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Autore: y3llowsoul    13/08/2010    3 recensioni
Aprì gli occhi. Si accorse immediatamente che qualcosa non andava. Era confuso. Nonostante tutto stesse girando, lui poteva distinguere che la prospettiva che se gli presentava davanti era molto inconsueta. Chiuse di nuovo gli occhi, un po’ per le vertigini, un po’ perché non dovesse più sopportare quell'angolatura.
Un Eppes ha una malattia grave e non sa come dire agli altri. Come reagiranno loro?
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Charlie Eppes, Don Eppes
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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Leucemia 4

Ma come siete forti! Gioisco ogni volta come un bambino quando leggo le vostre recensioni! Mille grazie!
Per dare una risposta in ritardo: no, io non vado in vacanze, almeno non per più di qualche giorno. Ma molto divertimento a quelli che vanno in vacanze!
E spero che abbiate anche molto divertimento leggendo il prossimo capitolo…

CAPITOLO QUATTRO

 
Can you find my pain?
Can you heal it
and lay your hands upon me know
and cast this darkness from my soul?
You alone can light my way.
You alone can make me whole
once again.
(Don McLean, Crossroads)
 

Charlie cadde nel suo letto, sentendosi stremato come non si sentiva da tempo. Eppure era solo sera presto e la giornata non era stata più faticosa del solito. Quando era ritornato dall’FBI aveva solo preparato le sue lezioni per il giorno dopo e letto qualche saggio. Nonostante ciò, si sentiva completamente strapazzato. Doveva davvero fare di più per la sua salute. Forse fare di nuovo dello sport… camminare …

La porta si aprì e appoggiata allo stipite, Charlie vide sua madre. Levò gli occhi verso di lei, assonnato e confuso, ma sentendosi così bene come non si era sentito da giorni.

«Buon giorno, tesoro» disse con una voce chiara come un campanello eppure dolce, così bella come solo una madre poteva avere una. «Hai ben dormito?»

Come se tutto fosse normale lei tirò le tende e lasciò entrare il sole.

«Mamma…» Charlie era estremamente confuso. «Cosa fai qui?»

«Volevi esaudire un mio desiderio, l’hai già dimenticato?»

Charlie riflesse assiduamente. «Sì…» ammesse infine, «l’ho dimenticato». Non aveva idea di che cosa stesse parlando sua madre.

Lei gemette, sedendosi sulla sponda del suo letto.

«Non puoi provare ad indovinare, Charlie?» chiese con un sorriso triste. «In altre occasioni sei sempre stato quello che precedeva gli altri di un palmo». Sorrideva, presa dai suoi ricordi. «Sono sempre stata così fiera di te, e naturalmente anche di Don. Veramente non lo sai che cosa desidero che tu faccia?»

Charlie scosse il capo. Non riusciva a pensare chiaramente.

Margaret gemette di nuovo. «Sai quanto mi mancate? Tu, Don e vostro padre?»

«Manchi anche a noi, mamma».

Lo disse sul serio, ogni parola. Eppure riuscì a dirlo senza che la memoria gli stringesse la gola o gli fosse venuto da piangere.

Sua madre sorrise tristemente, guardando il lenzuolo bianco. «Allora puoi immaginare quanto mi dispiaccia di non esser andata da un dottore allora. Mi sono rimproverata talmente tanto di avervi lasciati soli… Ho volevo semplicemente essere forte, capisci? Sì… sì, lo capisci. Purtroppo. Non ho voluto mostrare agli altri la mia debolezza, soprattutto a voi. Non dovevate preoccuparvi. E’ per questo che non sono andata dal dottore per così tanto tempo. Volevo essere forte. Forte e coraggiosa. E che cosa sono stata, invece? Una stupida».

Charlie avrebbe voluto contraddirla, ma Margaret non lo lasciò parlare.

«No, ascoltami, Charlie, per favore: non abbiamo molto tempo. E’ stato stupido da parte mia non farmi esaminare subito. E non ha niente a che fare con il coraggio di credersi forte. Al contrario. Il coraggio è ammettere la verità, a sé stesso e agli altri. Il coraggio è scoprire che piani il destino ha per  ciascuno di noi e farsi incontro a questo. Lottare. Capisci che cosa voglio dirti?»

«Sì, penso» rispose Charlie esitando, «ma non so ancora cosa vuoi che faccia».

Margaret gemette una terza volta prima di continuare in modo insistente. «Aspetto con ansia il giorno in cui saremo tutti di nuovo insieme, Charlie, ma quel giorno non è ancora arrivato! Devi farti controllare il più presto possibile, mi hai capito? Devi vivere, Charlie! Non puoi fare questo a tuo padre e tuo fratello, non possono perdere anche te! Sai cosa gli faresti? Non devi lasciarlo succedere, Charlie: devi andare da un dottore! Me lo prometti? Promettimelo, Charlie! Charlie! Charlie…»

Charlie aprì gli occhi. Guardò attorno a sé, turbato. Sentiva ancora qualcuno accanto a se, ma non stava più sognando…

«Allora, sei sveglio finalmente?»

Suo padre stava in piedi accanto al suo letto.

«Papà… cosa c’è?»

«Niente. Mi sono semplicemente chiesto se non avevi lezione oggi».

«Accidenti…» Senza forza Charlie batté sul suo guanciale. L’energia riacquistata nel suo sogno era stata irreale, come tutto il resto. Istintivamente guardò verso la finestra. Le tende erano chiuse. Di fuori infuriava il vento.

Camminò un po’ barcollando fino alla porta. Suo padre lo guardò.

«Dimmi un po’, va bene tutto? Ho dovuto scuoterti per un’eternità, prima di riuscire a svegliarti».

«Sì, sì: tutto okay… Avrei semplicemente preferito continuare a dormire».

Alan rise. «Beh, succede a tutti, Charlie. Ma bisogna stringere i denti e andare avanti!»



Saltando la colazione, Charlie riuscì di arrivare alla sua prima lezione di quel girono senza un ritardo considerabile. Subito dopo chiamò dal suo ufficio il suo medico di famiglia, il dottore Steiner. L’assistente medico ascoltò con interesse fresco e professionale il resoconto di Charlie e poté dargli un appuntamento già per quel pomeriggio. Per fortuna Charlie a quell’ora non aveva lezioni, perché altrimenti avrebbe dovuto dire dove stava andando.

La visita dal Dott. Steiner cominciò quasi puntuale. Tuttavia per Charlie il tempo d’attesa sembrò incredibilmente lungo, e automaticamente gli venne in mente come Albert Einstein aveva tentato di spiegare la sua teoria della relatività alle persone comuni. Non aveva alcun dubbio: in quel momento era seduto sulla stufa.

Per fortuna il dottore venne velocemente al sodo dopo che Charlie ebbe di nuovo descritto le caratteristiche della sua malattia e dopo un check-up veloce.

«Dunque… purtroppo i suoi sintomi non lasciano tanto dubbio, Dottore Eppes».

Charlie trasalì un po’ quando il medico gli chiamò con il suo titolo di dottore. Non veniva chiamato così molto spesso.

«Purtroppo?» domandò.

«Sì. Apparentemente si sono già create cellule maligne nel suo sistema nervoso centrale. Siccome soffre, come mi ha detto, anche di stati di incoscienza e di vertigini sembra, inoltre, che sia già arrivato al midollo osseo e da ciò risulta esserci l’anemia. Naturalmente i sintomi potrebbero anche essere quelli di un’influenza, ma deduco dalla sua cartella clinica che l’ultima volta ha ricevuto il vaccino sei mesi fa. Dunque per quanto possibile, l’influenza è molto improbabile. Quindi i sintomi devono condurci a qualcos’altro, tanto più perché ha evitato il contatto fisico con le persone ammalate di influenza. Temo che qui abbiamo a che fare con qualcosa di molto serio. Naturalmente non possiamo evitare un’analisi del sangue, e dovrei anche eseguire la puntura del midollo osseo. Ho il sospetto, Dott. Eppes, che soffri di LMA».

Charlie non aveva capito alcuna parola. Però le fattezze deploranti del medico gli rivelarono abbastanza per farsi un’idea.

Si schiarì la gola. «Dottore Steiner – è vero che ho un dottorato, ma non in medicina. E non ho capito niente di quello che ha spiegato».

Il medico sembrava un po’ imbarazzato, non solo perché aveva usato tanto inutilmente i suoi termini professionali. Si era sentito ovviamente sollevato di aver finalmente confessato quella diagnosi negativa e adesso gli ripugnava dire quella spiacevole verità una seconda volta.

«Va bene» gemette. «Allora voglio dirglielo in breve. Signor Eppes – con molta probabilità lei ha la leucemia».

 

  
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