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Autore: Mannu    31/03/2010    1 recensioni
Un cliente, un incarico, un carico da trasportare, una paga per il servizio reso. A Miki non sembra vero: ha trovato un lavoro. È poco, quasi niente, ma rappresenta un inizio. Ma il regolamento è il regolamento, e questo dice che deve viaggiare con un equipaggio minimo...
Questa storiella è anche un piccolo esperimento per vedere Miki da... un altro punto di vista.
Genere: Azione, Avventura, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ferraglia spaziale'
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La miniera nel cielo
2.

Sembrava che proprio sull'orlo del baratro fossi riuscito a sottrarmi alla caduta. Certo non mi sentivo più messo alle corde, ma ancora non avevo visto un quattrino. Mi sfogai col cibo appena potei, giungendo a un passo dallo stare male: troppo e tutto insieme. Il comandante dovette sospettare qualcosa riguardo la mia dieta prima di salire a bordo, ma si limitò a un paio di discrete osservazioni.
La nave aveva un nome piuttosto buffo, ma non poi tanto: Coyote. Non avrebbe dovuto sorprendersi un motorista che aveva già viaggiato su navi dai nomi esotici come Cuore di Lilly, Guanto di Sfida, Stella Libre e Raggio Baleno. Riuscii a sentirmi vecchio: il Coyote doveva essere stato revisionato di recente poiché trovai configurazioni energetiche piuttosto complesse e ben congegnate. Mi ci volle un po' per venirne a capo, ma alla fine ci riuscii e fummo in viaggio verso un'orbita veloce dopo aver dolcissimamente tolto gli ormeggi dal molo 55. L'orbita terminò con l'approdo al molo 106, sempre su Apollo, dove caricammo la merce. Il comandante mi sorprese lasciandomi solo sul ponte fino a oltre mezza orbita, pretendendo la sua postazione solo quando fummo nuovamente in vista di Apollo. Ma nemmeno allora interferì, limitandosi a supervisionare le mie manovre di approdo al molo commerciale per prelevare il nostro carico.
Con mio grande stupore scoprii che si trattava di un singolo container di classe K che io stesso collegai al sistema di alimentazione della stiva della nave. Come mi disse il comandante, era un container refrigerato per il trasporto di deperibili. Non sapeva esattamente di cosa si trattasse: entrambi fummo d'accordo che, trattandosi di un container piccolo, poteva trattarsi di medicinali. Ancor di più mi stupì la nostra destinazione: LV-41, meglio noto come Mastodonte. Un gigantesco asteroide incontrato anni fa da una nave militare in esplorazione ai confini più remoti dello spazio conosciuto: si diceva che avesse una massa pari a circa un quarto di quella della Luna, anche se dalle sue dimensioni non lo si sarebbe detto. Infatti era un asteroide metallico così ricco da giustificare una costosissima spedizione che aveva installato una struttura mineraria permanente e addirittura dei motori per alterare la rotta dell'asteroide. L'obiettivo della zaibatsu che aveva giocato molte carte buone e speso fiumi di denaro in quell'affare, era portare Mastodonte all'interno del sistema solare per abbassare al minimo i costi di estrazione e spolparlo tutto, fino all'ultimo chilo di metallo. Probabilmente il comandante aveva accettato un incarico così poco remunerativo per farsi notare dall'azienda che aveva avuto in appalto la fornitura di materiale: era un piccolo inizio. Ma la consegna di un solo piccolo container non avrebbe portato guadagni elevati. Di certo la mia paga minima era dovuta proprio al fatto che il Coyote viaggiava quasi vuoto.
Ci dirigemmo quindi fuori dall'eclittica per poter eseguire al più presto il balzo a velocità FTL. Comprensibilmente il comandante aveva voglia di arrivare prima possibile e tornare indietro ancora più in fretta. Così tanta fretta da programmare tre balzi FTL da venti ore ciascuno. Una bella prova per una nave appena revisionata.
- Cosa ne pensi? - mi mostrò il piano di volo, i diagrammi energetici, i tratti FTL con le entrate e le uscite, le simulazioni e i consumi previsti. Ero orgoglioso che lei chiedesse la mia opinione. Mi ci volle un po' per orientarmi in mezzo a quella mole di informazioni. Forse lei era abbastanza giovane da afferrare tutto al volo, ma io no.
- Tre salti da venti ore non è poco – le feci notare, dubbioso riguardo le gondole dei motori.
- Tutti i sistemi principali sono stati appena revisionati. Mi aspetto che tutto vada a meraviglia. Mi è costato una cifra...
Mi rispose con voce decisa, dura. La guardai, sprofondata nella poltrona del comandante: indossava una bella tuta azzurra con le maniche risvoltate, aperta davanti a mostrare una accollata maglia termica bianca dalle maniche lunghe. La tuta era stretta in vita da una cintura e non perdonava gli accumuli di cellulite sulle cosce e la pancia un po' sporgente. Ma con i capelli meglio acconciati e senza il mal di testa aveva un aspetto decisamente migliore. Era davvero giovane e suscitò in me un po' di invidia.
- Suggerisco di dividere il primo salto in due segmenti da dieci ore. Vedremo così come questa configurazione se la cava in uscita da FTL.
Piegò le labbra, pensierosa. Non era convinta del mio suggerimento, sebbene dettato dal buon senso. Nemmeno io ero convinto di far fare a un motore appena revisionato venti ore filate a fattore due.
- Dove interromperesti?
C'era una sola penna ottica e l'aveva lei tra le dita. Mi dovetti arrangiare con la tastiera e i puntatori a sfioramento, entrambi poco precisi. Le mostrai il punto: il computer calcolò nove ore e cinquantotto minuti netti di salto, evidenziando l'uscita con un cursore.
- Ciò sposta la prima finestra di salto a... cinque minuti circa da adesso.
Bene, mi dissi, contento di essere ancora capace di tracciare una rotta FTL. Ma lei non era ancora convinta.
- Simuliamo – disse alla fine. La simulazione andò a buon fine, la configurazione energetica sembrava reggere il doppio salto anche se fosse stato ravvicinato. Sarebbe stato sufficiente non eccedere con la velocità: il Coyote non avrebbe dovuto superare mai fattore due altrimenti avrebbe consumato troppo e sarebbe dovuto uscire dalla velocità FTL prima del tempo. Con tutti i rischi annessi e connessi.
Simulare ci fece perdere la prima finestra, ma la CPU di bordo ne calcolò un'altra a poco più di quindici minuti di distanza. Tra l'altro guadagnammo un po' di margine sul pozzo gravitazionale di Giove. Eravamo costretti a passare nelle sue vicinanze: il comandante non ne volle sapere di perdere otto ore per aggirarlo per bene. Un quarto d'ora lungo, che trascorse tutto in silenzio. Poi finalmente iniziai i preliminari al salto e attivai. La configurazione energetica era buona, tutti i sistemi ressero bene e quindi per le prossime dieci ore non avrei avuto nulla da fare. Impostai dei monitor piuttosto stretti: con la cabina dell'equipaggio a meno di dieci metri di distanza, avrei raggiunto la console in pochi secondi. In caso di problemi infatti il sistema avrebbe usato l'impianto di comunicazione che ho innestato nella mascella per avvisarmi. Anche il comandante ne aveva uno: avevo visto dei vecchi monitor disattivati impostati per chiamare una frequenza della stessa classe della mia.
- Col suo permesso, comandante... vorrei sdraiarmi un po'.
- Mi piacerebbe fare quattro chiacchiere con te, Kaufman. Quando vuoi.
La curiosità fu troppa e non potei resistere. Le dissi che ero disponibile anche subito e la seguii con gli occhi mentre si alzava dalla poltrona di comando. Fu allora che notai che oltre essere più alta di me, anche le sue spalle erano più larghe delle mie.
- Magari ci sediamo a tavola. Tu non hai fame?
Avevo cominciato a consumare pasti regolari solo da quando ero salito a bordo di quella corvetta. Avrei divorato una bistecca di gomma, ma mi limitai a rispondere che avrei mangiato volentieri qualcosa.
- Vieni, allora. Ti piace la verdura?
Quella ragazza così giovane sapeva come cogliermi alla sprovvista, nonostante i miei capelli bianchi. Verdura? Verdura fresca a bordo?
- Certo che mi piace. Ma solitamente non me la posso permettere.
- Nemmeno io – si girò e mi lanciò un fugace sorriso a labbra strette – ma devo... dovrei dimagrire un po' e non ho voglia di mangiare razioni per tutto il viaggio.
Entrammo nella mensa. Ci avevo già dato una buona occhiata: sufficientemente attrezzata per dare da mangiare in tempi accettabili a sei persone, era forse il locale più grande della nave dopo la stiva di carico. Aprì uno sportello rivelando un piccolo scomparto refrigerato, stracolmo di verdure confezionate. Verdure vere, non cibo industriale. Non le avevo notate in precedenza: mi ero accanito sulle razioni. Probabilmente era roba che arrivava dalle colture idroponiche di Mu4. C'erano anche pentole e stoviglie, ovviamente. Mise delle pallide patate, piccole e tonde, dentro una pentola bassa e aggiunse una busta di condimento pronto. Tagliate a pezzi delle carote, le mischiò insieme ai tuberi, per poi chiudere tutto nel forno a microonde. Soffrii nel vedere quell'invitante cibo fresco cucinato in quel modo barbaro e frettoloso, ma non riuscivo a credere che il solo vederlo preparare fosse sufficiente a farmi aumentare la salivazione fino a costringermi a deglutire più volte. Regolati l'orologio e la potenza del forno, si sedette davanti a me aggiustandosi i capelli con un gesto molto femminile. Avevo già trovato molti dei suoi capelli neri, ricci e lunghi in giro per l'astronave. Avrebbe finito per intasare tutti i filtri dell'aria.
- Allora, Kaufman... che te ne pare?
- Niente male. Piccina ma ben tenuta. Peccato viaggiare a stiva vuota.
- Lo so. Per questa volta va così – tagliò corto tirando i polsini della maglia termica fino al centro del palmo delle mani per poi lasciarli andare di scatto. Mi regalò un sorrisetto frettoloso, poco convinto. Mi parve distante, altrove.
- Possiamo darci del tu se vuoi.
Non ebbi nulla da obiettare. È giovane, imparerà a sue spese quando è necessario mantenere i sottoposti alla giusta distanza, pensai.
- Va bene, comandante – feci spallucce rispondendo, la cosa non mi interessava realmente.
- Non ti voglio offendere, sono solo curiosa... com'è che sei ancora così? Voglio dire... non sei effettivo da nessuna parte?
Porca puttana, me lo chiedevo anch'io. Forse perché aveva sì e no venticinque anni, forse perché priva di esperienza... ma ancora ignorava un paio di cosette del mondo che la circondava. Più si invecchia, più è difficile trovare lavoro. Se ti buttano fuori dalla tua azienda quando sei vecchio, sei bello che fottuto. Cercai le parole per spiegarmi senza cadere nel patetico e senza offenderla. Non è facile per un mediocre come me trovare un lavoro quando la disoccupazione sfiora l'otto per cento: nessuna azienda vuole assumere gente che ha troppa anzianità perché altrimenti la dovrebbe pagare troppo. Lei mi ascoltò con attenzione, il mento posato sul palmo di una mano e il gomito puntellato sul tavolo. Mi trovai presto invischiato in un discorso che mi piaceva poco: fortunatamente fui salvato dall'orologio del forno.
- Scusami – la guardai alzarsi e aprire il forno. Si scottò con la pentola calda, poi usò una forchetta per farla scivolare fuori fino a posarsi sul coperchio. Lo sportello non era certo progettato per reggere il peso della pentola colma di cibo, ma a quanto pare la cosa non le interessava. Cominciò a dividere in due il cibo fumante usando stoviglie di plastica. Il profumino di patate arrosto e di carote mi scatenò un terremoto nello stomaco. Evidentemente il digiuno aveva intaccato il mio fisico più di quello che pensavo. Mi mise il piatto davanti al naso e faticai ad attendere che lei cominciasse a mangiare. Cercai di non scottarmi, ma il cibo era davvero invitante. Lei schiacciò patate e carote con la forchetta fino a ridurre tutto a una pappa rosea. Ho sempre preferito mangiare i pezzi interi: per una volta che non era cibo reidratato, non vedo perché avrei dovuto mangiarlo ridotto allo stesso modo. Non era affatto male, ma forse era solo la fame a rendermelo così gradito.
- Sei sposato – lo disse a bruciapelo, senza preavviso, tra una forchettata e l'altra del purè che si era fatta nel piatto. Mi guardai l'anulare: aveva visto il mio cerchietto di metallo.
- Più o meno – cercai di glissare sul mio matrimonio durato appena il tempo di mettere al mondo un figlio sfortunato.
- Non stai con lei? - beata innocenza: la trovai nelle sue parole schiette, nella sua voce calma, nel suo morbido viso.
- È lei che non sta con me, piuttosto.
- Argomento doloroso, eh? Scusami – anche lei doveva aver letto qualcosa nelle mie parole, nel mio tono di voce e sul mio viso. Di nuovo mi strinsi nelle spalle facendo finta che non mi importasse poi molto.
Finimmo di mangiare pressoché insieme. Mi offrii di ripulire tutto e lei non si oppose. La sentii recarsi sul ponte di comando. Io finii di lavare piatti e pentole facendo sparire anche tutti gli avanzi. Mi aspettava la branda: c'erano quasi dieci ore da far passare e mi sentivo un po' stanco. Forse avrei potuto riposare un po'.
   
 
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