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Autore: Maura85    15/09/2005    6 recensioni
La mia prima storia originale! Non è stato facile classificarla, dato che il mio fantasy è piuttosto... fuori dagli schemi.
Un breve riassunto? Questo racconto - che non è niente di più di un esperimento, ed è per questo che vi prego, vi imploro di darmi consigli per migliorarmi sempre di più - narra delle avventure di Mia e Nake, due personaggi anch'essi piuttosto fuori dalle righe, che spero gradirete conoscere attraverso le mie parole.
Vi prego, lasciatevi trascinare nel mondo della mia fantasia... e scusatemi se l'inesperienza mi farà commettere molti errori! Confidando nella vostra indulgenza, vi lascio al primo capitolo. Dove Nake incontrerà Mia.
Genere: Avventura, Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO SECONDO

L’assoluta mancanza di suoni, definita con il sostantivo silenzio, può sembrare una cosa elementare: c’è silenzio, punto.
Sbagliato.
Come sapete, noi umani, nella nostra foga di affibbiare significati nascosti ad ogni più piccolo dettaglio, abbiamo ideato un’incredibile moltitudine di silenzi: quello eloquente, quello dignitoso, o addirittura quello chiassoso, che sa tanto di ossimoro.
In quel momento, Nake, su una stretta via che conduceva a delle grandi mura scorgibili in lontananza, aveva l’onore di sperimentare uno dei più terribili: il silenzio imbarazzato.
Si voltò, sbirciandola di sottecchi: Mia camminava con sicurezza, affondando lo stivale nella neve sino alla caviglia; sembrava quasi non badare al fatto d’essere in compagnia, o comunque decisamente troppo poco vestita per quelle basse temperature. Lo sguardo del demone si perse nuovamente nell’audace scollatura che, grazie alla propria altezza al di fuori dalla norma, poteva sbirciare beatamente; infine, con uno sforzo incredibile, represse l’animo maniaco che albergava in lui, e si decise ad intavolare una conversazione.
Aprì la bocca, per parlare, ma fu interrotto da un grande, enorme suono. Un suono che fece trasalire anche la fanciulla, e che riecheggiò nella via innevata e deserta. Sembrò il sordo ringhiare di un orso affamato, o una valanga pronta a staccarsi dalla sommità del monte. E proveniva da.. da…
Mia alzò un sopracciglio, mentre Nake si portò imbarazzato una mano sul ventre, che in effetti era l’origine del terribile brontolio.
“Fame?” S’incuriosì.
“Beh sì, un po’…”
“Allora andiamo. Mi offri il pranzo.” Fu la sommaria decisione, e nuovamente lei s’incamminò.
“Cosa?” S’affrettò a seguirla. “Perché dovrei offrire io?”
“Perché tu sei un baldo cavaliere, e io un’innocente, fragile fanciulla…” Quando parlava, aveva sempre l’accortezza di fermarsi, voltandosi a fissare negli occhi l’interlocutore; inoltre, aveva un accento particolarissimo. Una sorta di flessione naturale delle parole su una nota elegante e fluida. Sì, doveva essere una specie di fantoccio creato con le arti oscure: non c’era altra spiegazione a tanta, dannata, perfezione!
“Innocente e fragile? A quanto ne so, hai quasi accoppato un figlioccio di Conte, in quel paesino…” Ma lei aveva già ripreso la strada, e Nake, di nuovo senza un come un perché, si era affrettato a seguirla. “E poi non sono un cavaliere, ma un demone!”
“Per quel che ne so io, i demoni non si disturbano a salvare fanciulle.” Senza saperlo, aveva toccato un tasto davvero dolente. Lui tacque, oscurandosi. E lei non vi badò.
Il nero confine alto cinque o sei metri che divideva l’insediamento urbano dal resto del mondo si fece sempre più grande nella loro visuale. Mia aguzzò lo sguardo, scorgendone il simbolo che lo contraddistingueva. Ogni città-stato del continente orientale aveva la mania di costellare le mura con il proprio stemma, e per la ragazza, scandalosamente incapace dal punto di vista dell’orientamento, questa tradizione rappresentava una manna: riconosceva le città non tanto dalla loro posizione geografica, quanto dai diversi animali e alberi faticosamente incisi sulle fredde mura esterne.
Anche in questo caso, non appena distinse un leone e un cervo impegnati in una bizzarra lotta per la sopravvivenza ed elegantemente aggrovigliati tra rami di vite montana, comprese immediatamente quale insediamento urbano avessero davanti: l’aveva visitato circa due settimane prima e… beh, diciamo che il figlio del Conte derubato nell’altro paese in confronto era una sciocchezzuola. A ritornare dentro quelle mura avrebbe rischiato la pelle, come minimo.
“Almeno spero di ricavare qualcosa ad offrirti un pranzo!” Borbottò infine Nake, completamente all’oscuro dei pensieri della nuova compagna di viaggio.
“Qualcosa, cosa?” S’incuriosì lei, concedendogli però un minimo della sua attenzione: il resto della mente era impegnato ad elaborare uno stratagemma per entrare in città e uscirne con tutte le membra al posto giusto. Di evitarla non le passava proprio per la mente: glielo dicevano sempre, da bambina, che prima o poi la sua cocciutaggine e il suo orgoglio l’avrebbero fatta ammazzare. Quindi perché rimandare tale evento?
E poi, aveva quel grande e grosso babbeo dalla sua… In pochi avrebbero osato dirle o farle qualcosa, con un simile bestione al fianco.
“Qualcosa… beh, qualcosa, no?” Le passò un braccio attorno alle spalle, cingendola a sé, facendo scivolare una mano dai lunghi artigli verso il suo petto… mano che fu scacciata con noncuranza, come una mosca impertinente.
“Che cosa credi?” Lo rimbeccò lei. “Non so che idea tu ti sia fatta di me, ma…”
“Adesso vuoi farmi credere d’essere casta e pura?” Si abbassò alla sua altezza, puntandole naso contro naso. Un’azione che faceva molto sono maschio e sono virile, ma l’atmosfera fu nuovamente interrotta da un nuovo gorgogliare da parte del suo stomaco.
“Allora offri tu?” Mia si allontanò prontamente. “Se vuoi, come ricompensa ti offro il braccetto…”
“Ma che razza di ricompensa è?” Però le offrì comunque il braccio, e sentendo le sue forme che si stringevano a lui, ebbe movimenti sanguinei piuttosto anomali; dissimulò alla meno peggio la reazione e si avviò con lei verso le porte della città, ormai prossime.
Mia dentro di sé rise della beata ingenuità del demone.

“Sai? Ho come la sensazione…” S’interruppe, guardandosi ancora nervosamente attorno. Per la sua natura non propriamente umana – era demone, sì, anche se solo per un quarto – non gli era mai piaciuto particolarmente stare in mezzo alla folla; ed oggi si sentiva più che mai a disagio, forse a causa delle occhiate fulminanti che due abitanti su tre rivolgevano alla formosa compagna di viaggio. “Non so, mi sembra che…”
“Guarda! Una locanda! Allora, pranziamo?” Mia, apparentemente ignara di tutto ciò, lo trascinò all’interno, usando ora il braccetto come una specie di tirante; ma entrare in quel locale non proprio di lusso di certo non li salvò dalle espressioni a metà tra lo stupito e il furioso di tutti quelli che la fissavano.
“Dì, ma perché tutti ti guardano come se ti volessero sgozzare?” Sussurrò a mezza voce, sedendo a un piccolo tavolo, di fronte a lei.
“Probabilmente perché è così.” Aprì la carente lista dei cibi, e la consultò con tutta la tranquillità del mondo. “Credo che, se potessero, mi avrebbero già uccisa. Oh, c’è il vino di Hokelia! Che bontà!”
“Vogliono ammazzarti! E te ne stai lì, tranquilla?”
“Cosa vuoi che ti dica?” Si poggiò allo schienale della sedia, accavallando le gambe, un sorriso furbetto stampato in faccia. “Secondo le regole della cavalleria, tu sei il mio accompagnatore. Quindi, se hanno qualcosa da dirmi, prima devono rivolgersi a te!”
“Rivolgermi a me, in che senso…?” La risposta gli giunse quando una spada gli puntò la gola, pungendolo con la lama affilata. “Accidenti a te…” Ringhiò, oltremodo innervosito dalla risata divertita della donna.
  
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