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Autore: jinajin    21/07/2010    3 recensioni
Questa storia è ambientata qualche decennio dopo Breaking Dawn. Un nuovo personaggio si stabilisce a Forks e viene coinvolta nei misteri sovvranaturali che la circondano... la mia prima storia pubblicata!
Buona lettura!
Avvertimenti: POV
Genere: Generale, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Successivo alla saga
Capitoli:
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Capitolo 4
 
Appena m’avvicinai, il discorso s’interruppe. Volevano tenermi fuori dalla questione.
-Samuel, per questa settimana non andrai a scuola. Pensala come una vacanza!- disse Edward.
Lo sapevo. Con questo intendevano tenermi segregato qui, cosicché codesta creatura non avrebbe messo gli occhi su di me.
 
La settimana non accennava a passare in fretta. Ero segregato a casa Cullen in mezzo ad una famiglia iperprotettiva di vampiri. I miei genitori neanche m’avevano chiamato. Avevo sperato che almeno uno dei due avesse un po’ sale in zucca per venirmi a salvare. Niente di niente. Il cellulare rimaneva morto. Nessuno mi cercava. Ah, che disperazione.
I primi due giorni furono quelli peggiori. Mi ero dato a varie letture consigliate dagli intellettuali in famiglia. I referti medici consigliati da Carlisle finirono per primi nel dimenticatoio. Beh, sì ero intelligente e colto, ovviamente il risultato era per via dell’educazione forzata dei Cullen, ma avevo gusti diversi dal resto della mia famiglia. Le letture noir di Edward già erano più consone ai miei gusti. Solo che non ero tipo da letture. Amavo i film. Ma a casa Cullen li avevo praticamente visti tutti. O quasi.
E poi il peggio non era ancora arrivato. Quando la settimana finirà, ci sarà il mio diciottesimo compleanno. Eh sì, non mi piacciono i compleanni e le festività simili. La mia carissima famiglia faceva sempre tutto in grande. Cioè casa decoratissima, ospiti a non finire tra vampiri e licantropi. La zia Alice adorava queste cose. Si dava sempre un gran da fare e alla fine esagerava sempre. Questa settimana era un incubo. E poi se tornavo a scuola, avrei dovuto affrontare Eve. Lei non era stupida, anzi. Era davvero intelligente. E io sono stato l’imbecille che le ha dato un indizio su cui ragionare. I lupi e ifreddi.
Una notte in particolare, sognai Eve. Ma fu più un incubo che un bel sogno. Cercai di rimettermi a dormire, ma era inutile. Mi alzai e accesi la luce. In casa regnava un silenzio assoluto. Ma sapevo che a casa c’era almeno qualcuno di guardia.
Me ne fregai. Potranno pure sentire i rumori che faccio, da umano spastico che sono, ma i miei pensieri erano insondabili. Era il mio unico vantaggio. Scesi al piano di sotto. Non c’era anima viva. Controllai meglio. Per tutta la casa. Tanto per essere sicuri. Niente. Ma non mi detti per vinto. Forse mi stavano osservando da fuori. Andai nel salotto incorniciato da ampie vetrate, da cui si poteva vedere tutto il bosco che delimitava la casa. I miei occhi, miopi secondo i miei parenti, non scorsero niente di che. Lasciai perdere. La mia carissima famiglia m’avrebbe inseguito fino alla fine del mondo e oltre.
Mentre masticavo un toast, mi misi a guardare uno dei film noir della collezione del nonno.
Alla metà del film mi venne il voltastomaco. M’alzai e corsi al bagno. Vomitai.
Per più volte di fila dovetti tenermi fermo sul water, perché tremavo. Merda. Imprecavo e vomitavo senza fine.
 
-Che gli è successo, Carlisle?- disse qualcuno.
Non capivo, forse ero in dormiveglia. Qualcuno mi stava portando. Mi sentivo debole. Strano. Non ero mai stato male in vita mia e non avevo mai vomitato. Eh, c’è sempre una prima volta per tutto.
Del resto non ricordavo nulla. Delle poche volte in cui riprendevo coscienza, mi dicevano di stare calmo, che non era niente. Menzogne. Minimizzavano su tutto che mi dicevano. Sapevo che era grave. In quelle poche volte, e corte, che ero sveglio mangiavo, ma il risultato era sempre lo stesso. Il mio stomaco rifiutava tutto. Senza eccezioni. Certo, i miei cari parenti avrebbero potuto portarmi ogni cibo del mondo, erano capacissimi di farlo. Cercavano di stare calmi, ma dal modo di operare di Carlisle, capivo che ero condannato a morte certa se non mangiavo. Ero nello studio medico del bisnonno, attaccato ad una flebo. Però anche questa non aveva effetto. Mi sentivo sempre più debole e sempre più assonnato. M’avvicinavo ogni giorno di più alla morte.
A casa Cullen regnava la disperazione. La mia famiglia, segnata dal fatto che non riusciva a far niente per me, ed io che stavo a letto. Morente. E mio padre e mia madre non c’erano.
Perché non c’erano? Che Edward non li avesse avvertiti di me? Non riuscivo a darmi risposte.
Sembravano gli stessi sintomi di mia nonna, di quando rimase incinta di Renesmee. Mia madre.
Se non fosse stato per Edward, Bella sarebbe morta dando alla luce Renesmee. Ma poteva accadere a me? L’unico che sarebbe morto. Questo era certo. E mio padre che sperava che io mi trasformassi come lui in lupo. Le speranze di un povero licantropo che aveva come figlio un normalissimo umano.
Il solo fatto di stare tra loro mi martoriava. Loro erano immortali, potenti e bellissimi. E mio padre era un capobranco di lupi enormi. Io il più normale. Soffrivo come un cane, perché tutti s’aspettavano che prima o poi, il mio corredo genetico si sarebbe svegliato. Invece, stavo crepando.
Che schifo. Almeno avessi detto quella cosa a Eve…
 
Una notte in particolare, mi svegliai. Non c’era nessuno. Certo, ormai ero un caso senza speranze.
Chissà da quanto tempo dormivo. Ma la cosa peggiore era la fame. Non la solita. Una fame per qualcosa che non conoscevo. E stranamente, mi bruciava la gola. Non riuscivo a respirare. Cercai d’alzarmi dal lettino dello studio, ma non ce la facevo. Ero debole come non mai. Mi trascinai con le braccia. Al limitare delle scale, caddi come un sacco di patate. Che vergogna. Per fortuna non c’era anima viva a casa. Il dolore che provai dalla caduta non era niente in confronto alla fame che provavo. E c’era quel bruciore fastidioso. Continuai a trascinarmi. Avevo l’urgere di uscire dalla casa. Ci misi tanto, ma alla fine uscì di lì. Cadendo, ovvio. Ruzzolai giù per il prato e mi fermai al limitare della foresta. Ispirai. Aria pulita. Non quella chiusa che mi opprimeva da tanto quando stavo a letto. Ma quel respiro mi fece male. Tremai. Pensai alla febbre. Ma non capivo…
Il dolore mi martoriava il corpo. Le ossa! I muscoli, ah… tutto faceva male. La fame non sparì mai alle orde di dolore lancinanti, che arrivavano a scossoni. Era come se il mio corpo lottasse contro sé stesso. Speravo di poter perdere coscienza, di perdere i sensi per poter fuggire da questo dolore, ma era come se la fame che mi stringeva i visceri non mi voleva dare pace. Mi sembrava di andare di matto con tutto quello che mi stava accadendo. I pensieri non c’erano o non erano coerenti… non capivo più chi ero e dove fossi. Tutto quello che c’era, era il dolore folgorante e la fame insoddisfatta.
Ero incazzato perché non capivo. Ero frustato per via della mia normalità, e disperato. Perché? Nessuno vuole morire giovane, cazzo! Ed io che desideravo fare ancora tante cose, e cercare di diventare qualcosa, qualunque cosa pur di assomigliare un po’ ai miei genitori.
Una rabbia mi crebbe nel petto. All’improvviso. Una rabbia feroce. Questa rabbia mi dette la forza di alzarmi. E poi cominciai a correre. E come un tuono cercai di sprigionarla. E da lì in poi c’erano solo la bestialità e la fame.
 
 

 ***

 
 
Uccellini e sirene. Un risveglio che non aveva eguali. Qui a Forks naturalmente.
L’urlare della carissima sig. Cope mi buttò dal letto. Più che altro per lo spavento. Mi destai dal pavimento e notai che per l’ostello echeggiavano più emozioni del solito. E parecchio pese direi.
Disperazione, paura, preoccupazione e stupore. Non me ne fregai. Quello che accadeva agli umani non aveva niente a che fare con me. Tanto per cambiare, per andare a scuola, saltai giù dalla finestra. Non mi vide nessuno.
A scuola c’era un gran vociferare. E Nicholas m’illuminò sugli ultimi fatti di Forks.
-Pare che ci sia stata un aggressione ad un alpinista, non poco lontano da La Push. Sembra che sia stato un orso, gigante alle parole dell’alpinista- disse Nicholas.
A me pareva che fosse stato uno dei lupi. Quel lupo fulvo era molto più grosso di un orso qualunque.
Le lezioni, la gente intorno a me… non m’importava più di niente. L’unica cosa di cui m’importava era quel codardo di Sam. Non era tornato a scuola da oltre una settimana. E il languore della fame m’assaliva. Non ero più andata a caccia da settimane. E perché?
Per paura. Sì, per paura di quei enormi lupi! Ed io la scema che andavo persino a scuola. Con tutti quei ragazzi che mi circondavano, il mio stomaco brontolava sempre e la gola bruciava a più non posso.
Per fortuna le lenti a contatto mascheravano perfettamente la mia sete.
Quella stessa notte, decisi di andare a caccia. Non potevo più rimandare, o rischiavo di azzannare un povero umano a vista.
Mi vestì di nero, maglietta a maniche lunghe, jeans e anfibi. Liberai i miei sensi sopraffini.
Soli respiri pesanti cullati dal sonno. Saltai giù dalla solita finestra e avanzai per il limitare dei boschi. Non volevo rischiare d’incapparmi in un lupo o peggio in un vampiro. Ma col l’avanzare notai qualcosa. L’ambiente intorno a me, a essere precisi il bosco, puzzava. Puzzava di bestialità. La foresta era intrisa di una bestialità che non avevo mai percepito in tutta la mia vita. Era peggiore del lupo fulvo. Con la mia abilità che schizzava alle stelle, non porsi attenzione a quello che sarebbe successo da lì in un attimo.
Uno spezzettarsi di rametti, un fruscio di foglie. Schizzai alla mia destra. Con la mano protesa afferrai un braccio, schiacciai. Però non sentì lo scricchiolare di ossa. La durezza ricordava la mia. E un freddo martoriante mi gelò le vene. Con tutte le mie forze saltai il più lontano possibile. Scappare era inutile. Mi ero imbattuta in un vampiro.
Atterrai su un fascio d’erba e rametti. Avevo lasciato perdere di essere delicata. Ora quello che contava era trovare un modo per sopravvivere. Guardai nella direzione del vampiro.
Era un uomo. Anzi direi un ragazzo, pareva avere la mia età, fisicamente. Chissà quanti ne aveva in realtà. Aveva capelli bronzei rossicci arruffati. E gli occhi di un color miele dai riflessi dorati. In cui si riflettevano i miei nerissimi. Almeno una di una cosa ero sicura, era vegetariano.
Non si muoveva. Ed io feci altrettanto. Non mi azzardavo a respirare. Una sola mossa sbagliata e mi sarei ritrovata nelle sue grinfie. Non ero sicura, però poteva benissimo lasciarmi andare. Stava fermo e sembrava analizzarmi. Ed io feci di rimando. Sentivo una moltitudine di emozioni, tutte intrinseche tra di loro. Come fossero tutte intrecciate e per carpirne qualcosa avrei dovuto spingermi più a fondo con la mia abilità.
Dal suo sguardo parve capire che io lo stavo sondando. Che pure lui avesse un dono? Qualche abilità?
Siccome sondarlo era inutile, mi feci avanti con la voce.
-Chi sei?-.
Non indugiò e invece di rispondere mi chiese da dove venivo.
-Non mi pare che tu abbia risposto alla mia di domanda- dissi.
-Edward- rispose lui, secco. E dalla sua espressione capì che era meglio rispondere alla sua.
-Abito a Forks. Ma vengo dall’Inghilterra. Hai presente l’Europa?-.
Sorrise flebilmente. Forse me la sarei cavata.
Mi fece cenno di seguirlo. Ed io lo seguì.
Era una saetta tra i boschi. E posso dire che non correva al massimo. Rallentava in modo che potessi seguirlo senza perderlo.
Mentre lo seguivo, avvertì la scia di altri vampiri. Assomigliavano molto a quella di Edward.
Stavolta non dovevo scappare. Ero al sicuro. Quelle scie stesse parevano dirmelo.
Sbucammo in una radura delimitata dalla foresta. Al suo centro c’era un’enorme casa bianca. Potevo sentire che era intrisa di vampiri. Un’allegra famigliola direi. Non sapevo più che aspettarmi. Edward si fermò all’entrata. Fissava la foresta e poi mi guardò.
Non capivo perché si fidava di un’estranea e non faceva domande del mio essere ibrido.
-Non ti capisco proprio… un vampiro non farebbe entrare un altro nel suo territorio così- dissi, senza remora.
-È la situazione che richiede la tua presenza, qui- disse una voce alle mie spalle.
Mi girai dallo spavento. Un pellerossa gigante. Scattai lontana appena captai cosa impregnava quel gigante. Bestialità impressionante.
-Jake, ti pare forse il momento di spaventare la gente?- disse Edward, mentre apriva la porta e ci fece cenno di entrare.
Il vampiro e il gigante entrarono. Aspettai. Il gigante pellerossa. Ora mi tornò in mente il lupo fulvo. Era lui. Quella bestialità che sprigionava aveva un timbro tutto suo. Grazie alla mia abilità riesco anche ad individuare le sensazioni e capirne l’identità.
Il capo di Edward sbucò dalla porta.
-Non entri?-.
Ma come siamo simpatici. Pesco tutto il coraggio che mi rimane ed entro. Veramente, non so più che aspettarmi.
   
 
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