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Autore: Novelist Nemesi    07/07/2010    1 recensioni
Ho provato a pensare alla vita di Ulquiorra Schiffer prima di diventare un hollow, ossia quando era un umano. Ecco il primo capitolo della mia mente quasi perversa. « Artisti. Tutto si spiegava. »
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Schiffer Ulquiorra
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Undici.

Essendo morto, non avrebbe potuto descrivere a nessuno che sensazione si provava ad assistere ai propri funerali. Che effetto faceva vedersi in una bara coperta di fiori e dediche. Vedere la propria ragazza in prima fila che piangeva, mentre un’amica cercava di calmarla. Vedere la propria madre vestita di nero, sempre in prima fila, conscia di trovarsi accanto alla sua donna. Eppure non faceva nulla. Non si erano rivolte la parola, né un abbraccio, nessun gesto umano. Forse per lei era già tanto che fosse venuta fino a Berlino per dare un ultimo saluto al figlio. Nonostante fosse trapassato, Ulquiorra non riusciva a perdonare nulla a sua madre.
Aveva assistito a tutto mescolandosi tra la gente, che non lo vedeva e non lo sentiva. Se solo ne avesse avuto il potere, avrebbe fatto riprendere quel corpo e avrebbe cercato con tutte le forze di aprire quella cassa da morto. Magari la sua era solo morte apparente. Magari chiudendo e contando fino a tre per riaprirli si sarebbe visto in una bara a bussare per essere portato fuori. Ci sperò fino all’ultimo, ma quando vide che il suo copro diventava concime per piante, messo sotto terra come il seme di un tulipano, farsi sotterrare da degli sconosciuti, capì che era finito tutto. la sua vita terrena era cessata per un incidente stradale. Perché non era stato attento. Perché aveva bevuto. Non fece che darsi la colpa di tutto, anche se era stato messo sotto da una macchina peraltro rubata. Il suo assassino non era ancora stato trovato, ma era stato identificato come un ragazzo a cui avevano ritirato la patente, disoccupato, ubriaco da far schifo che aveva rubato una macchina. Lo aveva sentito dire dai poliziotti che, dopo uno snervante e a dir poco indiscreto interrogatorio, tranquillizzavano Nike.
Fu davvero angosciante e triste trovarsi accanto alla propria tomba, in cui venivano messi dei fiori sempre nuovi. Un giorno le rose, un altro i garofani, un altro ancora i tulipani. Era sempre Nike a portarli, a volte facendosi accompagnare da un’amica. Sua madre non si fece più viva dopo il funerale, ma già lo aveva tenuto in conto.
Nike invece si presentava quasi tutti i giorni, si chinava, dava un bacio alla foto del suo uomo. Una foto in cui sorrideva, una delle poche che era riuscita a scattargli. Sistemava i fiori e poi se ne andava via, facendo il segno della croce. Un giorno, con un’amica, sentiva il bisogno di sfogarsi. E Ulquiorra, si appostò accanto a lei. Posò anche una mano sulla sua spalla, senza impedimenti di catene. Quell’oggetto metallico era infatti sparito, lasciandogli un buco non indifferente sotto il collo. Non riusciva a spiegarsi come riuscisse a respirare nonostante tutto.
« E’ tutta colpa mia… » diceva Nike. « Se solo fossi stata più attenta… Se solo lo avessi trascinato con me, quando mi ha spinta via… Dovevo essere io a volare per venti metri… »
La sua amica cercava di dirle di no, che non era vero, che non doveva dire così, che Ulquiorra lo aveva fatto solo per salvarla, che doveva continuare a farsi forza per lui. Le stesse cose che avrebbe voluto dirgli lui stesso.
« Se solo fossi stata più attenta ora sarebbe con me, lontano da un posto triste come questo. »
Era straziante vederla così. No che non era colpa sua! Avrebbe voluto gridarglielo, ma tanto lei non sentiva. Nonostante ce l’avesse davanti agli occhi, era distante anni luce, in realtà.
Scese la sera, in quel cimitero chiuso da poco. Seduto accanto alla propria tomba, come fosse la sua nuova casa. Tanto, dove sarebbe potuto andare?
Credeva che nessuno avrebbe mai potuto disturbarlo. E invece, qualcosa arrivò. Un uomo, sulla trentina, con barba incolta e vestito in maniera elegante, camminava con una strana tranquillità. Che si girò verso Ulquiorra e gli sorrise. Il ragazzo si guardò intorno. Ma non era da solo?
« Come andiamo? » chiese quell’uomo.
Ulquiorra sgranò gli occhi per un attimo. « Tu… Riesci a vedermi? »
Il signore rise. « Okay; da quant’è che sei morto? »
« … Una settimana. » rispose interdetto Ulquiorra.
« Ah, sei nuovo. Io sono morto da dieci anni. »
Era uno spirito come lui. Allora non era l’unico. C’era qualcun altro con cui condividere il proprio dolore, anche se lui si mostrava tranquillo. Il trentenne si accomodò accanto al ragazzo, stringendogli la mano e presentandosi col nome di Hilger. Gli disse con un sorriso che ci avrebbe fatto presto l’abitudine e che, se era fortunato, sarebbe trapassato presto in pace.
« Cioè, qualcuno mi porterà in paradiso o all’inferno? » chiese Ulquiorra con un espressione vuota.
« Può darsi. Anche se paradiso è un termine fittizio. Noi spiriti la chiamiamo Soul Society. E non ci sono traghettatori di anime come Caronte, ma shinigami, dei della morte. Poi, bè, se sei stato cattivo c’è poco da fare. O vai all’inferno o aspetti che qualcuno ti faccia fuori. »
« Hilger… Cos’hai visto in dieci anni? »
« Tante cose. Shinigami che portavano via le anime dei bambini. Spiriti che non resistevano al dolore e diventavano dei mostri. Loro sono orribili. Perdono tutta l’umanità e non fanno che divorare le altre anime per diventare più forti. Oppure ci sono persone come me che stanno qui per anni e anni senza che nessuno se li fili. Purtroppo gli shinigami non hanno il diritto di decidere liberamente chi far riposare in pace. Ma mi sono accontentato. »
« E questi mostri… Cosa sono? »
« Spiriti maligni. Delle povere anime in pena. Anime piene di dolore perché qualcuno li ha dimenticati, o per altri motivi. Ti auguro di non fare quella fine. »
Ogni tanto lo incrociava, quello spirito così ottimista e sorridente. Ogni tanto rimaneva da solo. E Nike, più passavano i giorni, meno si faceva vedere. Finché, quando la rivide, il sorriso tenue del ragazzo non si trasformò nelle lacrime più amare.
Era con una sua amica, per questo seppe la notizia. Quando veniva da sola, non parlava di certo. Forse per paura di essere presa per pazza.
« Sei proprio decisa, Nike? »
« Sì. Ormai ho preso il biglietto. parto domani. »
Partiva. Ma sarebbe tornata, no?
« Ma come farai laggiù da sola…? »
« Lavorerò. Ulquiorra era riuscito a farcela. Ormai ho perso interesse per la pittura. Non voglio continuare l’accademia. Non voglio più stare qui. E poi, Budapest non è così brutta come città. Mi troverò bene. »
Andava via. Per sempre. Non sarebbe più tornata a trovarlo, a mettergli dei fiori, a dare un bacio sulla sua foto. Si sarebbe fatta un’altra vita laggiù, a Budapest. Si sarebbe innamorata di qualcun altro e lentamente lui sarebbe sparito dalla sua mente. Più volte si disse che non era così, che Nike ne aveva tutto il diritto, che non poteva stare tutta la vita al cimitero. Ma fu così difficile da digerire.
Pianse, giorno per giorno, sembrando un fiume in piena. Già la sua espressione sembrava triste di suo, ma con quelle lacrime agli occhi, quell’espressione così affranta, rannicchiato su sé stesso, nel suo mondo, non poteva che essere il ritratto stesso della disperazione. A un mese dalla sua morte persino Nike lo aveva abbandonato. Gli aveva lasciato come ricordo dei tulipani, che appassirono nel giro di cinque giorni. Quel fiore tornava a far parte del niente. Come lui. Ora che ci faceva, accanto a quella tomba, se nessuno sarebbe più andato a trovarlo?
Piangeva, ancora e ancora, finché non arrivò qualcuno a interrompere la sua disperazione. E non era Hilger.
« Povera anima in pena… »
Dall’alto, un uomo lo guardava, vestito con un kimono nero e una spada attaccata alla vita tramite un nastro bianco. Sembrava giovane e aveva un espressione severe e profondamente dispiaciuta.
« Cosa vuoi? » chiese Ulquiorra senza preoccuparsi di tenere un tono amichevole.
« Sono uno shinigami, e sono venuto qui per portarti alla Soul Society. »
Dopo due mesi. Ottimo tempismo, questi shinigami.
Ma Ulquiorra trovò inutile andare persino là.
« Vattene, shinigami. Non ho interesse per la vostra Soul Society. Lasciami qui. »
« Ma guardati… Fai pena. Di questo passo ti ridurrai a diventare un hollow. Un mostro che non conoscerà mai la pace. »
« Non mi importa nulla di quello che diventerò. Tanto, a questo punto, non vedo che differenza faccia. »
« Questo tuo pessimismo è solo l’inizio. »
« Lascialo finire, allora. tanto prima o poi tutto muore. »
Lo shinigami restò interdetto, a quella frase. Non gli era mai capitato che qualcuno si rifiutasse di farsi mandare alla Soul Society, erano per lo più spaventati, non conoscendo quel posto, ma nessuno si era mai rifiutato.
« Ho l’ordine di portarti alla Soul Society. »
« Vai ad uccidere qualche spirito maligno, o hollow come lo chiamate voi. »
« Mi costringi a usare le maniere forti. »
« Quante futilità. » disse Ulquiorra in tutta risposta. « Pensi forse di spaventare chi non ha più nulla di importante? »
Lo shinigami stava per tirare fuori la spada, ma venne interrotto da quello che sembrava il trillo di un cellulare. Lo guardò, irrigidendosi subito dopo e voltandosi.
« Accidenti agli hollow! » disse. « Non ti illudere, spirito! Tornerò a terminare il lavoro. »
« Vai pure. Tanto io non ci vengo, laggiù. » detto ciò si alzò, iniziando a vagare fuori dal cimitero.
Inutile mangiare e bere, non sentiva fame e sete. Era diventato tutto inutile. Non c’era più nulla da fare. Si ritrovava da solo a fare un cavolo di niente per niente, con l’unico pensiero che lo avevano abbandonato. E non c’era nessuno che gli poteva far cambiare idea. Aver amato Nike… A cosa era servito, se era morto così per poi farsi lasciare così? E mentre lei se ne andava a fare una nuova vita a Budapest, lui che faceva? Chi avrebbe pensato a lui? No, non gli bastava un pensiero di Nike da laggiù, perché non sarebbe arrivato. Lui voleva altri fiori sulla tomba. Lui voleva restare a Berlino a studiare medicina, vivendo come un essere umano. Per un idiota la sua vita era stata distrutta, e la sua unica speranza se n’era andata.
Era morto per un qualcosa di cui si stava lentamente dimenticando. Una cosa che comunque trovò inutile, pari alla spazzatura. Perché tanto, se tutti morivano in quel modo, non aveva senso amare, soffrire, vivere. No, non ci stava. Perché lui doveva provare quelle sensazioni e la donna che amava no?
La sua rabbia si sfogò sul muro accanto a sé, contro cui tirò un pugno violento, che creò una frattura. Vide la sua mano sanguinare. Ma guarda un po’, anche se era un’anima perdeva sangue, e sentiva dolore alla mano. In un certo senso stava “vivendo” ancora. Ma tanto era tutto inutile. Sarebbe morto ancora e ancora per raggiungere il niente. come diceva un film, “seguito e preceduto da un cazzo di niente”*.
Col passare dei giorni quei pensieri si insinuarono sempre di più nella sua mente, nel suo animo. Sempre se ce l’avesse ancora. Perché nessun anima poteva essere tanto rassegnata, tanto pessimista. Hilger lo aveva avvertito. Ma non resistette al dolore. Un dolore che gli lacerava il petto, lo costringeva a cedere. Finché non si rassegnò, e si perse definitivamente quel poco di umanità che gli era rimasta e che Nike gli aveva strappato via.
Si sentiva diverso. Nuovo. Si vedeva gli arti completamente cambiati. Non umani. Corse in un bagno pubblicò, voleva vedersi. Ed era… Un mostro. Proprio come diceva Hilger. I suoi occhi non erano più verdi, ma gialli. La sua espressione non era affatto umana, sembrava disperata, le sopracciglia sempre nere corrugate in modo da sembrare sempre tristi. Guance segnate da due linee nette e nere, profonde, come se fossero solo un ricalco di tutti i giorni e tutte le notti passati a piangere per lei. Per una lei che se n’era andata e l’aveva ridotto così. Il buco rimase com’era, ma la sua testa. Il suo viso. Non erano umani. Sembrava avere due corna, e aveva le ali. Ali da pipistrello. E artigli, e una maschera che gli copriva la testa, le spalle, la schiena, le gambe. Sembrava La Cosa dei fumetti americani.
Non si riconosceva, quasi. Ma sentiva dentro un vuoto strano. Capiva che non sarebbe mai riuscito a riempirlo. Quel buco sarebbe rimasto sempre vuoto.
Niente fame, né sete. Ma si sentiva debole. Forse anche un po’ annoiato.
E quando uscì dal bagno pubblico, tò. Un bambino. Uno spirito, visto che sembrava averlo visto e scappava. Che quella forma fosse l’hollow di cui tanto aveva sparlato Hilger?
Volle tornare al cimitero per rivedere il vecchio sé stesso nella foto. Una foto che aveva scattato la donna che amava. E che non aveva idea di come lo avesse ridotto. Ma tanto che senso aveva ripensarci?
« Come immaginavo… Alla fine hai ceduto. »
Ulquiorra si voltò con pacatezza, incrociando lo sguardo dello shinigami affranto, quasi disgustato.
« Sei tornato, shinigami… Ma perdi il tuo tempo. Vattene. »
« Ora che sei un hollow, ho il dovere di ucciderti. »
« Te lo ordina la Soul Society? »
« No. La mia morale. »
Lo vide, così coraggioso da andargli addosso a spada tratta. Ma Ulquiorra non aveva paura. Non aveva più nulla da perdere. E se quello voleva rompergli le scatole, bé, se l’era cercata.
« Idiota. » disse Ulquiorra, schivando la sua spada, e sorprendendolo alle spalle. Aveva degli artigli, poteva usarli a proprio piacimento. Ma, contrariamente a quanto pensava, non provò niente nell’infilare la mano nel corpo di quello shinigami, nel vederne il sangue scorrere, nell’assaporarlo avvicinando la lingua alle dita troppo appuntite. Credeva che avrebbe trovato un minimo di gusto nell’uccidere quel rompiscatole, e invece si dimostrò essere l’ennesima cosa inutile che si ritrovava a fare. Aveva ucciso qualcuno che forse non meritava neanche la sua attenzione.
« Sei già morto? » chiese, notando che della polvere si stava formando ai piedi dello shinigami.
Sbuffò, allontanandosi. « Sei solo spazzatura. » lo apostrofò in questo modo e, camminando, incontrò un’altra conoscenza. Anche lui lo guardava disgustato. Ulquiorra avrebbe dovuto abituarsi presto a quella condizione.
« Ulquiorra…? » chiese Hilger.
Il ragazzo, o meglio, hollow, lo sorpassò, annuendo.
« Che ti è successo? Sei diventato un mo… »
Non riuscì a finire la frase; Ulquiorra lo aveva ucciso senza lasciarli il tempo di manifestare il suo dispiacere. O disprezzo. Perché era questo che pensava Ulquiorra. In quanto hollow, ormai lo avrebbero disprezzato e basta.
Lasciò quel posto per sempre. Come aveva fatto una certa persona. Che non avrebbe mai perdonato. Ma sì, che si rifacesse una vita a Budapest o dove voleva.
Lui iniziava una nuova esistenza vuota, come tutti.
Perché la vita, secondo Ulquiorra, aveva perso consistenza e significato.

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@ Ninive: Già, poverina. Anche se in questo capitolo passa un po’ per la bastarda di turno…

@ Giovy: Ti ringrazio molto per la recensione, sono contenta di essere riuscita a renderlo bene!

@ Namine: Grazie per il commento!

Commento; ecco, Ulquiorra è cambiato ancora una volta, diventando il nichilista che conosciamo. O almeno, ci ho provato. Non mi piace molto l’idea di far passare Nike per “stronza”, in questo capitolo, ma visto che ho affrontato e sto affrontando di più il punto di vista di Ulquiorra, ho provato a pensare a come dev’essersi sentito per il trasferimento di Nike. E per diventare hollow, immagino si sia lasciato andare a pensieri non molto carini.
Bé, spero che il capitolo vi sia piaciuto, al prossimo!

  
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