-
Davvero non vuoi venire? Guarda che la nave starà
già
salpando.
La figura distesa nel letto si
voltò verso il compagno che aspettava appoggiato allo stipite
della porta.
- Non ci penso nemmeno! Per me quel moccioso può
andarsene
all’inferno! Anzi, sai che ti dico? Già che ci sei
facci una bella, lunga gita
anche tu e lasciami dormire, che stanotte dovrò stare di
guardia alla rupe!
Salzius scrollò le spalle e richiuse in silenzio la porta.
Distaccato come
sempre… mi chiedo come faccia. Io al suo
posto avrei preso a pugni lo stronzo che mi avesse risposto
così.
Reda aspettò qualche altro minuto, poi
scalciò le
coperte con un solo, deciso gesto.
Passò una mano fra i folti capelli castani e li raccolse dietro la nuca, afferrò dal tavolo il
bracciale di cuoio su cui
aveva fissato una delle due estremità della sua catena
spezzata e lo strinse
attorno al polso destro.
Con un ultimo ghigno compiaciuto alla sua immagine nello
specchio scheggiato che adornava il muro di pietra della capanna in cui
viveva,
aprì piano la porta e uscì.
Non si curò di nascondersi o cercare passaggi defilati. Il
campo era completamente deserto.
Tutti a godersi
l’evento… beh, meglio così.
Cominciò a correre a perdifiato lungo la gola rocciosa che
dava accesso al campo, per poi infilarsi in
una stretta
fenditura seminascosta che si apriva poche curve prima della cala
rocciosa dove
era ancorata la nave.
Si fermò appena in tempo per non precipitare in fondo
alla ripida scarpata nella quale terminava il lungo passaggio in
discesa. Nella piccola insenatura di fronte, il traghetto si
accingeva a salpare con manovre lente e misurate per evitare di toccare
gli
scogli appuntiti appena sotto la linea di galleggiamento.
Reda si lanciò senza esitazioni nel vuoto, atterrando con salti
agili e sicuri fra i molti spuntoni della roccia millenaria, alcuni dei
quali
si sbriciolarono sotto la pressione del suo piede d’appoggio
che cercava lo
slancio per il balzo successivo. Quando finalmente toccò
terra sulla piccola
spiaggia rocciosa sotto il dirupo, la nave stava passando proprio
davanti
a lui.
A poppa, un ragazzo della sua età fissava il gruppetto
attardatosi nella cala, i lunghi capelli castano biondo scompigliati
dal vento,
la maglietta verde scuro che gli si gonfiava sul petto e il pesante
scrigno su
cui era incisa la figura di Andromeda fissato sulle spalle.
- Ehi! Femminuccia!
Anche da quella distanza, percepì lo sguardo dapprima
stupito e poi raggiante di due brillanti occhi verdi.
- Reda!
- Niente smancerie! Al volo!
In un lampo, estrasse dalla sacca che portava appesa al
fianco un piccolo fagotto e lo lanciò con tutte le sue forze
oltre il parapetto
della nave.
La mano del giovane Cavaliere lo afferrò di riflesso a
mezz'aria.
- Quello è il pegno! E ricorda… alla prima
cazzata ti spacco
la faccia, Shun!
- Buona fortuna anche a te! Spero di rivederti presto, Reda!
Per un attimo, quella risposta quasi coperta dal rumore dei
flutti e del motore dell'imbarcazione lo lasciò a bocca
aperta, così come
l'immagine di Shun che agitava verso di lui il braccio ricoperto dal
suo
bracciale sinistro, su cui scintillava l'altro troncone della catena.
Scoppiò a ridere, così forte che
quasi cadde
in acqua.
Acqua?
Fu solo allora che si accorse di essere corso dietro alla
nave per diversi metri e di trovarsi immerso tra i flutti fin quasi
alla vita.
Merda... proprio come in
quei film strappalacrime!
Sempre ridacchiando, Reda si accinse a risalire il dirupo. E questa come la spiego agli altri, adesso?
L’uomo sulla rupe continuò a guardarla a lungo
mentre a poco
a poco diventava un punto lontano dai contorni
indistinti.
Presto sarebbe sparita alla vista oltre l’orizzonte,
portando con sé
non solo un Cavaliere e una sacra armatura ma anche una parte di lui,
sei
anni della sua vita, una parte del suo futuro e della sfida che sentiva
di
aver lanciato all’eternità.
Sfiorò l'avambraccio incrinato della sua
armatura d’argento e avvertì ancora la potenza
sconvolgente di quel Cosmo,
concentrato in un unico colpo dalla potenza devastante.
Quella che Shun aveva scagliato contro la parete rocciosa
alle sue spalle era la forza della sua anima, l’essenza
stessa della sua
giovane vita, una tempesta di travolgente, irresistibile passione.
Persino il
ciottolo più piccolo pareva ancora fremerne, come se non
soltanto nel suo
cuore, ma anche in quello di roccia millenaria delle scogliere se ne
fosse
impresso l' indelebile ricordo.
- È giunto il
momento, Maestro... ritorno a Nuova Luxor
Cavaliere. Lo devo a voi... grazie... grazie per tutto quello che avete
fatto!
La voce di Shun era velata di commozione mentre prendeva
commiato.
- Una cosa sola mi devi
spiegare, prima di andartene.
Albione non si era voltato nési era mosso e il suo tono era stato
quello misurato e sereno di sempre ma, come aveva previsto e come
desiderava,
il suo allievo era trasalito.
Aveva stretto più forte nel pugno la sua catena d'argento
mentre gli aveva posto la domanda che lo aveva assillato e si era
tenuto dentro
sino ad allora.
- Sì.
È accaduto durante il Rituale di Andromeda: che cosa
non mi ha convinto della prova che hai sostenuto? Puoi dirmelo,
forse... perché
tu sai, sai di non aver acquisito il Cosmo delle Stelle prima di
cedere, prima
di perdere i sensi, ma molto prima. È così, ne
sono certo: hai raggiunto
coscienza di te già molto prima: eri cosciente di te quando
combattevi con Reda
e Salzius... del tutto cosciente.
La voce di Shun era bassa, ma nonostante ciò chiara e
decisa.
- Sì,
è così. Avete visto chiaramente, non posso
negarlo.
Non ne ho fatto uso contro Reda e Salzius soltanto perché
non volevo ferire due
compagni... loro hanno diviso con me gioie e delusioni
dell'addestramento...
ditemi, ho forse sbagliato?
Albione aveva alzato gli occhi al cielo limpido sopra di lui.
Era proprio il genere di risposta che ci si poteva aspettare da Shun. Da
una parte ne era
felice perché amava tutti i suoi discepoli e
sapeva di potersi
fidare come suo successore solo di qualcuno che li amasse altrettanto,
nell'eventualità che gli accadesse qualcosa... dall'altra,
era triste perché
quel suo allievo così puro e generoso sarebbe andato
incontro a numerose
indicibili sofferenze.
Fino al sacrificio estremo, se fosse stato necessario.
- C'è
dell'altro.
- Lo so. La forza che
contraddistingue Andromeda è vasta.
L'ho capito solo durante il rituale di Andromeda, però...
prima non mi era
chiaro, non del tutto, almeno... non del tutto!
Albione si era voltato verso di lui, lo aveva guardato dritto negli
occhi.
- Perché non
me ne hai parlato?
Ricordava bene la sua
confusione nello stesso periodo della sua vita: pochi anni in cui si
era
trasformato nel corpo e nello spirito, era cambiato nel carattere e nei
desideri, si era trovato a fare delle scelte fondamentali per la
propria
vita... e in cui, oltre a ciò, aveva dovuto prendere
coscienza di una forza
smisurata che gli cresceva dentro, giorno dopo giorno, imparare a
controllarla,
capire per cosa utilizzarla e come conviverci. Decidere che tipo di
uomo e di
Cavaliere sarebbe stato.
Pur desiderando con tutte le proprie forze di divenire un Sacro
Guerriero della Dea Atena, aveva avuto timore di
ciò che stava
diventando e lo addolorava il fatto che quel ragazzo così
sensibile avesse
attraversato tutto questo senza il conforto di una guida. Il suo conforto.
- Non è stato
per mancanza di rispetto, Maestro, non
pensatelo! Era solo per pudore, o forse per prudenza... e poi ero
convinto che
voi sapeste già. In ogni caso, posso mostrarvelo!
Aveva cambiato tono e posizione all'improvviso e Albione
aveva sentito l'aria intorno a sé fremere
nell'anticipazione di ciò che di lì
a poco sarebbe avvenuto.
- Ora, Maestro, vi
mostrerò il mio vero potere... come segno
di rispetto verso chi mi ha cresciuto nonostante le mie debolezze e ha
avuto
fiducia in me!
Rivide lo splendido guerriero che aveva contribuito a far nascere
mettersi in
posizione d'attacco, lo scrigno dell'armatura sulle spalle, i lunghi
capelli
che scintillavano sotto il sole, lo sguardo perso nella magia infinita
che
stava scaturendo da lui e confluendo in lui.
Risentì l'espansione del suo Cosmo ardente, fino ai limiti
estremi e poi oltre, la sua esplosione in un mare di luce e la
pressione di un
colpo che non aveva visto partire sfiorargli il braccio e abbattersi
sulla
parete rocciosa alle sue spalle, travolgente come le tempeste che
d'inverno
flagellavano senza sosta l'isola.
Era una potenza devastante, superiore a ogni sua
immaginazione.
Aveva mantenuto un ferreo autocontrollo, non si era mosso di
un passo e non aveva battuto ciglio, ma gli era costato uno sforzo non
indifferente.
Per alcuni lunghissimi attimi, nessuno di loro si era mosso
o aveva parlato. Poi June era arrivata per condurre Shun alla nave.
- Allora addio,
Maestro... - aveva detto Shun voltandosi verso di lui ancora
una volta e
cercando con lo sguardo un suo segno d'approvazione come faceva sin
da
bambino - Io non vi dimenticherò
mai.
Albione gli aveva sorriso, con gli occhi che bruciavano ma
che sapeva sarebbero rimasti asciutti.
-Voi sapevate ma non mi
avete mai mosso rimprovero... grazie
anche di questo.
Lo aveva osservato ancora per qualche attimo, imprimendosi
nel cuore ogni suo lineamento, ogni particolare di quella creatura per
lui
tanto meravigliosa, prima di mandarla incontro al proprio destino come
era suo
dovere.
-Vai...
Shun si era incamminato tranquillo accanto a June e lui era
rimasto a osservarli da lontano mentre scendevano fianco a fianco il
ripido
sentiero verso la baia.
- Addio, discepolo...
è un Cosmo dotato di grande vitalità
il tuo, me ne compiaccio. Una soltanto è la mia
preoccupazione: riuscirai a
usarlo una volta che ne avrai acquisito appieno la forza o preferirai
piuttosto
il sacrificio in nome dei tuoi ideali di pace?
Il pensiero non lo aveva abbandonato e, quando la nave non
fu più in vista, Albione ebbe la netta impressione che non
lo avrebbe mai più
rivisto.
Ancora, quella specie di intuizione... lampi dorati e petali
di rose rosse nella sua mente, in un turbine confuso.
Scosse la testa per scacciare quei pensieri indesiderati e
sfregò il braccio sotto il bracciale in
frantumi dell'armatura.
Ci sarebbe voluto un bel po’ perché le crepe si
richiudessero e altrettanto perché il livido violaceo che
gli si stava formando
sull'avambraccio smettesse di fargli male.
Salva la tua vita a
tutti i costi!
- Cancella il tuo destino, trova tuo fratello e vivi una
vera vita! Addio, Sacro Guerriero di Andromeda... Addio, Shun!
Il solito albatro gli rispose con un grido acuto e un battito d’ali mentre voltava le spalle al vasto orizzonte
color zaffiro. I suoi allievi lo stavano aspettando, altri futuri
Cavalieri... altri che avrebbe salutato in silenzio allo stesso modo,
altre
parti di sé da cui presto o tardi avrebbe dovuto separarsi,
forse per sempre.
Altri per il cui futuro avrebbe sempre sperato,
temuto e pregato negli anni a venire.
Sto davvero
invecchiando... pensò ridendo fra sé e
sé.
Si impose di smetterla con il sentimentalismo e si
incamminò a passo sicuro fra le alte rocce scoscese.
June
voltò le spalle al mare scintillante non appena la nave
scomparve dalla vista dei suoi occhi velati dalla maschera e da
qualcos'altro
che li faceva bruciare offuscandole la visione.
E così era successo davvero, alla fine.
Shun era diventato il Cavaliere di Andromeda ed era partito
per cercare suo fratello e incollare i cocci di una vita che il capriccio
di un
vecchio pazzo aveva distrutto più di sei anni prima.
Spero che tu ci riesca.
Purtroppo nutriva seri dubbi al proposito: Ikki era stato
mandato in un luogo che aveva distrutto il corpo e lo spirito di uomini
ben più
adulti e forti di un ragazzino di tredici anni, per quanto maturo e
già
temprato dalle avversità.
Sospirò, Non voleva nemmeno pensare a come avrebbe potuto
reagire Shun alla notizia della morte del suo adorato fratello, un
essere tanto
amato da essere stato il suo sostegno durante quei lunghi, difficili anni pur trovandosi fisicamente dall'altra parte del mondo.
Le aveva parlato così tanto e così a lungo di Ikki
che le
pareva addirittura di conoscerlo da una vita, come se fosse stato il suo fratello maggiore.
Glielo aveva descritto così bene che, ne era ormai certa,
nel caso lo avesse anche solo incrociato per strada, lo avrebbe riconosciuto senza la
minima
incertezza da un gesto o da un'occhiata.
Un'ennesima ondata di rabbia tutta rivolta alla persona di
Mitsumasa Alman Kido Duca di Thule e alla sua degna nipote la
attraversò da
capo a piedi, subito sostituita da una grande tristezza per una persona
che non
avrebbe mai conosciuto eppure che sentiva vicina e per un'altra che era
tutta
la sua vita e che ora si allontanava da lei per andare
incontro
al dolore più grande che avesse mai provato in tutta la sua
vita.
Si fece largo fra i compagni attardatisi nella cala a
chiacchierare del più e del meno e oltrepassò a
passo svelto la rupe su cui due
di loro avrebbero passato buona parte della giornata fissando il mare
immoto,
rispondendo automaticamente al cenno di saluto di uno di loro.
Ricordò le volte in cui aveva svolto lo stesso servizio
insieme a Shun: di solito, lei si annoiava a morte, mentre a lui
piaceva starsene lassù lontano da tutti a rimirare lo
spettacolo dell'oceano.
Di certo, lo preferiva al dover combattere contro gli altri
allievi, anche solo per allenamento.
L'anfiteatro naturale in cui solo il giorno prima aveva
combattuto contro Reda e Salzius le si stagliava ora davanti e lei lo
rivide
bambino, pieno di lividi e tagli, chinato nella polvere dopo ogni
scontro, gli occhi colmi di lacrime di dolore e umiliazione che cercava di trattenere.
All'inizio aveva pensato, come tutti gli altri del resto,
che lui fosse semplicemente negato per la lotta: aveva perso il conto
di quante
volte lo aveva raccolto ferito e quasi privo di sensi dal campo
d'allenamento e
di quante volte, pur soffrendo perché se le avesse dato
retta avrebbe dovuto
separarsi per sempre da lui, lo aveva supplicato di tornarsene a Nuova
Luxor,
di dimenticare l'armatura e vivere la vita normale e pacifica che aveva
sempre
sognato.
Una volta era addirittura arrivata a frustarlo a sangue,
insultandolo con tutta la rabbia e la cattiveria che aveva potuto,
urlandogli
che, se non era nemmeno in grado di evitare la sua frusta e di
rispondere ai
suoi colpi, sarebbe morto al suo primo scontro. Aveva addirittura
tentato,
insieme a Reda e Salzius, di fare in modo che il Maestro lo rimandasse
indietro
a forza, sostenendo che non solo era inadatto a diventare Cavaliere ma
che addirittura
rallentava la loro maturazione come guerrieri con la sua
incapacità.
C’era stato un periodo in cui si era chiesta, con rabbia,
come potesse un uomo acuto e obiettivo come Albione non accorgersi che
quel ragazzo non era e non sarebbe mai
stato all'altezza di diventare un Sacro Guerriero, come potesse avere
fiducia in lui
quando lui per primo non ne aveva alcuna ed era sostenuto solo da una
vaga
promessa fatta tanti anni prima.
Ma il Maestro non lo aveva rimandato indietro e lui aveva
perseverato, dolce e testardo come sempre, senza piegarsi alle
suppliche né
alle minacce… e alla fine ce l'aveva fatta.
Sia lei che i suoi compagni, adesso, dovevano prendere atto
della veridicità delle valutazioni del Maestro e rendere
omaggio alla
perseveranza del loro compagno.
Arrivò alla spiaggia, fino allo scoglio solitario su cui lui
era solito sedersi ogni mattina osservando l'alba e sognando di partire
per ricongiungersi a suo fratello.
Sarebbe stato strano capitare di lì al mattino o osservare
quella roccia dal posto di guardia e vederla vuota.
Sarebbe stato strano non vederlo seduto in un angolo intento a
pulire le sue catene, a sistemarsi le fasce sugli avambracci e fra le
dita o ad
allenarsi a colpire le rocce con la sua arma.
Le sarebbero mancati il suo sguardo ammirato quando la
osservava usare la frusta, le lunghe chiacchierate al chiaro di luna,
le
fatiche condivise e persino quei momenti in cui lo rimproverava curandogli le
ferite e lui, come sempre, rifiutava di arrendersi all'evidenza,
facendola arrabbiare e preoccupare al limite della sopportazione.
Forse qualcosa di tutto ciò sarebbe tornato, un giorno, ma
non sarebbe stato più lo stesso.
Tutto era cambiato. Loro erano
cambiati.
Ripensò agli eventi della sera prima.
Il futuro, in quel momento, le appariva ancora incerto, ma
meno spaventoso di un tempo. Come Shun, lo avrebbe affrontato fino in
fondo,
con la consapevolezza di non essere sola, la speranza nel cuore e la
ferma
determinazione a proteggere coloro che amava.
Accarezzò la sua frusta, determinata più che mai
a diventare
un Cavaliere.
Si sedette e con passò la mano sulla roccia.
Sotto la sua mano era scolpita una rozza stella all'interno
della quale era incisa una scritta:
Y
O U
R S E
V E R
NdA: il dialogo tra Shun ed Albione è tratto in gran parte dall'episodio n. 70 "La Rosa Nera" della serie animata.
Per adesso, questa storia è conclusa. Mi scuso per il ritardo nell'aggiornamento.
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Disclaimer: fanfic basata sul mondo ed i personaggi di "Saint Seiya", creato da e (c) Masami Kurumada.
Tutti i diritti per questi personaggi sono (c) Masami Kurumada, Toei Animation e probabilmente un mucchio di altra gente.
Il loro utilizzo in questa storia non implica appoggio, approvazione o permesso da parte loro.
Siccome questa storia è stata pensata e scritta da una fan per altri fan, prego di non plagiarla, di citarmi come autrice in caso di pubblicazione altrove e di non ridistribuirla a pagamento. Grazie!