste velocemente.

-È meglio se te ne vai Severus. Potrebbe arrivare un altro cliente.- smozzica le parole a mezza voce, confusa.

-Scusa, ma tu mi conosci?- mi rimetto le mutande ed esco dal letto.

-Sì…cioè ….no- balbetta cercando non so che cosa ed evitando di guardarmi in faccia.

Le afferro saldamente il polso con una mano.

-Sì o no?- le chiedo esasperato tentando di ricordarla in qualche modo.

-Beh…sì-  mormora senza alzare gli occhi da pavimento. – ho frequentato Hogwarts. Ho fatto il settimo anno cinque anni fa….professor Piton.-

Le lascio di scatto la mano e dischiudo la bocca. Lei afferra la mia tunica che giace sul pavimento.

Ripenso al suo volto, le labbra rosse, gli occhi castano chiaro, i capelli mossi, scuri, quasi neri, lunghi e setosi, la pelle chiara e rosea.

La rivedo con una divisa di Hogwarts prendere parte alle lezioni, il banco in fondo, nella mia classe, allegra e spiritosa, sveglia. Corvonero. Abbastanza brava.

-…Tyler?- dico in un soffio, con voce incredula.

Lei si volta. La guardo in faccia nella semioscurità. Non può essere che lei.

Mi mette fra le mani la tunica.

-Sì, Rosemarie Tyler. Corvonero.-

-Non ti ho…riconosciuta….ma….io…- non trovo più nulla da dire.

In questo momento  ristudio davanti ai miei occhi tutta l’adolescenza di quella bambina, una ragazza come tante altre, carina, addirittura studiosa. Non mi aveva mai dato problemi. Ricordo i primi tempi, la sua crescita silenziosa, gli ultimi esami.

Non riesco ancora a credere che mezz’ora fa  stesse cavalcandomi selvaggiamente, dando sfogo alle mie passioni carnali, avendo (o simulando) un orgasmo.

-Stupito professore?- domanda con voce incerta guardandomi di sottecchi.

-Sì…. Tu eri una ragazza promettente, brava. Come mai …?- provo a domandare.

-Vuoi forse chiedermi come mai faccio la puttana?- ammette con una dura franchezza. Annuisco, poco virilmente – Professore anche io avevo i miei progetti, le mie aspirazioni. Cosa credi, non volevo mica andare di filato nel primo bordello e far passare piacevoli serate a….- s’interrompe, imbarazzata. Io, istintivamente chino il capo – Scusa. Ma sai, nella vita, in quella vera, quando diventi adulto e sei costretto a dimenticare i sogni, nulla è come ti sei immaginato. Accadono cose che…non puoi prevedere.-

Mette una mano sottile sulle belle labbra e singhiozza silenziosamente. Non trovo il coraggio di darle un abbraccio fraterno. Non l’accetterebbe. Non potrebbe farlo.

-Mi spiace- sussurro, ancora con la tunica in mano.

-Non fa nulla. Da quello che ho visto questa sera.- stringo il mio avambraccio e lei annuisce – e da quello che mi hai detto, so che anche tu della vita non ne hai viste poche.-

  facile illudersi e sbagliare quando si è giovani. Ed è difficile tornare indietro….-  le spiego.

Un sorriso mesto le accarezza il viso.

-Rivestiti- m’incita.

Mi metto la tunica, cerco le scarpe.

-Posso …fare qualcosa per aiutarti?- le chiedo sulla porta.

Lei resta seduta sul letto. Non alza neanche lo sguardo.

-Cosa vuoi fare? Cosa puoi fare?- le sue domande mi fanno sentire un bastardo.

-Qualsiasi cosa Rosie-. Ricordo il nomignolo con il quale la chiamavano le compagne. Sulla mia bocca suona strano, stonato, impastato di falsità.

-Mi chiedo come ho fatto a non riconoscerti subito. Forse sono passati troppi uomini su di me e non vedo in nessuno delle differenze. Tutti uguali. Solo uomini. Forse tu fai parte di una mia vita passata, così lontana e diversa che dubito sia realmente esistita ormai. - scuote la testa triste. – torna presto professore-.

Annuisco in imbarazzo, ma dentro di me so che non riuscirò più a tornare da lei. Anche se ormai è grande, io mi sento un bastardo pedofilo.  Mi torna continuamente davanti agli occhi il suo volto di bambina. E poi quello durante l’amplesso.

Che situazione spiacevole.

-Vada….vai via professore.- sussurra

Chiudo la porta e vado fuori, stringendomi nel mantello.

Quale sibilo ha stregato la dolce Rosemarie Tyler?

Se scopro quale serpente l’ha morsa ed avvelenata giuro di schiacciargli la testa.

 

*Per chi fosse interessato o per chi avesse storto il naso nel leggere la mia traduzione della splendida poesia del grande Catullo mi tocca fare una doverosa considerazione.

La mia non è stata una traduzione letterale, piuttosto per certi versi liberamente presa, visto che ho tradotto praetereunte  con “indifferente”. Praetereo significa “passare oltre” “andare avanti” “sorpassare” e in questo caso credo che il poeta volesse mettere in contrasto la delicatezza del fiore che cade (da qui la mia aggiunta di “fragile”) e l’indifferenza dell’aratro che passa oltre- si può notare nel testo l’iperbato che credo tenta a sottolinearlo.- Per capire meglio bisognerebbe riprendere le righe della poesia dal 17 al 21 (Cum suis vivat valeatque moechis, quos simul complexa tenet trecentos, nullum amans vere, sed identidem ominium ilia rumpens: nec meum respectet, ut ante, amorem….) e conoscere tutta la vicenda di Catullo con Clodia/Lesbia, ho omesso tuttavia quelle righe, benché il fatto che Lesbia avesse trecento amanti che usava solo per piacere fisico privo d’amore potesse  avere una certa coerenza con il mio testo, ma non è questo quello che io volevo mettere in luce, visto che Rosemarie non ha nulla d’analogo a Lesbia.

Invece l’immagine del fiore la cui vita è troncata da un aratro indifferente mi sembra pertinente.

 

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Ho ancora il PC fuori uso, perdono! Grazie a tutti, siete gentilissimi!

  
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