Capitolo 22 – Forbidden colours part II – Cerulean eyed
girl
Ho sempre creduto nel principe azzurro.
Nessuno lo direbbe, guardandomi, no?
Sotto l’algida razionalità e il disincantato cinismo, quella infantile consapevolezza è sempre esistita. O
meglio, è sempre rimasta, da quando mi è stata istillata.
Quando ero bambina, se mia mamma aveva da
fare, faceva la cosa più naturale del mondo per una genitrice con una figlia
rompiscatole da accudire e un lavoro che reclamava attenzione, al pari e,
forse, più di me. Mi preparava un panino con burro e marmellata di albicocche,
mi metteva un tovagliolo bianco sulle ginocchia per impedirmi di sporcarmi e mi
parcheggiava davanti alla tv, lasciandomi alla blanda custodia di una vicina.
Sbocconcellando la mia merenda, sedevo incantata a guardare i classici
della Disney, gli occhi spalancati nel rimirare principesse meravigliose,
vestite di velluto e broccato, gli occhi luccicanti di zaffiro e i capelli
rifulgenti d’oro. Aurora, Biancaneve, Cenerentola, Ariel… tutte, tutte,
alla fine della fiaba, incontravano un principe
bellissimo, biondo anch’esso, dai modi gentili ed affabili che rompeva
l’incantesimo che le imprigionava e le conduceva in un castello d’avorio fino
alla fine dei loro felici e rifulgenti giorni.
E io ci credevo ciecamente, mi rimiravo nello specchio facendo mille
giravolte e piroette, abbracciando un grande cuscino scozzese come se fosse il
torace saldo e possente del mio principe azzurro. Eppure… anche allora…
quando ero solo una bambina, io avevo sempre una domanda curiosa e pressante
nel cervello.
All’inizio, era una nebbiolina confusa che si insinuava
lenta nel mio pensare, mentre mi drappeggiavo addosso la lunga tenda di pizzo
avorio del salone, fingendo che fosse un vestito elegante. Poi, divenne sempre
più grande ed avvolgente, mentre guardavo ancora altri
film, colmandomi di indorate fantasie.
Una sera, quando mia mamma, tornò a casa e mi
abbracciò forte, cercando di darmi quell’affetto colpevole che mi aveva negato
per il lavoro, io storsi il naso per l’odore del disinfettante che
l’accompagnava sempre, dopo una giornata di ambulatorio, poi le chiesi
serissima: “Mamma, ma se Cenerella sposa il principe
azzurro, le altre ragazze che erano andate alla festa che fine fanno? Chi sposano?”.
Mia mamma mi osservò meravigliata, poi rise e mi scompigliò i capelli,
spaventata per un attimo dalla mia espressione compita che le aveva fatto
pensare chissà che.
Da allora, non vidi più quei film.
Era come se non ci credessi più. Avevo solo sei anni e già la mia
mente uccise la mia fantasia.
Ma una parte di me… non so come… aveva continuato ostinatamente a
pensare che, in fondo, per ognuna di quelle ragazze chiamate a partecipare ad un ballo in cui non sarebbero state guardate nemmeno per
sbaglio, esisteva, fuori dalla porta scintillante del castello, un principe che
le stava aspettando.
In fondo, la terra è grande e posto per altri castelli, ce n’era
sempre.
Mi feci comprare da mia mamma “Il piccolo
principe” di Antoine de Saint-Exupéry, convinta che fosse quasi una sorta di manuale
per riconoscere questa persona leggendaria. Io non ero bionda, né bella, né
gentile, l’avrei trovato lo stesso? E che succedeva se non lo
si trovava? Se era di un’altra principessa che ancora non era apparsa e
che magari dormiva ancora in una foresta?
Non c’entrava nulla ovviamente quel libro con il mio ragionamento
cretino, mi piacque molto, lo rilessi anche più volte, ma non era stato di
ausilio al mio teorema.
Eppure, l’immagine in copertina mi diede il modello che dovevo cercare.
Un bambino elegante ed impettito, dai vestiti
raffinati e seriosi, con intensi occhi chiari e capigliatura color del grano.
Draco Malfoy
sul treno di Hogwarts tredici anni fa.
Poi mi convinsi che non doveva essere per forza biondo… insomma, anche con
i capelli rossi andava bene. Diamine, erano sempre capelli, il contenuto
non cambiava. Poteva anche avere un sorriso contagioso, un aria
perennemente imbarazzata e vestiti non propriamente di prima mano.
La
guancia di Ron sotto le mie labbra, prima di una partita di Quidditch.
Poi, dopo, mi dissi che anche uno che non era nato per essere un
principe, poteva andare bene. Io non assomigliavo molto ad
una principessa, quindi ci poteva anche stare che non dovessi trovare un
principe… non mi risulta che ai balli andassero anche quelle normali.
Evidentemente, il principe azzurro era fuori dalla mia portata.
Un
bicchiere di sangria accostato con forza a quello colmo di Dean.
Poi… basta.
Improvvisamente, avevo smesso di pensarci. Perché, insomma, una si fa
film fino ad un certo punto.
Se avessi aperto la cassetta della posta ed
avessi trovato l’invito ad un ballo, l’avrei gettato nell’immondizia. Qualsiasi
principe si fosse palesato ai miei occhi, si sarebbe rivelato sempre come il
freddo e greve rospo che era, per quanto fosse vestito elegante, gentile,
ammodo ed innamorato.
In fondo, io con quella tonta di Cenerentola non avevo mai avuto niente
a che fare, a ben vedere. Fossi andata al ballo, fosse anche per pura
curiosità, non mi sarei nemmeno sprecata a mettermi in abito lungo, ma
schioccando la lingua, sarei rimasta appoggiata al portone del castello,
ridendo sotto i baffi.
Poteva
sussurrarle quello che voleva nell’orecchio mentre volteggiavano nel salone
addobbato, ma, appena le porte si sarebbero chiuse e tutti gli invitati fossero
usciti, lui sarebbe tornato quello di sempre… lei l’avrebbe visto senza
mantello, senza spada, senza uniforme.
E sarebbe stata
una sconfitta.
Non era un
principe, si divertiva solamente a fingere di esserlo.
Era una scenetta anche abbastanza patetica, quindi, io ormai nel
castello non ci entravo proprio. Non era posto per me.
Poi, in un lampo livido di giugno, in ginocchio per terra, con accanto un pianoforte a coda che vibrava ancora di note
maledette, mi ero resa conto che invece io, in un austero castello da fiaba,
c’ero entrata, eccome. Vestita di tutto punto, perfetta, con gli occhi
smaglianti di illusioni. Infrante.
… perché questo castello, aperto ed
illuminato, non stava aspettando me. Non sono io la principessa di questa
fiaba.
Sono una di
quelle che aspettano e sperano, avvolte nei loro vestiti inutilmente abbelliti
da fiocchi e trine.
Sono una di
quelle che non saranno mai scelte e che guarderanno ballare i due protagonisti,
sognando quell’amore grande che non avranno.
E magari ameranno
pure, lo ameranno vedendolo danzare, perso negli occhi
di una donna che non sono loro. Resteranno silenti testimoni di un amore eterno
ed inestinguibile di cui non hanno conoscenza.
Feriranno le mani guantate di raso, morderanno le labbra riflesse di corallo,
lisceranno inutilmente la gonna di seta da inesistenti piegoline.
Ma
lui passerà sempre oltre, non guardandole neppure. Non guardandomi neppure.
Era un
principe, allora, non mi ero sbagliata. Ed aveva anche
una principessa.
Quindi,
Hermione può anche uscire da questo castello sterminato e maestoso. Non è mai
stata la sua di fiaba.
Che succede a
quelle che vanno al ballo e non vengono scelte? Che
cosa fanno, dopo, quando escono nell’aria crudele della notte? Quando sono…
sole?
Fuori il mondo può anche essersi fermato.
E probabilmente nemmeno me ne sono accorta. O
magari, in fondo, non si è fermato niente. Tutto ha continuato a girare come
sempre, sono nati bambini, sono morte persone che probabilmente non lo
meritavano, risate sono scoppiate con fragore, pianti evanescenti ed isterici si sono riversati su spalle amiche.
Certo che tutto è continuato come sempre. Ovvio. Necessario e giusto al
tempo stesso.
Con l’eco della mia mente ancora in piedi, ho sentito che ha iniziato a
piovere forte fuori da questa stanza, un tenue eco di terra bagnata mi ha
urtato dentro come un calcio ben piazzato, armato da struggente malinconia. Poi
è passato. Lo amo. Niente può fare male dopo quello.
Non è vero. Ama un’altra.
È qui tra le
mie braccia, piange e ama un’altra.
È qui… e ama
un’altra.
Io lo amo… e ama un’altra.
Che succede a
quelle che vanno al ballo e non vengono scelte? Che
cosa fanno, dopo, quando escono nell’aria crudele della notte? Quando sono…
sole?
Credo di essere semplicemente rimasta cosciente di
me stessa per quel movimento incredibilmente lento, ripetitivo, costante, di
accarezzargli
piano la spalla, cercando di calmarlo. Rassicurante nel suo ripetersi come
l’onda del mare, lambisce lieve la terra, poi va via.
E io, uguale… ma non così piena di forza come un’onda, non così viva e
gorgogliante di energia da poter ripetere lo stesso gesto anche per l’eternità.
No.
Sono un’onda che si ripete, perché non posso fare nient’altro.
Come se fossi una specie di manichino, morto dentro, ma perlomeno somigliante ad una cosa che è stata viva, vista da fuori. Come
quelle ballerine nei carillon, congelate per sempre, in un
elegante arabesque.
La musica finirà ed inizierà daccapo, e loro
saranno sempre ferme lì, con la gamba alzata e il braccio teso, gli occhi fissi
nel nulla.
E, ora, sono utile fino a quando la mia mano non si fermerà dall’accarezzarlo, dal tentare di calmarlo, da darmi un
senso inutile. Poi smetterò di averne.
Smetterò di servire a qualcosa.
Smetterò di fare qualcosa.
Ricomincerò a
sentire… e smetterò
di esistere come me stessa, probabilmente.
Cadrò a pezzi, dilaniata in milioni di miliardi di schegge. Con quel
senso consapevole che ogni minuscolo frammento continuerà ad
urlare, a gridare, a piangere, a disperarsi, moltiplicando infinite volte ciò
che sento dentro. Il mio amore stupido. Il mio dolore stupido. Il mio cuore
stupido. Il mio essere una maledetta idiota stupida.
Dopo un po’, Draco sembra calmarsi, i suoi singhiozzi diventano più
tenui, non sento più le lacrime bagnarmi il pigiama, spegnendosi dopo essere
scivolate lungo il mio collo. La mia mano continua i suoi colpetti, non potrei
fermarla nemmeno se volessi, va per conto proprio come se avesse un senso tutto
suo, staccato dal resto del corpo, un impreciso senso di necessità che non so
cogliere nemmeno io.
Io non la potrei fermare.
Infatti, se si ferma, non è per me.
È costretta a fermarsi, quando Draco si stacca da me, poggiando le mani
sulle mie spalle, la fronte sulla mia, gli occhi rossi, il respiro corto. Una
vicinanza che è solo una lontananza continua, solo il preambolo di una
separazione, come una specie di commiato, un saluto affrettato ed un’ultima occasione per ricordare ciò che non siamo mai
stati, io e lui. Terra e mare. È un’illusione il pallido momento in cui ci
unisce un’onda.
Poi, saremo
solo granelli di sabbia dispersi nel vento.
Dio mio, fammi
andare via, accada qualsiasi cosa… ma fammi andare via… ti prego, non chiederò
mai più nulla in tutta la mia vita…
Fammi andare
via, allontanalo da me…
La mano immobile e gelata a mezz’aria non si muove più, i pensieri
ricominciano come un fiume in piena a cui avevo solo
messo un tronco come diga, mi investono in pieno e… ne sono travolta ed asfissiata.
Draco si accorge del mio labbro che trema, si accorge che sto piangendo
e mi guarda piangendo a sua volta, incredulo, gli
occhi spalancati da bambino, come se tentasse di capire, di leggere oltre il
mio viso umido, stravolto, sconvolto, incredibilmente lontano da quello che
era, fino a qualche attimo fa. C’è una tenerezza nei suoi occhi che non c’è mai
stata prima, una morbidezza triste ed inquieta che mi
sorprende, tra le mie mille lacrime nuove, una delicatezza che fonde l’argento
dei suoi occhi, rendendolo liquido, vivido, lucente. So che mi ha abbandonato
l’orgoglio, la sola cosa che mi tenesse in piedi, e so che, se non lo imploro
di lasciarmi andare, è solo perché credo di aver anche perso la capacità di
parlare.
Non mi fido di nulla di me stessa in questo momento.
Né della bocca, né della testa e soprattutto del cuore.
Se sto ferma, se sto immobile, se non parlo…
se non faccio assolutamente nulla… magari, scivolerò via da questo momento
senza nemmeno accorgermene.
In fondo, se
non avessi chiesto chi fosse la lei di cui parlava… e se non avessi suonato il
pianoforte… sarei ancora così bellamente arrabbiata con lui solo perché ha
tentato di baciarmi… Dio, magari fossi stata per sempre piena di quella rabbia,
invece che di questo amore maledetto…
Amore.
Amore.
Abbasso gli occhi, singhiozzando, mentre quella parola minuscola mi
risuona dentro, vibrando come una nota lugubre e stonata, lunghissima,
rimbombante, trattenuta, che echeggia in un silenzio così perfetto da sembrare
irreale. Dentro, è tutto silenzio, tranne che per quella parola insopportabile.
Il nome.
Amore.
Improvvisamente, sento la mano di Draco sotto il mio gomito, mi
trascina di peso, in piedi, trattenendomi appena. Resto con la testa bassa,
facendomi trascinare passivamente di sopra, su per le scale, non chiedendomi
nemmeno che cosa abbia in mente, non interessandomi neppure.
Si ferma davanti alla porta della sua stanza ed è solo allora che alzo
la testa, curiosa e meravigliata, scorgendo la soglia che aprii di nascosto da
lui, ma che non mi ha mai fatto varcare di sua iniziativa in tutto questo tempo.
Gli occhi annebbiati di lacrime, lo scorgo spalancarla con il piede, ancora
tenendomi per il gomito di malagrazia, trascinarmi dietro di lui e poi
chiudersela alle spalle. È tutto buio, tranne per una
piccola luce accanto alla culla di Serenity.
Sento il respiro della piccola che dorme profondamente, ed istintivamente mi chiedo quanto abbia di sua mamma. Helena
Jasmine Greengrass.
Non la guarderò
più quella bambina.
E mi uccide. Ma non lo farò. Cercherei sempre di trovare quella donna in
lei.
Pur non volendo
e pur non cercandola esplicitamente, cercherei sempre
di vederla. E se la trovassi, non potrei sopportarlo. Nemmeno per un secondo.
Draco mi lascia un attimo nel buio, allontanandosi, non mi chiedo
nemmeno che stia facendo, mentre lo sento armeggiare con qualcosa nascosto in
un armadio.
La curiosità mi ha portato a questo, a stare qui con il cuore a pezzi,
in una stanza buia, dove dorme la figlia della sola donna che Draco abbia mai
amato.
La curiosità…è stata lei, piccola e bastarda, a farmi restare qui. A
farmi chiedere perché Malfoy vivesse da babbano. A farmi accettare la sua
proposta di lavoro assolutamente imprevista. A farmi chiedere dei suoi
genitori. A farmi correre a casa di Rachel. A farmi
ascoltare lui che rompeva con Astoria.
E, alla fine, come pegno per questa verità che volevo assolutamente,
come se avessi un diritto sovrannaturale di dover assolutamente sapere tutto,
la curiosità si è presa la mia anima.
Per sapere la verità, ho venduto la mia anima a questo diavolo dagli
occhi chiari.
Per sapere la verità, io gli ho donato la sola cosa che mi restasse,
senza che nemmeno lo sapessi.
Ho svenduto il mio cuore.
Mi sono
innamorata di lui.
Perché non sono
andata via, quando potevo?
Quando mi si riavvicina, sembra che non abbia mai pianto, gli occhi
sono asciutti, l’espressione seriamente consapevole di sé
stesso, le spalle contratte. Si ferma davanti a me e mi
guarda a lungo, senza dire una parola, serio, impassibile, come se mi
stesse soppesando, come se fossi un certo quantitativo di merce da valutare.
Basta, per
favore…
Mi serro nelle spalle, abbassando gli occhi, cosciente
che non ho mai smesso di piangere silenziosamente, cosciente di non aver mai
sentito le mie guance asciutte da quando ha pronunciato il suo nome.
“Hai ragione…” la sua voce reca tracce di quel pianto appena trascorso,
ma le cela in modo convincente. Suona freddo,
distaccato, sicuro, come sempre.
Come diamine
fa? Come ci riesce?
“Che cosa?” chiedo, non riuscendo a capire, alzando lo sguardo nella
penombra che lo rende invisibile ai miei occhi colpevolmente innamorati.
“Hai ragione…” ripete lui con pazienza, come se davvero non avessi
sentito “Questa storia deve finire… oggi, adesso…”.
“Non capisco…” mormoro ancora, un cinguettio tremante che esce dalle
mie labbra ancora inumidite di lacrime.
Immagino persino il suo viso nel buio, quando dice lapidario: “Devi
sapere tutto… di me e di Helena…”.
Espressione accigliata
e labbra strette. Occhi chiarissimi e limpidi. Necessità ed
impossibilità che non sia come dice lui.
Deve essere che
prego il Dio sbagliato… non c’è altra spiegazione…
Istinto di sopravvivenza, forse, mi rende improvvisamente la voce: “No…
non devo sapere niente… credo di avertelo già spiegato… non mi
interessa…”. Rincuorata dal tono sicuro e deciso, e
dal fatto che perlomeno l’urgenza del momento mi ha reso più calma, rincaro la
dose: “Non ho mai voluto sapere nulla, né di te, né di Astoria, né di…”, una
fitta intollerabile al petto, ringrazio il buio che mi consente di riprendere
fiato senza che se ne accorga: “… né tantomeno di Helena, chiunque lei sia… non
ti ho chiesto mai niente e non capisco che cosa mi devi adesso…”.
“A te magari non interessa…” riprende lui stoico, dandomi le spalle “Ma
a me sì…in un modo contorto, ma è così, è necessario che tu sappia tutto
di questa storia…”.
“Necessario, per cosa, scusa?! Che cosa deve
finire oggi? Puoi spiegarmelo?” chiedo ancora, ignorandolo e
cercando di prendere tempo. Sento il sudore freddo inzupparmi la
schiena, un impreciso senso di puro terrore al pensiero di sentirlo parlare di
lei.
“Dopo… dopo che avrai visto…” risponde lui sibillino, voltandosi
verso di me.
“Visto?”. Non capisco fino a quando non vedo alle sue spalle, poggiato
sulla scrivania, qualcosa di vagamente circolare. Emana un lieve bagliore
perlaceo, insufficiente ad illuminare la stanza, si
riflette solo nei suoi occhi grigi, rendendoli ritagli di luna.
Un pensatoio.
Non soltanto
sentirlo parlare di lei… no… anche vederlo con lei… non se ne parla neppure. Non ce la faccio. Non
ce la posso fare.
Scuoto il capo con energia, negando quella possibilità. Ma non faccio nemmeno in tempo a farlo che Draco mi afferra
per un polso, trascinandomi dietro di lui. Mi puntello con i piedi per terra,
cercando di ostacolarlo, mi ritrovo persino a gridare, ma come sempre è più
forte di me. Serro gli occhi, un fragore d’acqua nelle orecchie, mentre cadiamo
entrambi nel pensatoio.
Poi più nulla.
(NDA: da questo momento in avanti, chiaramente avremo a
che fare con i ricordi di Draco. Sono in terza persona e, dal punto di vista di
Draco stesso, ovviamente. Per distinguerli da quando invece a parlare è
Hermione, uso un carattere diverso. Ecco una piccola leggenda:
Draco ed Hermione =
Hermione che parla.
Draco
ed Hermione = come sempre,
sono i pensieri più intimi di Hermione stessa.
Draco ed
Hermione = sono i ricordi di Draco).
La mente di Draco è un inferno di porte chiuse.
Corridoi immacolati e deserti, pieni di voce attutite da porte chiuse.
Alcune sono enormi, imponenti portoni dall’aria antica, di legno massiccio e
scuro, chiusi da ferri e lucchetti sigillati. Altre sono piccole, minuscole,
non ci passerebbe nemmeno un mio piede. Altre ancora, sono spalancate, ma al
loro interno, c’è poco o nulla.
Scale a chiocciola, si arrampicano in altezza dove
nemmeno la mia immaginazione riesce ad arrivare, tutto è un eco di voci,
rumori, odori sconosciuti che si mescolano in vario modo. È tutto così bianco
da sembrare accecante, eppure così asettico e freddo… sento la mano di Draco
stringere la mia, guida silente per ciò che mi vuole far vedere, come un
Caronte ineluttabile che mi conduce all’inferno.
Il polso mi fa male, per dove mi ha stretta
prima, per la forza che ci ha messo per trascinarmi qui. Alle mie spalle, vedo
il gorgo d’acqua che è l’ingresso del pensatoio.
Se corressi, magari ci arriverei… e lui mi riporterebbe qui. Non c’è
altra soluzione.
Che diamine vuole ancora da me?
Girandomi a guardarlo, lo vedo immobile e fermo, rilucente d’argento
come un pensiero, esattamente come me. Sono dello stesso splendore opalino
anche le mie mani che allungo oltre il mio corpo. Draco è serio, impassibile,
la sua mano nella mia invece è di ghiaccio. Inizia a
camminare, velocemente, sapendo perfettamente dove portarmi.
Mi chiedo ancora perché sta facendo tutto questo.
Non lo vuole fare, è evidente, ci sta soffrendo, la sento la tensione
nella sua mano… eppure, pensa che sia necessario. A cosa?
Perché dover condannare entrambi a questo inutile dolore che poteva
risparmiarci?
Mentre camminiamo velocemente, riesco a gettare solo brevi occhiate
nelle stanze attorno a noi, mentre superiamo corridoi e saliamo scale.
Una luce calda ed ambrata da una camera
socchiusa. Porta di ciliegio dai riflessi dolcemente rossi.
Ci guardo fugacemente dentro.
Narcissa Black Malfoy guardò
delicatamente il figlio, i suoi occhi azzurri scintillarono per un attimo dal
riflesso dello specchio di fronte a lei.
Poi si spensero così come si erano accesi
e volse lo sguardo altrove, riprendendo a spruzzarsi del profumo. Odore di
rosa. Passò una mano nei lunghi capelli biondi, annodandoli poi in una crocchia
severa sulla nuca.
Sembrava molto più grande dei suoi pochi
anni, sguardo vecchio dietro le palpebre lisce come petali di fiori.
Draco la chiamò leggermente, le guance
rosse per l’indignazione, il viso infantile buffamente piegato in una smorfia
di disappunto: “Madre, mi stai ascoltando?!”.
“Anche se Potter non è voluto diventare
tuo amico…” commentò con voce strascicata Lady Narcissa, voltandosi verso il
figlio “Non vuol dire che tu ti debba eccessivamente dolere per questo. Sarà anche una… celebrità…ma, in fondo, Potter è sempre un
Mezzosangue, e certa gente dovrebbe solo sentirsi onorata di poter camminare
dove noi passiamo…”, la sua voce eterea assunse un tono stentoreo mentre
aggiunse grave: “Vedi che non se lo scordi mai, Draco…”.
Il bambino biondo assunse un cipiglio molto più serio dei suoi undici anni scarsi e si
erse nel suo abito di velluto verde bottiglia, sicuro di cose che non conosceva
e non capiva fino in fondo, ma che erano dogmi inscindibili dalla sua persona,
incontestabili e incontrovertibili.
“Non accadrà
mai più, madre…”.
Credevo di aver
anche dimenticato che Draco aveva tentato di essere amico di Harry, al primo
anno, attirato dalla sua fama. E stranamente doveva anche esserci rimasto male
per il rifiuto subito da lui, incredibile. Continuiamo a camminare velocemente,
la smania di Draco di farmi conoscere la storia di Helena mi sconvolge e mi
rende nervosamente curiosa di guardarmi attorno. La mente di Draco è così piena
di cose che non conosco e che vorrei conoscere… ma è
soprattutto l’assoluta consapevolezza di non volerne sapere nulla di lui e di
Helena, e di esserci invece costretta, che mi fa indugiare oltre queste porte,
osservando con lentezza studiata i ricordi di Draco.
Una
porta scura, massiccia, di legno nodoso, con una maniglia avviluppata nelle
forme di un serpente d’oro.
Anch’essa
socchiusa, ne filtra una luce che potrei definire solamente… buia.
Stavolta non
riesco a vedere al suo interno, sento solamente delle voci.
“Padre, ma è bellissima!!”
una voce entusiasta ed acuta di gioia.
“Vedi di non farti soffiare
La voce di
Lucius Malfoy.
Lo ricorda
ancora, allora. Ricorda ancora i suoi genitori, sebbene dica sempre il
contrario. Sono sempre qui dentro, nel suo cuore. Come potrebbe essere
altrimenti, in fondo? Per buona parte della sua vita, ha avuto solamente loro.
Spio il suo viso con la coda dell’occhio, i suoi occhi
sono pieni di ombre minacciose, procede velocemente come se cercasse di tenere
lontani quei ricordi, palesemente contradditorio nel fatto di averli poi
conservati.
Accelera ancora
di più il passo, quando improvvisamente scorge una porta stavolta serrata,
piccola come la mano di un bambino. I suoi occhi si stringono rabbiosi e la sua
mano mi trascina con furia, eppure, passandole davanti, sento ugualmente delle
urla provenire dall’interno.
Mi si drizzano
i capelli sulla nuca, mentre riconosco una delle due voci.
Una voce femminile, resa acuta dalla
rabbia e dal livore. Odio filtra dalle sue parole, rendendole unte di
risentimento e di acredine. Eppure, non sembra colpita da questo, sembra… abituata.
“Sei davvero un idiota colossale, Malfoy!
Un idiota! Ti vedo piangere e non ti dovrei chiedere che diamine hai?! Fosse anche perché adesso per chissà quale discutibile
ragione, sei dalla mia parte…?!”.
“Io sarò da molte parti, Granger, ma non
sarò mai dalla tua, spero che questo ti sia chiaro…”. Velata da lacrime celate
e vergognosamente negate, la voce del ragazzo sputa fuori quelle parole con
astio.
Un tonfo di qualcosa che cade per terra.
“Cristallino, Malfoy… spero davvero che
ci lasci le penne in questa stramaledetta guerra!”. Porta sbattuta.
Un sospiro, colmo di angoscia. Parole
bisbigliate ad una stanza adesso vuota.
“Tranquilla, Granger… probabilmente sarà
così…”.
Eravamo… noi…
Draco si ferma,
improvvisamente, voltandosi verso di me. Lo guardo, sconvolta, stringendo la
sua mano nella mia e portandomi l’altra alle labbra.
“La notte a
Grimmuald Place…” mormoro più a me stessa che a lui “Quando ti trovai lì, da
solo… non ricordavo di averti detto quelle cose…”.
Sorride piano:
“Non importa… quello che c’è adesso, non cancella quello che siamo stati fino a
qualche anno fa…”.
“Mi dispiace…” mormoro autenticamente pentita, abbassando gli occhi.
La sua mano mi
risolleva il viso e, guardandolo, per un attimo, dimentico tutto quello che è
successo fino ad ora. Che sono nella sua mente, che sto per vederlo con Helena,
che ha lasciato che Astoria mi controllasse… che sono innamorata persa di lui… e mi perdo nei suoi occhi
meravigliosi.
“Non importa,
Hermione…davvero…” aggiunge convinto, trattenendo una mano sul mio viso
“Probabilmente ricorderai anche tu cose del genere, no?”.
Annuisco,
figuriamoci se non le ricordo…
“E
probabilmente saranno anche di più, conoscendomi…”. Sorrido leggermente, non staccarti mai da me.
Improvvisamente,
i suoi occhi, sereni, serafici e tranquilli, tornano specchi torbidi e si
stacca da me come se scottassi. Mi stringe di nuovo il polso con forza e
riprende a camminare, dopo aver detto frettoloso: “Non pensarci più…”.
Incespico,
seguendolo, chiedendomi ancora perché abbia tutta questa fretta.
Quello che c’è adesso… sapessi fino a che punto cosa c’è per
me, adesso…
Dopo qualche
passo, finalmente si ferma. Respira a fatica, ma non credo che sia per lo
sforzo, in fondo non ho fatto alcuna resistenza, convinta ormai come fossi che non
avrebbe fatto alcuna differenza. Tornano anche le lacrime nei suoi occhi, tira
su con il naso, cercando di fermarle. E allora capisco. Siamo arrivati.
Davanti a me,
c’è un portone immenso, devo alzare la testa per guardarlo fino alla sua
sommità. Decorato con dei motivi di rose, incise ed
intagliate nel legno chiarissimo, splendono di luce propria. Come molte altre
porte di ricordi nella mente di Draco, questo mastodontico portone sembra
inaccessibile, ma lo sembra molto più degli altri.
Prima di tutto,
per la sua dimensione… e poi per chiavistelli infiniti che ne chiudono la
serratura, grande come un mio braccio.
Lo soppeso con
lo sguardo in ogni particolare, accanto alla sua serratura, le rose si intrecciano in vario modo, formando in caratteri eleganti
le lettere H.J.G.
Sobbalzo, le mie iniziali… poi, con una punta di
delusione angosciosa, mi ricordo che sono anche quelle di Helena. Helena Jasmine Greengrass.
Una Greengrass…
ancora non ci avevo pensato… ma non erano solo in due? Astoria e Daphne? Chi è
allora questa terza Greengrass? Penso sempre che abbia a che fare con quel ramo
della famiglia, se non altro perché questo giustificherebbe la presenza di
Astoria, qui.
Ma,
allora, perché non ho mai sentito parlare di lei? E come me, nessun altro?
Magra
consolazione è che, tra poco, mio malgrado, saprò vita, morte e miracoli su
questa donna.
Draco fa un
solo incerto cenno del capo, e il portone enorme si apre cigolando. Mi trascina
ancora dietro di sé, stavolta cerco anche di fare resistenza e di chiamarlo per
fermarlo, ma senza successo. Ormai ha deciso e io,
poco, ci posso fare. Sì, come no.
“Malfoy!” urlo
con tutta la voce che mi ritrovo in gola, facendolo voltare ed
ansimando per lo sforzo di continuare ad ostacolarlo, puntando i piedi per
terra “Quale parte, esattamente, del mio discorso non ti è chiara?! Te l’ho
detto anche questo pomeriggio… non me ne frega nulla della tua vita, sono stata
chiara? O devo ripetermi ancora in modo che i tuoi neuroni recepiscano
il messaggio e facciano finalmente contatto?!”. Il respiro corto, lo guardo con
furia, sperando che interpreti i miei occhi lucidi come rabbia, e non per
quello che sono realmente. Sono dura, lo so, ma è davvero il solo modo che mi è
rimasto per salvare me stessa.
“Ti ho già
detto, Granger…” riprende lui con la mia stessa intonazione severa ed inflessibile “… che non lo sto facendo per te… ma solo ed
esclusivamente per me stesso. E che, dopo che avrai visto tutto, ti spiegherò
il motivo per cui lo sto facendo… sei sempre quella che ambisce alla verità, al
verbo assoluto, e ora ti tiri indietro?! Cosa c’è che non ti va esattamente?”, abbassa la voce e, per un
attimo, credo che voglia usare un tono di voce soffuso e malizioso.
Credo che fosse anche la sua di intenzione, mentre
socchiudeva gli occhi e mi guardava intensamente, accendendo gli occhi grigi. Ma invece, la voce che gli esce, è diversa.
Bassa, roca,
profonda e… triste. Gli occhi
continuano ad essere lucidi specchi di dolore.
“Che
c’è? Non riusciresti a
vedermi con un’altra donna?” mi sussurra.
Ci ha preso perfettamente.
Punta sul vivo,
ribatto sicura: “Non dire sciocchezze… non ne vedo solo l’utilità…”.
“Ce la vedo io l’utilità…tranquilla, le mie azioni
hanno sempre una motivazione, per quanto tu ne possa
dubitare…”.
Rassegnata, mi lascio
condurre passivamente oltre la soglia, convinta di aver esaurito gli argomenti
che potevo portare a sostegno della mia teoria. Spero solamente che non sia
stata una storia lunga, perlomeno nel tempo, e che non abbiano troppi ricordi
assieme. Che è la storia più importante
della sua vita, già lo so.
Oltre la
soglia, contrariamente alle premesse, non c’è niente di eccezionale. Un enorme
spazio bianco, delimitato da uno specchio sconfinato che si estende a perdita
d’occhio su un lato della stanza. Draco mi conduce davanti ad esso e,
sofferente, poggia una mano sul vetro freddo.
Lo specchio
reagisce al suo tocco, turbinando di luci, colori ed
ombre sconosciute, che iniziano a sbocciare in ricordi lontani davanti ai miei
occhi, socchiusi, inutilmente, per tentare di soffrire il meno possibile, da
quello che sto per vedere.
La guerra aveva avuto il pregevole dono di tirare fuori la
vera natura delle persone.
A quello, non riusciva a smettere di pensare Draco Malfoy,
mentre se ne stava seduto nell’ufficio deserto del Ministro, apparentemente
ipnotizzato da un arazzo che rappresentava, in colori accesi e in filigrana
d’oro, i nomi degli Auror che avevano perso la vita in quella guerra. Come ex
Capo del Dipartimento degli Auror, doveva essere sembrato doveroso per
Scrimgeour farlo realizzare; evidentemente conosceva molte di quelle persone i
cui nomi erano solamente tratti di fili colorati, pallida traccia di vita
dispersa nella cenere di quei giorni spezzati.
Draco chiuse le mani in grembo a pugno, chiedendosi se
poteva esistere, in chissà che luogo dimenticato da Dio, qualcosa di simile per
gli “altri”.
Chiamava sempre così i Mangiamorte, quelli che erano
dall’altra parte… come Tiger, Goyle, Nott, Zabini… i suoi vecchi amici… e come
sua madre e suo padre.
Come se, con quell’appellativo generico che definiva
lontananza ed estraneità rispetto a sé stessi, poteva
effettivamente chiuderli fuori dalla sua mente e dalla sua memoria.
E diventare finalmente il traditore che avevano
plasmato dalla sua carne e dal suo spirito.
Draco sollevò gli occhi umidi, guardandosi ancora attorno
con espressione impaziente, aspettando che il Ministro tornasse, dopo che lo
aveva lasciato nel suo ufficio da solo. I suoi occhi pigri si poggiarono sui
libri antichi, sui quadri sonnecchianti, sulle pile di fogli di carta sulla
scrivania, senza guardarli veramente. Aveva una sola cosa nella mente.
Quella guerra aveva avuto il pregevole dono di tirare fuori
la vera natura delle persone, Draco se lo ripeteva ostinatamente nella testa,
come un mantra.
Lui si era scoperto un traditore.
Del suo sangue puro, della sua famiglia, del suo stesso
essere che ribolliva ancora nelle profondità del suo spirito.
Perché lo aveva fatto? Era la prima volta che ci pensava
compiutamente.
Se glielo avesse chiesto un nome su quell’arazzo, avrebbe
risposto con una sequela di ridondanti parole come “giustizia”, “bene” e “coraggio”.
Ne avrebbe sentito il sapore pieno e avvolgente nella bocca, come latte caldo,
e se ne sarebbe saziato e dissetato. Avrebbe indorato ogni suo discorso del
loro gusto sconosciuto ed, in parte, ancora ostile. E
tutti ci avrebbero creduto.
Ma, se glielo avesse chiesto uno di loro,
degli “altri”? Che avrebbe detto?
Non avrebbe nemmeno risposto. Erano stati loro a
costringerlo a questo. Quindi, non aveva senso che glielo chiedessero.
Questa domanda, da loro, non sarebbe mai arrivata. Lo avrebbero ucciso, senza
parlare, era questa la sola cosa che avrebbero potuto
fare. E, per quello, non c’era vitale necessità di parlare. A
meno che non si volesse costringere la vittima anche alla tortura
mentale.
Ma, se anche glielo avessero chiesto e lui
avrebbe risposto, che cosa avrebbe detto?
Convenienza, probabilmente. Vendetta, sicuramente.
E finalmente, con qualcuno, sarebbe stato sincero.
Solo pochi, in fondo, sapevano la verità su di lui… solo
pochi sapevano dell’origine del suo ravvedimento. Pochi. Gli altri si erano
limitati ad accettarlo con un’alzata sarcastica di sopracciglio.
Di stranezze ce ne erano anche troppe in quella guerra. E,
in fondo, forse tutti sapevano che la guerra mostrava la vera indole delle
persone. E la sua, bontà d’animo discutibile a parte, doveva essere lontana da
quella del Mangiamorte. Basta. Non c’era bisogno di complicate spiegazioni.
Ma essa, la spiegazione, invece c’era.
Sì, che c’era. E gli faceva schifo solo a ripensarci.
Quando era scappato da Hogwarts con Piton, dopo l’omicidio
di Silente, quando aveva visto la vita dei Mangiamorte da vicino, quando aveva
capito che cosa era…
Repulsione. Ecco cosa aveva sentito.
Sentiva sempre il sangue sulle mani, non si staccava mai,
sebbene le lavasse, sebbene non l’avesse versato lui.
Ancora.
Era secco, dolciastro, appiccicoso.
Nei ricoveri di fortuna con il suo professore di Pozioni,
mentre fuggivano, le sfregava con foga fino a renderle viola, nel suo giaciglio
umido e sporco. Ma quella sensazione non passava mai,
e lo disgustava. Immaginava ori ed incensi, ed invece
non riusciva a scordare gli occhi di Silente. Erano un tormento. Continuo,
eterno, inestinguibile. Una febbre.
Lo portarono a Malfoy Manor, in fin di vita, ormai, dopo
giorni passati alla diaccio, con quella febbre che nemmeno le cure di Piton
sembravano sanare. Continuava a salire, diventava fuoco progressivamente, lo
ardeva dall’interno, sciogliendolo come burro fuso. Nell’agonia, i pianti dei
suoi genitori, le parole di Silente “Uccidere non è nemmeno facile come credono
gli innocenti…” e grida e risa che lo tormentavano da quando era
bambino, incubo infantile a cui non aveva mai dato peso. Stava per morire e lo
sapeva, ma Piton trovò la cura. E fu peggio della
morte stessa.
Estrasse dei suoi pensieri dalla sua mente, in un barlume
di lucidità glieli mostrò. Il martirio dei Paciock a cui
aveva assistito quando aveva pochi mesi. Ad esso, ora
si era aggiunto il ricordo dell’omicidio di Silente.
Non era una febbre fisica, era una febbre
mentale, causata dal rimorso che nemmeno lui sapeva riconoscere come tale.
La cura era semplice. Draco non poteva essere un
Mangiamorte. Doveva essere libero. Probabilmente sarebbe morto, in caso
contrario. Piton lo sentenziò con serafica calma alle sue orecchie incredule.
Quella era una condanna, la medicina che, come malefico
assenzio, gli era stata prescritta.
Draco obiettò con voce flebile che sarebbe passata, che forse
era solo debilitato per il viaggio, che lui se ne fregava dei Paciock e di
Silente. Non gli credettero. Credettero a Piton.
Potevano proteggerlo, potevano nasconderlo a Voldemort,
potevano semplicemente farlo stare lì e, sebbene ora fosse inutile, usare la
sua salute cagionevole come spiegazione ineccepibile
per la sua mancata partecipazione alle missioni dei Mangiamorte. Invece no…
Lo vendettero. Al nemico.
Fu Piton a suggerirlo, servivano Mangiamorte esperti e lo
barattarono con gli Auror, convincendoli che Draco fosse il vero assassino di
Silente, e quindi una preda d’eccellenza. In fondo, senza Potter, nessuno
poteva smentire quella versione; fino a quando, poi, avessero violato la sua
mente, sarebbe passato del tempo. E ormai la proficua transazione sarebbe già
avvenuta.
I suoi genitori non fecero nulla, forse pensando che
sarebbe stato più al sicuro così. Il silenzio pesò come una lapide su di lui.
Volevano salvarsi, e quindi lo dovevano sacrificare. Il Signore Oscuro, convinto dal discorso di Piton, lo trovò un
modo assai efficace per rendere utile uno che era così debole da non servire a
nulla.
Febbricitante, morente, fu consegnato ad
un Dissennatore che lo portò su un lago deserto. Al largo, in mezzo alla
superficie liscia come petrolio dello specchio d’acqua, avvenne lo scambio.
I suoi non erano venuti, c’era
solo Piton. Lo gettò di malagrazia su quella bagnarola e gli disse solamente,
freddo: “Sentiti di vivere come meglio preferisci… è
il solo modo per restare in vita, per te…”.
Inutile. Bollato come tale e condannato. Non serviva più a
niente. Nemmeno ai suoi.
Gli Auror lo torturarono, per farlo confessare. Ovviamente
nella sua mente non c’era la confessione dell’omicidio. C’era solo il ricordo
dell’Avada Kedavra di
Piton.
Ulularono come lupi feriti quando capirono l’inganno, lo
abbandonarono in una cella polverosa a Grimmuald Place. Marciva lì, sempre più
debole, ormai prossimo alla morte.
Quando tornò Potter, Lupin, il solo che lo aveva trattato
decentemente, ricordandosi ogni tanto di dargli da mangiare, parlò con il
Prescelto. Di lui.
Gli proposero di fare il doppio gioco, quando si fosse rimesso. Era il
soggetto ideale. Pieno di livore e odio per la parte che lo aveva rifiutato.
Non voleva. Aveva paura, sentiva che era prossimo a morire,
e ne era terrorizzato. Ma il pensiero di passare dalla parte di coloro che,
nella sua mente, lo tormentavano ed alimentavano la
febbre, iniziò a guarirlo.
Accettò.
Confusamente, capì che era il solo modo per restare in
vita. Come gli aveva detto Piton.
Tornò dai Mangiamorte ed era un altro. Forte, freddo,
severo, implacabile. Recitava. Nel cuore, portava il tradimento, come un frutto
acerbo ed immangiabile.
Andava alle riunioni, li sentiva parlare, li vedeva
distruggere ed uccidere… e si chiedeva sempre, nel
fondo dell’anima, perché non era stato degno di tutto quello. E, non trovandone
risposta, odiava.
Li odiava, odiava i suoi che non capivano il suo evitarli, odiava Voldemort. E quell’odio era la linfa del suo agire,
era la spinta a sapere e rivelare. Voleva
distruggerli. Dimostrarli che avevano sbagliato a sottovalutarlo.
Ricordava lo scambio, la cella, la fame, le torture, la
febbre continua… ed odiava sempre di più.
Era vendetta di un ragazzino viziato, ora lo sapeva. Dopo,
aveva anche pianto quando erano morti i suoi, in una notte a Grimmuald Place.
Anche se era inevitabile che morissero, e lo sapeva.
Anzi doveva anche ringraziare di non essere stato costretto
a farlo lui stesso… se le cose si fossero messe in altro modo…
Quel pensiero era stato come una rivelazione.
Solo in quel momento, aveva capito quanto fosse stato
inevitabile, quanto era entrato in una storia più grande di lui, quanto aveva
contribuito alla loro fine. Non se ne era nemmeno reso conto, preso dall’idea
della vendetta, come se le sue azioni non avessero dirette
conseguenze, come se le informazioni che passava non avessero aiutato poi
effettivamente gli Auror.
Lo aveva fatto per il suo scopo. Ferirli e colpirli. Ferire
e colpire coloro che lo avevano ripudiato.
E gli eroi lo avevano usato per i loro di scopi.
La guerra aveva avuto il pregevole dono di tirare fuori la
vera natura delle persone.
I suoi, per non incorrere nell’ira di Voldemort, lo avevano
abbandonato, augurandosi con un segno sulla fronte che si salvasse in qualche
modo, ma non preoccupandosi di come ciò potesse avvenire.
Gli Auror, Lupin, Potter, avevano scordato chi era, per
potersi garantire un’entrata privilegiata nei segreti del nemico.
E lui… traditore di sé stesso e
del suo sangue, per degli ideali che non avrebbe mai assimilato appieno.
Dopo poco, la guerra era finita.
Era sempre più confuso e disorientato e, ora come ora, anche consapevole che non aveva una vita lunga. I
Mangiamorte sopravvissuti lo avrebbero braccato ed,
infine, ucciso. Doveva sparire, cambiare vita.
In fondo, era come si sentiva di vivere… ed era il solo
modo di restare in vita, per uno come lui.
Ora, la mina vagante di quella guerra, il vero fautore
nascosto della sconfitta di Lord Voldemort, Draco Lucius Malfoy, aspettava di
avere il beneplacito del Ministero per ricominciare una nuova vita.
Per dimenticare. O perlomeno per provare a farlo.
Il Ministro tardava a tornare, mancava già da un’ora buona
e Draco era sul punto di andare via, scordare la burocrazia e fare di testa
sua, quando la porta si aprì con un cigolio metallico.
Nella stanza, entrarono tre persone: il Ministro, uno
scintillio ambizioso sul viso burbero e leonino, immediatamente seguito da
Potter, stanco e con i capelli spettinati, ed un uomo
alto, sulla sessantina, dalla barba castana ed occhi malinconici. A Draco
sembrava di conoscere quest’ultimo, eppure non riusciva a ricordare chi fosse.
Il Ministro si sedette alla scrivania, spostando le pile di
documenti per guardare Draco in viso, mentre Potter e l’altro si sistemarono ai
lati della scrivania. Potter sembrava esausto e, di tanto in tanto, sbadigliava
senza pudore; Draco presagì che doveva essere con lui che il Ministro aveva
parlato fino ad ora e si chiese che cosa lo aveva annoiato tanto.
Sperava solo, per la sua salute mentale e per la mascella
di Potter che rischiava di slogarsi a furia di sbadigli, che il colloquio si concludesse presto. Sospirò, aveva come la vaga impressione
che non sarebbe andata così.
Già, la posa plastica di quei tre glielo suggeriva,
evidentemente dovevano dissertare per ore sull’annosa
questione “Il destino del traditore Malfoy”.
Fu il Ministro a prendere la parola, per
primo: “Bene, Draco… abbiamo parlato a lungo della tua…”, si fermò a disagio,
schiarendosi la voce, prima di proseguire: “… della tua situazione…
comprendiamo che essa, al momento, sia abbastanza… difficile…”.
“Curioso eufemismo, la parola difficile…”
commentò sarcastico Draco, schioccando la lingua “Credo che sarebbe più
corretta la parola mortale… decisamente…”.
Per un attimo, Draco ebbe la sensazione che Potter avesse
trattenuto un risolino, ma, quando si voltò verso di lui, aveva ripreso a
sbadigliare come prima.
“Non essere esagerato, Draco…!” rise forzatamente
Scrimgeour, guardandolo con espressione di derisione “I Mangiamorte
sopravvissuti sono disperati e soli… non avrebbero nemmeno la forza di venire
ad attaccare proprio te… e comunque saresti protetto con tutte le cautele del
caso…”.
Draco inarcò un sopracciglio, scettico: “Ero convinto che,
alla fine della guerra, io avrei cambiato identità…
insomma, non sarei più stato più Draco Malfoy, o avevo capito male?”. Non aveva
capito male, assolutamente, i patti erano sempre stati quelli. Ora, per chissà
quale motivo, il Ministro doveva aver cambiato idea. Getto un’occhiata confusa
a Potter, prima di riscuotersi e mormorare sommessamente: “A questo punto,
potreste anche consegnarmi ad uno dei Mangiamorte e vi
liberereste in fretta del problema, no?”.
“Non essere esagerato, Malfoy…” ribadì
Potter, con aria di sufficienza, guardandolo dagli occhiali tondi “Saranno
prese tutte le precauzioni, gli Auror ti proteggeranno giorno e notte. Non vedo
perché dovresti cambiare identità… sarebbe un inutile
scocciatura anche per te, non credi?”.
“Questi sarebbero problemi miei, al massimo, non penso che
vi dobbiate curare delle mie noie eventuali…” la voce di Draco crebbe di tono e
di acidità, mentre rispondeva alla frecciata di Potter. Non capiva
dove voleva andare a parare il loro ragionamento e, soprattutto, che
utilità potesse avere per loro non fargli cambiare identità. Perché, di utilità
si parlava. Non poteva essere ovviamente il piacere della sua compagnia.
Evidentemente, serviva ancora a qualche misteriosa ragione
che lui restasse Draco Lucius Malfoy.
Il Ministro spostò a disagio il peso da una gamba
all’altra: “Amos ha garantito che ti darà un lavoro… e ti aiuterà a reinserirti
nella società… non vorresti fare almeno un tentativo?”. Il suo tono appariva
quasi implorante, e Draco si chiese ancora il motivo della sua insistenza.
Amos? Ma Amos chi? Improvvisamente, ricordò chi era
l’uomo accanto a Scrimgeour. Era Amos Diggory.
Non lo vedeva da quella notte, alla Coppa Tremaghi, quando
aveva pianto sul corpo del figlio Cedric, appena assassinato da Voldemort.
Era vistosamente invecchiato e
dimagrito, e ora lo guardava con una sorta di strana tenerezza e malinconia.
Gli diede quasi sicurezza quello sguardo, e si disse che
forse un tentativo lo poteva anche fare. In fondo, erano loro che dovevano
buttare soldi per proteggerlo, peggio per loro.
E, in fondo, restare Draco poteva anche avere i suoi
vantaggi. Non doveva di nuovo farsi un nome, una ricchezza, una casa.
Non era molto, ma almeno poteva ricominciare con una
posizione di vantaggio.
E, poi, nonostante tutto, sapeva che quello di cui voleva
liberarsi… la memoria… i ricordi… lo avrebbero seguito, anche se avesse
cambiato nome.
Alla fine, poteva anche farlo un tentativo... a conti
fatti, non aveva nemmeno la certezza che non lo avrebbero
scovato, anche sotto altra identità, e almeno così avrebbe sfruttato gli uomini
del ministero.
Orgoglioso come sempre, non disse sì, né a Potter, né al
Ministro.
Annuì silenzioso al solo indirizzo di Amos Diggory.
Natale era arrivato così velocemente che Draco nemmeno se
ne era reso conto. Guardando fuori dalla finestra innevata del suo ufficio,
quasi si sorprese di vedere le decorazioni natalizie, appese per le strade
della Londra magica. Sembravano inappropriate e inadatte, soprattutto
considerando che metà della città era ancora ridotta a macerie e cumuli di
polvere. Londra sembrava un pacchetto natalizio che andava in contro alla morte.
La gente ancora piangeva i suoi morti e seppelliva gli
scomparsi, e non aveva alcuna voglia di festeggiare; passava silente nelle vie
illuminate, indifferente al fulgore delle luci trillanti di festa dimenticata.
La guerra era finita da soli sei mesi, eppure sembrano già
passati due decenni. Draco sentiva addosso il peso dei
suoi pochi anni, come se fosse un centenario, e si chiese se sarebbe stato
sempre così.
Certo che sarà sempre così, si disse crudo ed onesto, distogliendo lo sguardo dai documenti su cui
stava lavorando e gettando uno sguardo in tralice all’Auror che stava davanti
alla sua porta, come guardia. Gli altri impiegati dell’Ufficio Regolazione e
Controllo delle Creature Magiche, passando, gettavano occhiate volutamente
distratte verso di lui, in realtà curiose rispetto all’uomo che godesse di una così forte protezione.
Come se non sapessero chi fosse… lavorava lì da mesi, oramai,
e perlomeno il suo nome dovevano saperlo.
A Draco, ogni momento, veniva in mente di alzarsi in piedi,
fare un inchino e di dire con espressione canzonatoria: “Eccomi, sono io, il
doppiogiochista Draco Malfoy…!”.
Ma dubitava che, anche in quel caso, avrebbero
smesso di fissarlo, cosa che lo mandava ai pazzi.
Voleva una vita quanto più isolata e solitaria possibile, ma invece il Ministro aveva trovato sommamente giusto per
lui che fosse costantemente posto su un palcoscenico ed osservato in ogni
angolazione.
Oddio, ad essere sinceri, avrebbe
potuto anche fregarsene di quello che gli aveva ordinato in modo così
supplichevole ed andarsene per la sua strada, rifiutando la proposta di lavoro
di Diggory e facendo come credeva, specie perché aveva capito che non era al
suo bene che il ministro aveva pensato con quella decisione, ma a qualcos’altro
che però ancora gli sfuggiva.
Insomma, era stato usato per l’ennesima volta, e per l’ennesima volta, aveva lasciato correre. Incrociò i suoi
occhi madreperla nel riflesso della finestra, si faceva schifo profondamente,
da un po’ di tempo.
Una sensazione nuova, decisamente.
Era sempre stato fin troppo orgoglioso di sé stesso.
Ora non ricordava che motivazione vi aveva trovato allora.
Era come se, da un po’ di tempo, avesse uno specchio
davanti a sé che lo mostrava per come appariva dall’esterno, dalla prospettiva
degli altri. Ma non altri qualsiasi… loro.
La guerra gli aveva reso più vicino il punto di vista di
persone come Potter, Lupin, Weasley o
Codardo.
Così, lo avrebbero dipinto, mentre ridevano nelle loro case
ornate d’oro e di rubino, scartando regali inutili e pulciosi.
Anche prima era così… anzi, non c’era stato un solo momento
in cui non fosse stato così, ma non gli era mai interessato. Figuriamoci,
l’interesse sarebbe stato un’onta incancellabile sul suo onore. Ed anche ora,
non era interesse… ma… qualcosa di diverso…
Inconsciamente, forse, aveva iniziato a pensare come loro,
a voler essere come loro. Schifo. Ancora. Essere dalla loro parte, gli aveva
fatto maturare la convinzione friabile ed assurda che
doveva essere come loro.
Era così, no, che doveva andare? Era uno dei buoni, adesso,
no? Doveva essere come loro? Ma non lo era. E non
voleva neppure esserlo.
Si dibatteva nel ribrezzo per quel desiderio e nel disgusto
per non riuscire ad attuarlo. Era nauseato da sé
stesso. Sempre alla ricerca spasmodica e continua di qualcuno che gli dicesse
cosa fare, in modo che, se avesse sofferto, se si fosse trovato male, poteva dare la colpa a qualcun altro, ma mai a sé stesso. Sempre
alla ricerca della patetica approvazione altrui, anche se proveniva da persone
che né stimava né apprezzava.
Sospirò leggermente, le luci colorate che si inseguivano nei suoi occhi sterminati, e ricordò con un
sorrido mesto l’enorme albero di Natale a casa Malfoy, che torreggiava in un
angolo del salotto, colmo di addobbi argentei e verdi, come era sempre piaciuto
a sua madre Narcissa, in ricordo di Hogwarts e della casata Serpeverde.
“E’ lì che mi sono sentita a casa, per la prima volta nella
vita…” aveva detto con un sorriso dolcissimo, l’unica volta che glielo aveva
chiesto.
Ora, gli addobbi giacevano nei sotterranei assieme
all’albero. Draco non li avrebbe mai usciti fuori.
Mai. Dubitava persino di passare il Natale a Malfoy Manor.
Forse, sarebbe andato ad Hogsmeade, a mescolarsi con la gente, bevendo fino allo
stremo con l’Auror che non gli avrebbe mai dato degli affettuosi auguri a
mezzanotte.
Aveva perso tutto, amici, familiari, tutto… mancava solo
perdere sé stesso. Esisteva per inerzia, faceva quello
che andava fatto, lavorava, mangiava e dormiva. Aveva persino una specie di
fidanzata, una ragazza bellissima e biondissima come lui, di nome Denise
Delacour, la cugina di Fleur. Ma, era solo sesso, un
modo urgente di rinfrescare la febbre che il corpo, ovviamente, dava.
Ma, anche con lei, non sentiva più. Non
amore, in fondo non aveva mai saputo compiutamente come fosse amare una donna,
e non ne sentiva nemmeno la mancanza.
Ma anche il sesso puro e semplice aveva
perso ogni attrattiva. Anche il piacere puro e semplice aveva perso ogni
valore.
Cosa restava, quindi? Nulla. Quindi, in definitiva,
forse aveva davvero perso anche sé stesso.
Una voce austera, ma al contempo gentile, lo riscosse dai
suoi pensieri: “Draco, sei ancora qui?”. Sulla sua soglia, in una lunga tunica blu scuro, sostava Amos Diggory, un sorriso
aperto e sincero sul volto.
Draco annuì, mentre l’uomo entrava nell’ufficio, salutando
distrattamente l’Auror che replicò con un cenno del capo.
“Pensavo che fossi già andato via…” mormorò l’uomo,
sedendosi alla scrivania con espressione assorta. Sembrava sul punto di andare
via, infatti era vestito e bardato di tutto punto per
affrontare la nevosa sera dicembrina, eppure se ne stava lì a chiacchierare del
nulla. Draco lesse nei suoi occhi castani, piccoli ed
acquosi, la voglia di parlare di… altro. Qualcosa di non
meglio identificato, ma di diverso dal semplice scambio di convenevoli tra
colleghi. Quell’uomo, stranamente, lo aveva preso in simpatia e Draco ne
era abbastanza sorpreso. Non era mai stato un ragazzo eccessivamente aperto e
socievole e, in questa nuova carriera, non si comportava in modo diverso.
Faceva il suo lavoro alla perfezione, sebbene non lo entusiasmasse, ma non
parlava mai con nessuno dei suoi colleghi, trascorreva le pause pranzo nel suo
ufficio, arrivava prima di tutti e tornava a casa più tardi degli altri, per
evitare di stare troppo nel suo maniero deserto. Il suo solo compagno era
Anthony Goldstein, la sua guardia personale. Ma
nemmeno con lui parlava.
Figuriamoci… si erano trovati antipatici anche ad Hogwarts, lui era anche un patetico Corvonero… e ora
nulla della loro frequentazione forzata, poteva suggerire che tra loro si
instaurasse un rapporto diverso.
Eppure, Amos Diggory ostinatamente cercava un contatto con
lui, nella maggior parte delle volte, respinto con decisa cortesia.
Draco rifletté che forse gli ricordava suo figlio, Cedric,
e il fatto che lui adesso fosse orfano, magari suscitava in lui un moto di
affetto. Chissà, tutto poteva essere… a Draco tutto sommato,
nemmeno stava antipatico.
Era un uomo burbero, autoritario, ma
onesto e diretto nei modi. Aveva anche quella patina di nobiltà, datagli dalla
purezza del suo sangue e dall’orgoglio per la sua casata, ma non la ostentava,
se non in particolari occasioni. Ed, anche allora,
sembrava così profondamente ferito dall’idea che non ci fosse nessuno a
continuare la sua stirpe, dopo la morte del suo unico figlio, che il suo amor
proprio ripiegava su sé stesso, afflosciandosi senza forze. Il contrario di suo
padre Lucius, insomma. Se mai questo possa essere considerato un difetto, si
disse mentalmente Draco con sincerità.
Lucius aveva venduto suo figlio, perché inadatto a reggere
il fardello del suo cognome. Amos aveva perso un figlio che era in grado di
portare quel peso in modo impeccabile.
Ironia della sorte.
Draco scrollò le spalle in silenzio, spostando senza
attenzione particolare una boccetta d’inchiostro sulla sua scrivania, evitando
lo sguardo di Amos.
Poi, visto che il silenzio
proseguiva e che stranamente oggi lo metteva a disagio, replicò annoiato: “Non
mi ero accorto dell’ora…”.
Amos annuì pensosamente, guardandolo ancora, poi, in un
sussurro quasi imbarazzato, chiese: “Cosa farai a
Natale, Draco?”.
Draco si sorprese della sincerità della domanda e di come
gli era stata posta senza preamboli. Tipica caratteristica di Amos, andava dritto al sodo. Ancora, al contrario di suo
padre, che macchinava per ore prima di palesare le sue reali intenzioni.
Spalancò gli occhi per un secondo, un attimo fugace ed
impercettibile che nemmeno l’uomo di fronte a lui colse, per come era stato
repentino.
Diffidenza manifesta socchiuse ancora il suo sguardo, era arrivato a fare così pena il giovane rampollo dei Malfoy?
Tra poco, anche Potter gli avrebbe fatto l’elemosina?
Schifo.
Ancora.
Con orgoglio, sollevò il mento appuntito e disse fiero:
“Non lo so, non credo che il Natale sia mai stato una delle mie somme
preoccupazioni, ed ora, meno che mai… sa, quando
rischi di morire ogni giorno, queste cose passano in secondo piano…”. Aveva
sputato fuori quelle parole come veleno, guardando Amos dritto negli occhi con
una durezza che non era destinata a lui, ma che da lui passava per il solo
fatto di essergli davanti in quel momento. L’urgenza di fare qualcosa e di
placare il nervosismo nelle mani, lo spinse a spostare ancora la boccetta
d’inchiostro, senza un motivo apparente.
“Capisco…” disse pensosamente Amos, non turbato dalle parole
del ragazzo e tantomeno dal suo tono. Appariva solo… concentrato.
Alla fine, parlò con voce leggera e apparentemente casuale,
anche se i suoi occhi si erano velati per un secondo. Ma anche quell’attimo, come era successo prima per Draco, fu così rapido che il suo
interlocutore non se ne accorse neppure: “Anche per me, il Natale non è una
grande occasione… anzi… credo di odiarlo profondamente…”. La sua voce si era
fatta dura, come pietra, e Draco imbarazzato si chiese perché tutta quell’ansia
di sfogarsi gli fosse venuta proprio con lui.
Si sentì in dovere di dire qualcosa, anche se non si sapeva
spiegare questa urgenza. Aggiunse
ovvio, in tono casuale: “Ma lei ha ancora una moglie, no? Immagino che almeno a lei piaccia il Natale…”, deglutì prima di
continuare: “A mia madre, piaceva il Natale…”. Era la prima volta dalla
loro morte che nominava i suoi genitori.
Amos parve accorgersene e sobbalzò lievemente, poi proseguì
con un sorriso mesto: “Certo, Draco, alle donne il Natale piace molto… sembrano
punte da un’ape all’inizio di Dicembre, ed iniziano ad
infiocchettare, impacchettare, incartare, ornare… una donna in casa aiuta a
sentire l’atmosfera, ecco… a mia moglie piaceva molto…”. Ancora i suoi occhi si
velarono e stavolta Draco, con una fitta di nervosismo, se ne accorse.
Si mosse sulla sedia, ancora chiedendosi perché stava
sostenendo quella conversazione assurda proprio con lui, e chiese
titubante: “Non le piace più il Natale adesso?”.
Amos sorrise tristemente, voltando il capo e guardando
oltre la finestra. Quando parlò ancora, la sua voce era un tremulo sussurro,
sembrava che non provenisse da lui per come stonava con il suo aspetto fiero e
caparbio.
“Credo che a mia moglie piaccia ancora, dovunque ella sia… e scommetto che fa l’albero con Cedric, aspettando
che io un giorno li raggiunga…”.
Draco tremò a disagio, ricordandosi improvvisamente che
aveva sempre saputo che Daisy Diggory era morta qualche anno prima, consumata
dal dolore per la perdita del figlio.
Un’altra cosa che non avevano in
comune i Diggory con la sua di famiglia, annotò mentalmente con uno spasmo.
Eppure, aveva sempre sentito i colleghi di Diggory fare
sempre delle battute su sua moglie che lo aspettava a casa, sul fatto che Amos
fosse molto fortunato, dandosi di gomito, alludendo al fatto insomma che fosse
indiscutibilmente viva… avevano un raccapricciante senso dell’umorismo o cosa?
“Pensavo che sua moglie fosse viva, mi scusi…” replicò
Draco con voce flebile “Devo aver capito male…”.
Solo allora Amos sembrò ricordarsi di
qualcosa e si grattò la guancia con espressione distratta: “Ma certo, sì, sì…
mia moglie è viva…”, vedendo l’espressione confusa e disorientata di Draco,
replicò quasi divertito: “Ho un’altra moglie, adesso, mi sono risposato qualche
anno fa… per questo devi aver capito male, Draco…”.
Draco annuì, comprendendo infine, mentre Amos proseguiva:
“Diciamo che però la mia seconda moglie non ha la vocazione della brava donna
di casa… quindi l’albero era l’ultimo dei suoi pensieri… quando glielo ho fatto
notare, ha scrollato le spalle e l’ha fatto fare ad un
elfo domestico…”.
A Draco venne curiosamente da sorridere, di cuore, come non
faceva da tempo, all’idea dei battibecchi tra Diggory
senior e la sua nuova moglie. Se ne sorprese alquanto, specialmente perché non
ricordava più il momento in cui aveva davvero riso, sembravano passati secoli…
come quello in cui aveva pianto, per dirne una. Esattamente come se fosse
morto.
Anche Amos sorrise a sua volta, aveva una risata sempre
malinconica, mai eccessivamente ilare o spensierata.
“Se stasera sei libero, potresti cenare a casa nostra…”
proseguì Amos con voce più chiara “Mi farebbe piacere presentarti mia moglie…”.
Draco fu ancora colpito dalla schiettezza della domanda.
Per un attimo, pensò di rifiutare, l’apatia di quei giorni che si era attaccata
come una patina ostinata alla sua voglia di fare qualsiasi cosa. Se avesse
accettato l’invito di Amos, avrebbe dovuto fare conversazione, sorridere in
modo sciocco ai commenti della moglie, mangiare con appetito quello che era stato
preparato e mantenere un aspetto decoroso ed elegante.
E lui non aveva intenzione di fare niente del genere.
Immaginava già il suo letto, la calda vestaglia di seta
nera, il bicchiere di Firewhisky che lo aiutava a dormire, lo scenario cupo e
sinistro che si vedeva dalla sua camera del Malfoy Manor.
Poi, ripensò che in fondo, anche domani sera, il letto, la
vestaglia, il bicchiere e la finestra sarebbero stati al loro solito posto. Ed
anche la sera dopo. E la sera dopo, ancora. Schifo.
Quindi, un po’ di diversità poteva anche
concedersela.
Annuì silenziosamente, accettando così la proposta, ed Amos ne parve oltremodo contento e sollevato.
Uscirono entrambi nell’aria fredda della sera, aveva
iniziato di nuovo a fioccare, e la neve cadeva silenziosamente, avvolgendo
tutto in una quiete che donava pace. Draco ed Amos
continuavano a camminare in silenzio, ognuno profondamente perso nei suoi
pensieri e ragionamenti. Non erano realmente soli, attorno a Draco si vedevano
chiaramente Auror appostati dietro ogni angolo, oltre ad Anthony Goldstein che
li seguiva a breve distanza. Ad un tratto, Draco si
fermò, suscitando la curiosità di Amos che lo guardò senza capire, fermandosi a
sua volta.
I sensi acuiti dalla guerra ed
attutiti dalla pace, tornarono vivi a farsi sentire in Draco. Sentiva
distintamente di essere seguito, e non dall’Auror. Ma…
da qualcun altro. Le sue orecchie sensibili avevano captato un rumore nella
neve fresca, un passo insolito che non era tipico degli Auror. Si guardò
attorno, eppure la strada era deserta.
Goldstein raggiunse Draco velocemente, la bacchetta
sguainata, dando un segnale a qualcuno degli altri Auror che li circondavano:
“Malfoy, cosa c’è?”.
Draco scosse il capo, doveva esserselo immaginato. Dovevano
essere stati gli Auror.
“Nulla” negò, riprendendo a camminare “Devo essermelo
immaginato…”.
“Cosa?” insistettero sia Amos che
Anthony, seguendolo di gran carriera, ma Draco non rispose. Se Amos smise di
parlare, Goldstein insistette: “Se hai questa sensazione, magari c’è davvero
qualcuno…forse dovremmo avvisare il Capo…”.
Draco rise leggermente, divertito: “
Il ragazzo, offeso per il commento fatto nei confronti del
suo superiore, tacque innervosito, suggerendo solo ai due di Smaterializzarsi e
di non continuare la loro “passeggiata” per maggiore sicurezza. Draco con un
lieve sospiro, afferrò il polso di Diggory mentre quest’ultimo scompariva in un
piccolo “pop”.
Si ritrovarono in un salotto, abbastanza grande,
completamente illuminato da un lampadario di cristallo enorme che scintillava
di luce, creando riflessi arcobaleno sulle pareti, sui quadri, sui mobili,
sulla libreria piena zeppa di libri antichi. Sia Draco che
Goldstein, smaterializzatosi subito dopo di lui, guardarono la stanza rapiti.
Non era uguale al salotto del Malfoy Manor che era di
dimensione doppia, rispetto a quello, eppure aveva qualcosa in più che Draco non
riusciva bene ad identificare.
Amos, non appena entrò, accarezzò distrattamente la tela di
un ritratto che rappresentava una donna sulla cinquantina, seduta in una
poltrona, con un vestito cremisi. Accanto a lei, in piedi, un giovane alto,
dalle spalle larghe e dagli occhi chiari ed aperti. Amos disse solo con voce fioca: “Ciao Daisy. Ciao Cedric. Sono tornato a casa…”. I due sorrisero ed
agitarono la mano calorosamente.
Draco si strinse nelle spalle, quasi a disagio. Si chiese
come facesse la moglie attuale di Diggory a vivere con quel ritratto in casa…
curiosamente, gli venne da sorridere, ricordando quel libro babbano “Rebecca,
la prima moglie”, dove la nuova compagna di un ricco facoltoso doveva convivere
con il ricordo asfissiante della prima consorte del marito.
“Helena!” chiamò Diggory a gran voce, evidentemente
all’indirizzo della moglie che non era in salotto. Poi proseguì, spazientito,
verso Draco: “Chiedo scusa per mia moglie…credo che sia di sopra, ma scenderà
tra poco…”.
Draco agitò la mano per dire che non importava. Helena… che
strano, sembrava di aver già sentito il suo nome…
Come se Amos l’avesse letto nel pensiero, disse con voce
casuale, sedendosi su una poltrona ed invitando i suoi
due ospiti a fare altrettanto: “Dimentico quanto io sia vecchio… e quanto
Helena invece sia giovane… siete quasi coetanei, probabilmente la conoscete…”.
Coetanei? Si chiese Draco meravigliato. Si era aspettato una donna abbastanza
grande, più o meno sulla cinquantina. Hai capito, Diggory…
“Come si chiama? Sua moglie,
intendo?” chiese Draco curioso.
“Helena Jasmine Greengrass…” rispose Amos, sistemandosi
meglio sulla sedia e chiamando un elfo domestico per far servire da bere.
“Greengrass?” si interrogò Draco
“Pensavo che le Greengrass fossero due… Daphne ed Astoria… a meno che non sia
di un altro ramo della famiglia…”.
Amos negò con il capo: “No, Helena è proprio la sorella di
Daphne ed Astoria, la primogenita dei Greengrass…
immagino che non l’abbiate mai incontrata ad Hogwarts, effettivamente portate
qualche anno di differenza…”. Draco annuì, effettivamente non
ricordava assolutamente una terza Greengrass. E due erano più che
sufficienti: Daphne era acida come un limone ed
Astoria era appiccicosa come la colla.
Era innamorata di lui dal terzo minuto in cui aveva messo
piede ad Hogwarts. Ed era decisamente
seccante.
Non c’è due, senza tre… Draco, con
un roco sospiro, rimpianse il letto, il bicchiere, la vestaglia e la finestra
che aveva sconsideratamente rifiutato, ignaro della prospettiva di conoscere
una nuova Greengrass.
“Eccola…” disse Amos, alzandosi ed
indicando la scala che portava al piano superiore.
Anche Draco si alzò, osservando a lungo la donna che stava
entrando. E rimase a bocca aperta. Era la donna più bella che avesse mai visto.
Helena doveva avere sui
ventisette, ventotto anni, ed era alta come tutte le Greengrass. Anche le linee
del volto, sottili ed eleganti, assomigliavano molto a quelle di Daphne ed Astoria, compresi gli occhi azzurro cielo e i capelli
chiari. Eppure, dopo un esame superficiale, Helena appariva molto diversa dalle
sorelle.
Daphne aveva un volto affilato, duro, spigoloso,
esattamente come il suo carattere. Gli occhi erano allungati, come quelli di un
felino, e di un colore frammisto tra il verde e l’azzurro. Sembravano un mare
in perpetuo moto ondoso, una tempesta capace di annegarti ed
ucciderti all’istante. Aveva inoltre lunghissimi capelli biondo platino, lisci,
ed incuteva timore con la sua sola presenza. Si curava
fino allo stremo, indossava vestiti raffinati e si truccava molto. Astoria era
molto simile a Daphne, forse solamente gli occhi erano diversi, più intensi,
sul blu oltremare. Ma per il resto, sembrava la sua
sorella gemella.
Helena invece non assomigliava a nessuna delle due. I suoi
capelli erano ondulati e di un colore più caldo dell’algido biondo delle
sorelle, castano dorato. Gli occhi splendevano come due turchesi sul bel volto
a forma di cuore, ed assomigliavano ad un chiaro cielo
primaverile. Nonostante inoltre un elegante vestito di broccato color glicine ed una parure di gioielli di ametista, non era
eccessivamente truccata.
Possedeva una perfezione che non aveva bisogno di ulteriori artifici per metterla in mostra.
E contrariamente alle sorelle, aveva anche un meraviglioso
sorriso. Partiva dagli occhi, insolente, e poi riempiva di luce le labbra rosa.
E, ora, quel sorriso era tutto per Draco Malfoy.
Draco si accorse di essere rimasto a bocca aperta, mentre
lei vezzosa aveva allungato la sottile mano affusolata verso
di lui per presentarsi. Su di essa, brillava molesto un anello con un diamante ed una piccola fede di platino. La moglie di Amos Diggory.
Draco si affannò a prendere la mano nella sua, un brivido
sulla schiena, e a replicare affrettato: “Sono Draco Lucius Malfoy…”.
Lei sorrise ancora e rispose: “Helena Jasmine Greengrass”.
Mi stacco dal vetro come se
scottasse.
La donna che sorride dall’altra
parte del vetro, ha appena detto di chiamarsi Helena Jasmine Greengrass. Non dovrei averla mai vista.
Ed invece io
conosco il suo volto a memoria.
La donna che sorride dall’altra
parte del vetro, indimenticato ed indimenticabile
ricordo, è stampata a fuoco anche nella mia mente.
La
donna che sorride dall’altra parte del vetro è Rachel Leigh.
Cassie is back again!
Chissà se con vostra gioia o dispiacere! Reduce da un esame che mi ha fatto
anche perdere la salute, oltre che quel poco di sanità mentale che possedevo,
posto un nuovo chappy! Non so se vi piacerà oppure no… nel senso che è la prima
volta che mi cimento con i pensieri di Draco ed
insomma è abbastanza complicato gestirlo! Il mio intento è sempre quello di
cercare di lasciare un Draco fedele all’originale della Rowling, e non di
renderlo un superuomo, come appare in molte fic,
nessuno me ne voglia a male… Draco non è propriamente un uomo coraggioso, è un uomo che subisce passivamente gli eventi e questo l’ha
fatto, per buona parte della sua vita. Quindi anche la
circostanza del suo tradimento, non volevo che risuonasse forzata. Non me lo
vedo proprio uno che improvvisamente si ribella e cambia le idee che aveva per anni… mi suonava più convincente, conoscendolo,
che le avesse subite. Poi ovviamente cambierà ancora, diventando il Draco che
adesso state conoscendo… ma per quello credo che
avrete già intuito, che avrà una grande parte Helena.
Poi, ovviamente, questa è la mia esclusiva interpretazione…
fatemi sapere che cosa ne pensate!
Come avrete notato, il flash back non è finito… il capitolo
stava venendo troppo lungo e quindi ho preferito spezzarlo per aggiornare prima…
sennò avreste dovuto aspettare altri tre mesi!:D
Inoltre, si è aggiunto un sottotitolo… per lo scorso chappy, “The name of everything”.
Per questo, avete letto invece “Cerulean
eyed girl” e si riferisce ovviamente ad Helena. Significa,
press’a poco, “Ragazza occhi cielo” e in questo mi ha
ispirato la meravigliosa canzone di Loredana Errore di Amici che si chiama
appunto così… e che insomma mi ha fatto pensare ad Helena.
Come sempre, vi metto il link
qualora la voleste ascoltare…
http://www.youtube.com/watch?v=ecZaGq09c0A
Colgo anche l’occasione per ringraziare il forum Neverending story awards!
Have a little fairy tale, infatti, nell’ottavo
turno ha vinto ben sei awards come Miglior
Personaggio Originale per Seth Green, Miglior Commedia, Miglior Storia
Incompleta, Miglior storia scritta esclusivamente dal punto di vista di un solo
personaggio e Miglior Personaggio Femminile per Hermione Granger… più Miglior storia in assoluto! Una cosa che mi ha decisamente commosso e sorpreso…quindi ringrazio ancora per
questo onore!!:D
Ringrazio ovviamente anche chi legge la mia storia, chi
visita il forum (in cui, ahimé, non riesco ad entrare per problemi tecnici…L) e chi la inserisce
nei preferiti o nei seguiti! Grazie!!!
Ringrazio anche in questa sede la mia amica Vittoria che si
è letta tutta la mia storia e che ora mi tormenta perché continui! :P
E un grazie particolare e
preliminare va a Seven, una persona meravigliosa, davvero, e che sono contenta
di aver conosciuto tramite HALFT…
In breve, purtroppo come sempre, ringrazio come sempre chi
ha recensito la mia storia: Haley James (grazie davvero tantissimo dei complimenti! Spero di
emozionarti sempre così! Baci), Liven (eheheheh! Sono contenta che la mia crisi a posteriori sia
stata apprezzata! Il dna dei Malfoy lo sto effettivamente subendo molto!! Purtroppo non sono riuscita ad aggiornare prima,
maledetto esame, almeno puoi comprendere il mio dolore profondo… ma diciamo
prima di quanto pensassi!! Baci), Seven (ovviamente
come ben sai, le tue recensioni sono sempre le mie preferite, davvero! Poverina
ci metterai delle ore…! Grazie ancora!! Ma tanto adesso comunichiamo inter nos, quindi mi dirai a
breve che ne pensi! Baci), Lights (mamma mia, grazie!
Effettivamente c’è molto di me dentro Hermione, ripeto la gente che mi conosce,
continua a dirmi che sono io… nevrosi comprese! Hai ragione perfettamente,
spesso mi dilungo troppo… mi raccomando quando sbaglio
fammelo sempre notare! Sul serio! Kiss!), Corvetta
(grazie, grazie, grazie! Spero che Draco ti abbia trafitto il cuore anche in
questo chappy!), Cygnus Malfoy (la mia cara Helder che sopporta le mie paranoie su come non sopporti Helena!
grazie! Baci), Rorothejoy
(bravissima, hai azzeccato parte dell’identità di Helena! Riceverai un enorme
cesto di frutta dono! Scherzo! Bravissima! Grazie!! Baci!!), Lunachan 62 (grazie dell’in
bocca al lupo per l’esame, per fortuna è andato molto bene! Kiss!),
Eruanne (grazie infinito! Anche
tu hai azzeccato la parentela di Helena con Astoria! E spartirai il cesto con rorothejoy! Eheheh!! Baci!!), Only
V (scrivimi tutti i poemi che vuoi! Scherzi??!! Io adoro
le recensioni lunghissime, vedere seven per credere! Hai fatto tante supposizioni, molte di esse esatte, ma
ovviamente visto che sto prendendo il dna dei Malfoy, non ti dirò quali!! Hai però
perfettamente inquadrato che Helena e Rachel fossero la stessa persona! Bravissima
e io che credevo di essere stata imperscrutabile…L scherzo!!
E hai inquadrato un’altra cosa importante, e cioè la somiglianza tra Helena ed Hermione! Ora non è ancora venuta fuori, ma sarà un punto
importante! Come premio per la tua intuizione, ti ho dato questa bella
anticipazione!! E ho fatto anche la rima!! Baci!! E grazie!!!), Tully Domy
(benvenuta!!! Grazie dei tuoi complimenti, è uno dei miei intenti primari
rendere la mia storia non banale… di dramione ne
esistono a iosa quindi non è un’impresa facile! La frase finale di Draco è
effettivamente MOLTO cattiva, specie per Hermione, ma tranquilla! Poi recupererà!! Baci!!!), Baby Fairy (grazie, un’altra nuova lettrice, me felice!!! Anche tu
hai indovinato che Rachel ed Helena sono la stessa persona!!! Bravissima!!! Scrivimi
pure quanto vuoi, adoro ricevere delle recensioni anche lunghe!! Per vedere se
ci hai preso con la tua teoria, devi solo aspettare i prossimi chappy!! Grazie ancora!! Baci).
A presto!!! Cassie chan!!!