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Autore: _Princess_    28/05/2010    26 recensioni
La disarmava, questo era il fatto. La lasciava indifesa.
“Su, vuota il sacco.” Le intimò, senza alcuna pietà verso il suo essere così disperatamente persa in lui.
Kuu osò voltare il viso verso il suo, incontrando così i suoi occhi sorridenti, e il suo cuore saltò un battito.
Quegli occhi…
Non si sarebbe mai abituata alla loro imperscrutabile profondità, alla bellezza infinta che traspariva da quel suo sguardo mite, un misto di luci e ombre che faceva venire i brividi, che cancellava ogni capacità di respiro, di raziocinio.
Li amava, quegli occhi, così come amava l’anima che vi stava dietro.
Ed era orribile pensarci. Era orribile amare tanto qualcosa che non sarebbe mai stato alla sua portata, ed anche peggio era essere pienamente consapevole che non sarebbe mai riuscita a farsene una ragione.
[Sequel di The Truth Beneath The Rose]
Genere: Romantico, Malinconico, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bill Kaulitz, Georg Listing, Gustav Schäfer, Nuovo personaggio, Tom Kaulitz
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Heart Of Everything' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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Too many broken promises in her fragile life
Too many secret thoughts she tried to hide that night
So hard she tried to escape
But the pain was everywhere
No, take this pain away
Even for one day 

(Queen Misery, For My Pain)

 

***

 

“In sostanza i programmi sono questi: voi fate il vostro shopping come se nulla fosse – chiacchierate, provate, vi divertite… quello che volete – e Chris vi riprende. Io e Griet saremo nei paraggi assieme a Mike e Luke, anche se non dovremmo avere problemi di alcun tipo. Domande?”

Kuu guardò Benjamin da dietro ai suoi occhiali da sole e sollevò appena il mento. Bill suppose che dovesse essere un segno di negazione.

Dopo due settimane di tour, ancora non aveva capito che cosa pensasse esattamente di lei. C’erano momenti – come adesso – in cui avrebbe tanto voluto sbottarle in faccia e invitarla a tirarsela di meno, altri, invece, in cui si sentiva stranamente vicino a lei, in cui parlarle era un piacere, e anche una sorta di sollievo. In sostanza, era tutto semplicemente una gran confusione.

L’ordine del giorno era la registrazione di una puntata della Tokio Hotel TV con la partecipazione eccezionale di Kuu. L’episodio avrebbe fatto scalpore e già Bill aveva un’idea abbastanza precisa del tipo di commenti che sarebbero volati, ma gliene importava davvero poco. Lo shopping gli mancava e non era mai stato nella zona modaiola di Mosca. Kuu sarebbe stata una presenza marginale: dovevano semplicemente fare finta di avere una gran sintonia e di spassarsela un sacco. Per fortuna erano entrambi parecchio esperti di recitazione, a quanto pareva.

“Bene,” intervenne Griet, facendosi avanti nella hall dell’hotel con la borsa più orribile e rovinata che Bill avesse mai visto. Non aveva molto buongusto, ma la sua simpatia la rendeva irresistibile. “Su, su, muoviamoci, il van è già qui fuori.”

Fu strano non trovare nessuno, fuori, ad aspettarli. Di solito le uscite dagli hotel erano sempre accolte da decine di fans accalcati dietro a nastri e transenne, ma fu gradevole, per una volta, non essere aggrediti da urla isteriche.

Il Viano nero era parcheggiato subito di fronte all’ingresso; vi presero tutti posto in silenzio, Bill, Benjamin e Christopher con la telecamera da una parte, Kuu, Griet e Luke dall’altra, Mike davanti con l’autista, poi partirono. Impiegarono quasi mezz’ora per raggiungere il centro, e in quella mezzora Christopher li fece parlare un po’ di come stessero andando le cose con i concerti e dei piani della giornata. Quando finalmente il van si arrestò e si spense, Bill era già stanco di parlare.

Appena scesi, un brivido generale scosse tutti quanti: faceva piuttosto freddo. Il termometro di una farmacia dal lato opposto della strada segnava meno undici gradi, alle nove del mattino.

“Queste capitali del Nord sono così fredde…” commentò Kuu, guardandosi intorno, le braccia strette attorno a sé. A ogni parola, sbuffi bianchi di denso vapore le si sollevarono dalla bocca.

Bill capì subito che cosa volesse dire: non ‘fredde’ in senso climatico, ma ‘fredde’ per la sensazione che davano. Forse era anche colpa del cielo grigio e del cattivo tempo, ma tutte le ultime città che avevano visitato gli erano sembrate desolanti.

“Ok, ragazzi,” disse Benjamin, sfregandosi le mani arrossate. “Via il guinzaglio. Siete liberi di fare quello che vi pare. Nei limiti della pubblica decenza.”

Bill e Kuu si scambiarono uno sguardo poco entusiasta, ma annuirono. Lungo la via campeggiavano a perdita d’occhio le insegne dei grandi nomi della moda e non c’era che l’imbarazzo della scelta.

“D’accordo, Mister Kaulitz: patti chiari, amicizia lunga.” Kuu gli si parò di fronte con le mani puntellate sui fianchi e un’espressione risoluta. “Un negozio lo scelgo io, uno lo scegli tu. Fifty-fifty, e siamo tutti contenti.”

A Bill piacque quell’improvviso slancio di confidenza e ancora di più gli piacque la mezza minaccia. Kuu aveva davvero un caratterino focoso.

“Perché il primo lo devi scegliere tu?” replicò, seccato.

“Va bene, allora,” Kuu assottigliò lievemente gli occhi, quel giorno velati da impeccabili sfumature bianche e nere. “Prima le signore.”

Christopher riprese tutto quanto sghignazzando dietro alla telecamera. Bill, senza perdere il proprio regale contegno, si limitò a chinare il capo con riconoscenza e si avviò verso l’entrata sfavillante di Dior. Riflessa nel vetro della porta, vide Kuu trattenere un sorriso.

Di nuovo, provò fastidio nell’indecisione che nutriva verso di lei. Forse se avesse avuto le idee più chiare – e se lei gli avesse facilitato un minimo le cose – sarebbe stato tutto diverso.

All’interno la boutique era luminosa e profumava di tessuti costosi. Tuuto era gicato sui toni del bianco e dell’oro, caldo e pulito. Furono immediatamente accolti da un’intera legione di commessi zelanti, che però liquidarono in fretta.

“Odio quando ti assillano così.” Sbuffò Kuu, puntando un paio di jeans su un manichino. “Come se tu fossi un imbecille che non sa come scegliere un abito.”

“Spesso non hanno nemmeno un briciolo di senso dello stile.” Convenne Bill. Parlare ad alta voce alle spalle di persone presenti era una soddisfazione che ci si poteva togliere solo all’estero.

Mentre gironzolavano per il negozio, Bill ebbe modo di avere conferma di ciò che già gli era saltato all’occhio: Kuu amava i colori neutri, discreti. Vestiva in toni accesi solo se si trattava di apparizioni pubbliche; quando invece era lontana dagli occhi del pubblico, i suoi vestiti erano bianchi, neri, beige, crema… Mai appariscenti, mai vistosi, mai nulla che attirasse troppo l’attenzione.

Forse perché ne attira già abbastanza lei…

Uscirono dopo mezzora di sofferte selezioni. Nessuno dei due si provò nulla: era poco chic provarsi vestiti come quelli.

La seconda tappa fu Dolce&Gabbana, la terza Armani. Da Gucci, Kuu decise di sorprenderlo.

“Quello ti starebbe bene.” Le disse Bill, indicandole un cappottino color avorio bordato di pelliccia bianca.

Kuu buttò un’occhiatina veloce alla stampella su cui faceva bella mostra di sé il cappotto e storse il naso.

“Non me la metto quella roba.”

“Stai snobbando un cappotto di Gucci?”

“Non me lo metto addosso un animale morto.”

Questo lasciò Bill interdetto.

Era diventato vegetariano da poco – poco meno di un anno – e ancora non era riuscito a entrare del tutto nell’ottica del vegetariano. Lo aveva fatto per amore degli animali – lui, ma anche Tom – eppure, nonostante le prediche di Vibeke, non si era mai curato più di tanto di tutti gli articoli in pelle che possedeva. Adesso, tuttavia, di fronte alla genuina indignazione di Kuu verso la sua ingenua gaffe capì di avere molto su cui riflettere.

“Non credevo ci tenessi a queste cose.”

Indifferente, Kuu si mise a passare in rassegna una serie di camicette.

“Sono molte le cose che la gente non crederebbe di me.”

Bill rimase lì, con la giacca che stava guardando tra le mani, a chiedersi quale dei mille modi in cui quella frase poteva essere interpretata fosse quello giusto. Kuu era un enigma, e per giunta un enigma che ci teneva a restare tale. Parte del suo fascino derivava anche da quello, dal sapore di segreti che avevano i suoi occhi.

“Non ti vorrai comprare quella, vero?”

Un battito di ciglia fece riscuotere Bill. A pochi metri da lui, Kuu lo scrutava accigliata.

“Perché?” fece lui, perplesso. “Cos’ha che non va?”

“Niente.” Rispose Kuu brevemente. “Il look dark-glam-metal ti dona, e anche parecchio.”

“Ma…?”

C’era un ‘ma’, era ovvio.

Per un paio di secondi lei fissò la camicetta che aveva scelto, poi sembrò ripensarci. Si voltò verso Bill e il suo sguardo vagò su di lui, critico.

“Mai pensato di provare qualcosa di nuovo?”

No, fu l’immediata reazione del cervello di Bill. Gli piaceva il suo stile, non lo aveva mai nemmeno sfiorato l’idea di cambiare. Faceva parte di lui, della sua personalità, quel modo di vestire, e nel tempo si era evoluto assieme a lui. Non voleva nemmeno pensarci di cambiare.

Lo sguardo di Kuu, però, aveva acceso il lui una strana voglia di confronto. La sfida che lei gli aveva indirettamente lanciato lo aveva stuzzicato e l’invito a giocare era toppo allettante perché lo potesse lasciare ignorato.

Le si avvicinò, lasciando perdere la giacca, e ricambiò con lo stesso, identico sguardo:

“Immagino che tu sapresti suggerirmi.”

Un angolino della bocca di Kuu accennò un ricciolo di soddisfazione, che lei contenne con disinvoltura.

“Potrei rifarti il guardaroba,” affermò, sicura. “E me ne saresti riconoscente.”

Nonostante il tono di superiorità, non c’era ostilità nel suo atteggiamento. Era tranquilla, calibrata, elegante. Ma improvvisamente Bill non si sentiva più irritato da lei.

“Potrei dire la stessa cosa.” Ribatté, soave.

Kuu ripose con cura la camicetta sull’espositore e si girò a fronteggiarlo. Era bassa, tanto che, anche con i tacchi degli stivali, gli arrivava a stento alla spalla, eppure sapeva incutere una soggezione incredibile.

“I tuoi gusti non sono adatti alla mia figura.” Obiettò, occhieggiando con eloquenza le borchie della cintura e della borsa.

Era esattamente quello che Bill aveva aspettato. Imitando la sua compostezza, incrociò le braccia sul petto e inarcò un sopracciglio:

“Vogliamo scommettere?”

Da dietro sottili ciuffi biondi, gli occhi di Kuu scintillarono, mentre un sorriso intrigato le si apriva sul viso.

“Scommettiamo.”

“La faccenda inizia a farsi interessante…” commentò una voce.

Solo allora Bill rammentò che c’era una telecamera a riprenderli e, dietro di essa, Christopher seguiva la scena con un certo interesse.

“Bill versus Kuu: la sfida è aperta! Quali sono le regole?”

“Io scelgo il tuo look, tu il mio.” Stabilì Kuu. La telecamera la seguì da vicino. “Completa connivenza, nessun diritto di protesta o trattazione, nessuna possibilità di appello.”

“La posta?”

“Chi perde si esibisce con l’outfit deciso dal vincitore al concerto di stasera.” Rivolse a Bill un’occhiata maliziosa. “Ci stai?”

Lui si impettì in tutta la propria altezza e sollevò enfaticamente il mento.

“Ci sto.”

 

***

 

“Te lo puoi scordare che io mi mostri in giro conciata così!”

“Le regole le hai fatte tu, quindi adesso devi sottostare!”

“Tu sei pronto, almeno?”

“Sì, ma…”

“Niente ma. Nessun diritto di protesta o trattazione, nessuna possibilità di appello.”

“La camicia va dentro o fuori dai pantaloni?”

“Fuori.”

“Ok. E questa specie di nastro nero?”

“Va attorno al polso.”

“E come me lo lego, da solo?”

“Su, uscite!” ordinò la voce divertita di Christopher. “Fateci vedere chi ha vinto!”

Bill sospirò fra sé. Non era poi così sicuro della sfida, adesso.

Kuu lo aveva trascinato da un negozio all’altro e lo aveva costretto a considerare un mucchio di cose chic che a lui non sarebbe mai nemmeno venuto in mente di guardare. Lui, in compenso, la aveva tenuta per più di un’ora da Vivienne Westwood, godendo delle sue espressioni orripilante di fronte a certi capi che le proponeva.

Alla fine, con il portafogli decisamente alleggerito, si erano fermati nei camerini per il risultato finale.

Bill si guardava accigliato allo specchio, incerto. Cominciava a temere di aver sottovalutato la sfida, e soprattutto l’abilità di Kuu. Gli bruciava ammetterlo, ma gli piaceva il modo in cui lo aveva fatto vestire. I jeans chiari e sdruciti, venati di scuro, attenuavano bene l’eccessiva finezza delle sue gambe, retti attorno ai fianchi da una cinta di lino nero, in tinta con la giacca, legata di lato. Si lisciò addosso la leggera camicia bianca e aggiustò gli orli dei pantaloni sopra agli stivali.

Sebbene qualcosa non lo convincesse del tutto, dovette ammettere che stava benissimo.

Fuori sentì la porta del camerino di Kuu che si apriva e subito dopo un paio di fischi di ammirazione.

Incuriosito, anche se per niente convinto, uscì, pronto ad ammettere la sconfitta. La mise che aveva scelto lui per lei non poteva certo essere all’altezza. Ma poi sollevò lo sguardo, e si rese conto che la vittoria era indiscutibilmente sua.

Kuu gli stava di fronte, le mani di nuovo vezzosamente sui fianchi, e lo guardava con un’espressione per niente felice.

“Non dire niente.” Borbottò aspramente. “Sono ridicola.”

Bill avrebbe solo voluto capire come smettere di boccheggiare. La giovane donna raffinata e austera non c’era più. Aveva lasciato il posto a una provocante ragazza dal fascino trasgressivo.

Anfibi con fibbie argentate ai piedi, gambe nude, una minigonna in finta pelle a coprirle a stento le cosce, sorretta da una cintura borchiata. Gli strappi sulla maglietta si incrociavano con le sottilissime catene che la decoravano, richiamando la foggia dei bracciali che le pendevano dai polsi sottili. Al collo, il collare di Bill.

“Stai da dio!” esclamò Bill, incredulo, non appena ebbe recuperato l’uso della parola.

Kuu sbuffò.

“Oh, ti prego, sii obiettivo!”

Bill era molto obiettivo, e stava giusto pensando che, con il trucco giusto, il look avrebbe raggiunto la perfezione.

“Ha vinto lui, Kuu, credimi.” Intervenne Benjamin, in tono ridente. “La giuria ha emesso un verdetto unanime.”

“Assolutamente.” Convenne Christopher, facendo un segno di ok con la mano. Griet, accanto a lui, rideva.

“Un secondo solo, però.” Disse Kuu, accostandosi a Bill. “Sei un incapace, Kaulitz.”

Prima che lui potesse ribattere, Kuu allungò le mani e gli sbottonò i tre bottoni più alti della camicia, poi spinse in su le maniche, scoprendogli gli avambracci, gli sfilò di mano il nastro e glielo mise al polso, incrociandolo più volte prima di legarlo.

Bill rabbrividì sotto alle sue dita fredde. Si lasciò sfiorare e apprezzò la delicatezza del suo tocco, l’agilità. Le sue mani erano belle quanto lei: piccole, fini, curate fino alla maniacalità, seducenti.

“Così va meglio.”

I loro occhi si incrociarono mentre lei ammirava il proprio operato. Al centro dell’iride dorata, le sue pupille erano abissi insondabili, muri di buio in cui era impossibile distinguere pensieri, emozioni, sensazioni. Gli occhi di una bambola.

“Vinci tu lo stesso.”

Kuu assunse un broncio irritato. Si mise a fissare se stessa nell’immenso specchio che occupava l’intera parete dell’anticamera e non sembrava affatto contenta. Come già lui aveva notato, tuttavia, il suo sguardo non saliva mai fino al volto.

“Detesto le gonne così corte.”

A Bill occorse un certo sforzo per trattenere commenti inopportuni. Si dava il caso, infatti, che, per quanto lei potesse detestarle, le gonne corte facessero un a figura particolarmente apprezzabile, su di lei.

“Un vero peccato.” Commentò Christopher, dando così voce ai suoi pensieri, poi scoppiò a ridere. “Ok, questa poi la tagliamo.”

“Non posso esibirmi così!” protestò Kuu con una punta di panico. “Cosa penseranno i fans?”

Bill scrollò le spalle, spietato e divertito.

“Le regole sono regole. Puoi sempre spiegare la storia nel tuo prossimo post del tour-log.”

Kuu gli restituì un’occhiata pungente, ma chiaramente scherzosa, e Bill comprese che in quella mattinata qualcosa era cambiato. Qualcosa di piccolo, di silenzioso, che però c’era, e gli faceva piacere.

E in quel preciso momento una pallida speranza si annidò in lui, di nascosto, a sua insaputa, mentre lui si chiedeva se, in fondo, proprio la speranza non fosse davvero l’ultima a morire.

“Foto! Foto!” esigette Christopher, battendo le mani per attirare la loro attenzione. Aveva tirato fuori dal suo borsone la sua inseparabile fotocamera e ora la puntava verso di loro, impaziente.

“Non ho nessuna intenzione di –”

“Invece sì.”

Bill non si curò della protesta di Kuu. Le mise un braccio sulle spalle e la tirò verso di sé, sorridendo verso Christopher. Sbigottita, Kuu gli barcollò accanto, ma non si oppose. Bill riusciva a percepirla con il proprio corpo: magra, sottile, fragile. Abituato alla solida fisicità di Vibeke, ora gli sembrava di toccare una farfalla.

“Sorridi un po’, ragazza mia!” esclamò Griet, scuotendo la testa.

“Sorrido quando lo dico io.” La rimbeccò Kuu.

Bill si riconobbe in quell’atteggiamento capriccioso, nella posa insolente che lei aveva assunto.

Alla fine, tra uno scatto e l’altro, finirono per fare un vero e proprio photoshoot. Bill si divertì a posare con Kuu: per la prima volta da sempre finalmente non era il solo a provocare l’osservatore, a giocare con posizioni, sguardi, gesti. Kuu sapeva come farsi catturare dall’obiettivo, e si muoveva con una notevole dimestichezza tra i flash, senza esitazioni. Sempre senza sorrisi, però.

Per quel che Bill ricordasse, non esisteva fotografia in cui Kuu fosse stata ritratta sorridente. Da quel punto di vista, gli ricordava parecchio qualcuno di sua conoscenza.

“Sono stanco morto, ma è stato divertente.” Si compiacque Bill, quando arrivarono dritti all’arena.

Cercò il viso di Kuu, ma lei era rivolta altrove. Tutto ciò che gli tornò indietro su silenzio.

“È stata una mattinata davvero piacevole.” Mormorò Kuu, proprio quando Bill stava per aggiungere qualcosa. Si voltò a guardarlo. “Devo essere sincera, ero convinta che ci saremmo entrambi annoiati a morte a vicenda, invece… Sono rimasta sorpresa. Positivamente, intendo.”

Per gli standard di Kuu, quello era un complimento molto generoso.

“Ammetto che l’ho pensato anch’io.” Disse Bill. “Ma per una volta non mi è dispiaciuto dovermi ricredere.”

Raggiunsero il backstage, e lì le loro strade si separavano: Bill aveva un’intervista assieme ai ragazzi e Kuu doveva registrare con Kaaos un breve filmato per aggiornare i loro fans sul tour. Bill era curioso di vederlo, solo per scoprire se e come avrebbe parlato della loro sessione di shopping.

Kuu lo salutò con un cenno.

“Ci si rivede tra un paio d’ore.”

“Certo. E non dimenticare che ti è assolutamente vietato cambiarti prima della fine del concerto.”

“Tu non ti cambiare per l’intervista.”

Bill sorrise e assentì.

“D’accordo. A dopo, allora.”

E mentre lei gli voltava le spalle e si allontanava lungo il corridoio, Bill si chiese perché, dopo che per una mattina erano stati così vicini, lei sembrasse ancora irrimediabilmente inarrivabile.

 

***

 

Kuu era stata a fare shopping con Bill per tutta la mattina.

La aveva vista di sfuggita uscire con un’espressione funerea e l’aveva poi vista rientrare con un’aria così serena e rilassata che non aveva potuto fare a meno di chiedersi cosa potesse mai essere successo per ribaltare così drasticamente il suo umore. I racconti entusiastici di Bill riguardo la giornata, in seguito, gli avevano più o meno chiarito le idee.

Avrebbe solo voluto conoscere anche il punto di vista di Kuu.

Si sorprese a scoprirsi irrequieto al pensiero che potesse essere stata per entrambi un’esperienza significativa.

Lui era stato il primo ad avvicinarsi a lei. In qualche modo, questo lo aveva compiaciuto.

Ora, come sempre, il carattere esuberante di Bill arrivava a monopolizzare tutto quanto.

E Gustav non era geloso di lui, ma solo invidioso. Invidioso del fatto che per lui fosse così semplice farsi benvolere dalle persone, entrare in contatto con loro, conquistarle. La timidezza rendeva Gustav goffo nelle relazioni con gli altri, tanto che spesso, involontariamente, faceva la figura dell’asociale.

Con Kuu, stranamente, era riuscito a stabilire un vero e proprio contatto con discreta disinvoltura, e se n’era inorgoglito, soprattutto perché lei non sembrava il tipo da dare facilmente confidenza.

Quando la aveva vista arrivare nel backstage dell’arena vestita in quel modo, non gli era stato granché difficile vederci lo zampino di Bill. La cosa più snervante era che, anche se palesemente non ci si sentiva a proprio agio, Kuu con quei vestiti era mozzafiato.

Gli era toccato vergognarsi ancora una volta della superficialità delle proprie reazioni, ma non ne aveva potuto fare a meno, così come adesso, seduto da solo nella saletta del catering, non poteva fare a meno di chiedersi se, ancora una volta, da un momento all’altro la porta si sarebbe aperta timidamente e ne sarebbe entrata lei.

Perché era così che succedeva. Sempre. Senza un perché, senza che nessuno decidesse niente. Semplicemente, accadeva. Era come se fosse nato un tacito accordo tra di loro che stabiliva che a una certa ora, a un certo tempo dall’inizio del concerto, loro due si dovessero incontrare lì, da soli, a parlare e parlare, fino a che a uno dei due non si ricordava che il tempo stava per scadere.

Gustav non sapeva perché Kuu andasse da lui. Spesso si era detto che probabilmente non lo sapeva nemmeno lei. Forse voleva solo stare da sola, con lui che era solo.

Si rigirò lo scotch bianco tra le mani. Ormai erano quasi le otto. Era tardi per la solita chiacchierata.

Stupidamente, aveva aspettato fino ad ora per sistemarsi quello scotch sulle dita perché da quella prima volta era sempre stata lei a farlo per lui. Era un gesto che in qualche modo riusciva sempre a farlo sentire bene, come un vizio, una piccola coccola, qualcosa che era soltanto per lui, soltanto di loro due, perché nessuno lo sapeva. Non avrebbe saputo che significato attribuire a quei momenti – che valore – però sapeva che gli piacevano.

Gustav sospirò e staccò un pezzo di scotch. Ormai era decisamente tardi.

In quel preciso istante, però, la porta si aprì con un cigolio. Kuu entrò silenziosa e la richiuse. Quando sollevò la testa, Gustav si accorse che non portava il solito trucco.

“Bill ha preteso anche questo.” Mormorò, a mo di scuse. “Mi faccio schifo, per la cronaca.”

In realtà era bellissima – come sempre, del resto – ma Gustav preferì evitare di contraddirla.

“Stasera lascerai tutti a bocca aperta.”

Kuu schioccò la lingua e, come di consueto, prese posto al suo fianco. Gli tolse gentilmente lo scotch dalle mani, con naturalezza, e iniziò ad avvolgerglielo attorno alle giunture.

“Ti devi decidere a metterti della crema, lo sai?” gli disse, severa, facendogli scorrere le dita sulla pelle sciupata.

Era davvero strano vederla vestita in quel modo aggressivo. Vibeke stessa, nel vederla, era rimasta senza parole, un po’ come tutti. Erano disegni e tagli che stridevano con la sua persona.

“Non credo che farebbe una gran differenza.”

Kuu si fermò per un momento e lo guardò:

“Una piccola differenza è sempre meglio che nessuna differenza.”

Gustav si lasciò perdere nei suoi occhi. Parlavano di solitudine, o forse era solo un riflesso. E chissà cosa ci vedeva lei, nei suoi.

“Bill ha detto che avete passato una bella giornata.” Disse Gustav, cambiando deliberatamente argomento.

“Sì, è stato bello,” annuì lei. “Ci siamo divertiti. È stata una sorpresa per tutti e due. Non è da tutti i giorni fare shopping assieme a un ragazzo a cui piace più di te.”

Quello era un punto su cui Gustav non avrebbe mai retto in confronto.

“Mi fa piacere. Bill ha bisogno di svagarsi un po’. Ha un’aria troppo malinconica, ultimamente.”

Le luci erano fioche, là dentro. Un neon era rotto e l’altro emetteva un alone azzurrognolo che aveva un che di spettrale.

“E tu, allora?”

Gustav si accigliò:

“Io cosa?”
“Tu hai sempre un’aria troppo malinconica.” Sussurrò lei, senza guardarlo.
“Oh, a me nessuno fa caso.” Minimizzò lui. “Sono sempre stato così. È più lampante Bill che ha perso il sorriso.”

Kuu alzò gli occhi sui suoi e pareva voler indagare dentro di lui tanta era l’intensità di quello sguardo. Lo contemplò a lungo, in silenzio, senza lasciargli la mano, come se cercasse qualcosa che non riusciva a trovare.

“Wolf.”

Gustav non capì.

“Cosa?”

“Wolf.” ripeté Kuu, assorta. “Ho sempre  pensato che ti stesse bene come nome.”

“Lupo?”

Lei annuì.

“Come mai all’inglese e non alla tedesca?”

Il tepore di un timido accenno di sorriso le illuminò il viso.

“Ha un suono più dolce.”

Gustav, per quanto basito, riuscì a sorriderle in risposta, ma lei chinò il capo, fuggendo, e riprese a sistemare lo scotch. C’erano momenti così, a volte, in cui sembravano entrambi volersi dire qualcosa, ma nessuno parlava mai. Accenni, allusioni, poi pause improvvise. Ma era forse solo un’impressione.

“Mi piace.” Disse Gustav. “È buffo, però.” Aggiunse poi, con una breve risata sommessa. “Tu mi dai soprannomi e io nemmeno so come ti chiami veramente.”

Le mani di Kuu si bloccarono e si irrigidirono, le sue spalle si incurvarono in avanti.

Gustav imprecò contro se.

Idiota.

 

***

 

 

Kuu era ancora abbastanza confusa, dopo quella mattinata insolita. La colpa era tutta di Bill, insospettabilmente, a trascinarla con prepotenza fuori dal suo umore grigio con la sua contagiosa voglia di vita e divertimento, ma probabilmente, più che colpa sarebbe stato il caso di definirlo un merito.

Kuu non riusciva neanche a ricordare l’ultima volta che si era goduta del tempo libero con tanta leggerezza. Era stata una ventata d’aria fresca. E al di sopra di tutto quanto c’era Bill, che per la prima volta si era dimostrato bendisposto verso di lei. Un momento prima c’era il solito gelo a dividerli, e un momento dopo, come nulla fosse stato, si erano ritrovati a usarsi l’un l’altra come bambole, battibeccando come vecchi amici. Se esisteva una spiegazione logica a quello che era successo, Kuu non la sapeva trovare. Quello che invece sapeva – e anche bene – era che doveva sentirsi lusingata del fatto che Bill avesse deciso di mettere da parte momentaneamente i pregiudizi verso di lei, invitandola così a fare lo stesso con lui, e i risultati erano stati incredibili.

Era rimasta per ore ad ammirare Bill, rapita dai suoi sorrisi, dal suono della sua risata, dalla naturalezza con cui si metteva davanti un abito che gli stava malissimo e si prendeva in giro davanti alla telecamera. Era una capacità che lei non aveva, quella.

Si era congedata da lui cullata da una sensazione di pace, certa che niente e nessuno avrebbe potuto turbarla, quel giorno, ma così non era stato. Ed era ironico che la persona che era riuscita a turbarla fosse anche la persona che di solito, invece, la metteva più a suo agio.

Era difficile. Era terribilmente difficile accettare di non essere in grado di dare risposte fredde ed evasive, per lei. L’intento c’era, la voglia di liquidare quella domanda fastidiosa con un semplicissimo ‘Non ti riguarda’, ma proprio non le riusciva.

Era colpa dei suoi occhi, degli occhi scuri di Gustav adagiati su di lei senza alcuna pretesta, solo aspettando. Normalmente lei non avrebbe risposto a una domanda simile. Normalmente, avrebbe trovato un modo elegante per aggirarla

Considerò l’eventualità: nessuno sapeva il suo vero nome. Lo aveva gelosamente tenuto segreto, assieme a un pesante bagaglio di passato che non le apparteneva più. Lei era Kuu, adesso. Soltanto Kuu. Lo aveva scelto lei.

“Non fa niente,” disse Gustav in tono rassicurante. “Scusami, non avrei dovuto chiedertelo, non sono affari miei.”

“No, scusami tu, davvero.” Disse lei, seriamente dispiaciuta. “So che è una cosa stupida ma…”

Era stato un altro tempo, un’altra vita, una realtà diversa, che ora non c’era più. Era persa.

“Senti, lasciamo perdere.” Minimizzò lui, con uno dei suoi rari sorrisi. “Non è importante.”

Ma era importante. Lo era, o per lei non sarebbe stato così difficile.

Kuu si accorse che qualcosa dentro di lei si era appena spezzato. Non sapeva cosa, non sapeva come, non sapeva perché.

“Mi chiamo Sascha.” Si sentì rispondere, quasi senza esserne cosciente. “Sascha Edelmond.”

 

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Note: finito! Chiedo scusa ancora una volta per il ritardo vergognoso e anche per la mia assoluta assenza su MSN. È un periodo strano, spero mi perdonerete. Vi rimando a più tardi per le note più dettagliate, adesso sono un po’ di fretta. Spero vi sia piaciuto, aspetto fiduciosa commenti, e, prima che me ne scordi…

 

Un grazie enorme a tutte voi per avermi votata al concorso per i migliori personaggi originali! Mi sono commossa quando ho scoperto di essere passata al secondo round ed è tutto merito vostro! Vi adoro!

   
 
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