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Autore: Miss Halfway    23/06/2010    3 recensioni
REVISIONATA FINO AL CAPITOLO 5
«All'improvviso sentii un soffio gelido spirarmi sul collo, mentre una mano, altrettanto gelida, mi accarezzava i capelli e coi polpastrelli mi sfiorava la pelle. O forse no: quella mano dal tocco glaciale in realtà non mi stava affatto accarezzando i capelli ma me li stava semplicemente spostando delicatamente dal collo per scoprirmi la carotide, sfiorandomi appena. Continuavo a percepire un venticello fresco, nonostante ricordassi chiaramente di aver chiuso la finestra quella notte per via dei lupi che ululavano alla luna e gli spifferi di corrente andavano diffondendo nell'aria un profumo che avevo già sentito e che ormai conoscevo bene.» (cap. 11)
Streghe, vampiri, licantropi... Saranno solo vecchie leggende e sciocche superstizioni? O la realtà, in fondo, cela qualcosa di sovrannaturale? Cosa nasconde la biblioteca scolastica? Chi è il ragazzo misterioso e qual è il suo segreto?
In seguito alla morte della nonna materna, la quale lascia in eredità l'antica Villa dei Morgan, Meredith insieme alla sua famiglia allargata farà ritorno a Salem, sua città natale. Lì comincerà per lei una nuova vita alle prese con un potere sovrannaturale, sogni premonitori, bizzarre amicizie e il coinvolgimento in uno strano triangolo amoroso...
Genere: Mistero, Romantico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Incest, Triangolo
Capitoli:
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2) Ritorno a Salem.


    Chiunque avesse inventato il detto il buongiorno si vede già dalla mattina aveva pienamente ragione. Infatti, svegliarmi alle 4 del mattino per mettermi in viaggio verso una nuova vita, in una città di un altro stato lontano mille miglia insieme alla mia famigliola allargata, non fu certamente il preludio di una bella giornata.
    Non era ancora spuntata l'alba in quel lontano e freddo giovedì dell'11 marzo 2010: la data è ancora impressa nella mia mente. La data che segnò la mia nuova esistenza. N
onostante la stagione invernale stesse per volgere al termine e la primavera fosse alle porte, il fresco a quell'ora del mattino sapeva di inverno rendendo gelida e tetra anche la soleggiata e allegra Coral Spring. 
    Ancora assonnata ed infreddolita, insieme a mia madre, al suo nuovo marito e ai suoi due figli, Ashley e Jeremy Stanley, i miei odiati fratellastri, mi stavo preparando ad un lungo viaggio in auto di sola andata verso Salem, nello stato del Massachusetts. Prima di partire, mi voltai un'ultima volta a osservare la mia casa: un'unifamiliare bianca, dalle finestre blu e i tetti dalle tegole azzurre che i miei avevano comprato insieme circa tredici anni fa e che mio padre, dopo il divorzio, aveva lasciato a noi, forse questa fu l'unica cosa positiva che quell'uomo avesse fatto. Sebbene lì avessi vissuto anche momenti felici e mi sentissi un po' malinconica nel doverla lasciare e provassi quasi un senso di nostalgia e smarrimento, dovevo ammettere di essere eccitata all'idea di riniziare da capo in una città dove nessuno mi conosceva. 
    Lasciare la calda e frenetica Florida per trasferisci nella casa di mia nonna appena venuta a mancare, in una cittadina che, si racconta, fosse stata popolata dalle streghe, non era il massimo, fatta eccezione per me che, come ho già detto, il cominciare una nuova vita lontano da tutte quelle persone snob e abbronzate sempre con la puzza sotto al naso, era occasione di rinascita. Non ero particolarmente ben voluta 
a scuola, non che fossi mai stata bullizzata o presa di mira, anzi, ero piuttosto anonima e questo mio essere anonima e sentirmi quasi invisibile agli occhi dei miei coetanei forse era addirittura peggio. Il non essere considerati fa sentire inutili e inadeguati. Proprio per questo motivo non avevo molti amici e di conseguenza non avrei sofferto la mancanza di qualcuno. La mia migliore amica, Jane Andrews, si trasferì a Miami per motivi di lavoro del padre, dopo le scuole medie e, sebbene questa disti solo un'oretta di auto da Coral Spring, fu comunque difficile per noi, avendo tredici anni, vederci spesso e mantenere i rapporti. Né mia madre né i suoi genitori erano disposti a far 70km ogni qual volta avessimo voglia di stare insieme né erano disposti a lasciarci prendere il treno da sole. Così, a poco poco, smettemmo di vederci e di scriverci. Non ebbi più una migliore amica e gli anni del liceo furono appunto traumatici senza una figura a cui appoggiarsi e con cui confidarsi. Avere una migliore amica è fondamentale soprattutto a quell'età, per questo fantasticavo tanto sulla mia nuova vita Salem e non ero disperata nel dover lasciare lo Stato del Sole*.
    Al contrario invece, la mia sorellastra Ashley era affranta. Adorava Coral Spring, una ridente cittadina nel sud est della Florida. Lei, a differenza mia, era la classica ragazza tipo del liceo che si vede spesso nelle serie TV per adolescenti: capo cheerleader, non si perdeva mai nessuna delle feste studentesche, partecipava costantemente alle attività extra scolastiche ed ovviamente riusciva sempre a diventare la fidanzata del capitano di football o di qualche altro membro dell'élite scolastica. Ed ovviamente, era bellissima: magra e slanciata ma al tempo stesso formosa e proporzionata, i capelli biondi color miele e gli occhi un po' a mandorla e cangianti. Sua madre doveva essere molto bella, l'avevo vista in qualche fotografia appesa nello studio di Joseph e sia lei sia Jeremy, le somigliavano moltissimo. Quando seppe che ci saremo trasferiti a Salem, lontani dal bell'ambiente e dalla fama che si era costruita, scoppiò in un pianto disperato sottolineando il fatto che presto ci sarebbero state le competizioni e lei, essendo la capo cheerleader, non poteva affatto abbandonare la sua squadra. A nulla servirono i suoi piagnistei per convincere il padre a rimanere da sola a Coral Spring per l'ultimo sempre visto che aveva già diciotto anni e quell'anno si sarebbe diplomata. Odiò ancor di più me e mia madre per questo.
    Per quanto mi riguarda, invece, consideravo sventolare pon-pon per tifare la squadra di football e andare ai balli della scuola una cosa un po’ sciocca, dettato anche dal fatto che non avessi un minimo di grazia nei movimenti e soprattutto perché non avevo una fila di ragazzi dietro con cui andarci. La vita scolastica non mi faceva impazzire ed evitavo al massimo qualsiasi attività extra scolastica. Il problema di fondo nell'odiare la scuola, quella scuola, stava nel fatto che non trascorsi né un'infanzia né una adolescenza felice. Il che peggiorò quando entrarono a far parte della mia vita i miei fratellastri.
    Il loro padre, Joseph Stanley, un cardiologo affermato, sposò mia mamma tre anni fa, cinque anni dopo che il mio se ne andò di casa con un'altra donna a cui seguì, ovviamente, il divorzio con mia madre, Anna Morgan. Prima ancora di sposarsi con mia madre, Joseph venne a vivere da noi insieme ai suoi figli: Ashley, due anni più grande di me, e Jeremy, della mia stessa età, sedici. Nonostante gli anni trascorsi insieme, non avevo legato con nessuno dei due e non li consideravo miei veri fratelli ma ritenevo Joseph alla pari di mio padre. 
    
Il mio rapporto con Ashley e Jeremy rimase abbastanza stabile nel tempo, per lo meno fino a quando non ci trasferimmo a Salem. Sebbene tra noi non ci fossero mai stati seri litigi o grandi rivalità, o così facevamo intendere ai nostri genitori, certi legami non si possono forzare, soprattutto i legami non di sangue. Probabilmente, fra i due, se proprio devo essere sincera, andavo molto più d’accordo con Jeremy, ma per andare d'accordo intendo che fosse più sopportabile di sua sorella. Infatti, al contrario della mia sorellastra, Jeremy era un po' come me, un ragazzo piuttosto anonimo nell'ambiente scolastico e inoltre, sempre a differenza di Ashley, era molto introverso, riservato e taciturno. Quando non avevamo la scuola, trascorreva i pomeriggi chiuso in camera sua, di rado usciva e non aveva tanti amici né scoprii mai se avesse avuto qualche ragazza, da questo punto di vista eravamo simili ma non riuscivamo comunque ad entrare in sintonia. Come Ashley, anche lui aveva un fisico atletico e ben fatto, i capelli castano chiaro e due grandi occhi verdi tendenti all'ambra. Credo che, se solo l'avesse voluto, avrebbe avuto tutte le ragazze ai suoi piedi. A cena, l'unico momento in cui la nostra famiglia si riuniva, Jeremy stava sempre col muso e di malumore. Era abbastanza irascibile ed era meglio non farlo innervosire poiché poteva diventare davvero irritante. Ma solitamente era così taciturno che furono davvero poche le volte in cui lo vidi in preda alla collera. Era proprio un lupo solitario.
    Con Ashley invece, mi trovavo spesso in contrasto, ma mai nulla di grave: il fatto è che eravamo troppo diverse, con abitudini e idee differenti per avere qualcosa in comune di cui parlare. Inoltre l'aver dovuto condividere la mia stanza con lei per quasi tre anni la rese ancora più insopportabile. Insomma, per me lei era come le due sorellastre di Cenerentola in un corpo solo!
    Finalmente però, grazie a questo trasloco, le cose sarebbero cambiate ed ognuna avrebbe avuto i propri spazi e la propria stanza.
    In confronto a Coral Spring, Salem non era molto più piccola: aveva un terzo degli abitanti ma vi era molto poco da fare. Sebbene la città si affacciasse sulla costa dell'Oceano Atlantico, non dava di certo l'aria di essere una città di mare, con feste sulla spiaggia e divertimento assicurato. In passato ebbe, in un certo senso, la sua gloria, divenendo celebre per la caccia alle streghe indetta verso la fine del 1600. Adesso però, la sua fama non ne era che un lontano ricordo. 
    Quando ero bambina, mia nonna Elizabeth mi parlava spesso di queste cose e non mi spaventavano neanche un po’, anzi, a dirla tutta mi incuriosivano e mi affascinavano tantissimo. Ogni tanto la vedevo in cucina intenta a preparare chissà quale infuso o pozione. Ne ricordo una di formula, come se fosse ieri, poiché era quella che preparava più spesso: artemisia, aconito e verbena. La voce della nonna che ripeteva con voce flebile e gentile l'elenco di quelle tre erbe risuonava nella mia mente trascinando con sé tanta nostalgia. «Serve per tenere lontano il male, bambina mia», mi ripeteva. 
    Mia madre aveva vissuto a Salem con lei nella vecchia casa senza un padre (sembrava quasi che questa fosse una tradizione di famiglia), lei però nemmeno lo conobbe. Dopo generazioni si interruppe questa sorta di tradizione dei Morgan: sarà che quasi nessuna delle mie vecchie antenate si fosse sposata ma io fui la prima a prendere il cognome di mio padre: Spencer, Meredith Victoria Spencer. 
    Mio padre non era originario di Salem, ma di Coral Spring. Si trovava lì un semestre per un master di antropologia sul folklore tradizionale e conobbe mia madre che studiava invece archeologia. Si conobbero, si innamorarono e al termine dei suoi studi mio padre si stabilì a Salem dove si sposarono in municipio con un'intima cerimonia.
    Quando nacqui io, per circa tre anni, abitammo tutti insieme nella casa di mia nonna materna, con l'intento di comprare una bella casa lì a Salem non appena i miei avessero messo da parte una buona somma. Nell'attesa di trasferirci in una casa tutta nostra, vivemmo dalla nonna, in una villa grigia e un po’ tetra nelle vicinanze di un piccolo bosco, fino a che i miei genitori stanchi dei continui rumori e delle stranezze che succedevano nei dintorni, volarono dritti in Florida, lì a Coral Spring. Mia madre giurò che non successe mai nulla di tutto ciò quando ci abitavano solo lei e la nonna. Probabilmente mentiva.
    Quando avevo nove anni, mio padre, che nel mentre aveva trovato impiego come docente universitario di etnologia e faceva da tutor ad una giovane ed avvenente dottoranda, decise di andarsene di casa, con lei, lasciando me e mia madre da sole. Così divorziarono.
    Non capii all'inizio, quando vidi le valigie sulla porta e il suo studio (diventato poi camera di Jeremy) vuoto, perché se ne andò né seppi subito il motivo del perché ci lasciò così di punto in bianco, in fondo ero solo una bambina. Prima era solito mandarmi regali, farmi gli auguri di Natale e scrivermi lettere. Adesso era troppo se ricordava di telefonarmi il giorno del mio compleanno, tutta colpa della sua compagna, Angela.
    A distanza di anni, accettai il loro divorzio e fui felice che mia madre si fosse risposata. Joseph era davvero una brava persona, nonostante avesse due figli insopportabili.

***

    Eravamo in viaggio da ore ormai. 
    Il tempo sembrava non trascorrere in quel cubicolo e, pervasa dalla noia, avevo come l'impressione che stessimo andando a 3 km/h in autostrada. Avendo due macchine in famiglia, ci eravamo dovuti dividere: mia madre e Joseph nella jeep e io dentro quel rottame a quattro ruote di Jeremy insieme ad Ashley.
 Direi che attraversare a nuoto l'oceano da Coral Spring a Salem lungo la costa Atlantica sarebbe stato senz'altro più breve e meno noioso che stare ore e ore in due metri quadrati con i miei fratellastri. Ashley, ovviamente, si prese il posto migliore, cioè quello posteriore e io dovetti stare dietro schiacciata tra borsoni e valigie. Non potevo nemmeno rannicchiarmi per dormire un po' in modo da ingannare il tempo perché lo spazio era inesistente. Mentalmente, mi ripetevo che le cose sarebbero migliorate non appena arrivati e che tutto sarebbe andato per il meglio per farmi coraggio e placare, tra l'altro, il mio mal d'auto. 
    Dopo circa otto ore ci fermammo a Charleston, nel Carolina del Sud, per una lunga pausa per mangiare e per riposarci. Dopo due ore ci rimettemmo in marcia. 

    All'imbrunire facemmo un'altra pausa ad Edison, nel New Jersey, e passammo la notte in un motel. Salem non era più così lontana ma dovevamo riposare poiché avevamo guidato, a turno, tutta la giornata. Passammo a prendere un po' di cibo in una stazione di servizio prima di metterci a dormire, ma quasi nessuno mangiò, eccetto Jeremy che, come al solito, era incurante di tutto e di tutti. Joseph era troppo stanco, la mamma era affranta per la morte della nonna ed Ashley era furiosa e in lacrime che voleva tornare a casa. Non volevo sembrare insensibile, ero davvero triste per la nonna, ma vedendo il lato positivo questa era una svolta.
    La mattina seguente, verso le nove, ci rimettemmo in viaggio. Mancava proprio poco ormai.
    Nonostante tutto, il restante tragitto fu piuttosto tranquillo. Fortunatamente Jeremy era piuttosto silenzioso ed Ashley, seppur continuava a lagnarsi, si era rassegnata che almeno per ora non sarebbe tornata a Coral Spring. Inoltre, dopo tutte le strigliate dei nostri genitori affinché andassimo d'accordo, avevamo imparato tutti e tre ad essere tolleranti gli uni con gli altri. Escludendo il tempo usato per soffermarci una notte in motel a Edison e le varie pause ad ogni stazione di servizio che incontrammo lungo la strada, ci impiegammo circa un giorno e mezzo.
    Ero in trepidante attesa. Non vedevo l’ora di arrivare a casa della nonna e voltare pagina alla Florida: per quanto potesse sembrare strano, preferivo di gran lunga una cittadina stramba e tetra piuttosto che la perfetta e soleggiata Coral Spring. 
    Welcome to Salem, un enorme cartello posto a destra della strada ci avvertiva che eravamo giunti a destinazione. La mia nuova vita sarebbe ricominciata lì dov’era iniziata e dove l’avevo lasciata tredici anni fa, a Salem. Nonostante fosse stata spesso descritta come una città sinistra e infausta appariva in realtà piuttosto accogliente. Alla fine quelle che venivano raccontate erano solo vecchie leggende e poi il processo alle streghe fu indetto più di trecento anni fa.
    Ricordavo perfettamente la strada per arrivare alla casa della nonna, sebbene fossero passati molti anni, più che altro mi sembrava di intuire la direzione da seguire una volta giunti nel centro. Nella mia mente, indovinavo quando l'auto dei nostri genitori davanti a noi, girava a destra o a sinistra o di nuovo a destra in direzione della Villa dei Morgan.
    Eravamo arrivati. 
    Mia madre e Joseph parcheggiarono la jeep nel vialetto di fronte ad una grande casa grigia con le finestre dagli infissi scuri al numero 13 di Gemstone Avenue. Aveva l'aria di una villa in rovina abbandonata ormai da tempo, anche se la nonna era scomparsa solo pochi giorni prima, e il piccolo bosco di pini e abeti alle sue spalle la rendeva ancora più misteriosa. Avevo pochi ricordi dell'interno: ricordavo solo che avesse molte stanze perché mia nonna abitava insieme alle sue sorelle (ne aveva tre) e alla loro nonna, tutte fanatiche della stregoneria e tutte defunte, e una soffitta, dove non mi era permesso entrare perché, secondo la nonna, non era ancora giunto il momento. E io obbedii.
    Scendemmo tutti dalle rispettive auto guardandoci intorno spaesati.
    «Siamo arrivati» disse mia madre sorridente alzando le braccia per mostrare la nostra nuova casa mentre Joseph si accingeva ad aprire il cofano per scaricare i bagagli. Il corriere sarebbe arrivato l'indomani per portarci il resto delle nostre cose.
    Si avvicinò una donna tutta in tiro con indosso un bel tailleur viola e i capelli raccolti in un piccolo chignon.
    «Voi siete i coniugi Stanley? Salve, io sono Samantha, l'agente immobiliare» annunciò la signora venendoci incontro. Strinse poi la mano a mia madre e a Joseph e consegnò loro le chiavi. Si era occupata lei di contattarci e di far sì che la casa non venisse venduta, ecco perché ci eravamo trasferiti così in fretta e furia. Mia mamma non voleva assolutamente che quella villa, ormai appartenuta alla sua famiglia da più di due secoli, venisse messa all'asta. Noi eravamo le uniche eredi e non risiedendo a Salem, ci sarebbe stato il rischio che la Villa dei Morgan venisse venduta o peggio: demolita. Ero contenta e mi sentivo col cuore leggero, mi sembrò di essere veramente a casa mia come quando si va in vacanza e, una volta fatto ritorno, ci si sente davvero a casa propria con quell'atmosfera familiare e accogliente.
    Fui la prima ad entrare, non volevo rischiare che uno dei miei due fratellastri mi soffiasse la camera più bella perché volevo la stessa di quando ci abitavo tredici anni fa. Stava al secondo piano, nella parte opposta all'ingresso, e dalla finestra si potevano vedere gli alberi del bosco vicino nel retro dell'abitazione.
    La stanza che avevo scelto non era molto grande ma non mi importava: finalmente avrei potuto avere di nuovo la mia intimità e un armadio tutto mio. Sempre al secondo piano si trovavano le altre due camere da letto: Jeremy scelse quella affianco alla mia che aveva sempre la vista verso la foresta, Ashley si sistemò nella camera di fronte a me affianco al bagno, mentre al primo piano, quello sottostante, si trovavano la camera matrimoniale, un altro bagno, e un'altra stanza che Joseph sicuramente avrebbe adibito a studio. Un'altra rampa di scale in legno ormai dismessa portava alla soffitta, l'unica stanza del terzo piano, in cui non avrei messo piede per rispetto agli avvertimenti che la nonna mi faceva da bambina. Infine, al piano terra c'erano la cucina, il soggiorno, il salotto e un altro bagno.
    Poggiai la mia borsa sul letto come a voler marcare il territorio e tornai giù dagli altri.
    «Sembra...sembra una casa stregata! Bleah!», commentò la mia sorellastra fissando i tetti aguzzi della villa.
    «Beh almeno avrai una stanza tutta per te, Ashley» la rassicurò mia mamma. Anche lei, si vedeva chiaramente, era felice di essere di nuovo a Salem, a casa.
    «E tu, Jeremy, cosa ne pensi?» gli domandò.
    «Mmh» mugugnò facendo spallucce.
    Parlare con quel ragazzo era davvero difficile, non mostrava mai un minimo di entusiasmo. Erano quasi quattro anni che ci conoscevamo e sapevo ben poco di lui. A mio dire non era affatto timido, più che altro sembrava disinteressato a costruire un qualsiasi rapporto umano con chiunque. Suo padre ci aveva sempre detto che il suo carattere chiuso dipendesse prevalentemente dalla sofferenza che provava. Non aveva ancora superato la perdita di sua madre. Sua sorella invece era tutto il contrario di lui, caratterialmente parlando: era una ragazza allegra, ma molto cappricciosa, un po’ superba e viziata e prendeva tutto con superficialità. Forse lei nascondeva così il suo dolore. Jeremy invece, come detto, era introverso, parlava poco e quando diceva qualcosa lo faceva con un certo sarcasmo, quasi con l'intento di far innervosire le persone. Però la maggior parte del tempo se ne stava sulle sue. Io avevo sempre pensato che in fondo fosse più sensibile di quanto facesse trapelare perché voleva dimostrare di essere forte e di non aver bisogno degli altri. 
    Dopo aver scaricato tutti i bagagli i nostri genitori uscirono un attimo per sbrigare alcune commissioni: fare un po' di spesa, comprare delle lampadine nuove da sostituire a quelle fulminate, firmare dei documenti al municipio ecc. 
    Dalla mia stanza sentivo la voce stridula di Ashley lamentarsi con Jeremy su quanto fosse brutto questo posto e su quanto fosse triste per esser stata costretta a lasciare Jason, il suo fidanzato (il suo fidanzato del mese!) e le sue amiche cheerleader, o ancora quanto odiasse me e mia madre perché se avevamo traslocato a Salem fu soltanto colpa nostra.
    «Adesso basta! Smettetela!» gridai uscendo dalla stanza. 
    «Mer, non rompere ok? Sono libera di lamentarmi se ora ci troviamo in questo posto di merda!» sbraitò la mia sorellastra.
    «Mia nonna è morta, abbiate un po' di rispetto per favore!» dissi avvicinandomi minacciosamente al viso di Ashley, che, ahimè, era un tantino più alta e piazzata di me.
    «Non è una scusa per scombussolare così le nostre vite. Io avevo le gare e gli allenamenti e la mia squadra e il mio ragazzo mentre ora non ho niente!» urlò trattenendo le lacrime.
    Jeremy fece per dividerci ma io tornai in camera mia scuotendo la testa.
    Era forse la seconda volta che discutemmo così animatamente ed ebbi una voglia matta di strapparle quei bei boccoli d'oro da quella testa vuota. Capivo la sua rabbia, ma era grande ormai, aveva diciotto anni non poteva piagnucolare come una bambina e fare i capricci. La prima volta che litigammo successe anni fa, poco dopo che vennero a vivere da noi. Lei tagliò i capelli alle mie bambole di proposito. Non glielo perdonai mai. Avevo però promesso a mia madre di comportarmi bene con loro due anche nel rispetto di Joseph che mi voleva bene come se fossi davvero sua figlia e desiderava tanto che i suoi legassero con me.
    Quando sentii il rumore della jeep mi precipitai al piano di sotto facendo finta di nulla. Mia madre era visibilmente triste e Joseph con aria mortificata scaricava le buste della spesa.
    «Cos'è successo?» le domandai. Lei alzò lo sguardo e mi scrutò con aria malinconica, poi senza tanti giri di parole mi disse:«Domani c'è il funerale di nonna» e iniziò a singhiozzare ininterrottamente. Joseph le pose una mano sulla spalla per rassicurarla e mi fece cenno di uscire fuori a prendere le ultime buste della spesa.
    «Quanta roba!» esultò Ashley entrando in cucina seguita da Jeremy.
    «Shh! È per...la veglia» asserì il loro padre. I due ragazzi emisero un ah di delusione e iniziarono a sistemare le provviste insieme a me. 
    A cena eravamo tutti silenziosi. Mia madre non toccò minimamente la pizza che avevamo ordinato, Ashley stava attaccata al cellulare pigiando i tasti in maniera convulsiva, Jeremy era assorto nei suoi pensieri e giocherellava con la forchetta e la mozzarella fusa, Joseph mangiava in silenzio senza distogliere lo sguardo dal piatto e io li osservavo pensierosa. 
    La prima notte nella nuova casa trascorse serena e tranquilla, e lo potevo affermare con certezza perché non avevo chiuso occhio. Non c'era alcun rumore strano o inquietante, solo l'ululare dei lupi proveniente dal bosco che riecheggiava fin qui.

***

    Il funerale della nonna era l'indomani, Sabato 13 Marzo 2010, verso le quattro del pomeriggio, due giorni dopo che con la mia famiglia avevamo lasciato la Florida. 
    La mamma si era presa la briga di contattare le amiche della nonna, i pochi paresti rimastici dal ramo materno, ossia un cugino e sua moglie, e qualche altro conoscente per il funerale e per la veglia.
    La mattina prima della sepoltura, mi convinse ad andare con Ashley che di stile se ne intendeva a comprare un abito per l'occasione mentre lei rimaneva a casa per preparare il buffet della veglia.
    Al funerale, durante la deposizione della bara, c'erano poche persone: un uomo e due donne all'incirca dell'età di mia madre che rimasero tutto il tempo insieme a bisbigliare chissà cosa, una famiglia di afroamericani numerosissima (saranno stati in cinque fratelli, più i genitori, più una donna anziana), una signora sui trent'anni dai lineamenti orientali, probabilmente cinese, ed in fondo in disparte un'altra signora dall'aria familiare.
    Tutti i presenti avevano un'aria più che triste preoccupata, la donna asiatica stringeva i pugni e guardava in basso, la numerosa famiglia rimase sempre agglomerata e immobile e la donna in disparte si asciugava le lacrime con un fazzoletto di stoffa bianca.
    Dopo un po' Jeremy mi fece notare un uomo, anzi, un ragazzo, che da lontano, nascosto dietro un albero del cimitero mi osservava con aria aggressiva. Quando ricambiai l'occhiata svanì dietro il tronco e non lo vidi più. In quel momento non ci feci neanche caso, ero troppo impegnata a compiangere la nonna che purtroppo non avevo nemmeno avuto la possibilità di conoscere bene.
    Quando arrivammo a casa per la veglia, nel mentre che riempivo il mio piattino di plastica di cibo, si avvicinò una donna, quella che al funerale se ne stava in lontananza a piangere e che mi sembrava di aver già visto. 
    «Ciao, Meredith» disse abbozzando un mezzo sorriso.
    «Ehm, ciao, signora.» 
    Aveva un'aria così familiare e sembrava addirittura conoscermi. Mi scrutava con sguardo curioso e un po' titubante al tempo stesso.
    «Tu non mi conosci ma io sì. Povera Elizabeth, era una brava donna, non meritava affatto questa ignobile fine» asserì.
    «Lei chi è?» le domandai.
    «Ah, non importa cara. Sono qui solo per dirti una cosa: devi fare molta attenzione, questo posto è...»
    «Che ci fai qui, zia Sarah?! Vattene via per favore, il patto era che venissi solo in cimitero!» mia madre si intromise nella conversazione con quella donna urlandole contro di andarsene via. Prima che potesse proferire parola, mia madre le urlò di nuovo di andarsene e che non era affatto gradita in quella casa.
    Quella signora che mia madre aveva chiamato zia Sarah e che sembrava, oltre che conoscere me, sapere qualcosa sulla morte di mia nonna se ne andò via. Prima di chiudere la porta d'ingresso mi fissò ancora un po' e poi si raccomandò nuovamente di fare attenzione con un cenno della testa. Tutti gli invitati erano attoniti e dopo un'oretta se ne andarono via anche loro.
    «Chi era quella donna?» chiesi a mia madre nel mentre che l'aiutavo a riordinare.
    «Una sorella di tua nonna, una non molto gradita in famiglia.»
    «Mi avevi detto che erano tutte morte! Perché?» ma non mi rispose ed io non volevo forzarla. Non mi rivelò nemmeno la vera causa della morte della nonna ma si limitò a dire che aveva avuto un malore e che siccome in casa non c'era nessuno che avrebbe potuto soccorrerla, non si salvò.
    Non mi convinse neanche un po' e mille dubbi mi passarono per la testa. Perché quella reazione esagerata contro sua zia?
    Dovevo rivedere quella donna e chiederle spiegazioni, non ero una bambina e avevo il diritto di sapere come stavano realmente le cose.
    La mattina dopo, con la scusa di voler uscire a fare una passeggiata, andai al centro di Salem, mi sentivo come guidata dall'istinto e mi ritrovai di fronte ad una piccola bottega in fondo ad un vicolo. Due lanterne rosse con degli ideogrammi disegnati posti al lato dell'ingresso mi suggerirono che forse lì avrei trovato la donna che era ieri al funerale e che secondo me poteva aiutarmi. E così fu, nel senso lei c'era ma ovviamente non mi fu di grande aiuto.
    «Ciao, posso esserti utile?» mi chiese non appena entrai, poi osservandomi più da vicino mi riconobbe e mi domandò con aria un po' seccata cosa volessi.
    «Lei sa chi era quella signora che c'era ieri al funerale?»
    Ci pensò un attimo. Sapeva benissimo che era la sorella di mia nonna, in realtà rifletteva se dirmelo o meno perché aveva capito che sicuramente le avrei fatto qualche altra domanda, ma alla fine annuì.
    «Sa anche dove abita?»
    «Io non voglio impicciarmi negli affari che non mi riguardano, Ognuno ha la propria...corrente e la signora Morgan è una bravissima persona che non si interessa di cose...strane.»
    «Corrente? Cose strane?»
    «Ma sì, magia, stregoneria, cose così.»
    Da che pulpito proprio! Lei che vendeva spezie, pietre colorate, oggetti strani come scope e calderoni e aveva un gatto nero rannicchiato sulla soglia d'ingresso.
    «Conosceva anche mia nonna? Sa come è morta?»
    «Era una mia cara cliente. Ora, se ti dico dove abita la signora Morgan andrai via e cercherai di tenerti (e tenermi) fuori da queste cose?»
    Ovviamente risposi di sì, ma dovevo tenere d'occhio anche lei perché sembrava conoscere molte cose che temeva di rivelare.
    Quando uscii, chiuse il negozio e abbasso la saracinesca. Non capivo, ma continuai a camminare verso l'indirizzo che mi aveva dato.
    La signora Sarah Morgan viveva quasi dalla parte opposta della città rispetto alla villa dove abitava la nonna, al numero 38 di Port Drive Avenue.
    Bussai. La signora quando aprì, si stupì di vedermi e mi fece accomodare dentro. La sua casa era arredata in modo antiquato e l'ambiente odorava di cera per pavimenti e fumo di sigaretta.
    «Posso offrirti qualcosa?» disse. Non sembrava affatto stupita di vedermi.
    «No, grazie. Sono qui per chiederle di mia nonna.»
    «Mi spiace, non posso aiutarti. Ho sbagliato a venire al funerale, ti prego, è meglio se vai via.»
    «No, la prego io... Cos'è successo? Perché mia madre mi ha detto che tutte le sue zie erano morte?»
    «Ascolta, io non ci ho mai realmente creduto a certe dicerie ma quando alcune donne qui hanno iniziato a morire e poi è toccata la stessa sorte ad Elizabeth, mi sono ricreduta. E ora va, fa attenzione» disse chiudendomi la porta in faccia.
    Erano tutti così enigmatici qui, Salem trasudava mistero in ogni angolo, tutti sembravano avere dei segreti indicibili e io volevo scoprirli tutti.





Angolo autrice.
*Lo Stato del Sole: the Sunshine State, ossia il soprannome dello Stato Federato della Florida.

Credo che questo sia il capitolo che abbia modificato più volte. Lo so che è noioso e non trasuda molta sovrannaturalità e mistero, ho descritto situazioni normalissime come un trasloco o dei fratelli rompipalle o una zia zitellona.
Volevo giusto introdurre un po' il contesto, l'ambientazione e delineare il profilo di alcuni dei personaggi principali e non.
A presto (:
   
 
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