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Autore: Novelist Nemesi    25/06/2010    4 recensioni
Ho provato a pensare alla vita di Ulquiorra Schiffer prima di diventare un hollow, ossia quando era un umano. Ecco il primo capitolo della mia mente quasi perversa. « Artisti. Tutto si spiegava. »
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Schiffer Ulquiorra
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Uno.

Tutti conoscono Berlino. La capitale della Germania. Molti dicono “è un bel posto, ma non verrei mai a viverci”. Ci sono svariate ragioni; il cibo non è buono come quello italiano, il tempo non è bello come quello dei Carabi, i tedeschi non sono simpatici come gli spagnoli, o non sono galanti come i francesi, o sono più freddi degli inglesi. Ebbene; non è vero niente. la stragrande maggioranza parla perché non è mai stata all’Oktoberfest. Poi, c’è tedesco e tedesco. Ci sono i classici spilungoni biondi e occhi azzurri che si danno un sacco di arie e quelli bassi e mori che sono più ingenui. Si va da un estremo all’altro, il mondo in fondo è grande e Berlino non ha solo tremila abitanti.
Berlino offre di tutto. Locali, musei, arte, storia, buone scuole ed università. C’è lavoro per tutti e tutti conducevano una vita più o meno normale e tranquilla.
Una canzone italiana dice “c’è chi studia per l’esame all’università, chi si sposerà, chi ha il cuore spaccato a metà”*.
La persona che camminava per strada nel freddo invernale di Berlino era proprio iscritta all’università, con eccellenti risultati. Riusciva ad alternare perfettamente la vita sociale, gli amici, le passeggiate al parco, le birre, con lo studio e gli esami. I suoi amici dicevano che studiava troppo e che i libri lo sciupavano. Effettivamente, era molto pallido, con un espressione perennemente fiaccata e triste. Ma in verità era in ottima salute. Non era mai stato all’ospedale per malattie gravi.
Non lo faceva di certo apposta ad avere quell’espressione, che difficilmente cambiava. Era difficilissimo sorprenderlo o farlo ridere davvero di gusto. Sapeva sorridere, sì, ma grosse risate non le aveva mai fatte, anche con tutta la buona volontà. Per scherzare diceva che ridere troppo lo rendeva brutto. Cavolate che si dicono con gli amici. In realtà aveva le sue buone ragioni.
Ogni volte che usciva dall’università per tornare a casa doveva per forza attraversare il parco. Gli piaceva, soprattutto d’inverno. C’era aria di neve. Era il suo passatempo preferito mettersi le mani in tasca e camminare, a passo lento, guardando dritto davanti a sé, godendosi la brezza fredda sul viso mentre i pensieri volavano. Era come se si sfogasse silenziosamente con la natura e nessuno poteva disturbarlo.
Lui era uno di quei ragazzi che credevano che la vita era solo un insieme di coincidenze. Era tutto dovuto al caso, cose come il destino non esistevano. Non c’era scritto nulla nelle stelle, tantomeno si metteva a scriverle l’uomo. Il caso muoveva tutto, senza eccezione alcuna, illudendo con maestria l’uomo di renderlo capace addirittura di scegliere le proprie carte.
Il caso che gli si presentò quel giorno era una ragazza che, appostata sotto un albero, si guardava intorno come alla ricerca di un qualcosa che non arrivava.

Non voleva essere incluso in quella massa di menefreghisti. O semplicemente non riusciva a farsi i fatti suoi. Comunque, si avvicinò a quella ragazza chinandosi di poco.
« Posso aiutarti? » chiese con tono calmo e gentile.
A quella ragazza brillarono gli occhi dallo stupore. Sorrise, e col suo tono di voce alto disse. « Sì, grazie. »
Sembrava una ragazza della sua stessa età, quindi non servivano toni cortesi. Il ragazzo si chinò al suo fianco, scoprendo così cos’era successo; un animale ferito. Un animale piuttosto ambiguo, che non si vede tutti i giorni al parco, specie d’inverno e in pieno giorno.
« Dei bambini lo stavano torturando credendo che fosse una pignatta… »
Sembrava profondamente dispiaciuta.
Lui ignorò velocemente quel dettaglio e si dedicò all’animale, toccandolo con cura.
« Non è grave, per fortuna. Dovrà stare a riposo per un bel po’ di giorni. Basta solo levargli questo… » aprì bene l’ala dell’animale e, come se potessero capirsi, disse. « Farà un po’ male, eh. » tolse con un colpo secco un lungo ago che era rimasto incastrato, facendo schiamazzare l’animale, la ragazza, accanto a lui, si impaurì di poco, indietreggiando.
« Doveva fare un casino male! »
« Ora basta solo fasciarlo… Ma non ho delle bende a disposizione. »
« Va bene anche uno straccio qualunque? »
« Sì, basta un qualcosa che blocchi la fuoriuscita del sangue. »
La ragazza sorrise, con un’aria compiaciuta. « Ah, meno male! » si tolse velocemente il foulard leopardato che indossava e fasciò in men che non si dica l’ala del povero animale.
Il ragazzo la guardò sorpreso; lui non l’avrebbe mai fatto. Quella ragazza sembrava così menefreghista, come se i vestiti non fossero per nulla importanti. Insomma, dava l’aria di una che poteva benissimo uscire nuda o coi primi stracci che trovava. Guardandola sommariamente si accorse che portava un grosso blocco da disegno con sé. Artisti. Tutto si spiegava.
« Così va bene? » chiese poi. Il ragazzo si ridestò, annuendo. Entrambi si alzarono, lui con in braccio la bestiola.
« Grazie infinite! Se non fossi arrivato tu, questo pipistrello sarebbe morto! »
« Non era in pericolo di vita. Comunque, basta che riposi un po’, e potrà tornare a volare tranquillo. »
« Come sei preparato! » fece lei con un’aria sbigottita.
« Studio medicina. » rispose lui con calma, ma lei si sorprese ancora di più, stupendosi inutilmente.
« Ah, lo dicevo io che avevi un’aria troppo cervellotica! Tutto si spiega! Eccezionale, l’hai guarito subito! »
Aria troppo cervellotica. Tipico degli artisti.
In quel momento lui si sentì in dovere di riscattarsi del troppo cervellotico.
« Tu frequenti l’accademia? »
Lei annuì, cambiando subito espressione, mostrandosi quasi professionale, gongolandosi nel fatto che qualcuno aveva avuto la briga di accorgersene. Non che fosse difficile, con quel blocco da disegno formato A3.
« Da quest’anno. » allungò la mano, con un sorriso gentile. Nonostante le stranezze da artista, sapeva relazionarsi con gli altri. « Nike*. Piacere di conoscerti. »
Lui rispose alla stretta di mano, con una presa non troppo forte.  « Ulquiorra. Piacere mio. »
« Quindi, studi medicina? » non perdeva tempo per chiacchierare. Che tipo strano, ma Ulquiorra giustificava tutto col suo essere artista.
« Sì, mi sto specializzando come veterinario. »
« Devono piacerti molto gli animali, allora. »
« Aiutavo spesso mio nonno nel suo negozio di animali. E tu cosa studi…? » chiese con un certo imbarazzo.
« Oh, faccio un po’ di tutto, ma adoro dipingere. Per ora ho scelto scultura, pittura e scenografia. »
Quando la ragazza si accorgeva che si stava per creare un silenzio imbarazzante, cercava di coprire il tutto con un imbranato “e insomma…”. Ulquiorra, d’altra parte, non vedeva più nessuna ragione per restare a parlare con quella perfetta sconosciuta. Gli mise davanti il pipistrello, ma la ragazza, arrossendo e attorcigliandosi una ciocca dei capelli corvini, disse. « Un momento! Io non posso tenerlo! Non c’è spazio a casa e… »
« Non ha bisogno di spazio. Basta che di notte lo lasci libero per fargli mangiare qualcosa. »
« Se torno a casa con un pipistrello mi danno in pasto ai coyote! »
« Ma non c’è pericolo. Se gli fai fare qualche visita poi… »
« Mi dispiace, ma non posso proprio. »
Ulquiorra non insistette oltre. « Capisco. »

« Tu vivi da solo? » chiese Nike ingenuamente.
« Sì. » rispose. Lei non si mostrò sorpresa, come se si aspettasse una risposta simile. Artisti; decisamente incomprensibili per lui. Ulquiorra sospirò, ritraendo le braccia. « E va bene, lo terrò io finché non si riprende. »
Lei fece un piccolo salto. « Meraviglioso! Poi mi fai sapere come sta? »
« Uh… Okay… »
« Beeeeeenissimo! » afferrò la borsa e, dopo una lunga ricerca, tirò fuori un cellulare, di quelli appena usciti in commercio, ma pieno di graffi e con un pezzetto di scotch attaccato al coperchio. Per renderlo goffamente più carino, ci aveva attaccato sopra uno strap a forma di Pucca. Doveva essere particolarmente pasticciona, notò Ulquiorra. « Mi dai il tuo numero? »
Ulquiorra sembrò quasi cascare dalle nuvole. « … Eh? »
« Non credo che capiterà più di vedersi in certe circostanze. Così, almeno, mi fai sapere. Tanto non hai l’aria di essere un molestatore, e se pure facessi qualcosa, ti denuncerei per molestie in men che non si dica. »
Era un personaggio decisamente fuori dal comune, ma Ulquiorra cercò di non dare a vedere tutto il suo stupore. Era abile nel mascherare ciò che pensava realmente delle persone. Gli sembrò per un attimo di vivere in un sogno. Impossibile che al mondo esistesse davvero gente come lei. Si sentiva quasi un alieno. Gli artisti facevano quest’effetto.
Con calma, prese dalla tasca un foglietto. « Tieni, ti lascio il mio biglietto. » disse con tono quasi professionale. La ragazza lo afferrò, leggendo con difficoltà.
« Il marinaio Ulquiorra?* »
« Schiffer. » appuntò lui.
« Oh, ma certo. » disse lei con naturalezza, noncurante della figuraccia appena fatta. Poi diede un’occhiata all’orologio. Nonostante tutti avessero sostituito quell’aggeggio con il telefonino da un bel pezzo, lei portava ancora un elegante e piccolo orologio color oro. « Meglio che vada, se no chi la sente quella paranoica di mia madre? Allora siamo d’accordo così; fammi sapere come sta, okay? »
« D’accordo… »
Nike corse subito via, salutando il ragazzo con una mano. « Grazie ancora per l’aiuto! » disse, come se il pipistrello fosse sempre stato suo e non un randagio incrociato casualmente per strada.
Ulquiorra buttò poi lo sguardo sul pipistrello, che ricambiava con un’aria sofferente.
« Sei fortunato. » disse. « Varrà la pena darti un nome? »
Non ebbe il tempo di fermarsi a casa di qualche amico o in qualche locale. Non con un pipistrello. Qualche suo conoscente lo aveva visto e lui la buttò sul fatto che serviva ai suoi studi, come se dovesse mettere in chiaro subito che non aveva fatto il buon samaritano.
Appena arrivò a casa, avvolse l’animale con una copertina abbastanza vecchia, posandogli accanto un piattino d’acqua. Si buttò poi sul grande divano, in salotto, guardandosi intorno.
Viveva in quell’appartamento da quando aveva diciotto anni. appena finito il liceo, fece subito le valigie, e si trasferì a Berlino alla ricerca dell’indipendenza, dal paesello in provincia in cui viveva. Stava bene, aveva ottenuto ciò che voleva, l’università, un lavoro e una casa propria. Il cerchio di amici ce li aveva, anche se stava bene attento con loro. Non era solito aprirsi troppo o fare troppo confessioni, tant’è che nessuno sapeva nulla dei suoi parenti o di ciò che aveva fatto prima di arrivare a Berlino.
Era molto geloso delle sue cose, e per fortuna intorno a lui lo avevano capito.
Ora, però, era arrivata una certa Nike a mollargli un pipistrello. E doveva pure preoccuparsi di farle sapere. Che poi non sapeva come avrebbe fatto; le aveva lasciato il biglietto, ma non aveva il suo numero, e-mail, nulla. Ma in fondo non era un problema. Si ridestò dalla stanchezza della giornata grazie ai versi dell’animale.
« Te lo dico subito, chirottero*; a me piace il silenzio. Se vuoi vivere serenamente qui, farai meglio a stare zitto più tempo possibile. »
Il pipistrello, come se l’avesse davvero capito, tacque subito. Ulquiorra fece un piccolo sorriso compiaciuto. « Bravo. Credo che noi due andremo d’accordo. »
Dopo cena, accese per un po’ il computer, trovandosi una mail. Credendo di trovarsi di fronte alle ennesime promozioni di qualche fregatura, aprì svogliatamente la cartella, ma si trovò una sorpresa. Non sapeva dire se bella o brutta.

« Ciao, sono Nike. Non ho soldi per una chiamata, così ho pensato di mandarti una mail. L’indirizzo era scritto sul tuo biglietto. Comunque, il pipistrello come sta? »
Non perdeva tempo. Ulquiorra sbuffò, iniziando a premere velocemente sulla tastiera.
« Ciao. Non mi aspettavo una mail così presto da te. Ti avevo detto che ti avrei fatto sapere io. comunque il pipistrello sta bene. »
La risposta arrivò dopo neanche due minuti. Velocissima.
« Meno male, sono contenta! Grazie ancora per tutto. vieni a trovarmi all’accademia, qualche volta! »
Lo trattava come se fossero amici di vecchia data. Non temeva gli sconosciuti? Non si sentiva sfacciata?
Ulquiorra nemmeno rispose. Spense tutto, buttandosi poi sul letto, accendendo col telecomando lo stereo che a volume alto inondò la stanza di musica.

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* Gente che spera – Articolo 31 e Sud sound system.

* Nike in tedesco significa vittoria.

* Schiffer in tedesco significa marinaio.

 * I chirotteri sono un ordine di mammiferi placentati comunemente noti come pipistrelli. Visto com'è informato il nostro Ulquiorra? :B

Commento; come stavo dicendo, ecco il primo capitolo del frutto delle mie fantasie su Ulquiorra umano. Spero di rendere al meglio questa storia, senza trascurare ovviamente Possiedo un obiettivo, dunque vivo. Solo che quando ho un’idea ecco, la sviluppo subito.
Trattandosi di pure fantasie e di un AU, vi sembrerà che Ulquiorra possa andare un tantino OC… Anche se cercherò, come al solito, di rendere al meglio e il più fedelmente possibile il suo carattere.
Per quanto riguarda Nike, inizialmente l’avevo scritturata come una rozza artista, ma l’ho addolcita, cercando di renderla più eccentrica, come se vagasse sempre nel suo mondo. Ah, artisti. Finalmente un personaggio che disegna come me, con cui posso entrare davvero in sintonia. Non sto più nella pelle.
Ho scelto di intitolarlo in tedesco, visto che ho sempre pensato che Ulquiorra avesse quelle origini ( tra l’altro il cognome è tutto tedesco! ); significa prima del nulla. Perdonatemi, ma non ho sfornato nient’altro di abbastanza convincente. E non so se si dice proprio così, LOL.
Mi farebbe piacere leggere i vostri pareri; ero abbastanza indecisa se pubblicarla o no, ma alla fine vale la pena provare, no? (:

  
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