Uno.
Berlino
offre di tutto. Locali, musei, arte, storia, buone scuole ed
università. C’è
lavoro per tutti e tutti conducevano una vita più o meno
normale e tranquilla.
Una
canzone italiana dice “c’è chi studia
per l’esame all’università, chi si
sposerà, chi ha il cuore spaccato a
metà”*.
La
persona che camminava per strada nel freddo invernale di Berlino era
proprio
iscritta all’università, con eccellenti risultati.
Riusciva ad alternare
perfettamente la vita sociale, gli amici, le passeggiate al parco, le
birre,
con lo studio e gli esami. I suoi amici dicevano che studiava troppo e
che i
libri lo sciupavano. Effettivamente, era molto pallido, con un
espressione
perennemente fiaccata e triste. Ma in verità era in ottima
salute. Non era mai
stato all’ospedale per malattie gravi.
Non lo
faceva di certo apposta ad avere quell’espressione, che
difficilmente cambiava.
Era difficilissimo sorprenderlo o farlo ridere davvero di gusto. Sapeva
sorridere, sì, ma grosse risate non le aveva mai fatte,
anche con tutta la
buona volontà. Per scherzare diceva che ridere troppo lo
rendeva brutto.
Cavolate che si dicono con gli amici. In realtà aveva le sue
buone ragioni.
Ogni
volte che usciva dall’università per tornare a
casa doveva per forza
attraversare il parco. Gli piaceva, soprattutto d’inverno.
C’era aria di neve.
Era il suo passatempo preferito mettersi le mani in tasca e camminare,
a passo
lento, guardando dritto davanti a sé, godendosi la brezza
fredda sul viso
mentre i pensieri volavano. Era come se si sfogasse silenziosamente con
la
natura e nessuno poteva disturbarlo.
Lui era
uno di quei ragazzi che credevano che la vita era solo un insieme di
coincidenze. Era tutto dovuto al caso, cose come il destino non
esistevano. Non
c’era scritto nulla nelle stelle, tantomeno si metteva a
scriverle l’uomo. Il
caso muoveva tutto, senza eccezione alcuna, illudendo con maestria
l’uomo di
renderlo capace addirittura di scegliere le proprie carte.
Il caso che gli si presentò quel giorno
era una ragazza che, appostata sotto un albero, si guardava intorno
come alla
ricerca di un qualcosa che non arrivava.
Non
voleva essere incluso in quella massa di menefreghisti. O semplicemente
non
riusciva a farsi i fatti suoi. Comunque, si avvicinò a
quella ragazza
chinandosi di poco.
« Posso
aiutarti? » chiese con tono calmo e gentile.
A
quella ragazza brillarono gli occhi dallo stupore. Sorrise, e col suo
tono di
voce alto disse. « Sì, grazie. »
Sembrava
una ragazza della sua stessa età, quindi non servivano toni
cortesi. Il ragazzo
si chinò al suo fianco, scoprendo così
cos’era successo; un animale ferito. Un
animale piuttosto ambiguo, che non si vede tutti i giorni al parco,
specie
d’inverno e in pieno giorno.
« Dei
bambini lo stavano torturando credendo che fosse una
pignatta… »
Sembrava
profondamente dispiaciuta.
Lui
ignorò velocemente quel dettaglio e si dedicò
all’animale, toccandolo con cura.
« Non è
grave, per fortuna. Dovrà stare a riposo per un bel
po’ di giorni. Basta solo
levargli questo… » aprì bene
l’ala dell’animale e, come se potessero capirsi,
disse. « Farà un po’ male, eh.
» tolse con un colpo secco un lungo ago che era
rimasto incastrato, facendo schiamazzare l’animale, la
ragazza, accanto a lui,
si impaurì di poco, indietreggiando.
«
Doveva fare un casino male! »
« Ora
basta solo fasciarlo… Ma non ho delle bende a disposizione.
»
« Va
bene anche uno straccio qualunque? »
« Sì,
basta un qualcosa che blocchi la fuoriuscita del sangue. »
La
ragazza sorrise, con un’aria compiaciuta. « Ah,
meno male! » si tolse
velocemente il foulard leopardato che indossava e fasciò in
men che non si dica
l’ala del povero animale.
Il
ragazzo la guardò sorpreso; lui non l’avrebbe mai
fatto. Quella ragazza
sembrava così menefreghista, come se i vestiti non fossero
per nulla
importanti. Insomma, dava l’aria di una che poteva benissimo
uscire nuda o coi
primi stracci che trovava. Guardandola sommariamente si accorse che
portava un
grosso blocco da disegno con sé. Artisti. Tutto si spiegava.
« Così
va bene? » chiese poi. Il ragazzo si ridestò,
annuendo. Entrambi si alzarono,
lui con in braccio la bestiola.
«
Grazie infinite! Se non fossi arrivato tu, questo pipistrello sarebbe
morto! »
« Non
era in pericolo di vita. Comunque, basta che riposi un po’, e
potrà tornare a
volare tranquillo. »
« Come
sei preparato! » fece lei con un’aria sbigottita.
«
Studio medicina. » rispose lui con calma, ma lei si sorprese
ancora di più,
stupendosi inutilmente.
« Ah, lo
dicevo io che avevi un’aria troppo cervellotica! Tutto si
spiega! Eccezionale,
l’hai guarito subito! »
Aria
troppo cervellotica. Tipico degli artisti.
In quel
momento lui si sentì in dovere di riscattarsi del troppo
cervellotico.
« Tu
frequenti l’accademia? »
Lei
annuì, cambiando subito espressione, mostrandosi quasi
professionale,
gongolandosi nel fatto che qualcuno aveva avuto la briga di
accorgersene. Non
che fosse difficile, con quel blocco da disegno formato A3.
« Da
quest’anno. » allungò la mano, con un
sorriso gentile. Nonostante le stranezze
da artista, sapeva relazionarsi con gli altri. « Nike*.
Piacere di conoscerti. »
Lui
rispose alla stretta di mano, con una presa non troppo forte. « Ulquiorra.
Piacere mio. »
«
Quindi, studi medicina? » non perdeva tempo per
chiacchierare. Che tipo strano,
ma Ulquiorra giustificava tutto col suo essere artista.
« Sì,
mi sto specializzando come veterinario. »
«
Devono piacerti molto gli animali, allora. »
«
Aiutavo spesso mio nonno nel suo negozio di animali. E tu cosa
studi…? » chiese
con un certo imbarazzo.
« Oh,
faccio un po’ di tutto, ma adoro dipingere. Per ora ho scelto
scultura, pittura
e scenografia. »
Quando
la ragazza si accorgeva che si stava per creare un silenzio
imbarazzante,
cercava di coprire il tutto con un imbranato “e
insomma…”. Ulquiorra, d’altra
parte, non vedeva più nessuna ragione per restare a parlare
con quella perfetta
sconosciuta. Gli mise davanti il pipistrello, ma la ragazza, arrossendo
e
attorcigliandosi una ciocca dei capelli corvini, disse. « Un
momento! Io non
posso tenerlo! Non c’è spazio a casa e…
»
« Non
ha bisogno di spazio. Basta che di notte lo lasci libero per fargli
mangiare
qualcosa. »
« Se
torno a casa con un pipistrello mi danno in pasto ai coyote! »
« Ma
non c’è pericolo. Se gli fai fare qualche visita
poi… »
« Mi
dispiace, ma non posso proprio. »
Ulquiorra
non insistette oltre. « Capisco. »
«
Tu
vivi da solo? » chiese Nike ingenuamente.
« Sì. »
rispose. Lei non si mostrò sorpresa, come se si aspettasse
una risposta simile.
Artisti; decisamente incomprensibili per lui. Ulquiorra
sospirò, ritraendo le
braccia. « E va bene, lo terrò io
finché non si riprende. »
Lei
fece un piccolo salto. « Meraviglioso! Poi mi fai sapere come
sta? »
« Uh…
Okay… »
«
Beeeeeenissimo! » afferrò la borsa e, dopo una
lunga ricerca, tirò fuori un
cellulare, di quelli appena usciti in commercio, ma pieno di graffi e
con un
pezzetto di scotch attaccato al coperchio. Per renderlo goffamente
più carino,
ci aveva attaccato sopra uno strap a forma di Pucca. Doveva essere
particolarmente pasticciona, notò Ulquiorra. « Mi
dai il tuo numero? »
Ulquiorra
sembrò quasi cascare dalle nuvole. « …
Eh? »
« Non
credo che capiterà più di vedersi in certe
circostanze. Così, almeno, mi fai
sapere. Tanto non hai l’aria di essere un molestatore, e se
pure facessi
qualcosa, ti denuncerei per molestie in men che non si dica. »
Era un
personaggio decisamente fuori dal comune, ma Ulquiorra cercò
di non dare a
vedere tutto il suo stupore. Era abile nel mascherare ciò
che pensava realmente
delle persone. Gli sembrò per un attimo di vivere in un
sogno. Impossibile che
al mondo esistesse davvero gente come lei. Si sentiva quasi un alieno.
Gli
artisti facevano quest’effetto.
Con
calma, prese dalla tasca un foglietto. « Tieni, ti lascio il
mio biglietto. »
disse con tono quasi professionale. La ragazza lo afferrò,
leggendo con
difficoltà.
« Il
marinaio Ulquiorra?* »
«
Schiffer. » appuntò lui.
« Oh,
ma certo. » disse lei con naturalezza, noncurante della
figuraccia appena fatta.
Poi diede un’occhiata all’orologio. Nonostante
tutti avessero sostituito
quell’aggeggio con il telefonino da un bel pezzo, lei portava
ancora un
elegante e piccolo orologio color oro. « Meglio che vada, se
no chi la sente
quella paranoica di mia madre? Allora siamo d’accordo
così; fammi sapere come
sta, okay? »
«
D’accordo… »
Nike
corse subito via, salutando il ragazzo con una mano. « Grazie
ancora per
l’aiuto! » disse, come se il pipistrello fosse
sempre stato suo e non un
randagio incrociato casualmente per strada.
Ulquiorra
buttò poi lo sguardo sul pipistrello, che ricambiava con
un’aria sofferente.
« Sei
fortunato. » disse. « Varrà la pena
darti un nome? »
Non
ebbe il tempo di fermarsi a casa di qualche amico o in qualche locale.
Non con
un pipistrello. Qualche suo conoscente lo aveva visto e lui la
buttò sul fatto
che serviva ai suoi studi, come se dovesse mettere in chiaro subito che
non
aveva fatto il buon samaritano.
Appena
arrivò a casa, avvolse l’animale con una copertina
abbastanza vecchia,
posandogli accanto un piattino d’acqua. Si buttò
poi sul grande divano, in
salotto, guardandosi intorno.
Viveva
in quell’appartamento da quando aveva diciotto anni. appena
finito il liceo, fece
subito le valigie, e si trasferì a Berlino alla ricerca
dell’indipendenza, dal
paesello in provincia in cui viveva. Stava bene, aveva ottenuto
ciò che voleva,
l’università, un lavoro e una casa propria. Il
cerchio di amici ce li aveva,
anche se stava bene attento con loro. Non era solito aprirsi troppo o
fare
troppo confessioni, tant’è che nessuno sapeva
nulla dei suoi parenti o di ciò
che aveva fatto prima di arrivare a Berlino.
Era
molto geloso delle sue cose, e per fortuna intorno a lui lo avevano
capito.
Ora,
però, era arrivata una certa Nike a mollargli un
pipistrello. E doveva pure
preoccuparsi di farle sapere. Che poi non sapeva come avrebbe fatto; le
aveva
lasciato il biglietto, ma non aveva il suo numero, e-mail, nulla. Ma in
fondo
non era un problema. Si ridestò dalla stanchezza della
giornata grazie ai versi
dell’animale.
« Te lo
dico subito, chirottero*; a me piace il silenzio. Se vuoi vivere
serenamente
qui, farai meglio a stare zitto più tempo possibile.
»
Il
pipistrello, come se l’avesse davvero capito, tacque subito.
Ulquiorra fece un
piccolo sorriso compiaciuto. « Bravo. Credo che noi due
andremo d’accordo. »
Dopo
cena, accese per un po’ il computer, trovandosi una mail.
Credendo di trovarsi
di fronte alle ennesime promozioni di qualche fregatura,
aprì svogliatamente la
cartella, ma si trovò una sorpresa. Non sapeva dire se bella
o brutta.
«
Ciao, sono Nike. Non ho soldi per una
chiamata, così ho pensato di mandarti una mail.
L’indirizzo era scritto sul tuo
biglietto. Comunque, il pipistrello come sta? »
Non
perdeva tempo. Ulquiorra sbuffò, iniziando a premere
velocemente sulla
tastiera.
«
Ciao. Non mi aspettavo una mail così
presto da te. Ti avevo detto che ti avrei fatto sapere io. comunque il
pipistrello sta bene. »
La
risposta arrivò dopo neanche due minuti. Velocissima.
«
Meno male, sono contenta! Grazie ancora
per tutto. vieni a trovarmi all’accademia, qualche volta!
»
Lo
trattava come se fossero amici di vecchia data. Non temeva gli
sconosciuti? Non
si sentiva sfacciata?
Ulquiorra
nemmeno rispose. Spense tutto, buttandosi poi sul letto, accendendo col
telecomando lo stereo che a volume alto inondò la stanza di
musica.