PART EIGHTEEN –
“SACRIFICE”
L’obiettivo era prossimo.
Questo, l’unico pensiero razionale che assillava la sua mente.
Per il resto, solo lampi confusi e l’ennesimo disperato tentativo di resistenza
da parte di un orgoglio ferito. Il proprio. Tentativo accompagnato, da una
parte, dalla frustrazione e dalla rabbia di essere caduta in una trappola tanto
evidente: ma proprio tali sentimenti, d’altro canto, essendo meno facilmente
governabili, erano il tramite con il quale lui stava riuscendo nell’intento di
sottomettere l’estrema parvenza di volontà.
*Non voglio!* ciò che la mente tentò un’ultima volta di comandare al corpo.
(Non importa ciò che vuoi. Fa’ ciò che devi!)
l’ordine che, al contrario, le membra ascoltarono.
Il ragazzo con la treccia si riscosse, come da un orrendo sogno. E fu cosa
immediata verificare che la realtà era peggio dell’incubo.
“Ranma!”
La voce di – cosa ci faceva qui?! Le aveva detto chiaramente di fuggire. Perché
non gli dava mai ascolto, quella stupida?! Ma non ebbe il tempo di pensarci
oltre.
Si voltò. Tardi. Poté finalmente scorgere Shampoo lanciarsi contro di lui.
Tardi. Uno dei due bombori che l’amazzone stringeva nelle mani era già stato
scagliato. E proprio nell’istante in cui lui si era voltato, il colpo era
andato a segno.
Crollò rovinosamente all’indietro, preso in pieno petto dall’arma della
cinesina. La violenza era stata tale da mozzargli il respiro. Le grida dei
presenti si persero al suo udito come un unico lamento sordo. Riuscì appena a
domandarsi come lei si fosse procurata una forza così smisurata; e come potesse
lui essere diventato tanto incapace da non aver percepito la sua presenza.
Credette di udire il rimprovero paterno, ma la voce era solamente nella sua
testa. Forse per via dell’improvvisa mancanza d’ossigeno nei polmoni, perse la
cognizione della realtà per un momento. In quello immediatamente successivo,
vide Shampoo spiccare un balzo in aria, tesa a colpirlo col secondo bombori. A
distanza tanto ravvicinata, che se ben assestato quel colpo sarebbe potuto
risultare fatale.
Non fu la mente. Non fu la ragione. L’istinto di sopravvivenza, quello gli
disse, molto più rapidamente che il formarsi di un pensiero, gli disse che
doveva difendersi. Ciò voleva dire solo una cosa. Un contrattacco. Avrebbe
ancora potuto farcela, recuperare l’arma che già gli era stata gettata contro,
rialzarsi da terra e colpire lui prima che lo facesse lei. Avrebbe ancora fatto
in tempo, ma questo sarebbe stato rischioso per Shampoo quanto lo sarebbe stato
per lui se l’amazzone fosse riuscita ad anticipare la sua mossa. Del resto,
cos’altro rimaneva?
Quindi lo vide, con la coda dell’occhio. Shingo osservava la scena, la sua
espressione pareva un enigma inestricabile. Eppure – forse paranoia? – eppure
Ranma si convinse – no, ne era assolutamente sicuro! – che quel pazzo in realtà
– dentro di sé – stava sogghignando! Lo capì solo allora. Era di nuovo una
pedina. Allo stesso modo di Shampoo, evidentemente sotto il suo influsso come
già prima Rouge e Taro. L’individuo del medaglione, tanto per cambiare, stava
manovrando quel perfido gioco.
Lo voleva. Per qualche recondito motivo, voleva che lui attaccasse. Ebbene no.
Non l’avrebbe fatto. Lo considerava tanto prevedibile? Era sicuro, invece, che
questo non l’aveva previsto. Comunque fosse, le cose non sarebbero potute più
andare diversamente. Troppo, aveva esitato. Il tempo era scaduto.
Il tempo era scaduto. Shampoo raccolse tutta l’energia che aveva in corpo e la
concentrò sull’arma che le era rimasta in mano. Come era arrivata a questo
punto? Non era giusto. Tutto quello che voleva – era solo che Ranma non la
odiasse! Voleva solamente non dover ravvisare lo sguardo di rimprovero nei suoi
occhi, non dover scorgere la tempesta infuriare nelle profonde iridi color del
mare. Una vocina annuì.
*Non la vedrai, infatti. Ancora un secondo e le sue palpebre rimarranno
sigillate per l’eternità.*
Non era la voce che stava assordando la sua mente. Questa volta, intese con
amarezza la giovane amazzone, si trattava veramente della sua coscienza.
“Peldonami, Lanma.”
Fu come un sussurro, che sfuggì perfino al controllo del medaglione.
Quindi una lacrima scivolò furtiva.
Ed il braccio col bombori lasciò partire l’attacco decisivo.
L’arma si spezzò a metà, così che una delle due parti andò a rotolare vicino al
suo corpo dolorante. Colpito in pieno. Una Shampoo priva ormai di volontà
fissava meccanicamente il bersaglio che aveva centrato. Fu Shingo a dirglielo,
tornato padrone incontrastato della sua mente, mentre le iridi, animate da una
luminescenza rossastra non loro, cadevano ancora incoscienti su un artiglio
posto all’estremità di una lunga fune e risalivano lentamente fino all’origine,
andando a focalizzare la manica di un’ampia tunica bianca.
Il bersaglio era quello sbagliato.
“Mousse!” esclamò il ragazzo col codino.
Il cinese aveva cercato di strappare via il bombori dalla mano di Shampoo, un
momento prima che lei attaccasse. Era riuscito nel suo intento, spezzando
l’arma: ma una parte di questa era schizzata contro il suo braccio sinistro,
ferendolo gravemente. Poco contava, pensò inforcando gli occhiali e voltandosi
verso Ranma. Per fortuna aveva avvertito in tempo la presenza dell’amazzone e,
per il resto, si era lasciato guidare dal suo orribile presentimento. Aveva
avvertito, inizialmente, il campo di forza separare i due contendenti dalla
realtà circostante. Poi questo era svanito, nel momento stesso in cui Shampoo
si faceva avanti. Era per farla passare. La conferma che il presentimento aveva
ragione d’essere.
Shingo era contrariato. Chiunque avrebbe potuto facilmente verificarlo,
osservando l’ombra del turbamento offuscare la lucentezza del profondo zaffiro
delle sue pupille. Pupille che si restrinsero, mentre il medaglione brillava di
una luce più intensa.
(Che cosa aspetti?! Liberati dell’ostacolo e attacca!)
Lasciò che in lei tornasse la consapevolezza della realtà circostante. Trovò
rapidamente i sentimenti giusti, nel cuore dell’amazzone, perché queste parole
sortissero comunque la cieca obbedienza. Frustrazione. Questo sentiva Shampoo,
in ogni parte del suo essere. Frustrazione, perché tutto stava per finire ed
invece non era ancora finito e lui era vivo e ancora la guardava e questo la
faceva soffrire e lei desiderava – solo – che la sofferenza – finisse!
Stupido Mousse! Perché si era messo in mezzo? Perché la faceva soffrire?!
Ostacolo. Era solo un ostacolo alla fine di tutte le cose. La vocina, seppure
tanto odiosa, diceva il giusto. Doveva ascoltarla un’ultima volta, doveva
obbedire: e presto non avrebbe più sentito quella vocina. Non avrebbe più
sentito niente. Shampoo non esitò oltre.
“Togliti!” disse con voce sprezzante, mentre il brillio rosso senza vita aveva
ormai completamente sovrastato il colore delle sue iridi.
“Shampoo.” disse lui, di nuovo in piedi, imperturbabile. “Ormai sono abituato al
tuo sguardo gelido. Non mi metterà in crisi. Non questa volta.”
Lo vide frapporsi ancora, tra lei e Ranma. Illuso! Che cosa credeva di fare? La
spatolona era stata messa fuori combattimento col suo solo passaggio, la
talpa non avrebbe di certo avuto una sorte migliore.
(Non sottovalutarlo! Liberati dell’ostacolo.)
*E’ solamente un altro sassolino, l’ultimo insignificante sassolino sulla mia
strada.*
(Liberati dell’ostacolo!) ripeté la voce.
*E’ solo Mousse!* Questa frase compose la sua mente ribelle, dettata e dal
fastidio e dall’orgoglio. Quindi si lanciò contro Ranma, ignorando totalmente
il cinesino. Se fosse stato tanto stolto da mettersi in mezzo, avrebbe pagato
caro il suo gesto.
E fu stolto. Eccome se lo fu.
“Ti impedirò di compiere questa sciocchezza!” gridò, intercettandola. Aveva
ancora un braccio sano e l’avrebbe usato. Tre dita della mano destra
affondarono nella scapola dell’amazzone. Dopo di ciò, Mousse fu scagliato a
terra da una forza disumana.
Ranma incrociò le braccia in posizione di difesa. La sua intenzione non era
mutata: anche se Shampoo dimostrava di non voler usare alcun riguardo, lui non
avrebbe fatto il gioco di Shingo. Sapeva essere testardo, a volte. E se
quell’azzardo si fosse rivelato letale – beh, forse non sarebbe stata una cosa
tanto negativa.
Pensò con amarezza che tutto questo stava accadendo a causa sua.
Ancora una volta.
Allo stesso modo, era certo di un’altra cosa.
Solamente con lui, tutto sarebbe finito.
L’amazzone attaccò, questa volta a mani nude. Ma gli occhi di lei non si
rispecchiavano più nei suoi. Non scorgevano il rimprovero che avrebbe meritato.
Non scorgevano più nulla. La vista si annebbiò improvvisamente. E capì.
Cretina! La conosceva, quella tecnica. Era esperta in tutte le tecniche che
concernevano la digitopressione. Eppure si era lasciata avvicinare e
soprattutto si era lasciata premere i punti nevralgici. Se l’era meritato,
questo l’ultimo pensiero razionale prima di perdere i sensi, trovando
inaspettatamente il sollievo. La sua corsa si era arrestata. Il sassolino
l’aveva fatta inciampare e la sua caduta era stata tanto rovinosa quanto provvidenziale.
Crollò esanime di fronte ad uno sbigottito Ranma, che pure aveva capito e si
era subito chinato in direzione del cinesino: il quale provava faticosamente a
rialzarsi da terra.
“Mousse!” esclamò una seconda volta il ragazzo con la treccia. “Tu mi hai…”
L’altro lo anticipò. “Non è come pensi, Saotome. Non l’ho fatto per difendere
te: l’ho fatto per difendere Shampoo. Se, dopo averti eliminato, avesse
ritrovato la ragione, si sarebbe dannata per il resto della sua vita!” Strinse
il pugno. “E questo… non l’avrei potuto sopportare.” Rilassò le nocche, come
liberandosi d’un grosso peso. E, anch’egli sollevato, lasciò che il dolore del
colpo subito prevalesse su tutto il resto, ricadendo inerte al suolo.
Tutto questo fu roba di pochi secondi. Akane, Genma, Obaba avevano osservato
attoniti l’intera scena ed ancora non si erano ripresi. Anche Ryoga aveva udito
il grido di Akane, poco prima, così l’attenzione del ragazzo con la bandana era
tutta confluita sulla minore delle Tendo. Piangendo di gioia si era rassicurato
sulle sue condizioni, quindi aveva lanciato qualche improperio nei confronti
del pazzo col medaglione che aveva messo in pericolo la sua vita,
dimenticandosi temporaneamente del resto del mondo. Solo l’ultimo grido di
Mousse lo riscosse del tutto, portando il suo sguardo ad imitare quello di
Akane.
Ranma, intanto, sembrava aver recuperato un apparente autocontrollo. Il giovane
Saotome lanciò un ultimo sguardo sul suo antico avversario dalla tunica bianca.
Non l’avrebbe mai ammesso, ma lo aveva difeso. “Grazie…” sussurrò.
Mousse, ancora cosciente, lo udì e lui sapeva bene cosa volesse dire un grazie
proferito da uno come Ranma. Accennò, pur tra mille dolori, un fiero sorriso.
“Non credere di poter andare così facilmente all’altro mondo.” disse, piano.
“Almeno, non prima che io sia riuscito a sconfiggerti…”
Ranma rispose abbozzando un sorriso altrettanto fiero. Lasciò l’amico-nemico,
si rimise in piedi, si voltò verso Shingo, gli si avvicinò.
“Perché?!” disse con tono fermo. ”Perché questo?!”
L’altro gettò un’occhiata di derisione sul cinese accovacciato sul terreno,
ormai privo di sensi, quindi riportò la sua attenzione sull’interlocutore.
“Era per aiutarti.” rispose in modo neutro. ”Hai molto da imparare. Speravo che
la tua esperienza nell’altra dimensione ti avesse insegnato ad estraniarti
dagli affetti, ma evidentemente le cose non stanno così.”
“Volevi farmi combattere contro Shampoo, dico bene?!” digrignò disgustato
Ranma. “Tu volevi che fossi costretto ad eliminarla.”
“L’alternativa era essere eliminato tu da lei. Dopotutto è colpa sua, quello
che ti è successo. Ammettilo, non l’avevi a morte con lei per quello che voleva
fare ad Akane? La bella cinesina non si sarebbe forse meritata questa fine?”
“No!” replicò senza esitare. “Nessuno merita tutto questo.”
“Sei sicuro? Avresti veramente scelto di sacrificarti pur di non macchiarti
della sua fine?” lo stuzzicò. “Sei un debole. Forse avresti capito, guardando
la morte in faccia. Purtroppo, quel tuo amichetto quattrocchi si è intromesso e
la mocciosetta si è intestardita a non tenerlo in considerazione, nonostante il
mio comando mentale.”
“Dunque è così, la stavi controllando come pensavo.”
“Il potere di cui ti parlavo prima. Posso interferire nelle aure ed insinuarmi
nella mente degli altri, facendo leva sulle giuste corde. E’ così che ho
ottenuto il controllo su di lei e sugli altri due tuoi amici.”
Un pazzo. Ora ne era totalmente sicuro. Quello Shingo non era solo il più
grande esibizionista che avesse mai incontrato sulla faccia della terra, come
il possessore del medaglione aveva dimostrato raccontando teatralmente, per
filo e per segno, la sua storia. Non era solo un grosso pallone gonfiato, come
dimostravano i suoi continui atteggiamenti arroganti e boriosi. Ranma capì di
trovarsi di fronte ad un folle, da fermare ad ogni costo. Nonché un sadico. Il
giovane con il codino sospettava che avesse goduto, nel profondo del suo animo,
ad aizzare Shampoo contro di lui, la persona amata dall’amazzone. Ma ancora una
cosa non era chiara.
“Si può sapere cosa vuoi da me?! Perché tutte queste attenzioni nei miei
confronti?!”
“Te l’ho detto. La tua energia spirituale, così caotica, è perfetta per
Muchitsujo: lui si nutre da sempre delle aure che rimangono imprigionate nelle
Sorgenti Maledette. In quanto alla tua, me l’ha chiesta dal primo istante da
che fu liberato nel campo Jusen.”
Vero, pensò Ranma di sfuggita. Risposta coerente con quanto gli era stato
rivelato prima. Eppure gli suonava in qualche modo incompleta. Sospettò che ci
fosse qualche altro motivo, ma estorcere qualcosa di più chiaro dall’individuo
del medaglione sembrava un’impresa ardua. Non sapendo cos’altro provare, tentò
di incalzarlo.
“Allora perché non te la sei presa subito?” sibilò, quasi con tono di sfida.
“Vuoi dire mediante il controllo mentale? Certo che avrei potuto. Hai visto
come ho soggiogato facilmente la mente della tua amichetta amazzone: questo
perché era sconvolta, la sua energia era turbata e dunque vulnerabile. Ma mai
quanto la tua, quando ho risvegliato i ricordi di Yakuzai che tu stesso avevi
cercato inconsciamente di eliminare. Avrei potuto facilmente ridurti ad un
burattino come gli altri. Se non l’ho fatto, è per un solo motivo.”
“Quale?”
“Te l’ho spiegato prima, non sono un tuo nemico. La mia essenza e la tua sono
entrambe votate al Disordine, noi due insieme abbiamo liberato il Signore del
Caos” a quelle parole Ranma provò un moto incontrollato di nausea. “Inoltre,
come ho avuto modo di considerare osservando ogni tua azione, ogni tuo
combattimento da Jusenkyo in avanti, hai un ottimo potenziale e soprattutto sei
affamato come me di nuove sfide, nuovi avversari da sconfiggere e nuovo potere
da conquistare. Perché dovremmo combatterci, quando siamo così simili?”
“Noi non abbiamo niente in comune!” ruggì il giovane Saotome.
“Sì che l’abbiamo!” scosse il capo quasi con fare comprensivo. “Ammetto che a
dire il vero hai molti difetti, sei ancora ingenuo e ti sei lasciato buggerare
come un allocco dalle tue fidanzatine qui a Yakuzai. Un imprevisto, certo, che comunque
mi ha soltanto costretto ad accelerare i tempi.”
Ranma non lo ascoltava più. La rabbia aveva di nuovo preso il sopravvento.
Tentò un nuovo attacco, come per imprimere forza e significato alle sue ultime
parole. *Proviamo anche questo!* si disse, lanciandosi verso l’alto, facendo
leva, una dopo l’altra, sulle sporgenze della roccia, sfidando implicitamente
Shingo a seguire il suo esempio. *Dopotutto il combattimento volante è la
specialità della scuola d’arti marziali Saotome.*
L’altro comprese e decise di assecondarlo ed entrambi saettarono dunque rapidi
e come sospesi nel vuoto dell’improvvisato campo di battaglia, Ranma sferrando
nuovi colpi e Shingo limitandosi a schivarli, lasciando Mousse e Shampoo in
disparte, distesi vicini.
Pure questo fallì. L’individuo del medaglione atterrò infine l’avversario senza
difficoltà, con l’ennesimo colpo energetico.
“Consorte!” gridò Obaba.
“Ranma!” gridarono gli altri all’unisono.
“Sei stato molto fortunato e non te ne rendi ancora conto.” aggiunse Shingo, senza
mostrare il minimo segno di fatica. “Avevo sentito parlare dello Saishuu
Shiyou Rei-ryuujin, ma credevo fosse una favola per mocciosi. Mai avrei
sospettato che il Rimedio Definitivo esistesse realmente. Per tua buona sorte,
seguirti mi è stato facile.” Indicò il varco nella materia da lui
precedentemente formato. “Tra una dimensione e l’altra c’è… il nulla, ciò che
viene prima del creato: plasma o come lo vuoi chiamare, in altre parole
l’informe, il caotico, l’esistente così com’era nella notte dei tempi, prima
dell’intervento delle divinità dell’Ordine. Passare attraverso questo squarcio
non è esattamente come fare una scampagnata.”
Il nulla, aveva detto. In effetti, nulla era quello che si poteva vedere
osservando il varco: tale da ingoiare perfino la luce, pensò Ranma,
immobilizzato a terra dopo la brutta caduta.
“Non è roba per semplici mortali, a meno che non si chieda un passaggio
allo Spirito-dragone, come è capitato a te, oppure che si abbiano i miei
poteri. Ti ho seguito nel mondo parallelo, ma non potevo certo riportarti
indietro assieme a me. Dunque ho deciso di lasciarti il tempo necessario perché
ti rendessi conto di quanto sei e sarai sempre fuori posto, assieme agli
uomini, gli uomini figli dell’Ordine; ti ho dato lo spunto, niente di più, per
tornare: e tu sei tornato, hai intuito come fare, dimostrando di saper essere
sveglio – perlomeno quando vuoi.”
Ranma lo fissava in silenzio, supino, dal basso verso l’alto. Visto così,
Shingo gli pareva persino più tronfio del solito. Rialzandosi di scatto, capì
di avere qualche costola rotta. Non sapeva quanto ancora avrebbe potuto fare.
Più probabilmente, non avrebbe potuto fare nulla.
Ryoga fremeva. Non ne poteva più di ascoltare e assistere senza agire. Non
avrebbe resistito ancora molto, nella sua stasi forzata. Sentiva il desiderio
di dare una lezione al tipo del medaglione, ma prima era stato impedito dal
campo di forza e successivamente aveva constatato, suo malgrado, la superiorità
del nuovo avversario. Non importava. Ranma, quello stesso Ranma che lui non era
mai riuscito seriamente a sconfiggere, era ormai ridotto ad uno straccio: del
resto, cosa poteva aspettarsi quello stupido?! Nessun essere vivente avrebbe
potuto affrontare un simile avversario. Non da solo. Bisognava unire le forze,
questa l’unica possibilità. Perché anche Hibiki era fiducioso che potevano
farcela, in un modo o nell’altro.
Alzò lo sguardo. Scorse l’aria preoccupata della ragazza con i capelli corti
assieme a lui.
“Ryoga…” mormorò lei, girandosi nella sua direzione. In quel momento, la resa
era divenuta l’ultimo dei pensieri per Hibiki Ryoga.
“Sta’ tranquilla, Akane!” Sorrise stupidamente, una mano dietro il capo,
lasciando sporgere i lunghi canini. “Quel tipo non ha ancora vinto, ora vado a
dare una mano a Ranma e tutto sarà a posto!”
Già. Ranma non era il solo ad essere tenace ed ostinato. Il ragazzo con la
bandana era sicuro che avrebbe potuto contribuire a creare qualche grattacapo a
quello Shingo. E lui e Ranma non erano gli unici artisti marziali lì presenti. Mousse
aveva appena dato l’esempio. Alla sua destra, sapeva poi che stava il signor
Saotome, il padre di Ranma. Forse non era alla loro portata, ma era più anziano
e dunque più… saggio? Beh, non proprio così. Comunque. Era sicuramente
più esperto. Era più furbo. Lui era – sparito!
Ryoga si era appena voltato, prendendo atto che non c’era più nessuno. Per
terra, un cartello con sopra scritto: _Torno fra dieci minuti_
A quanto pareva, una volta che aveva visto il figlio avere la peggio contro il
nuovo avversario, il panda aveva pensato bene di fuggire. Varie gocce di sudore
scivolarono sulla fronte di un esterrefatto Ryoga.
Recuperò la calma. Non era certo una tragedia. Forse l’anziano Saotome aveva
già perso ogni speranza sull’esito finale dello scontro, ma era l’unico a
pensarla così. Hibiki era ancora fiducioso: sapeva che potevano farcela.
Inoltre, avevano dalla loro parte la guerriera più forte. Shingo aveva i
poteri, ma Cologne possedeva l’esperienza: avrebbero potuto contare sulle
tecniche plurimillenarie di una amazzone cinese. Si volse dunque alla propria
sinistra, in direzione della vecchia, aspettandosi un suo intervento. Sapeva
che lei – lei mai si sarebbe arresa. Cosa avrebbe avuto in serbo questa volta?
Non la vide più al suo fianco. Era scomparsa? Forse una qualche tecnica
dell’invisibilità. Allargò lo sguardo e quando l’occhio si posò su Mousse, vide
finalmente la fiera combattente del villaggio Joketsuzoku.
Ginocchioni sul cinesino, cingendo ed intrecciando per quanto possibile le
esili e corte braccia intorno alla vita di lui.
“Aaaah! Obaba, cosa stai facendo?!” gridò Ryoga. “Ti pare questo il momento di
soddisfare i tuoi desideri repressi?!” Nuovi goccioloni di sudore solcarono il
capo del ragazzo. Dopotutto la vecchia non pareva avere molta fiducia nella
situazione presente.
“Non parli più? Il solito testardo.” commentò Shingo, avanzando lentamente verso
il ragazzo con la camicia cinese. “Ma la mia pazienza ha un limite, così ti
offro un’ultima possibilità.”
Ranma, rialzandosi faticosamente, sosteneva con rabbia il suo sguardo.
“Adesso!” tese il braccio. “Schierati dalla mia parte e il potere sarà anche
tuo e mi affiancherai nel portare il Caos nel mondo.” Ghignò appena, osservando
la ferma espressione di sfida del giovane Saotome. “Altrimenti, mi prenderò
comunque la tua aura, soddisfacendo il desiderio di Muchitsujo – ma dopo averti
eliminato personalmente!... Sarebbe un vero peccato, però riuscirei a
sopportarlo” ironizzò.
Il trambusto che seguì attirò l’attenzione di tutti i presenti, Ranma compreso,
spezzando di colpo la tensione che aveva pervaso l’atmosfera.
“Ma nonnina…” accennò appena Akane, sconcertata.
“Lascia stare queste sconcezze, vecchia!” urlava il ragazzo con la bandana, al
colmo dell’imbarazzo, cercando di strappare Obaba dal suo abbraccio. Aveva
sentito dire che quando ci si sentiva prossimi alla fine, proprio allora
sopraggiungeva l’impulso di aggrapparsi in modo più forte che mai al richiamo
della vita – ma questo era, francamente, ridicolo.
“Lasciami stare tu, che non hai capito niente!” la vecchia lo colpì sul capo
col lungo bastone. “Sto solo facendo il bene di Mousse.”
“Non ti stai un po’ sopravvalutando?! E poi non credo che lui sarebbe
d’accordo.” protestò Ryoga, massaggiandosi un grosso bernoccolo.
“Intendevo dire che faccio questo per salvarlo.” chiarì l’altra. “Le sue
condizioni sono gravi ma premendo determinati tsubo, posizionati tra le
costole e il bacino, gli sto trasmettendo una parte della mia energia vitale.
Una tecnica amazzone molto efficace.” In effetti Mousse stava riprendendosi.
“Aaaaah, un mostro!” salvo poi perdere nuovamente i sensi, ma questa volta per
lo spavento di avere visto Obaba avvinghiata a lui.
“Davvero molto divertente!” plaudì Shingo. “Ma ora state diventando troppo
rumorosi. Nessuno di voi mi serve più, tanto vale che questa caverna diventi
fin da adesso la vostra tomba!” dispiegò il palmo della mano. Il medaglione
brillò nella penombra. E subito tutto cominciò a tremare.
“No! Fermo!”
Shingo richiuse immediatamente gli artigli, rilassando i lineamenti del viso.
L’ambiente tornò in stato di quiete. Finalmente il moccioso sbarbatello si era
deciso a parlare. Sorrise. Tutto come previsto.
Ranma si morse il labbro, nel tentativo di soffocare il dolore causato dagli
ultimi colpi. Capì che era in gioco la vita di tutti. Improvvisamente ogni cosa
gli divenne chiara. Adesso sapeva cosa fare.
“Shingo.” disse. “Ti propongo un patto.”
“Tu a me?” l’interlocutore incrociò le braccia divertito. “Bene, sentiamo.”
“Libera Shampoo e gli altri dal tuo controllo mentale. Permetti a tutti di
uscire salvi da questa caverna.” Fu il ragazzo con la treccia, stavolta, a non
lasciar trasparire emozione alcuna.
“E cosa mi offri in cambio?”
“E’ me che vuoi, giusto?… In cambio” mormorò Ranma, chinando il capo, mentre la
frangia dei capelli andava a coprirgli lo sguardo “in cambio, io mi consegnerò
spontaneamente al Caos.”
Anche se aveva parlato con un filo di voce, lo udirono tutti. Obaba allargò le
orbite. Ryoga strinse i pugni con rabbia. Akane sussultò. Perfino il panda uscì
nuovamente allo scoperto. Ranma era rimasto immobile, una strana calma si era
impadronita di lui. Era proprio come pensava. Il controllo mentale non aveva
alcun effetto, senza il consenso di chi vi era soggetto: Taro e Rouge
avevano accettato di loro spontanea volontà l’alleanza con Shingo, come pure
Shampoo, probabilmente indotta con l’inganno. Prima, il tizio del medaglione
gli aveva mentito spudoratamente. Ne era sicuro. Non aveva usato su di lui il
controllo mentale semplicemente perché non poteva – poteva, forse, interferire.
Poteva risvegliare i ricordi, come effettivamente era accaduto. Ma non
controllare la sua mente – non poteva, senza la collaborazione da parte dello
stesso Ranma. Questo, il vero motivo per il quale cercava di convincerlo a
passare dalla propria parte.
Shingo squadrò attentamente il ragazzo, senza mutare espressione.
“Non sono parole di poco conto. Ma perché dovrei fidarmi?”
“Lo giuro sul mio onore di artista marziale. Se mi conosci bene come hai sempre
sostenuto, saprai che nessuna promessa ha più valore per me.”
“Vero. Sono certo che non verrai meno alle tue parole.” disse Shingo. “Sei
debole, Ranma: è il tuo problema, sei troppo attaccato ai sentimenti. Ma presto
rimedieremo anche a questo.”
“Non farlo!” gridò Cologne, mentre gli altri non riuscivano nemmeno a proferire
verbo. L’amazzone aveva osservato con orrore l’amata nipote ridotta ad un
burattino senza volontà. Sapeva che Ranma si stava consegnando alla medesima
orrenda sorte.
Intuì il vero motivo che spingeva il mortale con il gioiello divino a ciò. La
vecchia avvertiva chiaramente la consistenza dell’aura di Shingo e questa non
era caotica come quella del consorte. Se Muchitsujo voleva tornare sulla terra
con l’aiuto di spoglie umane, ebbene quelle di Shingo non erano le più adatte.
La sua aura bastava appena a contenere l’emanazione divina, e questo solo
grazie all’aiuto del Tai-ma no Mamori. Forse Shingo era cosciente di un
tale stato di cose, forse Shingo intendeva appropriarsi dell’anima di Ranma per
rinforzare la sua ed aggiustare così la propria condizione precaria. Una
precarietà che non poteva che essere d’impiccio, ad uno cui piaceva avere
costantemente la situazione sotto controllo.
Ecco, dunque, l’unico punto debole di Shingo.
Ma proprio in quel momento…
… il consorte stava per commettere l’errore più grande.
“Non farlo!” urlò ancora l’anziana amazzone.
Il ragazzo con la treccia la ignorò, invitando con lo sguardo Shingo a
continuare.
“Sta bene!” disse l’uomo del medaglione. “Il patto è concluso.”