Buondì.
Nuova storia. Non so, mi frullava in mente da un
pò.
Ambientata quando i Griin erano ancora giovincelli.
Have a good reading my dear.
16 agosto.
“Fai
ancora un passo e giuro che ti metto le mani addosso. No, non mi
toccare”.
La notte è il manto setoso che copre la città. Le
stelle milioni di puntini immacolati su una notte d'estate.
Una
ragazza alta, mora. Stringe le labbra e cerca di divincolarsi dalla
stretta di un ragazzo.
Il
ragazzo però è più forte. Decisamente.
La
stringe ai fianchi e la alza. Fa un giro su se stesso e torna verso
l'inizio del vicolo buio.
“Torniamo
nel locale” dice lui stancamente.
“Lasciami!
Lasciami stronzo! Lasciami o giuro che comincio a strillare!”.
Lui insiste, stascinandola con se.
Lei
alza le mani, e gli ficca un pugno in faccia. Il ragazzo molla la
presa, facendola cadere.
Batte
per terra, sulla strada. I palmi sfregano sull'asfalto. Bruciano
immediamente. Li alza. Sanguinano.
Poi guarda il ragazzo. Sanguina
anche lui.
È
in piedi e si tiene le mani davanti al volto. Gocce scure si infilano
tra le dita, sciovolando verso il basso.
La guarda. È
arrabbiato, si vede.
Abbassa
le mani. Il sangue cola dal naso.
Lei si
alza di scatto. Si posiziona di fronte a lui.
“Tu
non mi comandi più” sibila.
“Non
l'ho mai fatto”
“Bugiardo!”.
Il ragazzo le prende la mano.
“Torna
dentro con me!”
“Io
con te non vengo da nessuna parte”
“Sto
perdendo sangue, vieni dentro con me per favore”.
Il
ragazzo le stringe la mano fatta a pugno. Arretra di qualche passo e
cerca di tirarla. Lei fa leva sui piedi, impuntando la pianta.
“Non
ci vengo con te! Billie
mollami...”
“No!”
ringhia lui guardandola, “Non ti mollo. Smettila cazzo.
Cresci, hai diciott'anni e ti comporti come una bambina a volte. Che
cazzo ho fatto stasera? Cos'è che non va?”.
Lei divincola il braccio.
“Non
voglio più stare qui. Mi fa schifo. Questa città,
la
gente che c'è, le regole, come vanno le cose, la droga che
tiri ogni giorno, il modo in cui ti stai rovinando, e tutte queste
altre schifezze!”
“Stasera
non ho tirato niente”
“Ok,
e le altre? Quando fumo butti giù?”
“Torniamo
dentro”.
Lei si allontana. Fa qualche fasso indietro fissandolo.
“No,
no mi dispiace. Vado a casa”
“Quale
casa?” mormora lui ferocemente.
Lei si
avvicina. Lo guarda con gli occhi pieni di rabbia. Alza un braccio.
Posiziona il pollice sulla guancia destra di lui, e le altre quattro
dita su quella sinistra. Stringe.
Il
sangue di lui scorre ancora giù per il naso. Si imbratta la
mano, ma non ci da peso. Troppe volte gli ha asciugato il sangue.
“Quella che non trova la casa sei tu, non io”. Sibila. Sibila arrabbiata. Sibila e vorrebbe urlare.
Sibila,
e Billie la guarda.
E lei,
in quegli occhi ci vede il mondo. Vede in quei smeraldi la vita.
La
rabbia. L'amore. La ribellione. La rivoluzione. L'istinto. La
speranza. L'energia.
Vede
l'anima profondo che ha.
Gli
lascia la mascella e si allontana.
“Ci
vediamo Billie”. Parla all'aria, abbastanza forte
perchè sai
che dietro di lei, Billie la sente.
Lui fa
qualche passo. Fissa la sua schiena. Si ferma.
“Per
favore... Per favore...” mormora.
La ragazza si gira. Il suo volto è una maschera d'ira.
“Per
favore? Smettila! Smettila! Questa storia sta diventando ridicola
”.
Sospira, si passa una mano sulla testa. “Non
finisce qui, lo sai. Ma fammi andare”.
Poi si blocca. Come se rifletesse.
E comincia a ridere. Lo guarda e ride. Una risata isterica. Quasi fosse
matta.
Lui non
capisce. Non capisce la sua risata. La guarda confuso.
Poi la sua risata sparisce di colpo, lasciando un espressione di
amarezza sull'ombra
di un sorriso morto.
“Non sai nemmeno come mi chiamo...” mormora, prima di voltarsi e andersene.
Billie questa volta non ci vede più dalla rabbia. Si piazza al centro del vicolo, fissando la sua figura allontanarsi. Comincia a urlare.
“Non
lo so perchè non me l'hai mai voluto dire! Ti ostini ad
avere
quel schifoso soprannome, e non mi dici la verità. Come ti
chiami? Eh? Dimmelo cazzo! Dimmi come ti chiami!”.
Lei non
ascolta. Continua a camminare. Sembra che nemmeno senta. E si
allontana sempre più.
Come una ballerina nella notte. Talmente leggiadra che non sembra toccare terra. Come un angelo senza ali che però non ha perso l'abitudine di provare ad alzarsi.
“Fermati
cazzo! Come ti chiami? Qual'è il tuo nome?
Dimmelo!”.
Ma lei
non si volta. Lei non risponde.
Billie
continua ad urlare a vuoto. Si avvicina al muro scrostato della via,
e sferra pugni alla parete.
Il dolore è buono. Il dolore fa sfogare.
Oltre al naso ora sanguinano anche le
nocche. La sua voce lentamente si spegne, arrivando a un sussurro.
“Non
te ne andare! Dimmi il tuo nome, dimmelo! Qual'è il tuo
nome?
What's your name? What's your name?”.
Ma lei ha girato l'angolo. E Billie è solo nella via, senza il coraggio di rincorrerla.
Si
accascia lungo il muro, continuando a sferrare pugni sempre
più
deboli. Il dolore è alla stelle. Ma lui non lo sente. Serra
gli occhi, e cade in ginocchio, il viso rivolto verso la calce
dell'edificio.
Continua
a chiamarla, a parlare solo, con la voce ridotta poco più
che
a un sussurro.
Chiede il nome a vuoto.
Alza gli occhi e fissa le
stelle. Forse loro lo sanno. Poi riabbassa la testa.
Dall'alto
nessuno lo ascolterà.
Ma
continua comunque a sussurrare.
“What's
her name? What's her name? What's her name?”.
E più
lo dice, più diventa una cantilena. Alla fine non stacca
più
le parole. Lo dice come se fosse ipnotizzato, lo sguardo immobile. La
voce bassa e resa roca dagli urli.
Come
avesse perso la ragione. Come se sperasse davvero di sentire le stelle
parlargli.
Come un matto.
Lì
solo, affidato al silenzio. Lì solo, con l'improvviso e
tremendo
timore che la risposta alla sua domanda non arriverà mai.
“Whatername?
Whatsername? Whatsername?”.