Capitolo VI – Heroes for
ghosts
Tremava.
Tremava ancora, da quella
mattina, quando si era svegliata, e aveva trovato il letto vuoto, sempre
tiepido, le pieghe fra le lenzuola, ad indicare che qualcuno era stato lì. Qualcuno che non c’era.
Era tardi.
I soldi sul comò, non sarebbe dovuta passare in cucina, il mantello, le scarpe,
le scale, la porta d’ingresso.
C’era il sole fuori, quel
giorno, un sole quasi caldo, senza dubbio luminoso, vivace, incoraggiante.
Ma lei tremava.
Tremava al suo tavolo al Paiolo Magico, tremava la sua tazza di
the sollevata con le mani a coppa, che continuarono a tremare anche quando
questa cadde, inavvertitamente o forse no, il liquido caldo ambrato riversato
sul pavimento, foglie di the e polvere, microcosmi ed universi differenti
venuti a contatto con la rottura. La porcellana in frammenti era finita sotto al tavolo e alla sedia, una scheggia era scivolata fin sotto
alla finestra, accanto al muro.
I soliti
due zellini, il solito tintinnare della campanella
alla porta, di nuovo la strada.
Sempre la stessa. Sempre più tortuosa e meno invitante, eppure non si poteva
fare a meno di andare avanti, pensò. A che pro fermarsi? Non v’era neanche un
senso o una meta, ma questo non importava.
Ripensandoci, forse sì. Forse
importava.
Ripensandoci, ripensandoci bene...
Svoltò a sinistra, non considerando
realmente ciò che stava facendo, o addirittura troppo assuefatta da quello a
cui non avrebbe proprio dovuto stare pensando, per
accorgersi che stava agendo davvero.
Lì c’era sempre penombra.
Forse vi era qualche incantesimo che schermasse il
sole, per rendere il posto automaticamente poco piacevole e malfamato, o forse
era proprio il sole che si teneva lontano da un luogo del genere, raduno di
reietti, di perduti, di gente che aveva preso per la mano quel destino con un
marchio sull’avambraccio, e una maschera sul volto, verso un orizzonte più nero
della pece. Ma probabilmente neanche a loro era stato
concesso di guardare al proprio orizzonte.
Chissà.
Si fermò non appena si
accorse che la strada iniziava a scendere, a svolgersi sempre più in basso come
le spire di un serpente.
Riconobbe
quella curva, quel locale incassato fra le case piccole e strette, una porta
scura e sottile, forse una volta era
stata verde. Verde speranza.
La fissò, e si ritrovò a
chiedersi se erano stati i suoi piedi a ripercorrere
inconsciamente i suoi passi di qualche giorno prima, spinti da una mano
invisibile, o se l’avesse voluto davvero lei stessa.
Non si rispose, ma si diresse
verso l’uscio, lo spinse, per rientrare in quel locale buio, forse sporco, di
certo trasandato. Il mondo scorreva fuori dalla
vetrina opaca. No, adesso era fermo.
Come il suo cuore.
Il tavolo di quel giorno era
già occupato. Da mani candide, sottili, che stringevano un boccale semivuoto,
miele liquido su labbra fini, labbra pallide, chiare,
appena rosee. E un’aureola d’oro niveo.
Lampi d’acciaio.
Lei rimase immobile sulla
soglia. Mentre le sue mani tremavano. Le sue dita si
rincorrevano e stringevano e annodavano come serpenti impazziti.
Serpenti.
Vide sollevarsi gli angoli
delle sue labbra. Abbassò gli occhi.
-
Vieni, Weasley.
Siediti. Cosa aspetti? – il sordo
trascinare di una sedia spostata, la curva invitante e spigolosa dei suoi
zigomi tesi.
Fece
qualche passo avanti, si abbandonò
sulla sedia senza parlare, senza alzare gli occhi. Vagavano sulla superficie
scrostata del tavolo, sui tre boccali già vuoti, sulle mani
di lui, rilassate, indolenti come pallidi e severi ragni. Sulle proprie,
intrecciate, vibranti.
Lui fece un segno verso il
bancone, uno schiocco sonoro con le dita, uno zampillo nel torbido silenzio.
Portarono un altro boccale,
che spinse verso di lei, calmo, elegante.
Quel
sorriso appena accennato, come una lama che le trapassava la fronte. Dolore lancinante.
-
Brindiamo.
Sollevò lo sguardo quel tanto
che le permettesse di scrutare la sua espressione.
Serafica causticità fra le pieghe attorno ai suoi occhi.
-
A cosa? – le
scappò un sussurro dalla bocca, incerto, ma un momento dopo seppe di essersene
pentita.
-
Alla sicurezza
economica. Alla certezza di un presente. Al potere di scegliere. – fece un pausa per sottolineare e controllare l’effetto delle sue
parole. Lo sguardo di Ginny rimase basso.
-
A Ginevra
Weasley. – voce ferma, una luce vaga in fondo ai suoi occhi,
derisione, forse, l’ennesima.
-
I-io... – esordì Ginny, ma si bloccò. La
mano a mezz’aria fra il suo viso e l’oscurità intorno. La bocca in una
piega sempre più stretta.
-
Con chi stai
cercando di giustificarti, piccola Ginny? Con l’ineluttabilità del caso?
Un alito
pungente, gelido, un bagliore di denti, un’espressione quasi feroce. Un fuggevole baleno di disprezzo.
Fuggevole.
Strinse i pugni, prossima
alle lacrime; forse.
Piccola Ginny.
Si fermò, allargando i palmi
delle mani, stendendoli davanti a sé, iniziando a strofinarli fra di loro con un gesto automatico. Le labbra socchiuse.
L’espressione vacante.
-
Io non ho scelto.
– mormorò risoluta, alzando finalmente di nuovo lo sguardo,
fermo su quegli occhi grigi, pozze di pioggia, immobili – Non ho scelto.
Non ancora. O forse non lo farò mai. Credo solo... –
indugiò, lasciandosi sfuggire un sospiro – che la
sicurezza non mi basti. Non questa sicurezza, non un sicuro vuoto.
L’uomo davanti a lei abbassò
per un attimo le palpebre e si lasciò sfuggire qualcosa a metà fra uno sbuffo e
una risata.
-
Il tuo idealismo
è radicato nel sangue, ragazza. Generazioni di presunzione Grifondoro, già.
Già. – un mormorio sempre più basso e pensieroso.
-
Beh, generazioni
di superbia Serpeverde, e il tuo dov’è? – una traccia
d’irritazione più per abitudine che altro. Una certa rassegnazione.
Tentò di sembrare determinata
mentre i suoi occhi intensi e dolorosi la trapassavano da parte a parte, quasi
curiosi, quasi sinceri, eppure.
-
Gli ideali vanno
bene per le esistenze agiate.
-
E non si ama in tempo di guerra. – replicò lei con voce
piatta – Giusto?
-
Altro, Weasley? –
la voce piegata e contratta un sibilo tagliente. Ginny aggrottò
le sopracciglia – Hai intenzione di continuare a giudicare dall’alto
delle tue non-scelte? O sei venuta qui per
qualcos’altro?
Ginny si strinse nelle
spalle, sperduta. Non sapeva dirsi da dove era uscita tutta la sua sicurezza.
Non sapeva dove fosse finita, adesso.
-
E tu cosa vuoi da me, Malfoy? – un tono nervoso,
vacillante. Le parole che in qualche angolo della sua
mente maceravano da giorni.
Si stupirono entrambi del
silenzio che cadde. Lei abbassò gli occhi, involontariamente, sul suo grembo
vuoto.
-
Forse mi fa
rabbia la facilità con cui tu abbia deciso di non
schierarti, con cui sei fuggita. Perché sei fuggita, vero? – Ginny vide il suo viso
tingersi improvvisamente di chiazze rosse – La piccola Ginny Weasley che
abbandona la sua famiglia per pensare a se stessa, e che poi viene
lacerata da un terribile conflitto
interiore, perché ha rinnegato tutto, eppure non vi è neanche completamente
riuscita. Perché, piccola Ginny, non sei in grado di
prenderti le responsabilità delle tue scelte. Non sei in grado proprio
di fare delle scelte. Ma chi l’ha fatto è un perduto e
un dannato. Giusto? Proprio come me. Perduto. Dannato. Per sempre. E tu, - si era alzato in piedi, a puntarle contro un dito
bianco ed affilato, gli occhi che lanciavano lampi nel buio – tu invece ti limiti a biasimare, forzi le
vite degli altri e reciti la tua particella imparata a memoria con l’autorità
di un Inquisitore Supremo. Ma non hai ancora visto cosa c’è sotto al tuo piedistallo. – abbassò la voce, non appena i suoi
occhi catturarono una lacrima scintillare sul viso di lei,
cadere dalle palpebre adornate dalle ciglia color rame, scivolare oltre le
guance. Lui fece un profondo respiro, chiuse gli occhi. Il viso di Ginny era
ancora chinato, il capo una cascata di sangue. – Ma tu non hai ancora ribattuto ad una sola mia parola,
Weasley.
Si abbassò, le prese il mento
con una mano e lo sollevò, in modo da poter catturare il suo sguardo. Qualcun altro aveva fatto quel gesto la sera prima. Ma questa mano era ferma, e fermi e magnetici gli occhi
metallici. Avevano una sfumatura azzurra, le sembrò di notare, e c’era ancora
qualche chiazza rossa intorno al naso, ma ora il viso era impassibile.
Una mano bianca si avvicinò
al suo volto, lenta. Un pollice le disegnò delle ombre sotto agli
occhi, terse via le lacrime. Il suo viso era vicino. Molto vicino.
Sentiva il suo fiato sul mento, adesso.
-
E non parlerai. – gli occhi grigi si abbassarono,
sfiorandole le cosce, scendendo fino al pavimento.
-
Io... non so... –
sembrò voler cominciare a dire qualcosa, ma poi si
rese conto che non aveva proprio niente da replicare, piccola Ginny. Qualcosa le pulsava a metà della gola. – Non so...
-
No. – si rialzò, lentamente si risedette. Prese un altro sorso dal
boccale ormai vuoto. – No. Non sai.
Non disse altro quando lei,
ad occhi bassi, si sollevò e lasciò a grandi passi il locale.
Ho aspettato di lasciarmi alle spalle il miscuglio
pressante che da giorni si agitava nel mio stomaco, e con un compito di greco
in meno sulla mia coscienza invio finalmente il sesto capitolo. Dubito
fortemente di essere mancata a qualcuno ma, cari miei (anzi, care mie,
considerata la schiacciante maggioranza), non è finita
qui. E ci mancherebbe!, aggiungerebbe probabilmente
qualcuno dei pochi che segue questa storia sempre più visionaria. Ah, a
proposito! Vabbè che è facile facile, ma una caramella a
chi mi contestualizza la citazione del titolo (che è
citazione si dovrebbe capire dal corsivo... No, Chiara, abbassa quella mano,
per te non vale!), convertibile in soddisfazioni realizzabili dall’autrice.
Fra le eventuali conversioni non è prevista la scrittura di fanfiction
Harry/Hermione, Draco/Hermione, Ron/Ginny (Ehi! questa
è interessante, non ci avevo pensato!), Remus/Tonks,
Draco/Pansy, Dumbledore/McGonagall, Dumbledore/Snape, James/Sirius (ecc. ecc. ecc.) ed altre coppie altamente odiose quanto inverosimili (e
chi mi viene a dire che la Remus/Tonks non lo è, può
ufficialmente considerarsi precluso l’ingresso alla setta di eletti Pullmaniani in procinto di essere fondata da me e Thilwen), la traduzione di versioni di latino o greco
(specialmente di quest’ultimo), una pronuncia polita e diffusibile sul
personaggio di Harry Potter, nonché su Dante Alighieri, Agostino e Tommaso, Ratzinger o l’attuale maggioranza di governo.
Credo di aver concluso lo
sproloquio. Dulcis in fundo,
spazio ai ringraziamenti ad personam:
Helen Lance: De hi hi ho ho... ebbene sì, cose cattive oscure e malvagie, anche se
non per chi si pensa davvero... Chi vivrà vedrà, soprattutto il prossimo
capitolo, che è per me fonte di grande soddisfazione (perché
di soddisfazioni me ne sono tolte...). Grazie grazie!
Contentissima che la storia ti stia piacendo, ma i
complimenti sono esagerati. Ce n’è di gente decisamente
più meritevole in giro... Ma mi fa davvero piacere, grazie!
Briseide: I soliti ringraziamenti, anche questi non di rito ma sentitissimi (anche qui non sta decisamente
bene, ma io sono iperbolica insitamente...). Mi fa
davvero piacere che ti piaccia il mio Draco, ma
probabilmente è la situazione che tira fuori il meglio (che è il peggio) dei
personaggi. Sia lui che Ginny hanno sviluppato una
certa abitudine alla lucidità, e, a mio parere, è ciò che dà loro la coscienza
di scegliere almeno ciò che possono concedersi. Il pianto a mio parere, seppur
caratteristica banale, è una connotazione quasi essenziale in un personaggio spesso
debole (in tutti i sensi) come Ginny, se la si vuol
rendere più naturale. Beh, che dire, grazia ancora, davvero,
dei tuoi commenti-guida, della tua attenzione. Spero tu gradisca anche
questo capitolo.
Thilwen: beh, in effetti a mio parere
il commento era comprensibile, ma spesso ci sono momenti in cui io stessa non
comprendo ciò che scrivo... prendi, Danae’s Truth, ad esempio, a rileggerla col senno di poi ci capisco
la metà (^^’ Ok, facciamo che nessuno di voi abbia
letto niente di tutto questo...). No, no, serietà, ci vuole... Grazie tesoro,
il commento è sempre solida e consistente poesia,
chiarezza disegnata a tratti tenui, e soprattutto comprensione. Ti voglio bene.
Uh, dimenticavo! Vabbé che
la pubblicità non è fondamentalmente corretta, e che proprio lei non ne ha
bisogno, ma Thilwen ha pubblicato il primo capitolo della
sua ultima, splendida, fanfiction, Scribere Oportet Aqua, protagonista una splendida Narcissa Malfoy provata
dal tempo, da un ricordo persistente di ciò che è stato, di ciò che è stata. Vi
consiglio di leggerla, per quanto possa valere il mio
parere e il mio riassuntino patetico, per amore di un
paese libero e meritocratico... Un bacio!