Vi state annoiando? Ebbene,
mi scuso infinitamente, ma dovrete farlo ancora per un altro capitolo. La
storia entra nel vivo dal prossimo, se proprio di storia si può parlare. Comunque, prometto un aggiornamento più veloce, la prossima
settimana, mi sono resa conto di starmela tirando un po’ troppo... excusez-moi di nuovo. Buona lettura (cioè...
sempre relativamente...).
Capitolo II – Compendi
d’ubbidienza
Il silenzio della cucina
sembrava più pesante del solito, quella mattina. Lo avvertì incombere sul suo
capo a pochi passi dalla porta.
Sentì un fruscio provenire
dalla stanza di cui ancora non poteva vedere l’interno. Mrs. Greystone doveva essersi accorta della sua presenza, lì
fuori. La chiamò con la sua voce impura ma ferma, da mezzosoprano.
-
Entra, Ginevra.
La ragazza esitò qualche
secondo, colta alla sprovvista dall’invito. Voleva forse parlarle di qualcosa?
Il cliente della sera trascorsa se n’era già andato qualche ora prima, e lei
aveva trovato i soldi sul comò, alzatasi dopo il lungo tempo a letto. Che non fosse rimasto soddisfatto?
Oppure non era passato dalla donna, che ora esigeva la sua
parte?
Quella, alzata dietro al
solito tavolo, aveva le mani appoggiate alla spalliera della sedia che occupava
di consueto. Quando fu sicura di avere su di lei gli
occhi ambra di Ginny, le indicò un’altra sedia, di fronte alla sua, facendole
segno di accomodarsi. Ginny obbedì, silenziosa e circospetta, rimuginando e
vagliando ancora le ipotesi possibili sulla chiamata della padrona.
-
Caffè?
Lei scosse la testa.
La donna verso un po’ del
contenuto della caffettiera nella sua tazza semivuota, si sedette ed iniziò a
sorseggiare, guardando Ginny da un po’ più in basso.
-
Gli affari stanno
andando bene. Sei diventata brava.
Ginny annuì senza rispondere,
tentando di capire dove l’altra voleva andare a parare.
-
Quel Nott dell’altra sera era un mangiamorte. – scuoteva
meccanicamente il liquido caldo nella tazza, quasi pensierosa.
-
L’avevo notato. –
assentì, ricordando la pesante ombra a forma di teschio sull’avambraccio che
l’aveva accarezzata.
La donna continuò a guardarla
con gli occhi acuminati e scrutatori.
-
C’è un certo
movimento in questo periodo, da quella parte. Hai già una certa fama. Nott non è stato il primo a venire qui.
E non sarà l’ultimo.
La luce proveniente dalla
lampada sopra di loro tingeva la stanza di un giallo vivido ma sgradevole,
rendendo vaghi i contorni di ciò che le circondava.
-
Suppongo tu
sappia già quello che sta succedendo. Si stanno formando gli schieramenti, da
entrambe le parti, ed il gioco si fa sempre più pericoloso. Soprattutto
per due povere donne sole come noi. – piccole rughe di un sorriso
stretto e affilato come una tagliola le si formarono
agli angoli delle labbra.
Ginny sorvolò
sull’inquietante lampeggiare sulla bocca dell’altra reprimendo un brivido,
aggrottò la fronte e intrecciò le mani. Sapeva quello che le avrebbe detto,
adesso.
-
Abbiamo bisogno
di quella protezione, Ginevra cara. Ti raccomando di comportarti bene.
Ti raccomando di comportarti bene...
Avrebbe voluto scacciare via
quelle parole che la tormentavano da quando si era, come ogni giorno, chiusa la
porta alle spalle e mescolata in mezzo alla folla di
rumori assordanti e visi indistinguibili.
Qualcosa le era riaffiorato
sul cuore, qualcosa che le sembrava di non sentire da tanto tempo, che aveva
scacciato e soffocato per l’ultima volta in quella lontana sera di Novembre.
Ginny Weasley ora riassaporava
tra il fastidioso sollievo per il fragoroso brusio intorno e il chiaro
sottofondo della sua malinconica sofferenza, il pungente dolore del dubbio.
Non aveva avuto problemi ad
accettare la sua “nuova vita”, o così aveva ripetuto più volte a se stessa,
nonostante spesso avvertisse quanto tutto ciò che stesse passando sembrava uno
dei tanti terribili modi di morire che le si erano
presentati davanti allora.
Aveva sepolto le sue antiche
certezze sotto le lacrime già piante e si era accinta a ricominciare, se così
poteva dirsi ciò che stava facendo. Ma ora, esse si
ripresentavano davanti a lei più vivide e pressanti di prima, ingigantite dal
tempo. E Ginny, spossata dall’acuto tormento di quelle
mute domande, appena girato l’angolo, si abbandonò sul ciglio della strada,
all’ombra di una grondaia arrugginita semi-staccata dal muro portante, si prese
la testa fra le mani e lasciò che il fiume in piena dei suoi dubbi la
invadesse.
Quando aveva accettato di
fare... beh, sì, la prostituta, del
resto era proprio questo quello che era, non era forse
vero?, si era detta solamente che forse alla fine avrebbe potuto farcela, si
trattava di non pensare pur di
continuare a vivere, e la scelta era
stata tra vita e morte, o così le era sembrato. Insomma, chiunque l’avrebbe
fatto! ...o no?
Ma non era questo il punto. Aveva voltato le spalle alla
sua famiglia quando non era ancora troppo tardi (forse), per decidere che ne aveva avuto abbastanza di loro ed aveva bisogno di
indipendenza. Ma ora... non era proprio il suo sé che avrebbe rinnegato in nome di una
protezione? In nome di se stessa?
Probabilmente c’era qualcosa
di troppo oscuro perché potesse capirvi qualcosa. O
era semplicemente tutto troppo chiaro e abbagliante.
Sarà per questo che non riesco a
guardare in faccia la realtà. Ho sempre la sensazione che sia
lei ad avere la possibilità ed il potere di scrutarmi in viso, quando meno ne
sono consapevole. Dov’è chi mi dovrebbe spiegare cosa
fare, in questo momento? Dov’è chi l’ha sempre fatto?
Una fitta alla testa le fece
ricordare chi e cosa si era lasciata indietro. Si aggrappò con forza ai
capelli, come usualmente lasciati sciolti sulle spalle, chiuse gli occhi e
cercò di piangere, invano.
Rimase lì, tentando di dare
una forma alla sfibrante angoscia che le palpitava in più parti dello stomaco,
non riuscendovi, gli occhi tersi da rapace notturno asciutti e doloranti.
E forse sarebbe rimasta accasciata per terra per tutto
il tempo che le era rimasto, su quell’angolo di sudiciume gratuito, come uno
dei tanti rifiuti che riempivano incuranti del mondo e di se stessi i margini
della via.
Se, alzando lo sguardo vacuo dal terreno dello stesso
colore del suo mantello, non si fosse accorta di qualcosa di inusualmente familiare in mezzo al fiume sconosciuto che
scorreva incostante davanti a lei.
Senza accorgersene, era
finita in una zona da cui fino a quel momento aveva preferito tenersi lontana
da quando abitava a Diagon Alley, pur di non perdersi in mezzo al profondo mare dei
ricordi inevitabili; quella dei negozi più frequentati del centro, quelli in
cui, come tanti studenti prima e dopo di lei, era entrata il giorno precedente
all’inizio di ogni suo nuovo anno ad Hogwarts.
E ora, davanti ai suoi occhi, che fissava con smodata e
nervosa attenzione la vetrina del Ghirigoro,
c’era qualcuno che in quel momento non sapeva se sarebbe stata felice di
vedere.
Proprio lì davanti, agitato e
insicuro mentre si voltava a scatti a destra e a sinistra più per abitudine che
per altro, c’era Harry Potter.
Non si mosse, sorpresa, la
mascella bloccata a mezz’aria. Si chiese cosa ci facesse lì, cosa facesse. Fece per avvicinarsi, quindi si
bloccò di nuovo, pensierosa. Non l’aveva
vista, o perlomeno, non dava alcun segno di averlo fatto.
Stette ancora ferma a
fissarlo, indecisa sul da farsi, quando il ragazzo a pochi metri da lei si
mosse e cominciò a camminare. Ginny si portò il dito indice alla bocca, per
tormentarsi il labbro inferiore; lasciò che egli mettesse qualche altro metro
tra loro e cominciò a seguirlo.
Sembrava fosse solo, e
sembrava anche che ciò lo agitasse. Camminava a zig zag, mal destreggiandosi tra la calca, le grida dei
venditori e le facce troppo o ben poco indaffarate.
Lei misurava i suoi passi,
guardandosi intorno con una certa esercitata indifferenza. Di tanto in tanto lo
cercava con gli occhi, per essere sicura di non
perderlo; e nel frattempo pensava.
Era sparito dopo il diploma.
Inutilmente lei e la sua famiglia avevano chiesto e quasi supplicato Silente di
metterli in contatto con lui, ma il vecchio aveva sempre rifiutato come solo
lui sapeva fare, scuotendo sorridente la lucente testa canuta, congedandoli con
gli occhi.
Sua madre aveva pianto più
che per Percy, e forse fu proprio allora che consumò
tutte le sue lacrime e cominciò ad affrontare il pesante presente a labbra strette,
in quella parvenza determinata che sembrava la figlia avesse
ereditato. Non pianse per nessun altro dei suoi figli, l’amore donato
gratuitamente al più gradevole dei prototipi del perfetto orfano, dopo che le
fu strappato via, aveva già colmato lo spazio per
qualsiasi colpo finale.
Inutili congetture avevano
riempito lo spazio di quegli anni nella mente della ragazza. Inutili e dolorose. Non credeva che ne sarebbe
uscita viva, non dopo quello che era successo. Sì
portò una mano al fianco. No, niente aveva ancora chiuso quella vecchia ferita.
Silenzio e buio, umida oscurità. Troppa
poca pelle per le mani desiderose,
sudore, salato sulla lingua.
-
E adesso? – aveva domandato, chissà se a
lui, se a se stessa o alla notte dentro e fuori la
stanza.
Egli le aveva passato una
mano sul bacino, impacciato, a mo’ di carezza. Il suo sguardo imbarazzato era
corso dalle labbra umide e dischiuse di lei al rosso vischioso tra le sue
gambe. Si era appiattito con un gesto tremante la frangetta disordinata sulla
fronte.
-
Non so. Ho la sensazione che abbiamo
fatto uno sbaglio.
La fronte aggrottata di lei gli aveva fatto abbassare
lo sguardo.
-
Ginny... saremo mai capaci di sopportare tutto questo?
-
Credi di no?
-
Non credo. – un sussurro più tagliente
dell’intenzione, un alito di familiarità dall’uscio, una porta che si chiude.
Il vuoto dell’assenza.
Urtò per sbaglio qualcuno,
passò avanti senza dire una parola, senza essersene accorta, gli occhi che
lampeggiavano verso la fitta aureola nera. Si conficcò
improvvisamente le unghie nei palmi, i denti tenuti stretti non modificavano
l’espressione impassibile.
Aveva svoltato a destra,
inconsapevole e concentrata, e il paesaggio era cambiato. La folla diradata girava a testa bassa, troppo occupata di per sé, le vetrine dei
negozi erano diventate opache, il mormorìo più basso, ma più
esacerbante. I pochi sguardi alzati più audaci.
Ginny si fermò d’un tratto. Sentì diverse paia di occhi
posarsi sul fitto manto della sua chioma e sul suo viso lentigginoso. Si
strinse istintivamente nel mantello e fece indugiare gli occhi sulla sua
sinistra, dove qualcosa attirò la sua attenzione.
Era all’altezza
del numero 37 di Notturn Alley.
Notturn Alley.
Fece un passo indietro.
Cercò la figura familiare
davanti ai suoi occhi, ma si rese conto che era scomparsa.
Borbottò qualcosa a mezza
voce.
Complimenti Ginny.
“Ti raccomando di comportarti bene”.
***
Ringrazio tutti coloro che
hanno commentato! Anzi, specifichiamo:
Thilwen: (Eh... Ehm... Signorina...
Grazie per il commento... sono felice che la storia le piaccia... E... Ecco...
Grazie ancora.) A parte gli scherzi, hai visto la fic
crescere, mi hai incoraggiata, spinta quando ne avevo bisogno. Tutto il mio
lavoro è soprattutto merito tuo, e lo sai. Ma non
smetterò mai di ripetertelo. Forse, più che altro, si stancherà chi legge. Ma ho molti altri lavori da parte, tra l’altro tutti a te dedicati,
ci faranno l’abitudine...
Abigale: Grazie, anche se ho già avuto modo di farlo via
e-mail (abbiamo avuto modo di dirci “grazie” abbastanza). Non sarà mai
abbastanza per la tua gentilezza. E le parole sono
pioggia, ma possono anche portarla via, e sono felice di esservi riuscita per
te, come tu hai fatto per me con “Field of Innocence”.
cloudy-chan: Beh, incuriosire è il primo passo per legare. Sono
contenta che ti piaccia, spero che succederà anche e soprattutto con la parte
interessante, che prometto invierò presto! Tutto dipende dall’incoraggiamento, comunque.. ;P
Briseide: Che dire? I tuoi commenti mi hanno fatto un piacere
immenso, quasi sento di non meritarli. Hai colto quello su cui ho studiato mentre scrivevo, e questo è il complimento
migliore che potessi ricevere. Hai dato poesia a quella che è tecnica, però.
Grazie, grazie davvero, sono senza parole.
Helen Lance: Grazie davvero per i complimenti. È già tutto deciso, la fanfiction è
stata finita tempo fa. La storia è il percorso di Ginny da un’incapace
rimorso ad un’accettabile rassegnazione. Ed
ovviamente, aiuterà qualcuno che la aiuterà a crescere in questo senso. Dal prossimo
capitolo sarà tutto più chiaro, davvero. O forse creerà ulteriori
dubbi, ma il dubbio è il vero protagonista della storia.
Takami: Grazie anche a te. Spero che continuerai a leggere.
Gioia: Inutile dire
che sono lusingatissima dal tuo commento. E’ stato
davvero inaspettato, ma una sorpresa stupenda. Grazie dei complimenti, in effetti questa è più una fanfiction
da commentare a fine storia, ma la meravigliosa vanità del capitolo agisce anche su di me...
Ah, e aggiungo che le storie campate in aria hanno il loro fascino, almeno
secondo me. Senza surrealismo non vi sarebbe modernismo, e scriveremmo tutti
come Manzoni (aaaaarrrghhh!)... scrivere senza radici
è reinventare!
Hermia: Beh, tento di far apparire distaccato quello che non
lo è, è un’impressione che mi piace dare con la pseudo-terza
persona, che in realtà è un flusso di coscienza. I pensieri visti
da fuori possono apparire lontani. Grazie, comunque. Ma devo deluderti dicendo che non rivelerò chi la stava
fissando. E’ forse chi pensi, forse non lo è, forse
era una mera impressione di Ginny, che in realtà è un po’ paranoica, ma
comprendiamola, poveretta. Io non avrei avuto il coraggio di affrontare tutto
questo, credo. Ma troverà la spalla per la sua tragi-commediola, don’t worry... e grazie ancora!