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Autore: Cassie chan    18/02/2010    14 recensioni
ATTENZIONE: non tiene conto degli eventi del settimo libro...!!Sono passati alcuni anni dalla fine della guerra, ed Hermione Jane Granger vive estromessa dal suo mondo, quello della magia, a causa di una condanna ricevuta tempo prima. Fidanzata delusa, disoccupata cronica, cinica perenne, Hermione ormai dispera dell'arrivo del principe azzurro. Ma quando arriva, non è facile riconoscerlo nelle fattezze affascinanti ma DECISAMENTE irritanti di Draco Lucius Malfoy, specie se babbano anche lui... ma la vita è decisamente strana e può anche capitare che ci si imbatta in una piccola fiaba, proprio quando si credeva di vivere in un incubo...:) PUBBLICAZIONE CAPITOLO 51 : 14 LUGLIO 2020
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Genere: Comico, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ginny Weasley, Harry Potter, Lavanda Brown, Ron Weasley | Coppie: Draco/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'THE "HAVE A LITTLE FAIRY TALE" SAGA. ' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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Capitolo 22 – Forbidden colours part II – Cerulean eyed girl

Capitolo 22 – Forbidden colours part II – Cerulean eyed girl

 

Ho sempre creduto nel principe azzurro.

Nessuno lo direbbe, guardandomi, no?

Sotto l’algida razionalità e il disincantato cinismo, quella infantile consapevolezza è sempre esistita. O meglio, è sempre rimasta, da quando mi è stata istillata.

Quando ero bambina, se mia mamma aveva da fare, faceva la cosa più naturale del mondo per una genitrice con una figlia rompiscatole da accudire e un lavoro che reclamava attenzione, al pari e, forse, più di me. Mi preparava un panino con burro e marmellata di albicocche, mi metteva un tovagliolo bianco sulle ginocchia per impedirmi di sporcarmi e mi parcheggiava davanti alla tv, lasciandomi alla blanda custodia di una vicina.

Sbocconcellando la mia merenda, sedevo incantata a guardare i classici della Disney, gli occhi spalancati nel rimirare principesse meravigliose, vestite di velluto e broccato, gli occhi luccicanti di zaffiro e i capelli rifulgenti d’oro. Aurora, Biancaneve, Cenerentola, Ariel… tutte, tutte, alla fine della fiaba, incontravano un principe bellissimo, biondo anch’esso, dai modi gentili ed affabili che rompeva l’incantesimo che le imprigionava e le conduceva in un castello d’avorio fino alla fine dei loro felici e rifulgenti giorni.

E io ci credevo ciecamente, mi rimiravo nello specchio facendo mille giravolte e piroette, abbracciando un grande cuscino scozzese come se fosse il torace saldo e possente del mio principe azzurro. Eppure… anche allora… quando ero solo una bambina, io avevo sempre una domanda curiosa e pressante nel cervello.

All’inizio, era una nebbiolina confusa che si insinuava lenta nel mio pensare, mentre mi drappeggiavo addosso la lunga tenda di pizzo avorio del salone, fingendo che fosse un vestito elegante. Poi, divenne sempre più grande ed avvolgente, mentre guardavo ancora altri film, colmandomi di indorate fantasie.

Una sera, quando mia mamma, tornò a casa e mi abbracciò forte, cercando di darmi quell’affetto colpevole che mi aveva negato per il lavoro, io storsi il naso per l’odore del disinfettante che l’accompagnava sempre, dopo una giornata di ambulatorio, poi le chiesi serissima: “Mamma, ma se Cenerella sposa il principe azzurro, le altre ragazze che erano andate alla festa che fine fanno? Chi sposano?”.

Mia mamma mi osservò meravigliata, poi rise e mi scompigliò i capelli, spaventata per un attimo dalla mia espressione compita che le aveva fatto pensare chissà che.

Da allora, non vidi più quei film.

Era come se non ci credessi più. Avevo solo sei anni e già la mia mente uccise la mia fantasia.

Ma una parte di me… non so come… aveva continuato ostinatamente a pensare che, in fondo, per ognuna di quelle ragazze chiamate a partecipare ad un ballo in cui non sarebbero state guardate nemmeno per sbaglio, esisteva, fuori dalla porta scintillante del castello, un principe che le stava aspettando.

In fondo, la terra è grande e posto per altri castelli, ce n’era sempre.

Mi feci comprare da mia mamma “Il piccolo principe” di Antoine de Saint-Exupéry, convinta che fosse quasi una sorta di manuale per riconoscere questa persona leggendaria. Io non ero bionda, né bella, né gentile, l’avrei trovato lo stesso? E che succedeva se non lo si trovava? Se era di un’altra principessa che ancora non era apparsa e che magari dormiva ancora in una foresta?  

Non c’entrava nulla ovviamente quel libro con il mio ragionamento cretino, mi piacque molto, lo rilessi anche più volte, ma non era stato di ausilio al mio teorema.

Eppure, l’immagine in copertina mi diede il modello che dovevo cercare. Un bambino elegante ed impettito, dai vestiti raffinati e seriosi, con intensi occhi chiari e capigliatura color del grano.

Draco Malfoy sul treno di Hogwarts tredici anni fa.

Poi mi convinsi che non doveva essere per forza biondo… insomma, anche con i capelli rossi andava bene. Diamine, erano sempre capelli, il contenuto non cambiava. Poteva anche avere un sorriso contagioso, un aria perennemente imbarazzata e vestiti non propriamente di prima mano.

La guancia di Ron sotto le mie labbra, prima di una partita di Quidditch.

Poi, dopo, mi dissi che anche uno che non era nato per essere un principe, poteva andare bene. Io non assomigliavo molto ad una principessa, quindi ci poteva anche stare che non dovessi trovare un principe… non mi risulta che ai balli andassero anche quelle normali.

Evidentemente, il principe azzurro era fuori dalla mia portata.

Un bicchiere di sangria accostato con forza a quello colmo di Dean.

Poi… basta.

Improvvisamente, avevo smesso di pensarci. Perché, insomma, una si fa film fino ad un certo punto.

Se avessi aperto la cassetta della posta ed avessi trovato l’invito ad un ballo, l’avrei gettato nell’immondizia. Qualsiasi principe si fosse palesato ai miei occhi, si sarebbe rivelato sempre come il freddo e greve rospo che era, per quanto fosse vestito elegante, gentile, ammodo ed innamorato.

In fondo, io con quella tonta di Cenerentola non avevo mai avuto niente a che fare, a ben vedere. Fossi andata al ballo, fosse anche per pura curiosità, non mi sarei nemmeno sprecata a mettermi in abito lungo, ma schioccando la lingua, sarei rimasta appoggiata al portone del castello, ridendo sotto i baffi.

Poteva sussurrarle quello che voleva nell’orecchio mentre volteggiavano nel salone addobbato, ma, appena le porte si sarebbero chiuse e tutti gli invitati fossero usciti, lui sarebbe tornato quello di sempre… lei l’avrebbe visto senza mantello, senza spada, senza uniforme.

E sarebbe stata una sconfitta.

Non era un principe, si divertiva solamente a fingere di esserlo.

Era una scenetta anche abbastanza patetica, quindi, io ormai nel castello non ci entravo proprio. Non era posto per me.

Poi, in un lampo livido di giugno, in ginocchio per terra, con accanto un pianoforte a coda che vibrava ancora di note maledette, mi ero resa conto che invece io, in un austero castello da fiaba, c’ero entrata, eccome. Vestita di tutto punto, perfetta, con gli occhi smaglianti di illusioni. Infrante.

perché questo castello, aperto ed illuminato, non stava aspettando me. Non sono io la principessa di questa fiaba.

Sono una di quelle che aspettano e sperano, avvolte nei loro vestiti inutilmente abbelliti da fiocchi e trine.

Sono una di quelle che non saranno mai scelte e che guarderanno ballare i due protagonisti, sognando quell’amore grande che non avranno.

E magari ameranno pure, lo ameranno vedendolo danzare, perso negli occhi di una donna che non sono loro. Resteranno silenti testimoni di un amore eterno ed inestinguibile di cui non hanno conoscenza. Feriranno le mani guantate di raso, morderanno le labbra riflesse di corallo, lisceranno inutilmente la gonna di seta da inesistenti piegoline.

Ma lui passerà sempre oltre, non guardandole neppure. Non guardandomi neppure.

Era un principe, allora, non mi ero sbagliata. Ed aveva anche una principessa.

Quindi, Hermione può anche uscire da questo castello sterminato e maestoso. Non è mai stata la sua di fiaba.

 

Che succede a quelle che vanno al ballo e non vengono scelte? Che cosa fanno, dopo, quando escono nell’aria crudele della notte? Quando sono… sole?

 

Fuori il mondo può anche essersi fermato.

E probabilmente nemmeno me ne sono accorta. O magari, in fondo, non si è fermato niente. Tutto ha continuato a girare come sempre, sono nati bambini, sono morte persone che probabilmente non lo meritavano, risate sono scoppiate con fragore, pianti evanescenti ed isterici si sono riversati su spalle amiche.

Certo che tutto è continuato come sempre. Ovvio. Necessario e giusto al tempo stesso.

Con l’eco della mia mente ancora in piedi, ho sentito che ha iniziato a piovere forte fuori da questa stanza, un tenue eco di terra bagnata mi ha urtato dentro come un calcio ben piazzato, armato da struggente malinconia. Poi è passato. Lo amo. Niente può fare male dopo quello. Non è vero. Ama un’altra.

È qui tra le mie braccia, piange e ama un’altra.

È qui… e ama un’altra.

Io lo amo… e ama un’altra.

Che succede a quelle che vanno al ballo e non vengono scelte? Che cosa fanno, dopo, quando escono nell’aria crudele della notte? Quando sono… sole?

Credo di essere semplicemente rimasta cosciente di me stessa per quel movimento incredibilmente lento, ripetitivo, costante, di accarezzargli piano la spalla, cercando di calmarlo. Rassicurante nel suo ripetersi come l’onda del mare, lambisce lieve la terra, poi va via.

E io, uguale… ma non così piena di forza come un’onda, non così viva e gorgogliante di energia da poter ripetere lo stesso gesto anche per l’eternità.

No.

Sono un’onda che si ripete, perché non posso fare nient’altro. Come se fossi una specie di manichino, morto dentro, ma perlomeno somigliante ad una cosa che è stata viva, vista da fuori. Come quelle ballerine nei carillon, congelate per sempre, in un elegante arabesque.

La musica finirà ed inizierà daccapo, e loro saranno sempre ferme lì, con la gamba alzata e il braccio teso, gli occhi fissi nel nulla.

E, ora, sono utile fino a quando la mia mano non si fermerà dall’accarezzarlo, dal tentare di calmarlo, da darmi un senso inutile. Poi smetterò di averne.

Smetterò di servire a qualcosa.

Smetterò di fare qualcosa.

Ricomincerò a sentire… e smetterò di esistere come me stessa, probabilmente.

Cadrò a pezzi, dilaniata in milioni di miliardi di schegge. Con quel senso consapevole che ogni minuscolo frammento continuerà ad urlare, a gridare, a piangere, a disperarsi, moltiplicando infinite volte ciò che sento dentro. Il mio amore stupido. Il mio dolore stupido. Il mio cuore stupido. Il mio essere una maledetta idiota stupida.

Dopo un po’, Draco sembra calmarsi, i suoi singhiozzi diventano più tenui, non sento più le lacrime bagnarmi il pigiama, spegnendosi dopo essere scivolate lungo il mio collo. La mia mano continua i suoi colpetti, non potrei fermarla nemmeno se volessi, va per conto proprio come se avesse un senso tutto suo, staccato dal resto del corpo, un impreciso senso di necessità che non so cogliere nemmeno io.

Io non la potrei fermare.

Infatti, se si ferma, non è per me.

È costretta a fermarsi, quando Draco si stacca da me, poggiando le mani sulle mie spalle, la fronte sulla mia, gli occhi rossi, il respiro corto. Una vicinanza che è solo una lontananza continua, solo il preambolo di una separazione, come una specie di commiato, un saluto affrettato ed un’ultima occasione per ricordare ciò che non siamo mai stati, io e lui. Terra e mare. È un’illusione il pallido momento in cui ci unisce un’onda.

Poi, saremo solo granelli di sabbia dispersi nel vento.

Dio mio, fammi andare via, accada qualsiasi cosa… ma fammi andare via… ti prego, non chiederò mai più nulla in tutta la mia vita…

Fammi andare via, allontanalo da me…

La mano immobile e gelata a mezz’aria non si muove più, i pensieri ricominciano come un fiume in piena a cui avevo solo messo un tronco come diga, mi investono in pieno e… ne sono travolta ed asfissiata.

Draco si accorge del mio labbro che trema, si accorge che sto piangendo e mi guarda piangendo a sua volta, incredulo, gli occhi spalancati da bambino, come se tentasse di capire, di leggere oltre il mio viso umido, stravolto, sconvolto, incredibilmente lontano da quello che era, fino a qualche attimo fa. C’è una tenerezza nei suoi occhi che non c’è mai stata prima, una morbidezza triste ed inquieta che mi sorprende, tra le mie mille lacrime nuove, una delicatezza che fonde l’argento dei suoi occhi, rendendolo liquido, vivido, lucente. So che mi ha abbandonato l’orgoglio, la sola cosa che mi tenesse in piedi, e so che, se non lo imploro di lasciarmi andare, è solo perché credo di aver anche perso la capacità di parlare.

Non mi fido di nulla di me stessa in questo momento.

Né della bocca, né della testa e soprattutto del cuore.

Se sto ferma, se sto immobile, se non parlo… se non faccio assolutamente nulla… magari, scivolerò via da questo momento senza nemmeno accorgermene.

In fondo, se non avessi chiesto chi fosse la lei di cui parlava… e se non avessi suonato il pianoforte… sarei ancora così bellamente arrabbiata con lui solo perché ha tentato di baciarmi… Dio, magari fossi stata per sempre piena di quella rabbia, invece che di questo amore maledetto…

Amore.

Amore.

Abbasso gli occhi, singhiozzando, mentre quella parola minuscola mi risuona dentro, vibrando come una nota lugubre e stonata, lunghissima, rimbombante, trattenuta, che echeggia in un silenzio così perfetto da sembrare irreale. Dentro, è tutto silenzio, tranne che per quella parola insopportabile. Il nome.

Amore.

Improvvisamente, sento la mano di Draco sotto il mio gomito, mi trascina di peso, in piedi, trattenendomi appena. Resto con la testa bassa, facendomi trascinare passivamente di sopra, su per le scale, non chiedendomi nemmeno che cosa abbia in mente, non interessandomi neppure.

Si ferma davanti alla porta della sua stanza ed è solo allora che alzo la testa, curiosa e meravigliata, scorgendo la soglia che aprii di nascosto da lui, ma che non mi ha mai fatto varcare di sua iniziativa in tutto questo tempo. Gli occhi annebbiati di lacrime, lo scorgo spalancarla con il piede, ancora tenendomi per il gomito di malagrazia, trascinarmi dietro di lui e poi chiudersela alle spalle. È tutto buio, tranne per una piccola luce accanto alla culla di Serenity.

Sento il respiro della piccola che dorme profondamente, ed istintivamente mi chiedo quanto abbia di sua mamma. Helena Jasmine Greengrass.

Non la guarderò più quella bambina.

E mi uccide. Ma non lo farò. Cercherei sempre di trovare quella donna in lei.

Pur non volendo e pur non cercandola esplicitamente, cercherei sempre di vederla. E se la trovassi, non potrei sopportarlo. Nemmeno per un secondo.

Draco mi lascia un attimo nel buio, allontanandosi, non mi chiedo nemmeno che stia facendo, mentre lo sento armeggiare con qualcosa nascosto in un armadio.

La curiosità mi ha portato a questo, a stare qui con il cuore a pezzi, in una stanza buia, dove dorme la figlia della sola donna che Draco abbia mai amato.

La curiosità…è stata lei, piccola e bastarda, a farmi restare qui. A farmi chiedere perché Malfoy vivesse da babbano. A farmi accettare la sua proposta di lavoro assolutamente imprevista. A farmi chiedere dei suoi genitori. A farmi correre a casa di Rachel. A farmi ascoltare lui che rompeva con Astoria.

E, alla fine, come pegno per questa verità che volevo assolutamente, come se avessi un diritto sovrannaturale di dover assolutamente sapere tutto, la curiosità si è presa la mia anima.

Per sapere la verità, ho venduto la mia anima a questo diavolo dagli occhi chiari.

Per sapere la verità, io gli ho donato la sola cosa che mi restasse, senza che nemmeno lo sapessi.

Ho svenduto il mio cuore.

Mi sono innamorata di lui.

Perché non sono andata via, quando potevo?

Quando mi si riavvicina, sembra che non abbia mai pianto, gli occhi sono asciutti, l’espressione seriamente consapevole di stesso, le spalle contratte. Si ferma davanti a me e mi guarda a lungo, senza dire una parola, serio, impassibile, come se mi stesse soppesando, come se fossi un certo quantitativo di merce da valutare.

Basta, per favore…

Mi serro nelle spalle, abbassando gli occhi, cosciente che non ho mai smesso di piangere silenziosamente, cosciente di non aver mai sentito le mie guance asciutte da quando ha pronunciato il suo nome.

“Hai ragione…” la sua voce reca tracce di quel pianto appena trascorso, ma le cela in modo convincente. Suona freddo, distaccato, sicuro, come sempre.

Come diamine fa? Come ci riesce?

“Che cosa?” chiedo, non riuscendo a capire, alzando lo sguardo nella penombra che lo rende invisibile ai miei occhi colpevolmente innamorati.

“Hai ragione…” ripete lui con pazienza, come se davvero non avessi sentito “Questa storia deve finire… oggi, adesso…”.

“Non capisco…” mormoro ancora, un cinguettio tremante che esce dalle mie labbra ancora inumidite di lacrime.

Immagino persino il suo viso nel buio, quando dice lapidario: “Devi sapere tutto… di me e di Helena…”.

Espressione accigliata e labbra strette. Occhi chiarissimi e limpidi. Necessità ed impossibilità che non sia come dice lui.

Deve essere che prego il Dio sbagliato… non c’è altra spiegazione…

Istinto di sopravvivenza, forse, mi rende improvvisamente la voce: “No… non devo sapere niente… credo di avertelo già spiegato… non mi interessa…”. Rincuorata dal tono sicuro e deciso, e dal fatto che perlomeno l’urgenza del momento mi ha reso più calma, rincaro la dose: “Non ho mai voluto sapere nulla, né di te, né di Astoria, né di…”, una fitta intollerabile al petto, ringrazio il buio che mi consente di riprendere fiato senza che se ne accorga: “… né tantomeno di Helena, chiunque lei sia… non ti ho chiesto mai niente e non capisco che cosa mi devi adesso…”.

“A te magari non interessa…” riprende lui stoico, dandomi le spalle “Ma a me sì…in un modo contorto, ma è così, è necessario che tu sappia tutto di questa storia…”.

“Necessario, per cosa, scusa?! Che cosa deve finire oggi? Puoi spiegarmelo?” chiedo ancora, ignorandolo e cercando di prendere tempo. Sento il sudore freddo inzupparmi la schiena, un impreciso senso di puro terrore al pensiero di sentirlo parlare di lei.

Dopo… dopo che avrai visto…” risponde lui sibillino, voltandosi verso di me.

“Visto?”. Non capisco fino a quando non vedo alle sue spalle, poggiato sulla scrivania, qualcosa di vagamente circolare. Emana un lieve bagliore perlaceo, insufficiente ad illuminare la stanza, si riflette solo nei suoi occhi grigi, rendendoli ritagli di luna.

Un pensatoio.

Non soltanto sentirlo parlare di lei… no… anche vederlo con lei… non se ne parla neppure. Non ce la faccio. Non ce la posso fare.

Scuoto il capo con energia, negando quella possibilità. Ma non faccio nemmeno in tempo a farlo che Draco mi afferra per un polso, trascinandomi dietro di lui. Mi puntello con i piedi per terra, cercando di ostacolarlo, mi ritrovo persino a gridare, ma come sempre è più forte di me. Serro gli occhi, un fragore d’acqua nelle orecchie, mentre cadiamo entrambi nel pensatoio.

Poi più nulla.

 

(NDA: da questo momento in avanti, chiaramente avremo a che fare con i ricordi di Draco. Sono in terza persona e, dal punto di vista di Draco stesso, ovviamente. Per distinguerli da quando invece a parlare è Hermione, uso un carattere diverso. Ecco una piccola leggenda:

Draco ed Hermione = Hermione che parla.

Draco ed Hermione =  come sempre, sono i pensieri più intimi di Hermione stessa.

Draco ed Hermione =  sono i ricordi di Draco).

 

La mente di Draco è un inferno di porte chiuse.

Corridoi immacolati e deserti, pieni di voce attutite da porte chiuse. Alcune sono enormi, imponenti portoni dall’aria antica, di legno massiccio e scuro, chiusi da ferri e lucchetti sigillati. Altre sono piccole, minuscole, non ci passerebbe nemmeno un mio piede. Altre ancora, sono spalancate, ma al loro interno, c’è poco o nulla.

Scale a chiocciola, si arrampicano in altezza dove nemmeno la mia immaginazione riesce ad arrivare, tutto è un eco di voci, rumori, odori sconosciuti che si mescolano in vario modo. È tutto così bianco da sembrare accecante, eppure così asettico e freddo… sento la mano di Draco stringere la mia, guida silente per ciò che mi vuole far vedere, come un Caronte ineluttabile che mi conduce all’inferno.

Il polso mi fa male, per dove mi ha stretta prima, per la forza che ci ha messo per trascinarmi qui. Alle mie spalle, vedo il gorgo d’acqua che è l’ingresso del pensatoio.

Se corressi, magari ci arriverei… e lui mi riporterebbe qui. Non c’è altra soluzione.

Che diamine vuole ancora da me?

Girandomi a guardarlo, lo vedo immobile e fermo, rilucente d’argento come un pensiero, esattamente come me. Sono dello stesso splendore opalino anche le mie mani che allungo oltre il mio corpo. Draco è serio, impassibile, la sua mano nella mia invece è di ghiaccio. Inizia a camminare, velocemente, sapendo perfettamente dove portarmi.

Mi chiedo ancora perché sta facendo tutto questo.

Non lo vuole fare, è evidente, ci sta soffrendo, la sento la tensione nella sua mano… eppure, pensa che sia necessario. A cosa?

Perché dover condannare entrambi a questo inutile dolore che poteva risparmiarci?

Mentre camminiamo velocemente, riesco a gettare solo brevi occhiate nelle stanze attorno a noi, mentre superiamo corridoi e saliamo scale.

Una luce calda ed ambrata da una camera socchiusa. Porta di ciliegio dai riflessi dolcemente rossi.

Ci guardo fugacemente dentro.

Narcissa Black Malfoy guardò delicatamente il figlio, i suoi occhi azzurri scintillarono per un attimo dal riflesso dello specchio di fronte a lei.

Poi si spensero così come si erano accesi e volse lo sguardo altrove, riprendendo a spruzzarsi del profumo. Odore di rosa. Passò una mano nei lunghi capelli biondi, annodandoli poi in una crocchia severa sulla nuca.

Sembrava molto più grande dei suoi pochi anni, sguardo vecchio dietro le palpebre lisce come petali di fiori.

Draco la chiamò leggermente, le guance rosse per l’indignazione, il viso infantile buffamente piegato in una smorfia di disappunto: “Madre, mi stai ascoltando?!”.

“Anche se Potter non è voluto diventare tuo amico…” commentò con voce strascicata Lady Narcissa, voltandosi verso il figlio “Non vuol dire che tu ti debba eccessivamente dolere per questo. Sarà anche una… celebrità…ma, in fondo, Potter è sempre un Mezzosangue, e certa gente dovrebbe solo sentirsi onorata di poter camminare dove noi passiamo…”, la sua voce eterea assunse un tono stentoreo mentre aggiunse grave: “Vedi che non se lo scordi mai, Draco…”.

Il bambino biondo assunse un cipiglio molto più serio dei suoi undici anni scarsi e si erse nel suo abito di velluto verde bottiglia, sicuro di cose che non conosceva e non capiva fino in fondo, ma che erano dogmi inscindibili dalla sua persona, incontestabili e incontrovertibili.

“Non accadrà mai più, madre…”.

Credevo di aver anche dimenticato che Draco aveva tentato di essere amico di Harry, al primo anno, attirato dalla sua fama. E stranamente doveva anche esserci rimasto male per il rifiuto subito da lui, incredibile. Continuiamo a camminare velocemente, la smania di Draco di farmi conoscere la storia di Helena mi sconvolge e mi rende nervosamente curiosa di guardarmi attorno. La mente di Draco è così piena di cose che non conosco e che vorrei conoscere… ma è soprattutto l’assoluta consapevolezza di non volerne sapere nulla di lui e di Helena, e di esserci invece costretta, che mi fa indugiare oltre queste porte, osservando con lentezza studiata i ricordi di Draco.

Una porta scura, massiccia, di legno nodoso, con una maniglia avviluppata nelle forme di un serpente d’oro.

Anch’essa socchiusa, ne filtra una luce che potrei definire solamente… buia.

Stavolta non riesco a vedere al suo interno, sento solamente delle voci.

“Padre, ma è bellissima!!” una voce entusiasta ed acuta di gioia.

“Vedi di non farti soffiare la Coppa da Potter, adesso…” una voce adulta e scorbutica, che cela con fatica orgoglio smisurato.

La voce di Lucius Malfoy.

Lo ricorda ancora, allora. Ricorda ancora i suoi genitori, sebbene dica sempre il contrario. Sono sempre qui dentro, nel suo cuore. Come potrebbe essere altrimenti, in fondo? Per buona parte della sua vita, ha avuto solamente loro. Spio il suo viso con la coda dell’occhio, i suoi occhi sono pieni di ombre minacciose, procede velocemente come se cercasse di tenere lontani quei ricordi, palesemente contradditorio nel fatto di averli poi conservati.

Accelera ancora di più il passo, quando improvvisamente scorge una porta stavolta serrata, piccola come la mano di un bambino. I suoi occhi si stringono rabbiosi e la sua mano mi trascina con furia, eppure, passandole davanti, sento ugualmente delle urla provenire dall’interno.

Mi si drizzano i capelli sulla nuca, mentre riconosco una delle due voci.

Una voce femminile, resa acuta dalla rabbia e dal livore. Odio filtra dalle sue parole, rendendole unte di risentimento e di acredine. Eppure, non sembra colpita da questo, sembra… abituata.

“Sei davvero un idiota colossale, Malfoy! Un idiota! Ti vedo piangere e non ti dovrei chiedere che diamine hai?! Fosse anche perché adesso per chissà quale discutibile ragione, sei dalla mia parte…?!”.

“Io sarò da molte parti, Granger, ma non sarò mai dalla tua, spero che questo ti sia chiaro…”. Velata da lacrime celate e vergognosamente negate, la voce del ragazzo sputa fuori quelle parole con astio.

Un tonfo di qualcosa che cade per terra.

“Cristallino, Malfoy… spero davvero che ci lasci le penne in questa stramaledetta guerra!”. Porta sbattuta.

Un sospiro, colmo di angoscia. Parole bisbigliate ad una stanza adesso vuota.

“Tranquilla, Granger… probabilmente sarà così…”.

Eravamo… noi…

Draco si ferma, improvvisamente, voltandosi verso di me. Lo guardo, sconvolta, stringendo la sua mano nella mia e portandomi l’altra alle labbra.

“La notte a Grimmuald Place…” mormoro più a me stessa che a lui “Quando ti trovai lì, da solo… non ricordavo di averti detto quelle cose…”.

Sorride piano: “Non importa… quello che c’è adesso, non cancella quello che siamo stati fino a qualche anno fa…”.

“Mi dispiace…” mormoro autenticamente pentita, abbassando gli occhi.

La sua mano mi risolleva il viso e, guardandolo, per un attimo, dimentico tutto quello che è successo fino ad ora. Che sono nella sua mente, che sto per vederlo con Helena, che ha lasciato che Astoria mi controllasse… che sono innamorata persa di lui… e mi perdo nei suoi occhi meravigliosi.

“Non importa, Hermione…davvero…” aggiunge convinto, trattenendo una mano sul mio viso “Probabilmente ricorderai anche tu cose del genere, no?”.

Annuisco, figuriamoci se non le ricordo…

“E probabilmente saranno anche di più, conoscendomi…”. Sorrido leggermente, non staccarti mai da me.

Improvvisamente, i suoi occhi, sereni, serafici e tranquilli, tornano specchi torbidi e si stacca da me come se scottassi. Mi stringe di nuovo il polso con forza e riprende a camminare, dopo aver detto frettoloso: “Non pensarci più…”.

Incespico, seguendolo, chiedendomi ancora perché abbia tutta questa fretta.

Quello che c’è adesso… sapessi fino a che punto cosa c’è per me, adesso…

Dopo qualche passo, finalmente si ferma. Respira a fatica, ma non credo che sia per lo sforzo, in fondo non ho fatto alcuna resistenza, convinta ormai come fossi che non avrebbe fatto alcuna differenza. Tornano anche le lacrime nei suoi occhi, tira su con il naso, cercando di fermarle. E allora capisco. Siamo arrivati.

Davanti a me, c’è un portone immenso, devo alzare la testa per guardarlo fino alla sua sommità. Decorato con dei motivi di rose, incise ed intagliate nel legno chiarissimo, splendono di luce propria. Come molte altre porte di ricordi nella mente di Draco, questo mastodontico portone sembra inaccessibile, ma lo sembra molto più degli altri.

Prima di tutto, per la sua dimensione… e poi per chiavistelli infiniti che ne chiudono la serratura, grande come un mio braccio.

Lo soppeso con lo sguardo in ogni particolare, accanto alla sua serratura, le rose si intrecciano in vario modo, formando in caratteri eleganti le lettere H.J.G.

Sobbalzo, le mie iniziali… poi, con una punta di delusione angosciosa, mi ricordo che sono anche quelle di Helena. Helena Jasmine Greengrass.

Una Greengrass… ancora non ci avevo pensato… ma non erano solo in due? Astoria e Daphne? Chi è allora questa terza Greengrass? Penso sempre che abbia a che fare con quel ramo della famiglia, se non altro perché questo giustificherebbe la presenza di Astoria, qui.

Ma, allora, perché non ho mai sentito parlare di lei? E come me, nessun altro?

Magra consolazione è che, tra poco, mio malgrado, saprò vita, morte e miracoli su questa donna.

Draco fa un solo incerto cenno del capo, e il portone enorme si apre cigolando. Mi trascina ancora dietro di sé, stavolta cerco anche di fare resistenza e di chiamarlo per fermarlo, ma senza successo. Ormai ha deciso e io, poco, ci posso fare. Sì, come no.

“Malfoy!” urlo con tutta la voce che mi ritrovo in gola, facendolo voltare ed ansimando per lo sforzo di continuare ad ostacolarlo, puntando i piedi per terra “Quale parte, esattamente, del mio discorso non ti è chiara?! Te l’ho detto anche questo pomeriggio… non me ne frega nulla della tua vita, sono stata chiara? O devo ripetermi ancora in modo che i tuoi neuroni recepiscano il messaggio e facciano finalmente contatto?!”. Il respiro corto, lo guardo con furia, sperando che interpreti i miei occhi lucidi come rabbia, e non per quello che sono realmente. Sono dura, lo so, ma è davvero il solo modo che mi è rimasto per salvare me stessa.

“Ti ho già detto, Granger…” riprende lui con la mia stessa intonazione severa ed inflessibile “… che non lo sto facendo per te… ma solo ed esclusivamente per me stesso. E che, dopo che avrai visto tutto, ti spiegherò il motivo per cui lo sto facendo… sei sempre quella che ambisce alla verità, al verbo assoluto, e ora ti tiri indietro?! Cosa c’è che non ti va esattamente?”, abbassa la voce e, per un attimo, credo che voglia usare un tono di voce soffuso e malizioso. Credo che fosse anche la sua di intenzione, mentre socchiudeva gli occhi e mi guardava intensamente, accendendo gli occhi grigi. Ma invece, la voce che gli esce, è diversa.

Bassa, roca, profonda e… triste. Gli occhi continuano ad essere lucidi specchi di dolore.

“Che c’è? Non riusciresti a vedermi con un’altra donna?” mi sussurra.

Ci ha preso perfettamente.

Punta sul vivo, ribatto sicura: “Non dire sciocchezze… non ne vedo solo l’utilità…”.

“Ce la vedo io l’utilità…tranquilla, le mie azioni hanno sempre una motivazione, per quanto tu ne possa dubitare…”.

Rassegnata, mi lascio condurre passivamente oltre la soglia, convinta di aver esaurito gli argomenti che potevo portare a sostegno della mia teoria. Spero solamente che non sia stata una storia lunga, perlomeno nel tempo, e che non abbiano troppi ricordi assieme. Che è la storia più importante della sua vita, già lo so.

Oltre la soglia, contrariamente alle premesse, non c’è niente di eccezionale. Un enorme spazio bianco, delimitato da uno specchio sconfinato che si estende a perdita d’occhio su un lato della stanza. Draco mi conduce davanti ad esso e, sofferente, poggia una mano sul vetro freddo.

Lo specchio reagisce al suo tocco, turbinando di luci, colori ed ombre sconosciute, che iniziano a sbocciare in ricordi lontani davanti ai miei occhi, socchiusi, inutilmente, per tentare di soffrire il meno possibile, da quello che sto per vedere.

 

La guerra aveva avuto il pregevole dono di tirare fuori la vera natura delle persone.

A quello, non riusciva a smettere di pensare Draco Malfoy, mentre se ne stava seduto nell’ufficio deserto del Ministro, apparentemente ipnotizzato da un arazzo che rappresentava, in colori accesi e in filigrana d’oro, i nomi degli Auror che avevano perso la vita in quella guerra. Come ex Capo del Dipartimento degli Auror, doveva essere sembrato doveroso per Scrimgeour farlo realizzare; evidentemente conosceva molte di quelle persone i cui nomi erano solamente tratti di fili colorati, pallida traccia di vita dispersa nella cenere di quei giorni spezzati.

Draco chiuse le mani in grembo a pugno, chiedendosi se poteva esistere, in chissà che luogo dimenticato da Dio, qualcosa di simile per gli “altri”.

Chiamava sempre così i Mangiamorte, quelli che erano dall’altra parte… come Tiger, Goyle, Nott, Zabini… i suoi vecchi amici… e come sua madre e suo padre.

Come se, con quell’appellativo generico che definiva lontananza ed estraneità rispetto a stessi, poteva effettivamente chiuderli fuori dalla sua mente e dalla sua memoria.

E diventare finalmente il traditore che avevano plasmato dalla sua carne e dal suo spirito.

Draco sollevò gli occhi umidi, guardandosi ancora attorno con espressione impaziente, aspettando che il Ministro tornasse, dopo che lo aveva lasciato nel suo ufficio da solo. I suoi occhi pigri si poggiarono sui libri antichi, sui quadri sonnecchianti, sulle pile di fogli di carta sulla scrivania, senza guardarli veramente. Aveva una sola cosa nella mente.

Quella guerra aveva avuto il pregevole dono di tirare fuori la vera natura delle persone, Draco se lo ripeteva ostinatamente nella testa, come un mantra.

Lui si era scoperto un traditore.

Del suo sangue puro, della sua famiglia, del suo stesso essere che ribolliva ancora nelle profondità del suo spirito.

Perché lo aveva fatto? Era la prima volta che ci pensava compiutamente.

Se glielo avesse chiesto un nome su quell’arazzo, avrebbe risposto con una sequela di ridondanti parole come “giustizia”, “bene” e “coraggio”. Ne avrebbe sentito il sapore pieno e avvolgente nella bocca, come latte caldo, e se ne sarebbe saziato e dissetato. Avrebbe indorato ogni suo discorso del loro gusto sconosciuto ed, in parte, ancora ostile. E tutti ci avrebbero creduto.

Ma, se glielo avesse chiesto uno di loro, degli “altri”? Che avrebbe detto?

Non avrebbe nemmeno risposto. Erano stati loro a costringerlo a questo. Quindi, non aveva senso che glielo chiedessero. Questa domanda, da loro, non sarebbe mai arrivata. Lo avrebbero ucciso, senza parlare, era questa la sola cosa che avrebbero potuto fare. E, per quello, non c’era vitale necessità di parlare. A meno che non si volesse costringere la vittima anche alla tortura mentale.

Ma, se anche glielo avessero chiesto e lui avrebbe risposto, che cosa avrebbe detto?

Convenienza, probabilmente. Vendetta, sicuramente.

E finalmente, con qualcuno, sarebbe stato sincero.

Solo pochi, in fondo, sapevano la verità su di lui… solo pochi sapevano dell’origine del suo ravvedimento. Pochi. Gli altri si erano limitati ad accettarlo con un’alzata sarcastica di sopracciglio.

Di stranezze ce ne erano anche troppe in quella guerra. E, in fondo, forse tutti sapevano che la guerra mostrava la vera indole delle persone. E la sua, bontà d’animo discutibile a parte, doveva essere lontana da quella del Mangiamorte. Basta. Non c’era bisogno di complicate spiegazioni.

Ma essa, la spiegazione, invece c’era.

Sì, che c’era. E gli faceva schifo solo a ripensarci.

Quando era scappato da Hogwarts con Piton, dopo l’omicidio di Silente, quando aveva visto la vita dei Mangiamorte da vicino, quando aveva capito che cosa era…

Repulsione. Ecco cosa aveva sentito.

Sentiva sempre il sangue sulle mani, non si staccava mai, sebbene le lavasse, sebbene non l’avesse versato lui.

Ancora.

Era secco, dolciastro, appiccicoso.

Nei ricoveri di fortuna con il suo professore di Pozioni, mentre fuggivano, le sfregava con foga fino a renderle viola, nel suo giaciglio umido e sporco. Ma quella sensazione non passava mai, e lo disgustava. Immaginava ori ed incensi, ed invece non riusciva a scordare gli occhi di Silente. Erano un tormento. Continuo, eterno, inestinguibile. Una febbre.

Lo portarono a Malfoy Manor, in fin di vita, ormai, dopo giorni passati alla diaccio, con quella febbre che nemmeno le cure di Piton sembravano sanare. Continuava a salire, diventava fuoco progressivamente, lo ardeva dall’interno, sciogliendolo come burro fuso. Nell’agonia, i pianti dei suoi genitori, le parole di Silente “Uccidere non è nemmeno facile come credono gli innocenti…” e grida e risa che lo tormentavano da quando era bambino, incubo infantile a cui non aveva mai dato peso. Stava per morire e lo sapeva, ma Piton trovò la cura. E fu peggio della morte stessa.

Estrasse dei suoi pensieri dalla sua mente, in un barlume di lucidità glieli mostrò. Il martirio dei Paciock a cui aveva assistito quando aveva pochi mesi. Ad esso, ora si era aggiunto il ricordo dell’omicidio di Silente.

Non era una febbre fisica, era una febbre mentale, causata dal rimorso che nemmeno lui sapeva riconoscere come tale.

La cura era semplice. Draco non poteva essere un Mangiamorte. Doveva essere libero. Probabilmente sarebbe morto, in caso contrario. Piton lo sentenziò con serafica calma alle sue orecchie incredule.

Quella era una condanna, la medicina che, come malefico assenzio, gli era stata prescritta.

Draco obiettò con voce flebile che sarebbe passata, che forse era solo debilitato per il viaggio, che lui se ne fregava dei Paciock e di Silente. Non gli credettero. Credettero a Piton.

Potevano proteggerlo, potevano nasconderlo a Voldemort, potevano semplicemente farlo stare lì e, sebbene ora fosse inutile, usare la sua salute cagionevole come spiegazione ineccepibile per la sua mancata partecipazione alle missioni dei Mangiamorte. Invece no…

Lo vendettero. Al nemico.

Fu Piton a suggerirlo, servivano Mangiamorte esperti e lo barattarono con gli Auror, convincendoli che Draco fosse il vero assassino di Silente, e quindi una preda d’eccellenza. In fondo, senza Potter, nessuno poteva smentire quella versione; fino a quando, poi, avessero violato la sua mente, sarebbe passato del tempo. E ormai la proficua transazione sarebbe già avvenuta. 

I suoi genitori non fecero nulla, forse pensando che sarebbe stato più al sicuro così. Il silenzio pesò come una lapide su di lui.

Volevano salvarsi, e quindi lo dovevano sacrificare. Il Signore Oscuro, convinto dal discorso di Piton, lo trovò un modo assai efficace per rendere utile uno che era così debole da non servire a nulla.

Febbricitante, morente, fu consegnato ad un Dissennatore che lo portò su un lago deserto. Al largo, in mezzo alla superficie liscia come petrolio dello specchio d’acqua, avvenne lo scambio.

I suoi non erano venuti, c’era solo Piton. Lo gettò di malagrazia su quella bagnarola e gli disse solamente, freddo: “Sentiti di vivere come meglio preferisci… è il solo modo per restare in vita, per te…”.

Inutile. Bollato come tale e condannato. Non serviva più a niente. Nemmeno ai suoi.

Gli Auror lo torturarono, per farlo confessare. Ovviamente nella sua mente non c’era la confessione dell’omicidio. C’era solo il ricordo dell’Avada Kedavra di Piton.

Ulularono come lupi feriti quando capirono l’inganno, lo abbandonarono in una cella polverosa a Grimmuald Place. Marciva lì, sempre più debole, ormai prossimo alla morte.

Quando tornò Potter, Lupin, il solo che lo aveva trattato decentemente, ricordandosi ogni tanto di dargli da mangiare, parlò con il Prescelto. Di lui.

Gli proposero di fare il doppio gioco, quando si fosse  rimesso. Era il soggetto ideale. Pieno di livore e odio per la parte che lo aveva rifiutato.

Non voleva. Aveva paura, sentiva che era prossimo a morire, e ne era terrorizzato. Ma il pensiero di passare dalla parte di coloro che, nella sua mente, lo tormentavano ed alimentavano la febbre, iniziò a guarirlo.

Accettò.

Confusamente, capì che era il solo modo per restare in vita. Come gli aveva detto Piton.

Tornò dai Mangiamorte ed era un altro. Forte, freddo, severo, implacabile. Recitava. Nel cuore, portava il tradimento, come un frutto acerbo ed immangiabile.

Andava alle riunioni, li sentiva parlare, li vedeva distruggere ed uccidere… e si chiedeva sempre, nel fondo dell’anima, perché non era stato degno di tutto quello. E, non trovandone risposta, odiava.

Li odiava, odiava i suoi che non capivano il suo evitarli, odiava Voldemort. E quell’odio era la linfa del suo agire, era la spinta a sapere e rivelare. Voleva distruggerli. Dimostrarli che avevano sbagliato a sottovalutarlo.

Ricordava lo scambio, la cella, la fame, le torture, la febbre continua… ed odiava sempre di più. 

Era vendetta di un ragazzino viziato, ora lo sapeva. Dopo, aveva anche pianto quando erano morti i suoi, in una notte a Grimmuald Place. Anche se era inevitabile che morissero, e lo sapeva.

Anzi doveva anche ringraziare di non essere stato costretto a farlo lui stesso… se le cose si fossero messe in altro modo…

Quel pensiero era stato come una rivelazione.

Solo in quel momento, aveva capito quanto fosse stato inevitabile, quanto era entrato in una storia più grande di lui, quanto aveva contribuito alla loro fine. Non se ne era nemmeno reso conto, preso dall’idea della vendetta, come se le sue azioni non avessero dirette conseguenze, come se le informazioni che passava non avessero aiutato poi effettivamente gli Auror.

Lo aveva fatto per il suo scopo. Ferirli e colpirli. Ferire e colpire coloro che lo avevano ripudiato.

E gli eroi lo avevano usato per i loro di scopi.

La guerra aveva avuto il pregevole dono di tirare fuori la vera natura delle persone.

I suoi, per non incorrere nell’ira di Voldemort, lo avevano abbandonato, augurandosi con un segno sulla fronte che si salvasse in qualche modo, ma non preoccupandosi di come ciò potesse avvenire.

Gli Auror, Lupin, Potter, avevano scordato chi era, per potersi garantire un’entrata privilegiata nei segreti del nemico.

E lui… traditore di stesso e del suo sangue, per degli ideali che non avrebbe mai assimilato appieno.

Dopo poco, la guerra era finita.

Era sempre più confuso e disorientato e, ora come ora, anche consapevole che non aveva una vita lunga. I Mangiamorte sopravvissuti lo avrebbero braccato ed, infine, ucciso. Doveva sparire, cambiare vita.

In fondo, era come si sentiva di vivere… ed era il solo modo di restare in vita, per uno come lui.

Ora, la mina vagante di quella guerra, il vero fautore nascosto della sconfitta di Lord Voldemort, Draco Lucius Malfoy, aspettava di avere il beneplacito del Ministero per ricominciare una nuova vita.

Per dimenticare. O perlomeno per provare a farlo.

Il Ministro tardava a tornare, mancava già da un’ora buona e Draco era sul punto di andare via, scordare la burocrazia e fare di testa sua, quando la porta si aprì con un cigolio metallico.

Nella stanza, entrarono tre persone: il Ministro, uno scintillio ambizioso sul viso burbero e leonino, immediatamente seguito da Potter, stanco e con i capelli spettinati, ed un uomo alto, sulla sessantina, dalla barba castana ed occhi malinconici. A Draco sembrava di conoscere quest’ultimo, eppure non riusciva a ricordare chi fosse.

Il Ministro si sedette alla scrivania, spostando le pile di documenti per guardare Draco in viso, mentre Potter e l’altro si sistemarono ai lati della scrivania. Potter sembrava esausto e, di tanto in tanto, sbadigliava senza pudore; Draco presagì che doveva essere con lui che il Ministro aveva parlato fino ad ora e si chiese che cosa lo aveva annoiato tanto.

Sperava solo, per la sua salute mentale e per la mascella di Potter che rischiava di slogarsi a furia di sbadigli, che il colloquio si concludesse presto. Sospirò, aveva come la vaga impressione che non sarebbe andata così.

Già, la posa plastica di quei tre glielo suggeriva, evidentemente dovevano dissertare per ore sull’annosa questione “Il destino del traditore Malfoy”.

Fu il Ministro a prendere la parola, per primo: “Bene, Draco… abbiamo parlato a lungo della tua…”, si fermò a disagio, schiarendosi la voce, prima di proseguire: “… della tua situazione… comprendiamo che essa, al momento, sia abbastanza… difficile…”.

“Curioso eufemismo, la parola difficile…” commentò sarcastico Draco, schioccando la lingua “Credo che sarebbe più corretta la parola mortale… decisamente…”.

Per un attimo, Draco ebbe la sensazione che Potter avesse trattenuto un risolino, ma, quando si voltò verso di lui, aveva ripreso a sbadigliare come prima.

“Non essere esagerato, Draco…!” rise forzatamente Scrimgeour, guardandolo con espressione di derisione “I Mangiamorte sopravvissuti sono disperati e soli… non avrebbero nemmeno la forza di venire ad attaccare proprio te… e comunque saresti protetto con tutte le cautele del caso…”.

Draco inarcò un sopracciglio, scettico: “Ero convinto che, alla fine della guerra, io avrei cambiato identità… insomma, non sarei più stato più Draco Malfoy, o avevo capito male?”. Non aveva capito male, assolutamente, i patti erano sempre stati quelli. Ora, per chissà quale motivo, il Ministro doveva aver cambiato idea. Getto un’occhiata confusa a Potter, prima di riscuotersi e mormorare sommessamente: “A questo punto, potreste anche consegnarmi ad uno dei Mangiamorte e vi liberereste in fretta del problema, no?”.

“Non essere esagerato, Malfoy…” ribadì Potter, con aria di sufficienza, guardandolo dagli occhiali tondi “Saranno prese tutte le precauzioni, gli Auror ti proteggeranno giorno e notte. Non vedo perché dovresti cambiare identità… sarebbe un inutile scocciatura anche per te, non credi?”.

“Questi sarebbero problemi miei, al massimo, non penso che vi dobbiate curare delle mie noie eventuali…” la voce di Draco crebbe di tono e di acidità, mentre rispondeva alla frecciata di Potter. Non capiva dove voleva andare a parare il loro ragionamento e, soprattutto, che utilità potesse avere per loro non fargli cambiare identità. Perché, di utilità si parlava. Non poteva essere ovviamente il piacere della sua compagnia.

Evidentemente, serviva ancora a qualche misteriosa ragione che lui restasse Draco Lucius Malfoy.

Il Ministro spostò a disagio il peso da una gamba all’altra: “Amos ha garantito che ti darà un lavoro… e ti aiuterà a reinserirti nella società… non vorresti fare almeno un tentativo?”. Il suo tono appariva quasi implorante, e Draco si chiese ancora il motivo della sua insistenza. Amos? Ma Amos chi? Improvvisamente, ricordò chi era l’uomo accanto a Scrimgeour. Era Amos Diggory.

Non lo vedeva da quella notte, alla Coppa Tremaghi, quando aveva pianto sul corpo del figlio Cedric, appena assassinato da Voldemort.

Era vistosamente invecchiato e dimagrito, e ora lo guardava con una sorta di strana tenerezza e malinconia.

Gli diede quasi sicurezza quello sguardo, e si disse che forse un tentativo lo poteva anche fare. In fondo, erano loro che dovevano buttare soldi per proteggerlo, peggio per loro.

E, in fondo, restare Draco poteva anche avere i suoi vantaggi. Non doveva di nuovo farsi un nome, una ricchezza, una casa.

Non era molto, ma almeno poteva ricominciare con una posizione di vantaggio.

E, poi, nonostante tutto, sapeva che quello di cui voleva liberarsi… la memoria… i ricordi… lo avrebbero seguito, anche se avesse cambiato nome.

Alla fine, poteva anche farlo un tentativo... a conti fatti, non aveva nemmeno la certezza che non lo avrebbero scovato, anche sotto altra identità, e almeno così avrebbe sfruttato gli uomini del ministero.

Orgoglioso come sempre, non disse sì, né a Potter, né al Ministro.

Annuì silenzioso al solo indirizzo di Amos Diggory.

 

 

Natale era arrivato così velocemente che Draco nemmeno se ne era reso conto. Guardando fuori dalla finestra innevata del suo ufficio, quasi si sorprese di vedere le decorazioni natalizie, appese per le strade della Londra magica. Sembravano inappropriate e inadatte, soprattutto considerando che metà della città era ancora ridotta a macerie e cumuli di polvere. Londra sembrava un pacchetto natalizio che andava in contro alla morte.

La gente ancora piangeva i suoi morti e seppelliva gli scomparsi, e non aveva alcuna voglia di festeggiare; passava silente nelle vie illuminate, indifferente al fulgore delle luci trillanti di festa dimenticata.

La guerra era finita da soli sei mesi, eppure sembrano già passati due decenni. Draco sentiva addosso il peso dei suoi pochi anni, come se fosse un centenario, e si chiese se sarebbe stato sempre così.

Certo che sarà sempre così, si disse crudo ed onesto, distogliendo lo sguardo dai documenti su cui stava lavorando e gettando uno sguardo in tralice all’Auror che stava davanti alla sua porta, come guardia. Gli altri impiegati dell’Ufficio Regolazione e Controllo delle Creature Magiche, passando, gettavano occhiate volutamente distratte verso di lui, in realtà curiose rispetto all’uomo che godesse di una così forte protezione.

Come se non sapessero chi fosse… lavorava lì da mesi, oramai, e perlomeno il suo nome dovevano saperlo.

A Draco, ogni momento, veniva in mente di alzarsi in piedi, fare un inchino e di dire con espressione canzonatoria: “Eccomi, sono io, il doppiogiochista Draco Malfoy…!”.

Ma dubitava che, anche in quel caso, avrebbero smesso di fissarlo, cosa che lo mandava ai pazzi.

Voleva una vita quanto più isolata e solitaria possibile, ma invece il Ministro aveva trovato sommamente giusto per lui che fosse costantemente posto su un palcoscenico ed osservato in ogni angolazione.

Oddio, ad essere sinceri, avrebbe potuto anche fregarsene di quello che gli aveva ordinato in modo così supplichevole ed andarsene per la sua strada, rifiutando la proposta di lavoro di Diggory e facendo come credeva, specie perché aveva capito che non era al suo bene che il ministro aveva pensato con quella decisione, ma a qualcos’altro che però ancora gli sfuggiva.

Insomma, era stato usato per l’ennesima volta, e per l’ennesima volta, aveva lasciato correre. Incrociò i suoi occhi madreperla nel riflesso della finestra, si faceva schifo profondamente, da un po’ di tempo.

Una sensazione nuova, decisamente. Era sempre stato fin troppo orgoglioso di stesso. Ora non ricordava che motivazione vi aveva trovato allora.

Era come se, da un po’ di tempo, avesse uno specchio davanti a sé che lo mostrava per come appariva dall’esterno, dalla prospettiva degli altri. Ma non altri qualsiasi… loro.

La guerra gli aveva reso più vicino il punto di vista di persone come Potter, Lupin, Weasley o la Granger, e ora non riusciva a smettere di guardarsi dai loro occhi.

Codardo.

Così, lo avrebbero dipinto, mentre ridevano nelle loro case ornate d’oro e di rubino, scartando regali inutili e pulciosi.

Anche prima era così… anzi, non c’era stato un solo momento in cui non fosse stato così, ma non gli era mai interessato. Figuriamoci, l’interesse sarebbe stato un’onta incancellabile sul suo onore. Ed anche ora, non era interesse… ma… qualcosa di diverso…

Inconsciamente, forse, aveva iniziato a pensare come loro, a voler essere come loro. Schifo. Ancora. Essere dalla loro parte, gli aveva fatto maturare la convinzione friabile ed assurda che doveva essere come loro.

Era così, no, che doveva andare? Era uno dei buoni, adesso, no? Doveva essere come loro? Ma non lo era. E non voleva neppure esserlo.

Si dibatteva nel ribrezzo per quel desiderio e nel disgusto per non riuscire ad attuarlo. Era nauseato da stesso. Sempre alla ricerca spasmodica e continua di qualcuno che gli dicesse cosa fare, in modo che, se avesse sofferto, se si fosse trovato male, poteva dare la colpa a qualcun altro, ma mai a sé stesso. Sempre alla ricerca della patetica approvazione altrui, anche se proveniva da persone che né stimava né apprezzava.

Sospirò leggermente, le luci colorate che si inseguivano nei suoi occhi sterminati, e ricordò con un sorrido mesto l’enorme albero di Natale a casa Malfoy, che torreggiava in un angolo del salotto, colmo di addobbi argentei e verdi, come era sempre piaciuto a sua madre Narcissa, in ricordo di Hogwarts e della casata Serpeverde.

“E’ lì che mi sono sentita a casa, per la prima volta nella vita…” aveva detto con un sorriso dolcissimo, l’unica volta che glielo aveva chiesto.

Ora, gli addobbi giacevano nei sotterranei assieme all’albero. Draco non li avrebbe mai usciti fuori. Mai. Dubitava persino di passare il Natale a Malfoy Manor.

Forse, sarebbe andato ad Hogsmeade, a mescolarsi con la gente, bevendo fino allo stremo con l’Auror che non gli avrebbe mai dato degli affettuosi auguri a mezzanotte.

Aveva perso tutto, amici, familiari, tutto… mancava solo perdere stesso. Esisteva per inerzia, faceva quello che andava fatto, lavorava, mangiava e dormiva. Aveva persino una specie di fidanzata, una ragazza bellissima e biondissima come lui, di nome Denise Delacour, la cugina di Fleur. Ma, era solo sesso, un modo urgente di rinfrescare la febbre che il corpo, ovviamente, dava.

Ma, anche con lei, non sentiva più. Non amore, in fondo non aveva mai saputo compiutamente come fosse amare una donna, e non ne sentiva nemmeno la mancanza.

Ma anche il sesso puro e semplice aveva perso ogni attrattiva. Anche il piacere puro e semplice aveva perso ogni valore.

Cosa restava, quindi? Nulla. Quindi, in definitiva, forse aveva davvero perso anche stesso.

Una voce austera, ma al contempo gentile, lo riscosse dai suoi pensieri: “Draco, sei ancora qui?”. Sulla sua soglia, in una lunga tunica blu scuro, sostava Amos Diggory, un sorriso aperto e sincero sul volto.

Draco annuì, mentre l’uomo entrava nell’ufficio, salutando distrattamente l’Auror che replicò con un cenno del capo.

“Pensavo che fossi già andato via…” mormorò l’uomo, sedendosi alla scrivania con espressione assorta. Sembrava sul punto di andare via, infatti era vestito e bardato di tutto punto per affrontare la nevosa sera dicembrina, eppure se ne stava lì a chiacchierare del nulla. Draco lesse nei suoi occhi castani, piccoli ed acquosi, la voglia di parlare di… altro. Qualcosa di non meglio identificato, ma di diverso dal semplice scambio di convenevoli tra colleghi. Quell’uomo, stranamente, lo aveva preso in simpatia e Draco ne era abbastanza sorpreso. Non era mai stato un ragazzo eccessivamente aperto e socievole e, in questa nuova carriera, non si comportava in modo diverso. Faceva il suo lavoro alla perfezione, sebbene non lo entusiasmasse, ma non parlava mai con nessuno dei suoi colleghi, trascorreva le pause pranzo nel suo ufficio, arrivava prima di tutti e tornava a casa più tardi degli altri, per evitare di stare troppo nel suo maniero deserto. Il suo solo compagno era Anthony Goldstein, la sua guardia personale. Ma nemmeno con lui parlava.

Figuriamoci… si erano trovati antipatici anche ad Hogwarts, lui era anche un patetico Corvonero… e ora nulla della loro frequentazione forzata, poteva suggerire che tra loro si instaurasse un rapporto diverso.

Eppure, Amos Diggory ostinatamente cercava un contatto con lui, nella maggior parte delle volte, respinto con decisa cortesia.

Draco rifletté che forse gli ricordava suo figlio, Cedric, e il fatto che lui adesso fosse orfano, magari suscitava in lui un moto di affetto. Chissà, tutto poteva essere… a Draco tutto sommato, nemmeno stava antipatico.

Era un uomo burbero, autoritario, ma onesto e diretto nei modi. Aveva anche quella patina di nobiltà, datagli dalla purezza del suo sangue e dall’orgoglio per la sua casata, ma non la ostentava, se non in particolari occasioni. Ed, anche allora, sembrava così profondamente ferito dall’idea che non ci fosse nessuno a continuare la sua stirpe, dopo la morte del suo unico figlio, che il suo amor proprio ripiegava su sé stesso, afflosciandosi senza forze. Il contrario di suo padre Lucius, insomma. Se mai questo possa essere considerato un difetto, si disse mentalmente Draco con sincerità.

Lucius aveva venduto suo figlio, perché inadatto a reggere il fardello del suo cognome. Amos aveva perso un figlio che era in grado di portare quel peso in modo impeccabile.

Ironia della sorte.

Draco scrollò le spalle in silenzio, spostando senza attenzione particolare una boccetta d’inchiostro sulla sua scrivania, evitando lo sguardo di Amos.

Poi, visto che il silenzio proseguiva e che stranamente oggi lo metteva a disagio, replicò annoiato: “Non mi ero accorto dell’ora…”.

Amos annuì pensosamente, guardandolo ancora, poi, in un sussurro quasi imbarazzato, chiese: “Cosa farai a Natale, Draco?”.

Draco si sorprese della sincerità della domanda e di come gli era stata posta senza preamboli. Tipica caratteristica di Amos, andava dritto al sodo. Ancora, al contrario di suo padre, che macchinava per ore prima di palesare le sue reali intenzioni. Spalancò gli occhi per un secondo, un attimo fugace ed impercettibile che nemmeno l’uomo di fronte a lui colse, per come era stato repentino.

Diffidenza manifesta socchiuse ancora il suo sguardo, era arrivato a fare così pena il giovane rampollo dei Malfoy? Tra poco, anche Potter gli avrebbe fatto l’elemosina?

Schifo.

Ancora.

Con orgoglio, sollevò il mento appuntito e disse fiero: “Non lo so, non credo che il Natale sia mai stato una delle mie somme preoccupazioni, ed ora, meno che mai… sa, quando rischi di morire ogni giorno, queste cose passano in secondo piano…”. Aveva sputato fuori quelle parole come veleno, guardando Amos dritto negli occhi con una durezza che non era destinata a lui, ma che da lui passava per il solo fatto di essergli davanti in quel momento. L’urgenza di fare qualcosa e di placare il nervosismo nelle mani, lo spinse a spostare ancora la boccetta d’inchiostro, senza un motivo apparente.

“Capisco…” disse pensosamente Amos, non turbato dalle parole del ragazzo e tantomeno dal suo tono. Appariva solo… concentrato.

Alla fine, parlò con voce leggera e apparentemente casuale, anche se i suoi occhi si erano velati per un secondo. Ma anche quell’attimo, come era successo prima per Draco, fu così rapido che il suo interlocutore non se ne accorse neppure: “Anche per me, il Natale non è una grande occasione… anzi… credo di odiarlo profondamente…”. La sua voce si era fatta dura, come pietra, e Draco imbarazzato si chiese perché tutta quell’ansia di sfogarsi gli fosse venuta proprio con lui.

Si sentì in dovere di dire qualcosa, anche se non si sapeva spiegare questa urgenza. Aggiunse ovvio, in tono casuale: “Ma lei ha ancora una moglie, no? Immagino che almeno a lei piaccia il Natale…”, deglutì prima di continuare: “A mia madre, piaceva il Natale…”. Era la prima volta dalla loro morte che nominava i suoi genitori.

Amos parve accorgersene e sobbalzò lievemente, poi proseguì con un sorriso mesto: “Certo, Draco, alle donne il Natale piace molto… sembrano punte da un’ape all’inizio di Dicembre, ed iniziano ad infiocchettare, impacchettare, incartare, ornare… una donna in casa aiuta a sentire l’atmosfera, ecco… a mia moglie piaceva molto…”. Ancora i suoi occhi si velarono e stavolta Draco, con una fitta di nervosismo, se ne accorse.

Si mosse sulla sedia, ancora chiedendosi perché stava sostenendo quella conversazione assurda proprio con lui, e chiese titubante: “Non le piace più il Natale adesso?”.

Amos sorrise tristemente, voltando il capo e guardando oltre la finestra. Quando parlò ancora, la sua voce era un tremulo sussurro, sembrava che non provenisse da lui per come stonava con il suo aspetto fiero e caparbio.

“Credo che a mia moglie piaccia ancora, dovunque ella sia… e scommetto che fa l’albero con Cedric, aspettando che io un giorno li raggiunga…”.

Draco tremò a disagio, ricordandosi improvvisamente che aveva sempre saputo che Daisy Diggory era morta qualche anno prima, consumata dal dolore per la perdita del figlio.

Un’altra cosa che non avevano in comune i Diggory con la sua di famiglia, annotò mentalmente con uno spasmo.

Eppure, aveva sempre sentito i colleghi di Diggory fare sempre delle battute su sua moglie che lo aspettava a casa, sul fatto che Amos fosse molto fortunato, dandosi di gomito, alludendo al fatto insomma che fosse indiscutibilmente viva… avevano un raccapricciante senso dell’umorismo o cosa?

“Pensavo che sua moglie fosse viva, mi scusi…” replicò Draco con voce flebile “Devo aver capito male…”.

Solo allora Amos sembrò ricordarsi di qualcosa e si grattò la guancia con espressione distratta: “Ma certo, sì, sì… mia moglie è viva…”, vedendo l’espressione confusa e disorientata di Draco, replicò quasi divertito: “Ho un’altra moglie, adesso, mi sono risposato qualche anno fa… per questo devi aver capito male, Draco…”.

Draco annuì, comprendendo infine, mentre Amos proseguiva: “Diciamo che però la mia seconda moglie non ha la vocazione della brava donna di casa… quindi l’albero era l’ultimo dei suoi pensieri… quando glielo ho fatto notare, ha scrollato le spalle e l’ha fatto fare ad un elfo domestico…”.

A Draco venne curiosamente da sorridere, di cuore, come non faceva da tempo, all’idea dei battibecchi tra Diggory senior e la sua nuova moglie. Se ne sorprese alquanto, specialmente perché non ricordava più il momento in cui aveva davvero riso, sembravano passati secoli… come quello in cui aveva pianto, per dirne una. Esattamente come se fosse morto.

Anche Amos sorrise a sua volta, aveva una risata sempre malinconica, mai eccessivamente ilare o spensierata.

“Se stasera sei libero, potresti cenare a casa nostra…” proseguì Amos con voce più chiara “Mi farebbe piacere presentarti mia moglie…”.

Draco fu ancora colpito dalla schiettezza della domanda. Per un attimo, pensò di rifiutare, l’apatia di quei giorni che si era attaccata come una patina ostinata alla sua voglia di fare qualsiasi cosa. Se avesse accettato l’invito di Amos, avrebbe dovuto fare conversazione, sorridere in modo sciocco ai commenti della moglie, mangiare con appetito quello che era stato preparato e mantenere un aspetto decoroso ed elegante.

E lui non aveva intenzione di fare niente del genere.

Immaginava già il suo letto, la calda vestaglia di seta nera, il bicchiere di Firewhisky che lo aiutava a dormire, lo scenario cupo e sinistro che si vedeva dalla sua camera del Malfoy Manor.

Poi, ripensò che in fondo, anche domani sera, il letto, la vestaglia, il bicchiere e la finestra sarebbero stati al loro solito posto. Ed anche la sera dopo. E la sera dopo, ancora. Schifo.

Quindi, un po’ di diversità poteva anche concedersela.

Annuì silenziosamente, accettando così la proposta, ed Amos ne parve oltremodo contento e sollevato.

Uscirono entrambi nell’aria fredda della sera, aveva iniziato di nuovo a fioccare, e la neve cadeva silenziosamente, avvolgendo tutto in una quiete che donava pace. Draco ed Amos continuavano a camminare in silenzio, ognuno profondamente perso nei suoi pensieri e ragionamenti. Non erano realmente soli, attorno a Draco si vedevano chiaramente Auror appostati dietro ogni angolo, oltre ad Anthony Goldstein che li seguiva a breve distanza. Ad un tratto, Draco si fermò, suscitando la curiosità di Amos che lo guardò senza capire, fermandosi a sua volta.

I sensi acuiti dalla guerra ed attutiti dalla pace, tornarono vivi a farsi sentire in Draco. Sentiva distintamente di essere seguito, e non dall’Auror. Ma… da qualcun altro. Le sue orecchie sensibili avevano captato un rumore nella neve fresca, un passo insolito che non era tipico degli Auror. Si guardò attorno, eppure la strada era deserta.

Goldstein raggiunse Draco velocemente, la bacchetta sguainata, dando un segnale a qualcuno degli altri Auror che li circondavano: “Malfoy, cosa c’è?”.

Draco scosse il capo, doveva esserselo immaginato. Dovevano essere stati gli Auror.

“Nulla” negò, riprendendo a camminare “Devo essermelo immaginato…”.

“Cosa?” insistettero sia Amos che Anthony, seguendolo di gran carriera, ma Draco non rispose. Se Amos smise di parlare, Goldstein insistette: “Se hai questa sensazione, magari c’è davvero qualcuno…forse dovremmo avvisare il Capo…”.

Draco rise leggermente, divertito: “La Granger? Ma per favore… come minimo, me la ritrovo alle costole… sei già abbastanza insopportabile da solo, Goldstein senza che si aggiunga anche la Granger…”.

Il ragazzo, offeso per il commento fatto nei confronti del suo superiore, tacque innervosito, suggerendo solo ai due di Smaterializzarsi e di non continuare la loro “passeggiata” per maggiore sicurezza. Draco con un lieve sospiro, afferrò il polso di Diggory mentre quest’ultimo scompariva in un piccolo “pop”.

Si ritrovarono in un salotto, abbastanza grande, completamente illuminato da un lampadario di cristallo enorme che scintillava di luce, creando riflessi arcobaleno sulle pareti, sui quadri, sui mobili, sulla libreria piena zeppa di libri antichi. Sia Draco che Goldstein, smaterializzatosi subito dopo di lui, guardarono la stanza rapiti.

Non era uguale al salotto del Malfoy Manor che era di dimensione doppia, rispetto a quello, eppure aveva qualcosa in più che Draco non riusciva bene ad identificare.

Amos, non appena entrò, accarezzò distrattamente la tela di un ritratto che rappresentava una donna sulla cinquantina, seduta in una poltrona, con un vestito cremisi. Accanto a lei, in piedi, un giovane alto, dalle spalle larghe e dagli occhi chiari ed aperti. Amos disse solo con voce fioca: “Ciao Daisy. Ciao Cedric. Sono tornato a casa…”. I due sorrisero ed agitarono la mano calorosamente.

Draco si strinse nelle spalle, quasi a disagio. Si chiese come facesse la moglie attuale di Diggory a vivere con quel ritratto in casa… curiosamente, gli venne da sorridere, ricordando quel libro babbano “Rebecca, la prima moglie”, dove la nuova compagna di un ricco facoltoso doveva convivere con il ricordo asfissiante della prima consorte del marito.

“Helena!” chiamò Diggory a gran voce, evidentemente all’indirizzo della moglie che non era in salotto. Poi proseguì, spazientito, verso Draco: “Chiedo scusa per mia moglie…credo che sia di sopra, ma scenderà tra poco…”.

Draco agitò la mano per dire che non importava. Helena… che strano, sembrava di aver già sentito il suo nome…

Come se Amos l’avesse letto nel pensiero, disse con voce casuale, sedendosi su una poltrona ed invitando i suoi due ospiti a fare altrettanto: “Dimentico quanto io sia vecchio… e quanto Helena invece sia giovane… siete quasi coetanei, probabilmente la conoscete…”. Coetanei? Si chiese Draco meravigliato. Si era aspettato una donna abbastanza grande, più o meno sulla cinquantina. Hai capito, Diggory…

“Come si chiama? Sua moglie, intendo?” chiese Draco curioso.

“Helena Jasmine Greengrass…” rispose Amos, sistemandosi meglio sulla sedia e chiamando un elfo domestico per far servire da bere.

“Greengrass?” si interrogò Draco “Pensavo che le Greengrass fossero due… Daphne ed Astoria… a meno che non sia di un altro ramo della famiglia…”.

Amos negò con il capo: “No, Helena è proprio la sorella di Daphne ed Astoria, la primogenita dei Greengrass… immagino che non l’abbiate mai incontrata ad Hogwarts, effettivamente portate qualche anno di differenza…”. Draco annuì, effettivamente non ricordava assolutamente una terza Greengrass. E due erano più che sufficienti: Daphne era acida come un limone ed Astoria era appiccicosa come la colla.

Era innamorata di lui dal terzo minuto in cui aveva messo piede ad Hogwarts. Ed era decisamente seccante.

Non c’è due, senza tre… Draco, con un roco sospiro, rimpianse il letto, il bicchiere, la vestaglia e la finestra che aveva sconsideratamente rifiutato, ignaro della prospettiva di conoscere una nuova Greengrass.

“Eccola…” disse Amos, alzandosi ed indicando la scala che portava al piano superiore.

Anche Draco si alzò, osservando a lungo la donna che stava entrando. E rimase a bocca aperta. Era la donna più bella che avesse mai visto.

Helena doveva avere sui ventisette, ventotto anni, ed era alta come tutte le Greengrass. Anche le linee del volto, sottili ed eleganti, assomigliavano molto a quelle di Daphne ed Astoria, compresi gli occhi azzurro cielo e i capelli chiari. Eppure, dopo un esame superficiale, Helena appariva molto diversa dalle sorelle.

Daphne aveva un volto affilato, duro, spigoloso, esattamente come il suo carattere. Gli occhi erano allungati, come quelli di un felino, e di un colore frammisto tra il verde e l’azzurro. Sembravano un mare in perpetuo moto ondoso, una tempesta capace di annegarti ed ucciderti all’istante. Aveva inoltre lunghissimi capelli biondo platino, lisci, ed incuteva timore con la sua sola presenza. Si curava fino allo stremo, indossava vestiti raffinati e si truccava molto. Astoria era molto simile a Daphne, forse solamente gli occhi erano diversi, più intensi, sul blu oltremare. Ma per il resto, sembrava la sua sorella gemella. 

Helena invece non assomigliava a nessuna delle due. I suoi capelli erano ondulati e di un colore più caldo dell’algido biondo delle sorelle, castano dorato. Gli occhi splendevano come due turchesi sul bel volto a forma di cuore, ed assomigliavano ad un chiaro cielo primaverile. Nonostante inoltre un elegante vestito di broccato color glicine ed una parure di gioielli di ametista, non era eccessivamente truccata.

Possedeva una perfezione che non aveva bisogno di ulteriori artifici per metterla in mostra.

E contrariamente alle sorelle, aveva anche un meraviglioso sorriso. Partiva dagli occhi, insolente, e poi riempiva di luce le labbra rosa.

E, ora, quel sorriso era tutto per Draco Malfoy.

Draco si accorse di essere rimasto a bocca aperta, mentre lei vezzosa aveva allungato la sottile mano affusolata verso di lui per presentarsi. Su di essa, brillava molesto un anello con un diamante ed una piccola fede di platino. La moglie di Amos Diggory.

Draco si affannò a prendere la mano nella sua, un brivido sulla schiena, e a replicare affrettato: “Sono Draco Lucius Malfoy…”.

Lei sorrise ancora e rispose: “Helena Jasmine Greengrass”.

 

Mi stacco dal vetro come se scottasse.

La donna che sorride dall’altra parte del vetro, ha appena detto di chiamarsi Helena Jasmine Greengrass. Non dovrei averla mai vista.

Ed invece io conosco il suo volto a memoria.

La donna che sorride dall’altra parte del vetro, indimenticato ed indimenticabile ricordo, è stampata a fuoco anche nella mia mente.

La donna che sorride dall’altra parte del vetro è Rachel Leigh.

 

 

 

Cassie is back again! Chissà se con vostra gioia o dispiacere! Reduce da un esame che mi ha fatto anche perdere la salute, oltre che quel poco di sanità mentale che possedevo, posto un nuovo chappy! Non so se vi piacerà oppure no… nel senso che è la prima volta che mi cimento con i pensieri di Draco ed insomma è abbastanza complicato gestirlo! Il mio intento è sempre quello di cercare di lasciare un Draco fedele all’originale della Rowling, e non di renderlo un superuomo, come appare in molte fic, nessuno me ne voglia a male… Draco non è propriamente un uomo coraggioso, è un uomo che subisce passivamente gli eventi e questo l’ha fatto, per buona parte della sua vita. Quindi anche la circostanza del suo tradimento, non volevo che risuonasse forzata. Non me lo vedo proprio uno che improvvisamente si ribella e cambia le idee che aveva per anni… mi suonava più convincente, conoscendolo, che le avesse subite. Poi ovviamente cambierà ancora, diventando il Draco che adesso state conoscendo… ma per quello credo che avrete già intuito, che avrà una grande parte Helena.

Poi, ovviamente, questa è la mia esclusiva interpretazione… fatemi sapere che cosa ne pensate!

Come avrete notato, il flash back non è finito… il capitolo stava venendo troppo lungo e quindi ho preferito spezzarlo per aggiornare prima… sennò avreste dovuto aspettare altri tre mesi!:D Inoltre, si è aggiunto un sottotitolo… per lo scorso chappy, “The name of everything”.

Per questo, avete letto invece “Cerulean eyed girl” e si riferisce ovviamente ad Helena.  Significa, press’a poco, “Ragazza occhi cielo” e in questo mi ha ispirato la meravigliosa canzone di Loredana Errore di Amici che si chiama appunto così… e che insomma mi ha fatto pensare ad Helena.

Come sempre, vi metto il link qualora la voleste ascoltare…

 

http://www.youtube.com/watch?v=ecZaGq09c0A

 

Colgo anche l’occasione per ringraziare il forum Neverending story awards!

Have a little fairy tale, infatti, nell’ottavo turno ha vinto ben sei awards come Miglior Personaggio Originale per Seth Green, Miglior Commedia, Miglior Storia Incompleta, Miglior storia scritta esclusivamente dal punto di vista di un solo personaggio e Miglior Personaggio Femminile per Hermione Granger… più Miglior storia in assoluto! Una cosa che mi ha decisamente commosso e sorpreso…quindi ringrazio ancora per questo onore!!:D

Ringrazio ovviamente anche chi legge la mia storia, chi visita il forum (in cui, ahimé, non riesco ad entrare per problemi tecnici…L) e chi la inserisce nei preferiti o nei seguiti! Grazie!!!

Ringrazio anche in questa sede la mia amica Vittoria che si è letta tutta la mia storia e che ora mi tormenta perché continui! :P

E un grazie particolare e preliminare va a Seven, una persona meravigliosa, davvero, e che sono contenta di aver conosciuto tramite HALFT…

In breve, purtroppo come sempre, ringrazio come sempre chi ha recensito la mia storia: Haley James (grazie davvero tantissimo dei complimenti! Spero di emozionarti sempre così! Baci), Liven (eheheheh! Sono contenta che la mia crisi a posteriori sia stata apprezzata! Il dna dei Malfoy lo sto effettivamente subendo molto!! Purtroppo non sono riuscita ad aggiornare prima, maledetto esame, almeno puoi comprendere il mio dolore profondo… ma diciamo prima di quanto pensassi!! Baci), Seven (ovviamente come ben sai, le tue recensioni sono sempre le mie preferite, davvero! Poverina ci metterai delle ore…! Grazie ancora!! Ma tanto adesso comunichiamo inter nos, quindi mi dirai a breve che ne pensi! Baci), Lights (mamma mia, grazie! Effettivamente c’è molto di me dentro Hermione, ripeto la gente che mi conosce, continua a dirmi che sono io… nevrosi comprese! Hai ragione perfettamente, spesso mi dilungo troppo… mi raccomando quando sbaglio fammelo sempre notare! Sul serio! Kiss!), Corvetta (grazie, grazie, grazie! Spero che Draco ti abbia trafitto il cuore anche in questo chappy!), Cygnus Malfoy (la mia cara Helder che sopporta le mie paranoie su come non sopporti Helena! grazie! Baci), Rorothejoy (bravissima, hai azzeccato parte dell’identità di Helena! Riceverai un enorme cesto di frutta dono! Scherzo! Bravissima! Grazie!! Baci!!), Lunachan 62 (grazie dell’in bocca al lupo per l’esame, per fortuna è andato molto bene! Kiss!), Eruanne (grazie infinito! Anche tu hai azzeccato la parentela di Helena con Astoria! E spartirai il cesto con rorothejoy! Eheheh!! Baci!!), Only V (scrivimi tutti i poemi che vuoi! Scherzi??!! Io adoro le recensioni lunghissime, vedere seven per credere! Hai fatto tante supposizioni, molte di esse esatte, ma ovviamente visto che sto prendendo il dna dei Malfoy, non ti dirò quali!! Hai però perfettamente inquadrato che Helena e Rachel fossero la stessa persona! Bravissima e io che credevo di essere stata imperscrutabile…L scherzo!! E hai inquadrato un’altra cosa importante, e cioè la somiglianza tra Helena ed Hermione! Ora non è ancora venuta fuori, ma sarà un punto importante! Come premio per la tua intuizione, ti ho dato questa bella anticipazione!! E ho fatto anche la rima!! Baci!! E grazie!!!), Tully Domy (benvenuta!!! Grazie dei tuoi complimenti, è uno dei miei intenti primari rendere la mia storia non banale… di dramione ne esistono a iosa quindi non è un’impresa facile! La frase finale di Draco è effettivamente MOLTO cattiva, specie per Hermione, ma tranquilla! Poi recupererà!! Baci!!!), Baby Fairy (grazie, un’altra nuova lettrice, me felice!!! Anche tu hai indovinato che Rachel ed Helena sono la stessa persona!!! Bravissima!!! Scrivimi pure quanto vuoi, adoro ricevere delle recensioni anche lunghe!! Per vedere se ci hai preso con la tua teoria, devi solo aspettare i prossimi chappy!! Grazie ancora!! Baci).  

A presto!!! Cassie chan!!!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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