L’ODORE
DELLA FELICITA’
"Io
non sono Usagi … ".
Mamoru
ripeteva nella sua mente queste parole come una cantilena, unica
spiegazione per
una serie di eventi inattesi e del tutto sconvolgenti.
Aggrapparsi a quell’unica frase senza senso era quanto di
meglio poteva
permettersi.
Confidare in quelle sei parole misteriose era tutto quello che gli era
rimasto.
Ed era
davvero poco.
"Io
non sono Usagi …".
Cosa poteva mai significare? Di certo le avrebbe chiesto una
spiegazione, anzi
l’avrebbe pretesa. Ne aveva diritto. O forse no.
Infondo al
suo cuore Mamoru sapeva bene di non avere diritti con lei se non
l’orgoglio di
un sentimento che rubava spazio alla ragione.
Forse era
stata quella consapevolezza a
renderlo
incapace di porle alcuna domanda quando lei gli era vicino.
L’abbraccio umido di lacrime che Usagi gli aveva riservato
gli era bastato.
La dolce consistenza del suo corpo profumato aveva guarito ogni ferita
e spento
ogni focolare di rabbia.
Per il
tempo di un abbraccio tutto gli era apparso giusto e in ordine. La luce
aveva
fatto pace con il buio. Non c’era traccia del fuoco che
incendiava le vene in
quell’abbraccio. Era piuttosto acqua che dava sollievo,
profumo che rilassava i
sensi. Come faceva quella donna ad essere acqua e fuoco insieme era un
altro
dei tanti misteri.
Con
quell’abbraccio aveva anche dimenticato, per un colpevole
momento, di aver
picchiato un altro uomo.
Si, aveva
picchiato un uomo, uno sconosciuto che non aveva mai visto prima e che
non gli
aveva fatto assolutamente niente, se si esclude chiamare
“fidanzata” la sua
Usagi.
Sentiva viscida la vergogna scivolare sulla sua schiena. Era ricorso
alla
violenza, proprio lui che la detestava, e lo aveva fatto per lei.
No, non era
vero, sapeva di averlo fatto per lui, lui soltanto.
Aveva
rinnegato se stesso e i suoi principi
accecato da una gelosia senza tempo ne frontiere e lo aveva fatto in
nome di un
qualcosa che aveva a che non aveva a che fare con
quell’amore che sentiva strabordare dal
cuore ogni volta che solo pronunciava il suo nome. Piuttosto aveva a
che fare
con l’orgoglio di chi non sa cedere ad altri ciò
che desidera con tutto se
stesso anche a costo di non rispettare le regole e i sentimenti degli
altri.
Sentimento meschino. Lo sapeva.
"Usagi,
Usagi…".
Quel nome
era lei eppure lei stessa lo rinnegava. Non capiva.
L’amore,
sentimento nuovo e fino a poco tempo prima sconosciuto, aveva portato
nella sua
vita confusione, violenza e sconforto.
Ne valeva
la pena?
Eppure era certo, non poteva
mentire a se stesso, per
lei avrebbe ruicominciato tutto
dall’inizio e di fronte alla medesima situazione avrebbe
reagito allo stesso
sbagliato modo.
Sentiva
ancora gli occhi bruciargli dalla rabbia. Averla vista con un altro che
non era
lui continuava a dargli il tormento.
La donna che aveva visto era davvero identica alla persona che lui
amava e
sulla quale non aveva, suo malgrado, diritti.
Come poteva non essere lei?
Come poteva Usagi avergli detto la verità negando tutto?
Non
riusciva a spiegarlo nemmeno a se stesso ma le aveva creduto, stordito
e reso
indifeso da quelle lacrime di gioia.
Gioia. Perché?
Un’altra
domanda senza risposta. Lei non c’era, era fuggita via. Non
aveva a chi porre
le sue domande. Non gli restava che continuare a cantilenare il suo
nome
stringendo la testa tra le ginocchia.
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Non si stupì nel costatare
che nulla era
cambiato. Gli anni
non avevano
cancellato il grigiore delle persiane e di quello stesso giardino
incupito da
giorni di tristezza senza fine.
Il fianco
le doleva per la corsa forsennata ma era il cuore quello che faceva
più male.
Aveva
corso per arrivare. Più veloce che
poteva. Nemmeno l’intuizione di prendere un taxi.
Aveva
desiderato con tutta se stessa di non rivedere mai più
quella casa. Luogo di
dolore per quello che non era più. Non avrebbe voluto
vederla nemmeno
dall’esterno, nemmeno di passaggio. Nessun
motivo sarebbe stato abbastanza
valido. Sbagliava.
C’era qualcosa per
cui valeva la pena di tornare, ed era lì per quello..
Mamoru
l’aveva
vista. Lei c’era.
Lui non
poteva essersi sbagliato. Aveva visto Usagi. La sua Usagi. Chi altro
avrebbe
potuto assomigliarle così tanto da far si che nemmeno
l’uomo che conosceva di
lei ogni centimetro si accorgesse della differenza?
Gocce di
sudore freddo accompagnavano ogni lettera di quel nome che non era
più il suo.
Ancora
nessuno le apriva il cancello nonostante il lungo pigiare sul
campanello.
Si, si
sarebbero meravigliati nel vederla, probabilmente non
l’avrebbero nemmeno fatta entrare
ma…lei doveva
tentare.
Doveva
sapere.
Le emozioni
giocavano a spremerle il cuore con un ritmo sincopato. Ricordi,
speranze e
preghiere nascoste in fondo all’anima rivedevano una luce
capace di ferire gli
occhi.
Strinse le
palpebre più forte che poteva. Raccolse i pensieri in una
supplica che aveva
due sole parole “ti prego!”.
Aprire gli occhi le
avrebbe fatto male.
Ma ne sarebbe valsa la pena e quell’istante non
l’avrebbe più dimenticato.
L’oro
aveva
ridato colore al giorno e il cielo si era ripreso il suo azzurro. Tutto
in un
solo momento.
Un miracolo
non avrebbe potuto avere colori o tempi diversi.
Mai istante sembrò più perfetto.
Una voce al
di là del cancello a confermare che non era
l’illusione di un cuore ferito. Una
voce di sgomento e commozione.
- Serenity?!
Ma…sei proprio tu?
Le parole le
morirono in gola. Non riuscì proprio a
risponderle.
Si aggrappò invece al cancello per arrivare prima a toccare
la pelle di quello
stesso sangue che la vita le aveva
portato via ingiustamente.
Il cuore sciolto in fiumi di lacrime.
Quello che mai
avrebbe creduto possibile si materializzò fra
le sue braccia.
Una sorella
persa nell’oblio di un dolore senza redenzione la
stava stringendo come nessun altro avrebbe potuto. Piena di vita.
Come era possibile? Da quando era possibile? Nemmeno il cancello
sembrava più
un impedimento. C’erano solo loro due. Serenity e Usagi. Sole
e Luna di una
famiglia che un tempo era felice.
Lei si era
risvegliata. Lei non era più morta. Pallida figura
senza luce in un letto per anni senza fine.
Il coma gliel’aveva restituita.
A lei e al mondo.
Avrebbe smesso
di pensare a sua sorella come ad un sonno
senza risveglio, avrebbe smesso di odiare il suo stesso nome per un
diritto
alla vita che non sentiva più di avere e, tra le sue braccia
di sorella, in
quel momento, sentì
di nuovo, dopo tanto
tempo, l’odore della felicità.
Cari,
non sono per nulla contenta di
come ho scritto questo capitolo. Mi sembra freddo e distaccato.
E’ tanto che
l’ho scritto ma…vi giuro, che non sono ancora
riuscita a trovare il tempo per
sistemarlo (tra ufficio, casa da ristrutturare e impegni familiari
impazzisco!)
.
Non volendo aspettare
ancora oltre con
l’aggiornamento, ho deciso di pubblicare il capitolo lo
stesso sperando nella
vostra clemenza.
Perdonatemi
se vi deludo.
Sono
dispiaciuta, ve lo confesso, perché
in questo cappy svelo il mistero e non lo faccio come vorrei. Non era
come
sembrava. Usagi non era morta, era in coma, anche se per Serenity era
come se
fosse morta.
Nel
prossimo cappy svelerò la seconda
parte del mistero: da quando Usagi si è svegliata?
perché Serenity non lo
sapeva? come mai i
rapporti con la sua
famiglia erano così infelici?
Naturalmente
c’è ancora da vedere come
si svilupperà il rapporto con Mamoru e…
…un ulteriore colpo di scena.
Ho
deciso che non appena finirò questa
storia la rivedrò completamente nello stile e nella tecnica
rifacendomi ai
meravigliosi modi di scrivere di molti di voi che con le vostre storie
mi avete
fatto riflettere sul mio modo di scrivere. Concludo postando il
bellissimo
disegno di maryUsa, copertina ufficiale di questa storia. Inserisco
questa
immagine sia in questo cappy (così la vedete tutti) che
nella prima pagina del
primo capitolo). I ringraziamenti a MaryUsa sono d’obbligo.
Con il suo lavoro
meraviglioso ha reso più belle le mie umili storie. Non
smetterò mai di
ringraziarti cara!!!!!
Un
salutone a tutti. Spero vogliate
farmi sapere cosa ne pensate comunque, tutti i vostri pareri sono
importanti.
Preferisco una critica all’indifferenza! Vi abbraccio. Grazie
di continuare a
seguirmi!
Ringrazio in particolare per le recensioni del precedente cappy:
Grazie
dei complimenti mina-chan. Spero di aver chiarito qualcuno dei tuoi
dubbi. Aspetto il tuo preziosissimo parere. Ti voglio tanto bene |
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