Ma come siete forti! Gioisco ogni volta come un bambino
quando leggo le vostre recensioni! Mille grazie!
Per dare una risposta in ritardo: no, io non vado in
vacanze, almeno non per più di qualche giorno. Ma molto divertimento a quelli
che vanno in vacanze!
E spero che abbiate anche molto divertimento leggendo il
prossimo capitolo…
CAPITOLO QUATTRO
Can you find my
pain?
Can you heal
it
and lay your
hands upon me know
and cast
this darkness from my soul?
You alone
can light my way.
You alone
can make me whole
once again.
(Don McLean,
Crossroads)
Charlie cadde nel suo letto,
sentendosi stremato come non si sentiva da tempo. Eppure era solo sera presto e
la giornata non era stata più faticosa del solito. Quando era ritornato
dall’FBI aveva solo preparato le sue lezioni per il giorno dopo e letto qualche
saggio. Nonostante ciò, si sentiva completamente strapazzato. Doveva davvero
fare di più per la sua salute. Forse fare di nuovo dello sport… camminare …
La porta si aprì e appoggiata
allo stipite, Charlie vide sua madre. Levò gli occhi verso di lei, assonnato e
confuso, ma sentendosi così bene come non si era sentito da giorni.
«Buon giorno, tesoro» disse con
una voce chiara come un campanello eppure dolce, così bella come solo una madre
poteva avere una. «Hai ben dormito?»
Come se tutto fosse normale lei
tirò le tende e lasciò entrare il sole.
«Mamma…» Charlie era
estremamente confuso. «Cosa fai qui?»
«Volevi esaudire un mio
desiderio, l’hai già dimenticato?»
Charlie riflesse assiduamente.
«Sì…» ammesse infine, «l’ho dimenticato». Non aveva idea di che cosa stesse
parlando sua madre.
Lei gemette, sedendosi sulla
sponda del suo letto.
«Non puoi provare ad indovinare,
Charlie?» chiese con un sorriso triste. «In altre occasioni sei sempre stato
quello che precedeva gli altri di un palmo». Sorrideva, presa dai suoi ricordi.
«Sono sempre stata così fiera di te, e naturalmente anche di Don. Veramente non
lo sai che cosa desidero che tu faccia?»
Charlie scosse il capo. Non
riusciva a pensare chiaramente.
Margaret gemette di nuovo. «Sai
quanto mi mancate? Tu, Don e vostro padre?»
«Manchi anche a noi, mamma».
Lo disse sul serio, ogni parola.
Eppure riuscì a dirlo senza che la memoria gli stringesse la gola o gli fosse
venuto da piangere.
Sua madre sorrise tristemente,
guardando il lenzuolo bianco. «Allora puoi immaginare quanto mi dispiaccia di
non esser andata da un dottore allora. Mi sono rimproverata talmente tanto di
avervi lasciati soli… Ho volevo semplicemente essere forte, capisci? Sì… sì, lo
capisci. Purtroppo. Non ho voluto mostrare agli altri la mia debolezza,
soprattutto a voi. Non dovevate preoccuparvi. E’ per questo che non sono andata
dal dottore per così tanto tempo. Volevo essere forte. Forte e coraggiosa. E
che cosa sono stata, invece? Una stupida».
Charlie avrebbe voluto
contraddirla, ma Margaret non lo lasciò parlare.
«No, ascoltami, Charlie, per
favore: non abbiamo molto tempo. E’ stato stupido da parte mia non farmi
esaminare subito. E non ha niente a che fare con il coraggio di credersi forte.
Al contrario. Il coraggio è ammettere la verità, a sé stesso e agli altri. Il
coraggio è scoprire che piani il destino ha per ciascuno di noi e farsi
incontro a questo. Lottare. Capisci che cosa voglio dirti?»
«Sì, penso» rispose Charlie
esitando, «ma non so ancora cosa vuoi che faccia».
Margaret gemette una terza volta
prima di continuare in modo insistente. «Aspetto con ansia il giorno in cui
saremo tutti di nuovo insieme, Charlie, ma quel giorno non è ancora arrivato!
Devi farti controllare il più presto possibile, mi hai capito? Devi vivere,
Charlie! Non puoi fare questo a tuo padre e tuo fratello, non possono perdere
anche te! Sai cosa gli faresti? Non devi lasciarlo succedere, Charlie: devi
andare da un dottore! Me lo prometti? Promettimelo, Charlie! Charlie! Charlie…»
Charlie aprì gli occhi. Guardò
attorno a sé, turbato. Sentiva ancora qualcuno accanto a se, ma non stava più
sognando…
«Allora, sei sveglio
finalmente?»
Suo padre stava in piedi accanto
al suo letto.
«Papà… cosa c’è?»
«Niente. Mi sono semplicemente
chiesto se non avevi lezione oggi».
«Accidenti…» Senza forza Charlie
batté sul suo guanciale. L’energia riacquistata nel suo sogno era stata
irreale, come tutto il resto. Istintivamente guardò verso la finestra. Le tende
erano chiuse. Di fuori infuriava il vento.
Camminò un po’ barcollando fino
alla porta. Suo padre lo guardò.
«Dimmi un po’, va bene tutto? Ho
dovuto scuoterti per un’eternità, prima di riuscire a svegliarti».
«Sì, sì: tutto okay… Avrei
semplicemente preferito continuare a dormire».
Alan rise. «Beh, succede a
tutti, Charlie. Ma bisogna stringere i denti e andare avanti!»
Saltando la colazione, Charlie
riuscì di arrivare alla sua prima lezione di quel girono senza un ritardo
considerabile. Subito dopo chiamò dal suo ufficio il suo medico di famiglia, il
dottore Steiner. L’assistente medico ascoltò con interesse fresco e
professionale il resoconto di Charlie e poté dargli un appuntamento già per
quel pomeriggio. Per fortuna Charlie a quell’ora non aveva lezioni, perché
altrimenti avrebbe dovuto dire dove stava andando.
La visita dal Dott. Steiner
cominciò quasi puntuale. Tuttavia per Charlie il tempo d’attesa sembrò
incredibilmente lungo, e automaticamente gli venne in mente come Albert
Einstein aveva tentato di spiegare la sua teoria della relatività alle persone
comuni. Non aveva alcun dubbio: in quel momento era seduto sulla stufa.
Per fortuna il dottore venne
velocemente al sodo dopo che Charlie ebbe di nuovo descritto le caratteristiche
della sua malattia e dopo un check-up veloce.
«Dunque… purtroppo i suoi
sintomi non lasciano tanto dubbio, Dottore Eppes».
Charlie trasalì un po’ quando il
medico gli chiamò con il suo titolo di dottore. Non veniva chiamato così molto
spesso.
«Purtroppo?» domandò.
«Sì. Apparentemente si sono già
create cellule maligne nel suo sistema nervoso centrale. Siccome soffre, come
mi ha detto, anche di stati di incoscienza e di vertigini sembra, inoltre, che
sia già arrivato al midollo osseo e da ciò risulta esserci l’anemia.
Naturalmente i sintomi potrebbero anche essere quelli di un’influenza, ma
deduco dalla sua cartella clinica che l’ultima volta ha ricevuto il vaccino sei
mesi fa. Dunque per quanto possibile, l’influenza è molto improbabile. Quindi i
sintomi devono condurci a qualcos’altro, tanto più perché ha evitato il
contatto fisico con le persone ammalate di influenza. Temo che qui abbiamo a
che fare con qualcosa di molto serio. Naturalmente non possiamo evitare
un’analisi del sangue, e dovrei anche eseguire la puntura del midollo osseo. Ho
il sospetto, Dott. Eppes, che soffri di LMA».
Charlie non aveva capito alcuna
parola. Però le fattezze deploranti del medico gli rivelarono abbastanza per
farsi un’idea.
Si schiarì la gola. «Dottore
Steiner – è vero che ho un dottorato, ma non in medicina. E non ho capito niente
di quello che ha spiegato».
Il medico sembrava un po’
imbarazzato, non solo perché aveva usato tanto inutilmente i suoi termini
professionali. Si era sentito ovviamente sollevato di aver finalmente
confessato quella diagnosi negativa e adesso gli ripugnava dire quella
spiacevole verità una seconda volta.
«Va bene» gemette. «Allora
voglio dirglielo in breve. Signor Eppes – con molta probabilità lei ha la
leucemia».