Undici.
Aveva
assistito a tutto mescolandosi tra la gente, che non lo vedeva e non lo
sentiva. Se solo ne avesse avuto il potere, avrebbe fatto riprendere
quel corpo
e avrebbe cercato con tutte le forze di aprire quella cassa da morto.
Magari la
sua era solo morte apparente. Magari chiudendo e contando fino a tre
per
riaprirli si sarebbe visto in una bara a bussare per essere portato
fuori. Ci
sperò fino all’ultimo, ma quando vide che il suo
copro diventava concime per
piante, messo sotto terra come il seme di un tulipano, farsi sotterrare
da
degli sconosciuti, capì che era finito tutto. la sua vita
terrena era cessata
per un incidente stradale. Perché non era stato attento.
Perché aveva bevuto.
Non fece che darsi la colpa di tutto, anche se era stato messo sotto da
una
macchina peraltro rubata. Il suo assassino non era ancora stato
trovato, ma era
stato identificato come un ragazzo a cui avevano ritirato la patente,
disoccupato, ubriaco da far schifo che aveva rubato una macchina. Lo
aveva
sentito dire dai poliziotti che, dopo uno snervante e a dir poco
indiscreto
interrogatorio, tranquillizzavano Nike.
Fu
davvero angosciante e triste trovarsi accanto alla propria tomba, in
cui
venivano messi dei fiori sempre nuovi. Un giorno le rose, un altro i
garofani,
un altro ancora i tulipani. Era sempre Nike a portarli, a volte
facendosi
accompagnare da un’amica. Sua madre non si fece
più viva dopo il funerale, ma
già lo aveva tenuto in conto.
Nike
invece si presentava quasi tutti i giorni, si chinava, dava un bacio
alla foto
del suo uomo. Una foto in cui sorrideva, una delle poche che era
riuscita a
scattargli. Sistemava i fiori e poi se ne andava via, facendo il segno
della
croce. Un giorno, con un’amica, sentiva il bisogno di
sfogarsi. E Ulquiorra, si
appostò accanto a lei. Posò anche una mano sulla
sua spalla, senza impedimenti
di catene. Quell’oggetto metallico era infatti sparito,
lasciandogli un buco
non indifferente sotto il collo. Non riusciva a spiegarsi come
riuscisse a
respirare nonostante tutto.
« E’
tutta colpa mia… » diceva Nike. « Se
solo fossi stata più attenta… Se solo lo
avessi trascinato con me, quando mi ha spinta via… Dovevo
essere io a volare
per venti metri… »
La
sua amica cercava di dirle di no, che non era vero, che non doveva dire
così,
che Ulquiorra lo aveva fatto solo per salvarla, che doveva continuare a
farsi
forza per lui. Le stesse cose che avrebbe voluto dirgli lui stesso.
« Se
solo fossi stata più attenta ora sarebbe con me, lontano da
un posto triste
come questo. »
Era
straziante vederla così. No che non era colpa sua! Avrebbe
voluto gridarglielo,
ma tanto lei non sentiva. Nonostante ce l’avesse davanti agli
occhi, era
distante anni luce, in realtà.
Scese
la sera, in quel cimitero chiuso da poco. Seduto accanto alla propria
tomba,
come fosse la sua nuova casa. Tanto, dove sarebbe potuto andare?
Credeva
che nessuno avrebbe mai potuto disturbarlo. E invece, qualcosa
arrivò. Un uomo,
sulla trentina, con barba incolta e vestito in maniera elegante,
camminava con
una strana tranquillità. Che si girò verso
Ulquiorra e gli sorrise. Il ragazzo
si guardò intorno. Ma non era da solo?
«
Come andiamo? » chiese quell’uomo.
Ulquiorra
sgranò gli occhi per un attimo. « Tu…
Riesci a vedermi? »
Il
signore rise. « Okay; da quant’è che sei
morto? »
« …
Una settimana. » rispose interdetto Ulquiorra.
« Ah,
sei nuovo. Io sono morto da dieci anni. »
Era
uno spirito come lui. Allora non era l’unico. C’era
qualcun altro con cui
condividere il proprio dolore, anche se lui si mostrava tranquillo. Il
trentenne si accomodò accanto al ragazzo, stringendogli la
mano e presentandosi
col nome di Hilger. Gli disse con un sorriso che ci avrebbe fatto
presto
l’abitudine e che, se era fortunato, sarebbe trapassato
presto in pace.
«
Cioè, qualcuno mi porterà in paradiso o
all’inferno? » chiese Ulquiorra con un
espressione vuota.
« Può
darsi. Anche se paradiso è un termine fittizio. Noi spiriti
la chiamiamo Soul
Society. E non ci sono traghettatori di anime come Caronte, ma
shinigami, dei
della morte. Poi, bè, se sei stato cattivo
c’è poco da fare. O vai all’inferno
o aspetti che qualcuno ti faccia fuori. »
«
Hilger… Cos’hai visto in dieci anni? »
«
Tante cose. Shinigami che portavano via le anime dei bambini. Spiriti
che non
resistevano al dolore e diventavano dei mostri. Loro sono orribili.
Perdono
tutta l’umanità e non fanno che divorare le altre
anime per diventare più
forti. Oppure ci sono persone come me che stanno qui per anni e anni
senza che
nessuno se li fili. Purtroppo gli shinigami non hanno il diritto di
decidere
liberamente chi far riposare in pace. Ma mi sono accontentato.
»
« E
questi mostri… Cosa sono? »
«
Spiriti maligni. Delle povere anime in pena. Anime piene di dolore
perché
qualcuno li ha dimenticati, o per altri motivi. Ti auguro di non fare
quella
fine. »
Ogni
tanto lo incrociava, quello spirito così ottimista e
sorridente. Ogni tanto
rimaneva da solo. E Nike, più passavano i giorni, meno si
faceva vedere.
Finché, quando la rivide, il sorriso tenue del ragazzo non
si trasformò nelle
lacrime più amare.
Era
con una sua amica, per questo seppe la notizia. Quando veniva da sola,
non
parlava di certo. Forse per paura di essere presa per pazza.
« Sei
proprio decisa, Nike? »
« Sì.
Ormai ho preso il biglietto. parto domani. »
Partiva.
Ma sarebbe tornata, no?
« Ma
come farai laggiù da sola…? »
«
Lavorerò. Ulquiorra era riuscito a farcela. Ormai ho perso
interesse per la
pittura. Non voglio continuare l’accademia. Non voglio
più stare qui. E poi,
Budapest non è così brutta come città.
Mi troverò bene. »
Andava
via. Per sempre. Non sarebbe più tornata a trovarlo, a
mettergli dei fiori, a
dare un bacio sulla sua foto. Si sarebbe fatta un’altra vita
laggiù, a
Budapest. Si sarebbe innamorata di qualcun altro e lentamente lui
sarebbe
sparito dalla sua mente. Più volte si disse che non era
così, che Nike ne aveva
tutto il diritto, che non poteva stare tutta la vita al cimitero. Ma fu
così difficile
da digerire.
Pianse,
giorno per giorno, sembrando un fiume in piena. Già la sua
espressione sembrava
triste di suo, ma con quelle lacrime agli occhi,
quell’espressione così
affranta, rannicchiato su sé stesso, nel suo mondo, non
poteva che essere il
ritratto stesso della disperazione. A un mese dalla sua morte persino
Nike lo
aveva abbandonato. Gli aveva lasciato come ricordo dei tulipani, che
appassirono nel giro di cinque giorni. Quel fiore tornava a far parte
del
niente. Come lui. Ora che ci faceva, accanto a quella tomba, se nessuno
sarebbe
più andato a trovarlo?
Piangeva,
ancora e ancora, finché non arrivò qualcuno a
interrompere la sua disperazione.
E non era Hilger.
«
Povera anima in pena… »
Dall’alto,
un uomo lo guardava, vestito con un kimono nero e una spada attaccata
alla vita
tramite un nastro bianco. Sembrava giovane e aveva un espressione
severe e
profondamente dispiaciuta.
«
Cosa vuoi? » chiese Ulquiorra senza preoccuparsi di tenere un
tono amichevole.
«
Sono uno shinigami, e sono venuto qui per portarti alla Soul Society.
»
Dopo
due mesi. Ottimo tempismo, questi shinigami.
Ma
Ulquiorra trovò inutile andare persino là.
«
Vattene, shinigami. Non ho interesse per la vostra Soul Society.
Lasciami qui. »
« Ma
guardati… Fai pena. Di questo passo ti ridurrai a diventare
un hollow. Un
mostro che non conoscerà mai la pace. »
« Non
mi importa nulla di quello che diventerò. Tanto, a questo
punto, non vedo che
differenza faccia. »
«
Questo tuo pessimismo è solo l’inizio. »
«
Lascialo finire, allora. tanto prima o poi tutto muore. »
Lo
shinigami restò interdetto, a quella frase. Non gli era mai
capitato che
qualcuno si rifiutasse di farsi mandare alla Soul Society, erano per lo
più
spaventati, non conoscendo quel posto, ma nessuno si era mai rifiutato.
« Ho
l’ordine di portarti alla Soul Society. »
« Vai
ad uccidere qualche spirito maligno, o hollow come lo chiamate voi.
»
« Mi
costringi a usare le maniere forti. »
«
Quante futilità. » disse Ulquiorra in tutta
risposta. « Pensi forse di
spaventare chi non ha più nulla di importante? »
Lo
shinigami stava per tirare fuori la spada, ma venne interrotto da
quello che
sembrava il trillo di un cellulare. Lo guardò, irrigidendosi
subito dopo e
voltandosi.
«
Accidenti agli hollow! » disse. « Non ti illudere,
spirito! Tornerò a terminare
il lavoro. »
« Vai
pure. Tanto io non ci vengo, laggiù. » detto
ciò si alzò, iniziando a vagare
fuori dal cimitero.
Inutile
mangiare e bere, non sentiva fame e sete. Era diventato tutto inutile.
Non
c’era più nulla da fare. Si ritrovava da solo a
fare un cavolo di niente per
niente, con l’unico pensiero che lo avevano abbandonato. E
non c’era nessuno
che gli poteva far cambiare idea. Aver amato Nike… A cosa
era servito, se era
morto così per poi farsi lasciare così? E mentre
lei se ne andava a fare una
nuova vita a Budapest, lui che faceva? Chi avrebbe pensato a lui? No,
non gli
bastava un pensiero di Nike da laggiù, perché non
sarebbe arrivato. Lui voleva
altri fiori sulla tomba. Lui voleva restare a Berlino a studiare
medicina, vivendo
come un essere umano. Per un idiota la sua vita era stata distrutta, e
la sua
unica speranza se n’era andata.
Era
morto per un qualcosa di cui si stava lentamente dimenticando. Una cosa
che
comunque trovò inutile, pari alla spazzatura.
Perché tanto, se tutti morivano
in quel modo, non aveva senso amare, soffrire, vivere. No, non ci
stava. Perché
lui doveva provare quelle sensazioni e la donna che amava no?
La
sua rabbia si sfogò sul muro accanto a sé, contro
cui tirò un pugno violento,
che creò una frattura. Vide la sua mano sanguinare. Ma
guarda un po’, anche se
era un’anima perdeva sangue, e sentiva dolore alla mano. In
un certo senso
stava “vivendo” ancora. Ma tanto era tutto inutile.
Sarebbe morto ancora e
ancora per raggiungere il niente. come diceva un film,
“seguito e preceduto da
un cazzo di niente”*.
Col
passare dei giorni quei pensieri si insinuarono sempre di
più nella sua mente,
nel suo animo. Sempre se ce l’avesse ancora.
Perché nessun anima poteva essere
tanto rassegnata, tanto pessimista. Hilger lo aveva avvertito. Ma non
resistette al dolore. Un dolore che gli lacerava il petto, lo
costringeva a
cedere. Finché non si rassegnò, e si perse
definitivamente quel poco di umanità
che gli era rimasta e che Nike gli aveva strappato via.
Si
sentiva diverso. Nuovo. Si vedeva gli arti completamente cambiati. Non
umani.
Corse in un bagno pubblicò, voleva vedersi. Ed
era… Un mostro. Proprio come
diceva Hilger. I suoi occhi non erano più verdi, ma gialli.
La sua espressione
non era affatto umana, sembrava disperata, le sopracciglia sempre nere
corrugate in modo da sembrare sempre tristi. Guance segnate da due
linee nette
e nere, profonde, come se fossero solo un ricalco di tutti i giorni e
tutte le
notti passati a piangere per lei. Per una lei che se n’era
andata e l’aveva
ridotto così. Il buco rimase com’era, ma la sua
testa. Il suo viso. Non erano
umani. Sembrava avere due corna, e aveva le ali. Ali da pipistrello. E
artigli,
e una maschera che gli copriva la testa, le spalle, la schiena, le
gambe. Sembrava
La Cosa dei fumetti americani.
Non
si riconosceva, quasi. Ma sentiva dentro un vuoto strano. Capiva che
non
sarebbe mai riuscito a riempirlo. Quel buco sarebbe rimasto sempre
vuoto.
Niente
fame, né sete. Ma si sentiva debole. Forse anche un
po’ annoiato.
E
quando uscì dal bagno pubblico, tò. Un bambino.
Uno spirito, visto che sembrava
averlo visto e scappava. Che quella forma fosse l’hollow di
cui tanto aveva
sparlato Hilger?
Volle
tornare al cimitero per rivedere il vecchio sé stesso nella
foto. Una foto che
aveva scattato la donna che amava. E che non aveva idea di come lo
avesse
ridotto. Ma tanto che senso aveva ripensarci?
«
Come immaginavo… Alla fine hai ceduto. »
Ulquiorra
si voltò con pacatezza, incrociando lo sguardo dello
shinigami affranto, quasi
disgustato.
« Sei
tornato, shinigami… Ma perdi il tuo tempo. Vattene.
»
« Ora
che sei un hollow, ho il dovere di ucciderti. »
« Te
lo ordina la Soul Society? »
« No.
La mia morale. »
Lo
vide, così coraggioso da andargli addosso a spada tratta. Ma
Ulquiorra non
aveva paura. Non aveva più nulla da perdere. E se quello
voleva rompergli le
scatole, bé, se l’era cercata.
«
Idiota. » disse Ulquiorra, schivando la sua spada, e
sorprendendolo alle
spalle. Aveva degli artigli, poteva usarli a proprio piacimento. Ma,
contrariamente a quanto pensava, non provò niente
nell’infilare la mano nel
corpo di quello shinigami, nel vederne il sangue scorrere,
nell’assaporarlo
avvicinando la lingua alle dita troppo appuntite. Credeva che avrebbe
trovato
un minimo di gusto nell’uccidere quel rompiscatole, e invece
si dimostrò essere
l’ennesima cosa inutile che si ritrovava a fare. Aveva ucciso
qualcuno che
forse non meritava neanche la sua attenzione.
« Sei
già morto? » chiese, notando che della polvere si
stava formando ai piedi dello
shinigami.
Sbuffò,
allontanandosi. « Sei solo spazzatura. » lo
apostrofò in questo modo e,
camminando, incontrò un’altra conoscenza. Anche
lui lo guardava disgustato.
Ulquiorra avrebbe dovuto abituarsi presto a quella condizione.
«
Ulquiorra…? » chiese Hilger.
Il
ragazzo, o meglio, hollow, lo sorpassò, annuendo.
« Che
ti è successo? Sei diventato un mo… »
Non
riuscì a finire la frase; Ulquiorra lo aveva ucciso senza
lasciarli il tempo di
manifestare il suo dispiacere. O disprezzo. Perché era
questo che pensava
Ulquiorra. In quanto hollow, ormai lo avrebbero disprezzato e basta.
Lasciò
quel posto per sempre. Come aveva fatto una certa persona. Che non
avrebbe mai
perdonato. Ma sì, che si rifacesse una vita a Budapest o
dove voleva.
Lui
iniziava una nuova esistenza vuota, come tutti.
Perché
la vita, secondo Ulquiorra, aveva perso consistenza e significato.