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Autore: fiammah_grace    09/07/2010    3 recensioni
Fanfic ambientata dopo le vicende di final fantasy VII.
Sephiroth era il figlio di Jenova. Il predestinato. Il re del pianeta.
Ora che non era più nessuno, cosa gli serviva vivere? Come avrebbe mai potuto sopportare di essere vivo grazie a Cloud e compagni, convinti poi di poterlo addomesticare? Loro non potevano nulla contro di lui.
Nessuno era in grado di domare il re.
Nessuno avrebbe impedito il destino di compiersi. Peccato non ci fosse Aerith nei piani.
Sarà lei l’improvvisa causa che capovolgerà l’universo dell’uomo dai capelli argentei fino a sconvolgere la sua vita.
[Sephiroth x Aerith]
Genere: Dark, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Aeris Gainsborough, Cloud Strife, Sephiroth, Tifa Lockheart
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: FFVII
Capitoli:
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Non aggiornavo da davvero molto! Voglio ringraziare tutti voi che mi recensite! Grazie mille! Il lavoro che sto svolgendo non è per niente facile. Non solo perché amo final fantasy e il capitolo vii in particolare, non solo perché adoro Sephiroth ed Aerith, non solo perché amo il pairing Sephirith…è proprio tutto questo insieme che mi porta ad essere molto attenta nel dare rispetto a tutto ciò che tratto poiché è un qualcosa che mi tocca molto, comprese le tematiche che comportano una trama con simili personaggi come protagonisti. E sono felice che voi tutti l’abbiate percepito e lo condividiate! Grazie mille!
Fiammah_Grace

[…]







BREATH






CAPITOLO 4





Aerith si chinò vicino Sephiroth e gli porse un piatto.

“Che cos’è?” chiese lui sospettoso.

La ragazza rise per una manciata di secondi per poi mostrargli due occhi così gioiosi e terribilmente irresistibili.

“E’ cibo! Non si vede?” tentennò pochi istanti. “…dovrai pur mangiare, non ti sembra?”

“Fa schifo. Sembra crudo.”

L’aspetto della pietanza non era male. Aveva persino delle decorazioni originali. Tuttavia il SOLDIER non aveva tutti i torti.
In realtà la bella cetra era una vera frana in cucina. La pietanza era a tratti cruda, a tratti bruciacchiata. Troppo pepe e poco sale. Eccessiva quantità di olio.
Tuttavia aveva un design originale. Solo per come si mostrava meritava un apprezzamento.

Sephiroth non mangiava da due giorni, dunque provò ad assaggiarlo. Aerith lo guardò curiosa mentre lui ingeriva il boccone e posava le posate.

“Puoi buttarlo.” Disse, infine.

Aerith guardò il cibo e sospirò.

“E’ davvero tanto terribile? Eppure mi ci sono applicata tanto…” Si alzò e fece per andare via. Cercò di non scoraggiarsi, infatti guardò Sephiroth con una determinazione che poco le si addiceva. “Ora torno a casa a prepararti qualcos’altro! Prima o poi uscirà qualcosa di commestibile.”

Nel vedere tanto ardore, Sephiroth rise. Scostò la lunga ciocca di capelli da viso ed alzò lo sguardo rivolgendolo alla giovane Cetra.

“Hai 10 guil?”

“Perché?”

L’uomo indicò con gli occhi l’uscita del negozio.

“Qui dietro c’è un posto dove posso comprarmi il pranzo.” Disse ritenendo molto più salutare il cibo di un fast food che le creazioni di Aerith.

“Ma non puoi comprare il cibo! No, no…chissà cosa utilizzano in quelle cucine! Meglio che ti cucini io.” Insistette lei. Nel sentirlo ridere si ritrovò per un attimo esitante, poi gli si rivolse. “Ti diverto tanto?”

Sephiroth annuì.

“Oh, non ne hai idea. Darti problemi è assolutamente il mio passatempo preferito, ultimamente.”

“Ma che carino!” disse lei con sarcasmo. “…ma perché ci tieni tanto a farmi mollare con te?”

Lui non rispose immediatamente, chinò il capo e rimase in silenzio per un po’. Quando Aerith provò a dire qualcosa, si alzò di colpo quasi come per azzittirla.

“Chissà fino a dove arrivi.” Le disse. “Non ti darò agevolazioni solo perché sei un Cetra.”

La giovane strinse le braccia attorno a sé e lasciò ondeggiare la lunga e sottile treccia. Gli sorrise debolmente.

“Cetra?”

Sephiroth la guardò intensamente per poi prendere a camminare per il negozio di fior. Pur girando attorno ad Aerith, non la guardò in viso nemmeno una volta.

“Già…perché un Certa?” continuò a camminare ed Aerith non allontanò mai gli occhi da Sephiroth. “Perché…un Cetra…” Il tono si fece decisamente cupo e la sua voce sembrava quasi congelare l’aria fino a renderla dolorosa da respirare. “Dovevamo essere noi i padroni di questo mondo.” Abbassò lo sguardo e serrò i pugni. “Nelle nostre mani…tutto.”

Continuava a fissare il vuoto, in maniera incessante. Aerith sussultò nel vederlo in quello stato. Avvertiva un’energia negativa albergare dentro di lui, un qualcosa di davvero difficile da assopire. Constatò che per Sephiroth bastava davvero poco per far riemergere la veemenza di un tempo.

Gli si avvicinò e fece per poggiare una mano sul suo braccio ma lui si ritrasse con un gesto violento.

“Non capisci, donna? Tu, il tuo potere…non senti che tutto questo sia ingiusto?” allargò le braccia mostrandole il suo stesso locale. “Un Cetra a gestire un mediocre negozio di fiori? Non è questo il trono adatto per i padroni del pianeta.” Le si avvicinò. “Non provi rabbia?”

“Perchè dovrei? Dammi una ragione per crederlo.”

“Hanno determinato la distruzione della nostra specie.”

La ragazza scosse la testa.

“…ma non possiamo condannare gli uomini per un qualcosa accaduto molto tempo fa.”

“Non capisci.” Sephiroth si allontanò. “Non che mi aspettassi il contrario.”

“Sephiroth…così sei tu a mettermi in una situazione difficile.”

Aerith sperava che lui cambiasse. Che qualcuno riuscisse a toccargli il cuore e a farlo redimere. Si rendeva sempre di più conto dell’impossibilità della cosa.

“Preferirei morire.”

“Lo so.” disse lei, purtroppo consapevole dei suoi sentimenti.

Da quanto tempo sto cercando di far qualcosa per lui? Possibile che non ci sia niente che possa fare?
Io voglio aiutarlo, ma come?

I suoi occhi sono così gelidi e la sua anima si è ormai persa…
Non c’è qualcosa che posso fare?

Io…

Aerith cominciò ad indietreggiare, aveva paura di quell’anima così contorta. Non poteva fare a meno di provar pena, ma si sentiva sempre più distante da lui. Sephiroth era caduto in un abisso costruito dalle sue stese mani. Gli sorrise debolmente e gli sussurrò delle parole prima di andar via quasi scappando.

“Io credo di aver paura di leggere il tuo cuore…per questo non posso aiutarti.”

[…]

Pomeriggio inoltrato.
Il cielo era di un colore scarlatto, come il sangue. Lo stesso che scorreva nelle sue vene.
Sephiroth era poggiato sul muro della chiesa e ripensava ancora alle parole della giovane Cetra.

“Io credo di aver paura di leggere il tuo cuore…per questo non posso aiutarti.”

Aiutare…
Qualcuno mi deve aiutare...e chi?

Leggere? Un cuore non è come un libro, non c’è scritto nulla.


…e non ho bisogno di aiuto.

Guardò per l’ennesima volta attorno a sé e avvertì un terribile senso di nausea. Un disgusto totale per ciò che vedeva, per quello che era diventato. Un pupazzo? Un animale innocuo? Cos’era?

Chi era quest’uomo chiamato Sephiroth?

Un tempo era il migliore.
L’uomo a cui tutti portavano rispetto. Il SOLDIER di prima classe. L’erede di Jenova. Il dominatore del mondo.

Ora cosa gli rimaneva?
Non era niente di tutto questo. Non aveva uno scopo, una vita, un’anima. Non era più niente, assolutamente niente.

Osservò un vaso e con rabbia lo scaraventò a terra. Subito si frantumò con un rumore assordante.
Con gli occhi ancora sgranati e impregnati d’odio, afferrò un coccio più grande degli altri. Lo guardò intensamente e lo strinse con la mano lasciando che questa si tagliasse. Il sangue cominciò a gocciolare per il pavimento e sui candidi fiori.

Continuò a scavare per la carne fino a non percepire più quel dolore in maniera così terribile.

Lo estrasse di colpo facendo fuoriuscire una quantità cospicua di sangue e toccò la punta. Era così appuntita da bucargli il dito con una piccola spinta.

Puntò il coccio contro al suo petto e cominciò a spingerlo forte verso di sé.

La vita, la morte, il tempo…
Di cosa ne se ne faceva? A cosa poteva mai servire la vita per l’angelo caduto. Meglio, molto meglio la morte.

Il suo cuore pulsava, pulsava forte. Riusciva ad avvertirlo. Alcune volte no, quel giorno invece era più vivo che mai.

Mentre sentiva il caldo sangue scorrere sul petto, si chiedeva dove sarebbe mai giunto…forse, però, non gli importava davvero. Era libero di andare dove voleva. La fine del re doveva essere quella di un prigioniero? Era questo ciò che desiderava?

Non era questo l’epilogo che tanto aveva agognato…

Che silenzio…

Forse era questo quello che intendeva lei.


Un rumore improvviso attirò l’attenzione di Sephiroth.
Era martellante. Incessante. Un continuo picchiettio lungo la porta d’ingresso. Gettò velocemente a terra il frammento di vaso e si nascose dietro un muro del negozio. Attese cercando di capire cosa diavolo stesse succedendo.

La porta si aprì violentemente ed entrarono sei ragazzi furtivamente. Li osservò attentamente chiedendosi il perché della loro presenza lì.

Si sorprese di vedere che questi cominciarono a sghignazzare fra loro mentre frugavano in giro.
Non trovando nulla presero a disegnare sui muri e a fracassare quanto più possibile.

Perché il vandalismo era tanto divertente?

Per di più se la stavano prendendo con un negozio già di suo in stato altamente decadente.

Che senso aveva?

Sephiroth li osservò ancora per un po’ quando avvertì il suo cuore. Era vivo, ancora vivo.
Senza una ragione in particolare, credette che fosse merito di quei ragazzi se il suo cuore battesse ancora.
Doveva ringraziarli.

Come solo lui era in grado di fare, gli si avvicinò e solo dopo aver colpito uno di loro gli altri si accorsero della sua presenza.

“Chi cazzo sei..?!” urlò un ragazzo.

Nel vederlo così terrorizzato si sentì inebriare.
Gli mancava quell’espressione di paura. Quanti glie l’avevano rivolta?

Gli sorrise aspramente per poi fondarsi contro di lui. Un colpo ben assestato e il giovane si ritrovò scaraventato sul muro. Perse conoscenza quasi subito.

Gli altri si sorpresero di una forza simile, Sephiroth pensò che fosse normale. Loro non erano i figli della Madre. Non avrebbero mai potuto raggiungere il suo stesso livello nemmeno con vent’anni di duro allenamento.

Sgranò gli occhi e provò un immenso piacere nel leggere anche nel loro sguardo la paura. Vedeva il sudore scorrere sui loro visi. Il tremolio del corpo.

Si avvicinò a loro che probabilmente non si resero conto del pericolo.

“Bastardo! Non rompere il cazzo!” Urlò un altro.

“è anche ferito! Sistemiamo questo imbecille!” disse un altro dei giovani notando la grossa ferita sul petto di Sephiroth.

Videro che l’uomo dai capelli argentei non s’importò dei loro gesti intimidatori ed in poco tempo li vide scagliarsi contro di lui.

Pensò che dopotutto si sarebbe divertito, almeno prima che Aerith fosse tornata.

Da qualche altra parte, infatti, c’era proprio l’anciet intenta a tornare da Sephiroth. Aveva riflettuto a lungo su di lui, ma non le era venuto niente in mente.

Sono convinta che il lavoro lo aiuterebbe, ma a lui non va…

Non fece in tempo a rifletterci ancora che subito notò la porta del suo negozio spalancata.
Corse immediatamente lì vicino. Sephiroth era scappato di nuovo? Le si gelò il sangue al sol pensiero. Si avvicinò e, affacciandosi, lo vide lì.

Gli occhi le si riempirono di lacrime quando vide che stava picchiando a sangue dei ragazzini di massimo vent’anni.

“Sephiroth!” corse da lui. “Che fai..?! Lasciali!” gli urlò.

Sephiroth si girò e si sorprese di vederla lì. Lesse anche nei suoi occhi il terrore, ma per quanto le riguardava, era diverso. Lei non aveva paura della sua forza. Aveva paura dell’odio che lui provava, della gioia che aveva nel distruggere l’avversario.

Aerith si gelò alla vista di tutto quel sangue e si accasciò accanto all’uomo che, intanto, aveva mollato la presa.

“Non vuoi che li uccida, giusto?” le chiese, seccato.

“Cosa dici? Lasciali andare!”

Non appena Sephiroth fu lontano, i ragazzi scapparono via portando con sé gli amici ormai svenuti a terra. La giovano alzò gli occhi, incredula.
Tra i due regnò per pochi secondi il silenzio, poi Sephiroth, notando gli occhi umidi della ragazza, le si rivolse.

“Cosa ti piangi?” le chiese infastidito.

“Ti hanno ferito…” disse poggiando una mano sul suo petto insanguinato. Sephiroth sussultò a quel gesto e si allontanò da lei di qualche passo.

“Non è nulla.”

“Sembra profonda, dobbiamo curarla!” socchiuse gli occhi e poggiò nuovamente le dita sulla ferita. Concentrò tutte le sue energie su quel punto sperando di curarlo quanto prima possibile.

Attorno ai due si disegnò un lieve bagliore e lentamente la ferita di Sephiroth prese a rimarginarsi. Lui rimase incredulo nel guardare una tale energia e per pochi attimi ne rimase affascinato. Di colpo si divincolò da lei e il bagliore sparì.

“Guarirà da solo.”

“Ma..!”

“Lasciami in pace.” E si mise a raccogliere e gettare tutti i vasi ed i cocci di vetro rotti.

Aerith annuì anche se si sentì turbata.
I suoi occhi si spostarono su Sephiroth che stava sistemando quel che poteva. Guardandosi attorno notò le scritte e tutti i suoi cari arnesi ridotti male.
A terra vi erano frammenti di ogni genere: legno, ceramica, vetro…

“…grazie.” Gli disse.

Sephiroth si girò, ma non le diede nessun segno. Sembrava indifferente, come sempre. Ad Aerith questo non importò più di tanto, tant’è che gli sorrise ampiamente nonostante il menefreghismo.

“Spero che…continuerai a prenderti cura di me.”

“Io non mi prendo cura di te, ma stavano distruggendo la mia nuova casa.” Disse con freddezza, poi si girò verso di lei. “Ora, se non ti dispiace, saresti così gentile da aiutarmi a sistemate il tuo negozio?”

C’era del sarcasmo in quelle parole ma lei si sentì più fiduciosa che mai. Aerith si posizionò accanto a lui e lo aiutò. Gli sorrise più volte in silenzio, ma lui non la degnò di un misero sguardo. Da Sephiroth se lo aspettava dunque non se ne curò più di tanto.
Lui la stava aiutando e a modo suo l’aveva difesa, era considerabile un passo avanti?

[…]

Erano passati tre mesi da quando Aerith era andata ad assistere Vincent e l’aveva visto discutere animatamente con Sephiroth.
Erano passati due mesi da quando si era stufata di sentirsi protetta e custodita. Imballata in casa come un raro pezzo da collezione.

Sephiroth era al suo negozio da davvero tanto tempo.

L’estate, di solito, passava in fretta per Aerith. L’estate di quell’anno, invece, aveva deciso di non correre e di attenderla fino a farle credere che fosse passato molto più tempo.

L’ancient aprì la finestra per permettere alle piante di assorbire quanta più luce possibile. Ora quasi si sentiva meglio anche lei. Si avvicinò al suo amato giardino per curare i vari germogli. Ne erano fioriti molti di più, quell’anno. Non poteva che esserne pienamente soddisfatta.

Sorrise tra sé e si sentì felice, sempre di più.

Un rumore attirò la sua attenzione.
Si alzò già riconoscendo cosa fosse.

Un motorino argentato si era appena fermato dinanzi al locale. Sephiroth era arrivato.
Lei lo osservò sotto quella luce che poneva un enorme contrasto con quell’uomo che fino ad un mese fa se ne stava rintanato nel buio più assoluto.

Dopo l’episodio dei vandali, aveva stranamente cominciato a prendersi cura della ragazza assistendola a pagamento. Ora mensilmente riceveva una busta paga e lavorava per lei. Questo gli permetteva di vivere in maniera più o meno indipendente e di ambientarsi meglio ad Edge.

All’inizio era stata dura. In verità, lo era anche adesso, Sephiroth era un vero pezzo di ghiaccio e nei pochi momenti dove era possibile interloquire con lui, era capace di mandare in bestia persino una come Aerith che di pazienza ne aveva da vendere.

Aveva sempre quell’atteggiamento pungente e provocatorio, pronto a colpire ed a ferire più di una lama nello stomaco.

Non era capace di fermarsi, affondava sempre più nell’animo della gente fino a schiacciarla a terra per impedirle di riprendersi.

Non era possibile sfuggire ai suoi occhi.
Anche loro erano così terrificanti. Terribilmente belli e furenti. Un verde acquamarina a cui era davvero difficile resistere. Le sembrava quasi fossero una trappola per ingannare le sue prede. Come quei grossi pesci che vagano silenziosi tra gli abissi più remoti dell’oceano.

Era questo quello che le trasmetteva l’uomo dai capelli argentei. Solo con un semplice, banale sguardo.

Eppure lei non abbassava mai lo sguardo quando questo si rivolgeva al suo. Lui nemmeno l’aveva mai evitata, forse consapevole dei sentimenti che suscitavano i suoi occhi.

Mentre lo osservava trovò così strano vederlo fare cose quotidiane come un comune mortale. Come utilizzare un motorino, per fare un esempio.

Glielo aveva insegnato stesso lei a portarlo. Inutile specificare che Sephiroth non aveva accettato le sue lezioni così aveva voluto fare di testa sua. Per notti e notti aveva studiato il mezzo cercandone i meccanismi.

Aveva trovato lui da solo il metodo di accenderlo, spegnerlo e farlo camminare. Questo però, non aveva impedito al motorino un bel viaggio dal meccanico.

Alla fine aveva imparato discretamente, forse era più bravo persino di Aerith che non solo sapeva usarlo a stento, lo utilizzava per tragitti molto brevi. Sephiroth invece si era scoperto un amante di motori. Li aveva studiati e aveva smontato più volte parecchi pezzi per osservarli e rimontarli.

Beh, almeno stava incominciando a riscoprire qualche hobby, pensava Aerith con ottimismo mentre cominciava a prepararsi all’idea che presto avrebbe dovuto buttare quel motorino.

Non era solo questo ciò che era cambiato in Sephiroth. Stesso lei aveva provveduto a fornirgli un guardaroba più normale. Non tutti gli abitanti di Edge erano abituati a vedere per le strade un uomo di quasi un metro e novanta aggirarsi per le strade con un lungo cappotto in pelle, grossi stivali e capelli argentei fino al ginocchio.

Ora Sephiroth indossava anche camicie, maglioni e jeans.
Sembrava persino normale.
All’inizio era stato impossibile farlo entrare in un negozio e quelle poche volte in cui Aerith riusciva a convincerlo se n’era pentita amaramente perché lui non l’aveva degnata di attenzioni un solo istante.
Non solo. Sephiroth trovava abbigliamenti di suo gradimento solo nelle boutique più costose e pur di comprargli qualcosa, la ragazza aveva, a malincuore, speso fior di soldi.

Osservandolo con il jeans a sigaretta, la maglia grigia ed il giubbotto in pelle però, doveva ammettere che gli donava parecchio. Sembrava un modello e i capi firmati, addosso a lui, calzavano una meraviglia.

Sorrise nel vederlo e cominciò a credere che fosse persino carino. Non che prima non lo fosse. Aerith aveva sempre pensato che Sephiroth fosse un bel ragazzo, ma ora che lo vedeva fuori da quel contesto così grottesco gli sembrava ancora più bello.

La vera impresa, però, non era stata convincerlo a vestirsi in maniera più consueta evitando di dare nell’occhio.

Era stata quella di portarlo a tagliare i capelli.

Quando cominciò ad accennargli che erano troppo lunghi, le aveva lanciato un’occhiataccia così penetrante da farle credere che per com’era esile Aerith, l’avrebbe spezzata in due.

La Cetra trovava i capelli di Sephiroth bellissimi, però erano troppo stravaganti e Sephiroth non aveva certo bisogno di essere additato dalla gente ogni volta che usciva.

Lo aveva letteralmente trascinato da un parrucchiere e gli aveva fatto accorciare il taglio. Per una settimana intera non le degnò uno sguardo e se lei provava ad avvicinarsi, la scaraventava via e barricava il negozio di fiori.

Così era stato per i primi tempi, poi si era abituato. I suoi capelli ora erano di una lunghezza meno appariscente e decisamente sfoltiti.

Pensava alla prima volta che lo aveva visto con il nuovo look. Gli aveva urlato contro che era splendido. A quelle parole lui si era adirato e le aveva lanciato un’occhiataccia a dir poco terrificante. Era una reazione che non aveva mai visto ad una persona che aveva appena ricevuto un complimento. Uno come Zack avrebbe cominciato a pavoneggiarsi e a guardarla maliziosamente.

Sorrise a quell’idea, ma velocemente si riprese tornando a Sephiroth. Poggiò i gomiti sul parapetto della finestra e le mani sul viso.

Appena la vide, lui fece arrestare il mezzo e sfilò via gli scuri occhiali da sole per poi avvicinarsi.

“Ho fatto.”

“Buongiorno!” Disse lei con occhi ridenti.

Sephiroth non si curò molto di quella reazione e, pur rimanendone perplesso, si addentrò silenzioso nella chiesa.

L’uomo non le dedicava attenzioni e quando poteva, sottolineava sempre le loro diversità, tuttavia stava cambiando. Prima era a dir poco impossibile, ma ora, dopo giorni, giorni e giorni, finalmente le regalava almeno l’indifferenza e non solo il disprezzo. Sephiroth la disprezzava proprio per il suo status, perché era una Cetra che ripudiava il suo vero io. Più e più volte le aveva detto che facevano entrambi parte della razza eletta dal pianeta e che assieme avrebbero dovuto riprendersi il mondo, ma non ottenne mai l’appoggio della ragazza.

La disprezzava per questo. Non solo rinnegava la sua specie, si era anche fatta amica quei disgustosi esseri umani. “Fraternizzava con il nemico”, era questo quello che le diceva.

Più volte l’aveva anche minacciata di ucciderla, ma lei aveva cercato con coraggio di far finta di nulla. Sephiroth aveva bisogno di tempo e questo lo sapeva. Ne era ancora più convinta dopo aver visto i suoi leggeri progressi.

Cloud non ne vedeva, le poche volte che era venuto da lei quasi l’aveva maltrattata pur di lasciare Sephiroth. Lui non sapeva niente, per questo non poteva vedere ciò che invece vedeva lei.

Ne era certa. Sephiroth era recuperabile.

Gli si avvicinò mentre lui martellava su una mensola rotta.

“Oggi dovrò andare via un po’ prima, va bene?”

Il ragazzo dai capelli argentei la fisso distrattamente, poi si limitò ad annuire ritornando alla mensola.

“Cosa mangi? Ti compro il panino oppure provo a cucinar…”

“Va bene un panino, grazie.” Disse velocemente.

Aerith rise di cuore a quella reazione dopodichè si allontanò.

“Oh, andiamo! Sto facendo progressi in cucina, lo sai?”

“Vuoi salvarmi da Strife per uccidermi tu?” Le rispose aumentando il numero di martellate.

“Sei terribile, non ti smentisci mai! Eppure faccio così tanto per te!” gli rispose fingendosi nervosa, ma le scappò un sorriso che la tradì.

A sua grande sorpresa, Sephiroth, dopo aver sfondato la mensola, le si avvicinò serio. La giovane non capì immediatamente il motivo, dunque gli rivolse uno sguardo incuriosito.
Anche Sephiroth le rivolse i suoi pallidi occhi senza sbatter ciglio nemmeno una volta.

“Cos’è che vuoi davvero?” le disse inarcando le sopracciglia.

Aerith non comprese subito a quale proposito venisse una domanda del genere.

“Ti da fastidio?”

“Ti chiedo perché lo fai.” Ripeté guardandosi attorno. “Il tuo non è un divertimento o un capriccio.”

Lei abbassò lo sguardo e si fece pensierosa. Avvicinò le sue sottili braccia alle spalle e per diversi secondi non proferì parola. Alzò solo dopo gli occhi da bambola e con una dolcezza suggestiva gli sorrise.

“Voglio solo vivere.”

Vivere..?

“Vivevi benissimo anche senza di me.” Disse non comprendendo quella risposta.

Aerith scosse la testa, divertita. Lo fissò dritto negli occhi e assunse un’espressione che la rendeva a tratti misteriosa, a tratti persino beffarda.

“Penso sia una bella esperienza voler dimostrare che il cuore batte non solo perché deve pompare il sangue, non ti pare?”

Sephiroth non comprese quelle parole.

Aerith per lui era un mondo sconosciuto. Diversissimo dal suo. Erano inconciliabili. Per niente affini. Eppure ora erano lì, l’uno di fronte l’altra, a guardarsi e, in qualche modo, ad interagire fra loro. Com’era possibile che due anime così diverse potessero trovarsi d’avanti?

Lui ci aveva rinunciato, anzi, si rifiutava, eppure lei non mollava. Continuava a voler scavare nella sua anima con i suoi profondi occhi. Era una sensazione inspiegabile, così strana da sembrargli addirittura piacevole.

Era come una luce candida, ma che non gli annebbiava la vista. Per lui era impossibile descriverla.
Solo di una cosa era certo, doveva evitarla o avrebbe avuto terribili conseguenze.

Si era accorto di quanto lei si sforzasse e pazientasse con lui, eppure, nonostante questo, non le aveva mai dato tregua. Era scappato, le aveva distrutto vasi, le aveva fatto spendere soldi, l’offendeva, la evitava e raramente l’aiutava nel suo lavoro. Ma lei non perdeva la sua grinta. Era fastidiosamente assurdo.



[…]






Pettina i bei capelli, fino a renderli morbidi e lucenti come la seta.
Sistemali, acconciali e riempili di delicati fiocchi colorati.


Attento a sistemarli bene, o dovrai rifare tutto daccapo.


Ora cosa dovrebbe vestire, la mia bambola?


Lei deve avere sempre l’abito più bello, quello più belli di tutti.


Io non lo voglio verde, perché mi ricorda la speranza.
Io non lo voglio rosso, perché mi ricorda la passione.
E nemmeno giallo perché le metterebbe allegria.
Il blu la farebbe sentire libera di volare nel cielo.
Il rosa la renderebbe romantica e delicata.
Il nero potrebbe farla rattristare.
Il marrone gli ricorderebbe la terra dalla quale nascono i suoi amati fiori.
Non lo voglio con il viola perché le ricorderebbe una notte tempestosa.


Oh, mia bambola, cosa farti indossare? Scegli tu.
Non puoi, non puoi, la tua bocca è bella e carnosa, ma è di porcellana, non puoi aprirla.


Perché non mi mostri gli occhi?
Quei bei occhioni di vetro. Tondi pallidi e dall’iride fredda.
Tocco gli occhi della mia bambola, scavo dentro di loro, ma lei non risponde.


La mia bella bambola è splendida. Non risponde nemmeno se le toccò il bulbo dell’occhio.


Ma perché non cerchi di muoverli? Fami capire. Come vuoi il tuo bell’abito?


Ora ricordo. Non puoi muoverli.


Su e giù.


Su e giù.


Ancora una volta, su e giù.


Lei è bellissima quando chiude gli occhi.
Ora li riapre quando la porto di fronte a me. E’ fantastico. Lo farei per ore.


Tu ti stanchi? Oh, no che non ti stanchi.


Anche quando scavo il tuo morbido stomaco tu mi sorridi con quelle labbra di porcellana.
Deliziosi fiocchi di ovatta fuoriescono e io scavo ancora di più, fino a renderti sottile, così sottile da sembrarmi brutta.


E ora, bambola mia? Cosa desideri indossare?


Oh, ecco, ecco. Ho trovato l’abito per te.
E’ bello, morbido e lucente. È perfetto.
Dunque, mia cara, ti piace?


E’ grigio.
Così non ti ricorderà la speranza e la passione. La gioia e la libertà.
Non ti ricorderà l’amore e la tristezza non si disegnerà mai sul tuo viso.
Non ti ricorderà il cielo e la terra. Con mare e tempeste.


Bambola mia, sei contenta?


Sì, che lo sei. Lo leggo nel tuo volto di porcellana. Nei tuo occhi di vetro, nella tua bocca carnosa.


Ti gingilli con quell’abito che ti rende perfetta. Immune alle impurità della vita.


Ora lo sai.


Oh, bambola, ma che fai? Il tuo viso sembra comunque mutato.
A cosa è servito trovare l’abito perfetto per te?


Sciocco umano, ancora non lo sai.
La bambola anche da sola camminerà.
Si reggerà sui suoi stessi piedi. Di ceramica, fragili, ma finalmente liberi.







La giovane ancient prese a pettinare i suoi lunghi capelli mossi. Era sfinita, ma soddisfatta. Guardava sé stessa riflessa allo specchio e, con quel lungo pigiama candido e i capelli biondo cenere attorno a sé, si sentì persino bella.

Perché bella? No, non solo perché oggettivamente Aerith era attraente. Si sentiva bella perché era in pace con sé stessa. Sentiva un benessere lungo tutto il suo corpo e avrebbe voluto tanto trasmetterlo a qualcuno. Avere tutta quella felicità le faceva a tratti persino paura. Qualcuno avrebbe potuto strappargliela via.

Ma non riuscì a fare a meno di sentirsi bella. Sorrise, sorrise ancora.

Erano stati tre mesi lunghi, davvero lunghi. Infiniti.
Ma era riuscita a smuovere qualcosa nell’anima di Sephiroth. Non era ancora un qualcosa di percettibile, ma era un ottimo inizio.

Il clima tra loro due si era finalmente placato.

Sospirò e socchiuse gli occhi per qualche attimo.
Voleva godere di quella tranquillità ora, subito.

Nella sua stanza regnava il silenzio più assoluto. Aerith poteva sentire il rumore della spazzola sui suoi capelli.
Emise un lieve sibilo per spezzare quel silenzio. Lo odiava terribilmente.

Si alzò e pensò bene di riposare. Doveva essere al pieno delle energie domani. Essere all’altezza di Sephiroth non era cosa facile.

Si stava appena svestendo quando un rumore assordante la fece sobbalzare. Non proveniva da casa sua, era troppo distante come rumore. Si affacciò alla finestra sporgendosi appena e avvertì ancora quei forti rumori.
Da dove provenivano?
Sembravano rumori di vasi di discreta grandezza frantumarsi a terra, mobili falciati.

Le si gelò il sangue quando cominciò a riflettere che quel genere di rumori potevano provenire solo da un luogo: la chiesa.

Sgranò gli occhi e pensò che l’unico luogo lì vicino era proprio quello.

“…Sephiroth?” disse fra sé all’improvviso.

Sephiroth era lì. Cosa stava accadendo?!
Lo doveva aiutare. Doveva fare assolutamente qualcosa.

Velocemente indossò la giacca rossa e scese le scale per correre da lui.
Mentre correva per la piccola via che li distanziava, la ragazza cominciò a tremare. La prima cosa che le era venuta in mente erano i vandali che tempo prima avevano irrotto nel negozio e che Sephiroth aveva fatto fuggire con facilità.

Che fossero tornati per vendicarsi?

Per loro sarebbe stata una folle idea. Come potevano sperare di sconfiggere uno come Sephiroth?
Ovvio che non sapessero che fosse lui altrimenti non avrebbero minimamente pensato di avvicinarsi.
Però Sephiroth era disarmato e poteva essere stato colto alla sprovvista. Doveva intervenire e aiutarlo.

Appena arrivata davanti al negozio i rumori cessarono. Si sorprese di quel silenzio così improvviso. Fino a pochi attimi prima continuavano ad esserci rumori forti e striduli di oggetti che cadevano a terra e che venivano violentemente colpiti.
E ora? Il più tetro silenzio.
Un po’ come quello che vi era in camera sua. Inquietante e fastidioso.

Aprì la porta con un veloce giro di chiavi. Non avvertendo alcun tipo di rumore, ipotizzò che dovessero essere scappati via. Tuttavia era anche possibile che fossero in agguato perché avevano avvertito la sua presenza.

Entrò lentamente e cercò di fare meno rumore possibile. Il suo respiro era così intenso che trovò persino assurdo che potesse avvertilo in tal modo. Cercò di trattenersi, ma ottenne solo l’effetto contrario.

Era buio pesto. Aerith dovette sforzarsi parecchio per vedere bene cosa fosse accaduto. Mentre avanzava sentiva sotto i suoi piedi scricchiolare terribilmente. Guardando a terra vide con orrore tutti i suoi vasi distrutti a terra.
Cocci ancora grossi, cocci ormai ridotti in polvere.

Spostò il suo sguardo ai pochi mobili che c’erano e anche questi erano stati tagliati a pezzi.

I sui amati fiori erano calpestati e lacerati a terra. Si chinò verso questi e ne raccolse un paio, incapace di comprendere perché fosse accaduto tutto questo.

Nel negozio regnava la completa distruzione e desolazione, ora. Solo i petali dei fiori sparsi per tutta la superficie creavano un curioso contrasto. A tratti macabro, a tratti inspiegabilmente dolce.

Alcuni petali ancora danzavano per aria. Uno le cadde in testa e mentre lo  levava via, dedusse che dovevano essere stati toccati poco. Che i vandali fossero ancora dentro?

Immediatamente mise da parte ilo shock di vedere il suo negozio in quello stato e corse nel piccolo ripostiglio dove riposava Sephiroth.

Spalancò la porta consumata e urlò il suo nome spaventata.

“Cosa?” disse, sorpresa.

Il materasso era completamente sfondato e grondava di sangue. Le venne un capogiro alla vista di tutto quel sangue. Cosa era accaduto a Sephiroth?

“Rispondi! Sei qui?!” urlò ancora una volta.

Anche in quella stanza vi regnava la più completa distruzione. Le scope e i secchi erano stati ridotti in tanti piccoli pezzi ormai non più componibili.

Persino la porta era completamente graffiata e sporca di sangue. Poggiò una mano su questa e se la ritrovò completamente bagnata. Il sangue era fresco.

Si guardò attorno ancora una volta sperando di riuscire a scorgere Sephiroth, ma di lui non c’era traccia.

Si sentì smarrita e quel silenzio non l’aiutò a stare meglio. Il silenzio la stava turbando e distruggendo dentro quasi più di quanto fosse accaduto in quel luogo. Sentiva la solitudine attorno a sé. Avrebbe voluto qualcuno vicino a sé, per non sentirsi più sola. Ma era così, era in balia del buio e del silenzio e non poteva scappare in nessun modo.

Sephiroth era sparito e chissà cosa gli era accaduto.

Non sapeva dove cercarlo, non sapeva cosa fare. Si chiedeva se avesse davvero fatto del suo meglio. Si chiedeva se avesse mai dovuto chiedere aiuto a Cloud.

Aveva paura.

Se ne rese conto da sola. Si sentiva incapace di giudicare e giudicarsi.

Strinse le spalle attorno a sé e si accasciò a terra con un tonfo violento. Un singhiozzò rimbombò nella stanza e da un lato fu alleviata che ci fosse almeno quello a farle compagnia. Non si trattenne in nessun modo e il suo pianto le diede il conforto che tanto cercava.

Un pianto esagerato, con gemiti violenti. Solo per sentire la sua stessa voce rimbombare nel locale.

Non riusciva nemmeno a chiedersi cosa avrebbe potuto fare. Rimase in quello stato di inerzia per diversi minuti, sperando che qualcosa sarebbe cambiato. Era inerme sotto tutti i punti di vista. Sentì il cuore allontanarsi da sé e avrebbe dato qualunque cosa per riaverlo.

Il silenzio in poco tempo ritornò e con forza tornò a piombarle addosso. Aerith chinò il capo e chiuse gli occhi.

I’m SOrry….

“Cosa?” disse lei sgranando gli occhi di colpo.

Please…help me

Delle voci cominciarono ad echeggiare. Si alzò di colpo e cominciò a tremare. Solo dopo si accorse che queste erano solo nella sua mente.


Credo di aver raggiunto il mio obbiettivo, non ti pare ?


Tutto questo odio mi sarà utile


Uccidi…


Proteggi mia figlia…


Dille che le voglio bene


Non ho potuto fare niente


N…aspet….te


Dove sei ?


“Basta! Smettetela! Non ora!” urlò tappando le orecchie sperando di allontanare la voce del lifestream. “Andate via! Lasciatemi in pace!” e corse via dal locale.

Il suo respiro si fece irregolare e insopportabilmente intenso. Aerith ansimò per più tempo mentre le voci cominciavano ad affievolirsi. Chiuse gli occhi e cercò di portare ancora più lontane quelle voci. Il respiro si fece lentamente più regolare. Cominciò a camminare, sfinita, per le strade e solo dopo si accorse di essere scappata proprio verso il retro della chiesa.

Guardò apaticamente davanti a sé e non si curò di niente e di nessuno. Voleva solo scappare via, chiudersi per davvero in una casa di vetro lontana da ogni rumore e dal lifestream. Così avrebbe deluso sé stessa, ma sarebbe stata meglio.

Il sangue nelle vicinanze del retro la fecero tornare in sé.

“Sei nelle vicinanze, Sephiroth?” chiese speranzosa mentre lo toccava e sentiva che era anche questo fresco.

Era una scia che cominciava dalla piccola scalinata e si protraeva lieve per la via. Cominciò a percorrerla non perdendo di vista quel macabro tracciato di sangue…
Il cuore cominciò a battere, battere incessantemente, aveva paura di chiedersi perché.

Sapeva che la risposta non le sarebbe piaciuta per niente.

Continuava a fissare intensamente la scia che le indicava dove trovare chi avesse perso tutto quel sangue. Ad un certo punto vide che le macchie si bloccarono all’altezza di una traversa.

Tentennò prima di girare quella curva, ma non le venne in mente l’idea di andare via. Deglutì e si affacciò lentamente trovando finalmente Sephiroth.

Sephiroth era poggiato a terra in un vicolo cieco. Si era accasciato dopo un lungo momento di agonia. Il muro era intinto di sangue proprio sopra la sua testa. Anche attorno a sé vi era una cospicua quantità di sangue. Lo stesso Sephiroth era ancora gocciolante.

Aerith si avvicinò a piccoli passi verso di lui.

“Sephiroth…” disse in un sussurro.

I vento di colpo si alzò facendo avvertire alla ragazza un brivido di freddo. Non riuscì a pensarci troppo e si accasciò accanto a lui.
Il suo leggero abito rosa andò a macchiarsi del sangue di Sephiroth intingendosi in pochi secondi.

Sephiroth ansimava appena. Stanco e sudato. Un po’ come lo aveva trovato nella sua dimora, prima di portarlo con sé alla chiesa sconsacrata. Lui la guardò con quegli occhi verdi e lucenti. Il suo guardo era stanco e rassegnato. I capelli erano davanti al viso e malmessi. Aerith non lo aveva mai visto in quello stato.
Lui continuava ad osservarla senza dir nulla.

Perché non parlava? Perchè non le chiedeva se stava bene? Perché non le raccontava dei ragazzacci che avevano voluto vendicarsi?

Aerith, malauguratamente, sapeva perché.

A grande sorpresa dell’uomo, la giovane Cetra cominciò a tremare. Prima lentamente, poi non riuscì più a fermarsi.

“Perché piangi?” le chiese lui con un tono soffuso.

Aerith alzò lo sguardo e Sephiroth ebbe la conferma che aveva gli occhi lucidi. Era terribilmente bella, gli occhi apparivano enormi e di un colore che era a metà tra l’azzurro e il verde. Brillavano come gocce di rugiada e per la prima volta non trovò fastidioso avere a fianco a sé qualcuno con degli occhi così umidi e languidi.

La ragazza poggiò una mano sul cappotto nero di lui e lo scostò dalle profonde ferite. Le esaminò appena e vide che alcune stavano già cominciando a fare infezione. Qualcuna era fresca e aveva ancora il sangue vivo attorno, altre avevano già il sangue coagulato.

Le mani si tinsero di quel rosso che non le si addiceva per niente, ma lei non se ne curò. Estrasse un fazzoletto e provò a tamponare le ferite sul viso, ma non ottenne granché.

Una lacrima scivolò verso le sue gambe e solo allora Sephiroth comprese che si era contenuta fino a quel momento.
Aerith era una ragazza forte, sempre con il sorriso sulle labbra. Vederla piangere con quello sguardo disperato era qualcosa di semplicemente assurdo. Quasi non sembrava lei.

“Perché lo hai fatto..?” disse con le parole che le si strozzavano in gola. Gli toccò le ferite e Sephiroth sussultò avvertendo dolore. “Oh, cielo, ma guardati..!”

I suoi occhi assunsero un’espressione ancora più disperata e allora la giovane scoppiò non resistendo più.

“Dove ho sbagliato..?” disse a sé stessa, Sephiroth non disse nulla. Calò lo sguardo a terra.

“Io credevo di farcela. Ci volevo credere e sapevo di esserne in grado. Possibile che non abbia capito che tu odiavi così tanto la vita?”

Gli si rivolse, ma lui non comprese se lei volesse davvero una risposta.

“Forse…aveva ragione Cloud.” Disse lei, ancora.

Si sorprese quando, dopo diversi secondi, Sephiroth provò a rialzarsi.
 Traballante, riuscì con sforzo a mettersi diritto. Si poggiò sul muro ed ansimò.

“Lasciami in pace.” Le disse, poi fece per andare via.

A quel punto Aerith si alzò, ma lui con le forze che gli rimanevano, la bloccò facendola cadere nuovamente a terra.

“Ti ucciderò se continuerai a insistere.”

In poco si allontanò da lei, ancora annebbiato ed incerto. Aveva la mente confusa. Ancora una volta, non era stato in grado di uccidersi per colpa sua.
Non era più capace nemmeno di quello? Un qualcosa che persino l’uomo più infimo era capace di fare? A cosa gli serviva vivere?

Poco era servito allontanarsi. Aveva cambiato totalmente quartiere e aveva perso molto sangue. Aveva avuto appena il tempo di accasciarsi che lei già gli era di fronte.
Lui le mostrò uno sguardo incredulo, ma allo stesso tempo sentiva di aspettarselo.
Sapeva dal principio che lei lo avrebbe trovato. Vivo o morto.

Eppure, quando lei aveva abbassato gli occhi verso di lui, si era sentito inquieto. In quei momenti si accorgeva che quella donna non era normale.

Come faceva a non essere una come tante? Forse perché aveva imparato ad avere a che fare con lei? Perché ora non era una sconosciuta, ‘una delle tante’ ?

No, ora era diverso.
Per la prima volta ebbe davvero la convinzione di non avere di fronte a sé un essere umano.
Era una considerazione ovvia, ma mai prima di allora aveva avuto la consapevolezza che Aerith era un Cetra.

Non era un qualcosa di positivo.
Avvertiva fastidio.
Quasi come se lei potesse leggergli l’anima e scavare nel suo intimo.

“Come hai fatto?” disse lui tentennante.

Voleva essere lasciato solo, voleva morire, non voleva ricostruirsi una vita…lei non gli permetteva niente di questo.

La ragazza si piegò verso di lui. Gli sorrise debolmente e gli mostrò i suoi grandi occhi luminosi. Lui rimase senza parole abbagliato da quella creatura così diversa da tutti. Unica.

“Come hai fatto?” le ripeté.

Aerith non rispose, gli si avvicino poggiando le sottili braccia affianco a lui solcando una distanza che nessuno aveva mai osato fare. Sephiroth poté avvertire il suo respiro. Era una sensazione nuova, che non aveva mai provato prima di quel momento. Un respiro caldo e delicato. Continuò a guardarla anche quando non riuscì più ad intravedere niente se non gli occhi socchiusi della ragazza.

Lei continuò ad avvicinarsi fino a sfiorare le sue labbra. Premette le labbra più forte e Sephiroth poté avvertirne la morbidezza e la dolcezza. Una serie di sensazioni a lui sconosciute cominciarono a scorrere lungo tutto il corpo, ne ebbe persino paura. Tuttavia provava una curiosità smisurata per quanto riguardava quel gesto.
Perché gli umani si baciavano fra loro?
Aerith lentamente schiuse le sue labbra e cominciò ad approfondire quel bacio. Cominciò prima a sfiorargli le labbra con un leggero tocco, per poi lasciarsi andare sempre più. Era Lento ed eccitante. Rimasero a sciogliersi in quel gesto a lungo esaminando con curiosità ogni singolo attimo.





[…]


  
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