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Autore: Mankind17_13    01/06/2010    0 recensioni
Sono passati molti anni dal dolce ricongiungimento tra Yota ed Ai. Ora vivono felici ed hanno avuto una figlia. Tuttavia, il malvagio Rolek riesce, grazie ad un ignaro ragazzo, a tornare nel mondo, possedendolo. Si vendicherà, o l' umano ospitante gli metterà i bastoni tra le ruote?
Genere: Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Rolek era appena entrato nel corpo di Alessandro

Rolek era appena entrato nel corpo di Alessandro. Una procedura rischiosa, normalmente proibita, tuttavia necessaria per fuggire.

Rolek era conscio del rischio a cui si stava esponendo, conosceva bene la difficoltà dell’ azione: Comportarsi come un parassita, entrare in un corpo già provvisto di una sua anima ed impadronirsene. In tutta la sua vita di nefandezze non aveva mai provato una tale sensazione di degrado e di umiliazione. Non lo faceva volentieri, di certo avrebbe preferito non possedere un volgare e fragile involucro umano. Nonostante il suo orgoglio fosse restio a chiudere gli occhi dinanzi ad un simile atto, la sete di vendetta e di rivalsa spinsero l’ animo di Rolek a  riversarsi nel corpo del ragazzo con l’ irruenza di un fiume in piena.

Il trasferimento era ormai a metà, però qualcosa non stava andando per il verso giusto: L’ essenza del parassita avrebbe dovuto svolgere un procedimento simile alla fagocitazione nei confronti dell’ anima già presente. Invece, nel suo caso, l’ anima che avrebbe dovuto lasciarsi divorare stava opponendo una strenua resistenza.

 

“Perché?” sembrò dire Rolek quando il flusso della sua essenza sembrò rallentare.

 

All’ esterno, il corpo di Alessandro fu scosso da tremende convulsioni, come se al suo interno si stesse disputando una terribile battaglia e, metaforicamente parlando, nessuna impressione sarebbe stata più realistica di questa.

Rolek aveva sempre più difficoltà a prendere possesso del corpo: l’ anima di Alessandro, dando prova di un’ enorme determinazione, stava reagendo all’ invasione perpetuata dal parassita, tenendogli testa.

 

Cosa sta succedendo? Perché incontro tutta questa resistenza?” disse Rolek, ed intanto la battaglia continuava ad infuriare senza sosta.

 

Improvvisamente il corpo di Alessandro si arrestò. Le terribili convulsioni cessarono. Il corpo era svenuto, ma quale delle due coscienze aveva riportato una vittoria? Qual’ era adesso l’ effettiva identità di quel corpo svenuto in mezzo all’ immondizia?

Passarono ore, l’ alba era ormai giunta, il sole iniziò a sorgere, accarezzando con i suoi raggi il viso del ragazzo svenuto nella discarica.

Nell’ aria iniziò a diffondersi una canzone, una canzone soffocata, dalle parole poco chiare, come se la fonte del suono fosse tenuta sotto un cuscino. Il ragazzo aprì gli occhi sentendo questa canzone. Era la suoneria del suo cellulare.

Andando a tentoni, quasi istintivamente, il ragazzo si tastò la tasca dei pantaloni, dalla quale estrasse l’ apparecchio. Sul display c’ era scritto “Mamma”, ma in quel momento il ragazzo non ricordava nemmeno chi fosse.

Sondando la memoria cercò di cercare informazioni su se stesso e su “Mamma”.

 

………..

……………Vuoto.

 

Non aveva più un singolo ricordo, la sua memoria era assente. Gli occhi si sgranarono di colpo a causa dello shock.

 

C-chi sono io?”

 

Come in risposta al suo richiamo, un pensiero veloce, un’ immagine sfuggevole gli mostrò per un attimo la sua identità

 

Ale..” balbettò, ma subito in quell’ immagine si venne a creare una sorta di interferenza, come se un altro pensiero si volesse sovrapporre al primo, per completarlo o sostituirlo.

 

Leck… io sono Alek

 

Il telefono squillava insistentemente, la voce del cantante era energica, selvaggia ma composta allo stesso tempo, il frenetico ritornello destò Alek dal suo torpore.

 

“Pronto?” rispose. Dall’ altro capo, una voce femminile sull’ orlo di una crisi isterica urlò parole che difficilmente Alek avrebbe potuto comprendere nello stato in cui si trovava.

 

“M- mamma?” disse dubbioso “Calmati, ti prego… sono molto confuso, puoi venirmi a prendere? Sono..” si guardò intorno “Sono in una discarica. Ti spiegherò tutto dopo.”

 

La madre disse qualcosa che Alek non comprese, dopodiché riattaccò.

Mentre aspettava la donna, il ragazzo cercò di inventarsi una scusa credibile, non riuscendo ad inventarsi nulla di coerente. (Ricordo come si parla, come ci si comporta nelle varie occasioni e molto altro, ma non ricordo nulla di me.. cosa diavolo mi è successo?) pensò.

Ad un certo punto gli venne un’ idea. Controllò i suoi documenti e cercò nel cellulare foto, contatti e video utili alla memoria. Scoprì quindi di chiamarsi Alessandro Borromini, vent’ anni. Nella foto del documento si intravedeva un volto serio, severo, più simile al viso di un generale dell’ esercito piuttosto che ad un ragazzo di vent’ anni. I capelli sembravano biondi, ma la foto era venuta male e non si riusciva a capire. Nel cellulare, invece, non vi era nessuna informazione utile.

Passarono all’ incirca cinquanta minuti prima che la madre di Alessandro arrivasse. Era una donna di circa quarant’ anni, non molto alta con i capelli lunghi raccolti in una coda di cavallo. Gli occhi erano marroni, a mandorla. Oggettivamente era proprio una bella donna, sebbene una cicatrice sulla guancia destra deturpasse, seppur minimamente, la sua bellezza.

Alek era intanto risalito fino al ciglio della strada dove si era seduto a gambe incrociate a rimirare i suoi abiti. Giacca e soprabito erano lerci, mentre il cappello, con grande sollievo per il proprietario, si era salvato. Aleck sentiva di avere un legame speciale con quel cappello, un borsalino di pregiata fattura appartenuto al padre di Alessandro, ormai passato a miglior vita. Ma questo non poteva sapere.

La madre di Alessandro scese dalla macchina. Rimase immobile a contemplare il ragazzo sporco davanti a lei, con aria quasi impassibile. Si accese una sigaretta e si limitò a dire:

 

“Di nuovo nei guai teppista?”

 

La voce era forzatamente calma,  un lucchetto arrugginito in procinto di cedere da lì a poco.

Il ragazzo non osò alzare lo sguardo, più che altro perché non sapeva cosa dirle.

 

“Andiamo a casa…” disse la madre

 

Il viaggio di ritorno a casa fu silenzioso, né la madre né il figlio si erano più rivolti la parola. Aleck non sapeva ancora formulare pensieri completamente lucidi, il suo cervello doveva fare pratica con un nuovo essere.

Sua madre, invece, era fin troppo abituata alle scorribande del figlio per fare domande che non risultassero scontate, dopo tutte le nottate passate a medicarlo dopo le sue risse.

Altri cinquanta minuti. La casa che fu di Alessandro era una piccola villetta a due piani. Il piano terra era occupato dalla cucina, il soggiorno e la sala da pranzo, mentre il secondo piano ospitava le camere dei suoi inquilini. La madre, di nome Lucile, si sedette in sala da pranzo tenendo gli occhi fermi sul ragazzo sporco che era seduto davanti a lei.

 

“Che è successo stavolta? Hanno di nuovo insultato il tuo cappello?” disse con fare quasi annoiato.

 

Il ragazzo inarcò un sopracciglio: si chiese se un cappello giustificasse l’ improvviso risveglio in una discarica fuori città.

 

“O magari hai avuto una discussione con qualche vecchia conoscenza…

 

“Non lo so.. Mamma”

 

“Mamma? E’ da cinque anni che non mi chiami più così.. devi essere proprio rincoglionito oggi”

 

C-come?”

 

“Di solito mi chiami Lucy, come la canzone “Lucy in the Sky with diamonds” dei Beatles

 

“Ah giusto..” rispose poco convinto

 

“Devi aver preso una bella botta se non ricordi nemmeno le tue strambe abitudini, e i Beatles.”

 

La discussione terminò pochi minuti dopo, lo stato confusionale in cui si trovava Alek non facilitava di certo la conversazione.

Ormai esausto, il corpo del ragazzo si diresse per inerzia verso la sua camera da letto, di cui aveva dedotto l’ ubicazione dalla scritta “Stanza di Alessandro” in caratteri occidentali e cubitali sulla porta.

Entrò.

La stanza era immersa nel buio, tralasciando il pallido chiarore lunare che creava dei chiaroscuri nell’ ambiente, distorcendo la realtà secondo la fantasia umana. Cos’ era dunque quell’ orco appoggiato alla parete, o quel piccolo essere dalle larghe spalle vicino al letto? Alek era troppo stanco e mentalmente confuso. Cercò a tentoni il letto e, una volta raggiunto, si abbandonò ad un sonno profondo.

Si svegliò verso mezzogiorno e mezza, aprì gli occhi di colpo, iniziandosi a tastare il corpo: non sapeva ancora come era fatto. Andò in direzione dell’ orco,  in realtà un grosso pendolo d’ epoca e si mise davanti allo specchio posto lì vicino.

Era piuttosto alto, circa un metro e novanta, la costituzione era robusta e la muscolatura molto sviluppata, forse anche troppo. Le spalle erano esageratamente larghe, le gambe dritte e possenti. (Sono un armadio a due ante..) pensò, senza nascondere la fierezza di avere un corpo così potente, da guerriero. Dopo essersi osservato il corpo con fare narcisista, Alek iniziò a scrutarsi il viso. Lineamenti duri, scavati, un volto di marmo adatto ad un generale o ad un killer. Occhi verdi senza luce, vitrei, privi di qualsivoglia scintilla vitale  In contrasto con quel volto scolpito nell’ assenza di vita, i capelli erano corti e ben pettinati all’ indietro, di colore biondo cenere, sebbene qualche ciocca qua e là tendesse misteriosamente al blu.

Stranamente la sua espressione gli risultò ambigua, ottenebrata da una nota di perfidia, nonostante faticasse a capirne il motivo.

(Sarò fatto così) concluse.

Indossato un paio di pantaloni poggiati sullo schienale di una sedia, Alek si diresse curioso verso la vita, non privo di una certa ansia.

Al piano di sotto, in cucina, sua madre gli aveva lasciato un biglietto attaccato al frigorifero in cui gli intimava di fare la spesa.

(Brutta storia, non so minimamente com’ è fatta ‘sta città.. andrò a tentativi) pensò.

Dopo una doccia ristoratrice Aleck indossò dei vestiti puliti e si diresse fuori, nel mondo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  
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