Campagna di Promozione Sociale - Messaggio No Profit:
Dona l’8‰ del tuo tempo alla causa pro
recensioni.
Farai felice milioni di scrittori.
(© elyxyz)
WHERE IS THE
LOVE?
Il vento
soffiava gelido tra i rami degli alberi e le prime gocce di pioggia iniziavano
a cadere lente come una litania e veloci come solo un pettegolezzo sa
diffondersi.
Ma, alla
resa dei conti, forse sarebbero state meglio quelle stille gelide sulla pelle
che il coltello a doppio taglio di un qualsiasi pettegolezzo diffusosi tra le
mura magiche del castello della Scuola di Magia e di Stregoneria di Hogwarts.
La fiamma
baluginante della candela era fioca e sembrava sul punto di spegnersi per un
nonnulla ogni volta che Draco le passava accanto.
Il giorno
era passato lento e i minuti si erano susseguiti pigri l’uno all’altro portando
con loro una strascicata sera che aveva abbracciato tutto con il suo manto buio
e materno della Notte.
Si era
fermato, dopo cena, a osservare le prime gocce di pioggia cadere e poi, non
pago neppure di quello che di solito sarebbe stato un sollievo, era sceso nei
sotterranei con l’umore sotto le scarpe e con la voglia di non vedere nessuno.
E il Fato
l’aveva accontentato: evidentemente tutti erano intenti a fare qualcosa
d’interessante e appagante nelle loro camere perché quando lui era entrato
nella Sala Comune l’aveva trovata deserta.
Solo con i
suoi pensieri si era messo a girare in tondo davanti al camino spento e aveva
deciso di smorzare le luci per tentare si trovare sollievo al suo pulsare alla
tempia che sembrava volergli spaccare la testa a metà da un momento all’altro.
L’unico
bagliore proveniva da una candela posta sul freddo camino di marmo, la cui
fiamma, appunto, era tremula e rischiava di spegnersi per ogni corrente fredda
o spiffero dei gelidi sotterranei.
E non erano
pochi…
Era quasi
l’una di notte passata quando la porta dell’ingresso si aprì e tre figure
entrarono di soppiatto e silenziosamente nel buio ambiente a loro tanto
familiare.
Draco, come
un predatore che attende silenzioso il momento migliore per attaccare, sorrise
tra sé.
Il mal di
testa era andato via via scemando e adesso gli si presentava anche
l’opportunità di chiarire lo strano comportamento di quelle tre figure appena
entrate che lui conosceva così bene.
Udì
un’imprecazione e a seguire una bestemmia irripetibile, segno che Blaise,
nonostante facesse quella strada tutti i giorni da ben sette anni, ancora non
aveva imparato che appena dietro il quadro che nascondeva l’entrata della Casa
di Serpeverde al resto del castello, c’era uno scalino.
E a
giudicare dal ringhio roco neppure Daphne doveva essersene ricordata.
Sorrise
scuotendo la testa mentre anche la terza figura, la meno alta e magra dei tre e,
a parere di Draco, anche la meno intelligente, inciampava ma, a differenza
degli altri due che si erano ripresi in tempo, cadeva giù come un sacco di
patate emettendo un gridolino.
-Zitta
stupida! Vuoi forse svegliare qualcuno?- sibilò Daphne cercando di modulare
anche lei la sua stessa voce rauca.
La luce,
come da copione, si accese di colpo nell’istante esatto in cui Draco pronunciò
a bassissima voce la formula, e vide i tre strizzare gli occhi nel tentativo di
vedere chi avessero davanti.
-Neppure Weasel
avrebbe saputo fare di meglio…- li derise notando con un certo disappunto lo
scatto nervoso che aveva avuto Pansy quando lo aveva nominato.
- Draco -
protestò Blaise, precedendo Daphne che sembrava animata più da un istinto
omicida che dal profondo legame fraterno
che li legava da quando erano entrati insieme a Hogwarts, tutti piccole aspidi
in seno che avevano dato i tanto sperati frutti divenendo, con poche eccezioni
come Tiger, Goyle e Pansy, delle calcolatrici Serpi.
-Buonasera
miei cari, buonasera. Se non vado errando siete tornati un po’ oltre il
coprifuoco consentito…-
-Non mi
sembra che tu stasera sia di ronda- berciò Daphne – e in ogni caso tu delle
volte non torni proprio…-
-Allora sono
ancora più encomiabile, non trovi Greengrass? Voglio dire, uno studente di
Serpeverde che ‘fraternizza’ con studentesse di altre case… chi l’avrebbe mai
detto?- continuò la sua farsa con voce fintamente angelica e melodiosa.
-Vieni
Pansy, andiamo a dormire- esclamò piccata Daphne prendendo sottobraccio la
compagna di stanza ma, quando passò accanto a Draco, non riuscì ad esimersi
dall’esprimere quello che pensava a riguardo
-Porco!- e
detto ciò sparì nel corridoio buio e silenzioso.
Quando
furono rimasti soli, Blaise sospirò, lo sguardo ancora fisso nel punto esatto
in cui la bionda tutto pepe era scomparsa inghiottita dal buio, e si girò verso
l’amico che lo scrutava attento in silenzio.
-Andiamo
vecchio mio, ritiriamoci anche noi nelle nostre stanze…- e detto ciò
s’incamminò senza curarsi di aspettare che Draco lo stesse seguendo o meno.
Quando entrò
in camera e pochi secondi dopo sentì chiudere la porta, ebbe la certezza che
neppure Draco era immune da quella che gli essere umani, i comuni mortali,
chiamavano “curiosità”.
In fondo
aveva anche lui peccati molto banali.
E come tutte
le Serpi che si rispettassero, Blaise fece del suo meglio per farlo cadere
nella sua trappola.
Aveva
bisogno che Draco parlasse, e l’avrebbe fatto parlare.
In un modo o
nell’altro.
Due corpi così
aggrovigliati da sembrarne uno solo, usufruivano nel modo più piacevole che si
potesse immaginare della Stanza delle Necessità.
In
quell’occasione aveva offerto loro un letto a baldacchino con lenzuola e
coperte rosso perdizione.
La passione
che li aveva colti aveva fatto divampare la fiamma della lussuria in modo
inaspettato e ora si trovavano a combattere il terzo round di quella sera,
appassionato come gli altri due, fatto di baci violenti e carezze possessive,
morsi improvvisi e mosse azzardate che sembravano voler sottometter l’altro e non
volerci fare l’amore.
Anche se, in
quel caso, forse di amore non si trattava.
-Non credevo
potessi avere tutti questi lati … interessanti, Weasley-
Il chiarore
del camino mandava ombre tremule in tutta la stanza e aveva gettato la quasi
completa oscurità sul materasso, rendendo così impossibile osservare il volto
dell’interlocutore della ragazza.
-Ginevra.
Chiamami Ginevra-
Una risata
divertita scosse il petto del ragazzo su cui lei aveva appoggiato una pallida
guancia –E perché mai? Tu sei la Weasley è tra noi c’è stato solo sesso…-
chiarì duro il ragazzo.
Lei sembrava
spaesata.
Perplessa,
sbatté le palpebre un paio di volte di troppo rispetto al normale, nel
tentativo di capire a cosa fosse dovuta quella freddezza, senza tuttavia
riuscirci.
-Io… io non
capisco…-
-Non capisci
piccola Weasley?- il tono divertito e cattivo di chi ha in mano un coltello e
sa di tenerlo per il manico e senza alcuna pietà si prende tutto il tempo
necessario per trovare il punto adatto per piantarlo il più a fondo possibile
nel petto della vittima designata.
Lei scosse
la testa, i lunghi capelli rossi che turbinavano sulle sue spalle gracili.
Il ragazzo
si era lentamente alzato ed era uscito dal cono d’ombra, ma essendosi voltato
anche di spalle non si riusciva in ogni caso a scorgere il suo volto ombroso.
-Beh, tu sei
una pezzente Weasley e io un Serpeverde.Devo però ammettere che fare sesso con
te è stato divertente, sai davvero come tenere caldo il letto di un uomo. E sai
anche come soddisfare la libido. Una piacevole sorpresa, un appagante
diversivo, ma niente di più.-
Si era
rivestito e si era diretto come se niente fosse verso la porta, dandole le
spalle e parlando con superbia.
Lei non si
era accorta di aver iniziato a piangere fino
a quando non aveva assaggiato il sapore salato delle sue stesse lacrime sulle
proprie labbra.
Allora girarsi e reagire era stato istintivo.
Perché era
una Weasley [e loro non erano pezzenti, ma una famiglia di maghi Purosangue anche
migliore delle altre], perché era stata la fidanzata di
Harry Potter [che l’aveva tradita con quella che credeva fosse la sua migliore amica], perché era stata sedotta e
abbandonata [avendo lei stessa sedotto e abbandonato, attrice consumata che non poteva
più contare sulle sue recite e le sue improvvisazioni].
Perché era
una strega ed era cresciuta, cambiata, maturata.
[Perché era una donna].
E perché era
stanca. Voleva Vittoria e Vendetta, e Giustizia e Gloria.
Voleva tutto
e niente.
E voleva
tutto e niente, tutto insieme.
E fu allora
che lo disse.
Piano, una
parola che striscia senza farsi sentire, proprio come lui era strisciato verso
di lei [subdolo, infido, codardo e vigliacco], dietro le sue spalle [avvolgendo con le sue
spire il suo collo fino quasi a soffocarla], tra le sue
gambe [che lei aveva aperto per lui]
e poi via da lei, con
infinita cattiveria, verso la porta.
“STUPEFICIUM”.
Il sole
spuntò pallido rispecchiando appieno lo stato di salute degli studenti .
Che Draco
Malfoy non fosse poi così famoso per il suo colorito roseo era cosa ormai
risaputa, ma che anche Ronald Weasley e Luna Lovegood avessero la stessa cera
dava da pensare.
Ovviamente
nessuno disse nulla su Blaise Zabini, Pansy Parkinson e Daphne Greengrass; loro
potevano fare tardi tutte le volte che volevano e sarebbero stati comunque
invidiati da tutti per come facevano
le ore piccole.
Harry Potter
invece faceva alzare gli occhi al cielo: se era pallido lui significava che a
breve ci sarebbero stati dei guai.
Le uniche
che sembravano avere un colorito normale, grazie anche ai vari strati di
fondotinta e fard, erano le Tre Grazie, ovvero Lavanda, la Gemella Scema e la
nuova adepta, alias Hermione Granger.
La piccola
di casa Weasley entrò con passo incerto in Sala Grande e quando si accertò che
non vi erano pericoli per la sua manicure fresca fresca, si azzardò ad entrare,
mulinando senza posa i capelli color del fuoco.
Harry la
guardava con la bava alla bocca e gli occhi di uno spiritato.
Che gli
amici si vedono nel bisogno è risaputo e il buon Ronald ‘The King’ Weasley,
notato lo sguardo che posava sul quel fiore delicato che era sua sorella, gli
piantò una poderosa gomitata nelle costole, rischiando così di farlo secco per
la grande felicità di Malfoy che all’ultimo dovette abbandonare le sue speranze
notando che effettivamente il
Bambino-che-era-sopravvissuto-tutto-quel-tempo-senza-un-motivo-vero-apparente
non aveva intenzione di lasciarci le penne.
Peccato.
Dalla
finestra s’intravedeva un turbinio di foglie, il vento che scuoteva le cime
degli alberi tranne il Platano Picchiatore che se ne stava immobile come fosse
una statua.
[Pronto a colpire quando le prede meno se l’aspettavano…]
Blaise
Zabini, il corpo statuario appoggiato a uno stipite dell’enorme porta della
Sala Grande, osservava la vita quotidiana della scuola con palese divertimento
impresso nelle iridi scintillanti.
Pansy
Parkinson, capelli corvini arruffati in perfetto stile Harry Potter, era seduta accanto alla divina Daphne
Greengrass, la sigaretta, non la prima della giornata, tra le dita fine e lunghe.
Dal tavolo
dei professori, Severus Piton, scrutava Zabini che osservava i suoi compagni di
Casa e indugiava sul sorriso sornione del ragazzo.
Inquieto.
Tutta quella
gioia nella casa del nobile Salazar significava solo una cosa: guai.
Si alzò di
scatto per dirigersi nel suo studio
Le lezioni
della McGranitt erano sempre state catalogate come “interessanti”.
Per lo meno
dalla perfetta Caposcuola Hermione Granger, tanto che la professoressa, memore
dell’andamento scolastico ineccepibile della ragazza durante il corso dei sette
anni trascorsi ad Hogwarts, vedendola crollare il capo sul banco e pensando che
i turni di ronda fossero troppo serrati anche per i ritmi della ragazza, decise
di chiudere un occhio.
Proprio come
Hermione Granger, che di occhi ne aveva chiusi due.
Una nebbiolina impalpabile ricopriva
tutto, avvolgendola dolcemente e sfocando i confini labili delle forme che
apparivano già vaghi alla tremula luce delle lanterne del corridoio.
Conosceva quei muri, pur avendoli
visti poco nei suoi sette anni di studio ad Hogwarts.
Relativamente poco, ma se si teneva
conto che era una Grifondoro, poteva ritenersene quasi esperta.
Lo scalino sbeccato e tagliente, la
torcia dietro la statua del cavaliere senza testa sempre spenta, il quadro del
Vampiro che, come sempre, tentava di sedurla con la forza del pensiero, la
mattonella che bisognava saltare per non mettere il piede in fallo, il gelo che
sembrava entrare dentro il corpo, la mente, le ossa, l’anima… sì, conosceva quel posto.
Quello era il corridoio che portava
alla Sala Comune di Serpeverde
Avrebbe dovuto essere tranquilla, ora
che conosceva la sua meta, eppure si sentiva inquieta.
Mosse inquieta
la testa attirando l’attenzione di Harry che la guardò allibito.
Darren
Mullet, un odioso Serpeverde seduto a pochi bachi di distanza da Harry, la
guardava con palese disgusto, come se anche respirare la stessa aria di una
Mezzosangue come Hermione, per uno come lui fosse troppo.
-Che Darren
Mullet andasse a fare in culo- sibilò il Bambino sopravvissuto cercando di
attirare la sua attenzione solo per lanciargli un’occhiata d’avvertimento.
Hermione
parve accorgersi che qualcosa nell’aria era cambiato, e sospirò.
Un sospiro lieve le sfuggì dalle
labbra pregustando già quello a cui stava deliberatamente andando incontro.
Quando arrivò davanti all’ingresso
della Sala Comune Serpeverde il muro si aprì davanti a lei come se la stesse
attendendo, placido e senza fretta, salvo poi richiudersi prepotentemente
dietro le sue spalle per bloccarle ogni via di fuga.
Eppure non si sentiva in trappola.
La
sensazione era esattamente quella di un topolino messo a un angolo e con
davanti a sé un gatto affamato: in trappola.
La
professoressa McGranitt lo scrutava con un cipiglio duro e le labbra così
strette che avrebbe potuto giurare che da un momento all’altro le sarebbero
sparite.
Lo chignon
sempre tiratissimo, era leggermente sfatto e alcuni fili grigi sfuggivano al
severo controllo delle forcine; un evento più unico che raro.
Evidentemente
era furibonda.
-Signor
Potter, le assicuro che essere sopravvissuto a Lei-Sa-Chi non l’autorizza a
distrarsi durante la mia lezione. Dieci punti in meno a Grifondoro. E questo
era l’ultimo avvertimento. Per tutta la lezione non ho fatto altro che tenerla
d’occhio…
Tenerla d’occhio.
Doveva essere stato quello l’ordine scatenante di tutto.
Lui doveva aver ordinato a qualcuno
dei Suoi di tenerla d’occhio e così era stato fatto.
Complici le sue gambe traditrici che
si muovevano senza che lei avesse impartito loro ordini e la portavano a percorrere
quei freddi e cupi corridoi di cui non avrebbe mai pensato di sentire la
mancanza.
E così era lì, in una stranamente
deserta Sala Comune dei Serpeverde.
Immobile.
E pensierosa.
La fissava,
immobile e pensieroso, con un astio e una brama che difficilmente avrebbero
potuto essere coniugabili.
Vedeva
quella labbra da Madonna che l’avevano baciato con la brama che si confaceva
più a una Puttana, avevano partorito promesse sacre e le avevano profanate non
mantenendole.
Eppure quel
rossore gli riportava alla memoria labili petali ed effimere promesse, fugaci
baci e graffi indelebili.
Da Madonna
aveva curato con le sue labbra ogni singolo taglio che gli era stato inflitto
sul corpo.
Come una
Puttana aveva lambito, senza pudore o vergogna, carni, distribuendo senza
remore baci di cui avrebbe presto perso il conto.
Come una
Madonna aveva giurato su tutto quello che lui le aveva chiesto di giurare, e
come una Puttana si era fatta beffe dei
suoi giuramenti, traendone solo il piacere a cui ambiva forse fin dall’inizio.
Come una
Madonna le si erano imporporate più e più volte le guance, e aveva abbassato
pudicamente gli occhi, le braccia inermi di chi teme di fare qualcosa di
sbagliato e il fiato trattenuto nel vano tentativo di non far capire a lui la
paura che aveva.
Come una
Puttana i suoi gemiti erano arrivati alle sue orecchie, eccitandolo sempre di
più, portandolo al limite con lei, più e più volte.
Come una
Madonna.
Come una
Puttana.
Lei.
Lei.
Aveva architettato tutto quello per
avere lei.
Chissà quanti dei suoi compagni aveva
dovuto ricattare, minacciare, intimidire per farla trovare da sola.
Chissà per quanto tempo aveva
architettato ogni minimo dettaglio di quel folle piano che alla fine l’aveva
condotta da lui.
Si mosse come un automa verso la sua
stanza, incurante del freddo e dei brividi che le percorrevano il corpo.
Era avvezza a quei brividi e ormai
sapeva che non erano dovuti all’ambiente sei Sotterranei riscaldato poco e
male.
Era lui.
Quando aprì la porta della sua stanza
lui era lì, ad aspettarla.
Candele tremule bruciavano tutt’intorno
a lui, rendendo la sua pelle diafana quasi trasparente.
Sembrava essere fatto di luce
riflessa, quasi come un sogno.
Evidentemente
stava sognando, anche se a giudicare da come strizzava gli occhi nel sonno,
doveva essere più un incubo.
I capelli
sciolti che si spandevano tutt’intorno al suo capo, sul banco, sulle spalle che
si alzavano e si abbassavano come quando aveva la febbre, in un ritmo troppo
veloce, gettavano su di lei ombre insolite.
Ombre insolite giocavano sul suo
corpo creando effetti di luce così dolorosi da guardare, che per un attimo fu
tentata di distogliere lo sguardo.
Ma non lo fece.
In uno slancio quasi improvviso, si
gettò tra le sue braccia che la catturarono come se non volessero più lasciarla
andare.
Se le fece male con quell’abbraccio
possessivo e violento, non lo diede a vedere e non fiatò.
Si limitò ad affondare il viso nel
suo petto ispirando quel profumo di cui si era privata per tutto quel tempo.
Le mani di lui, veloci, le percorsero
la coscia in tutta la sua lunghezza, per poi intrufolarsi con foga sotto la
gonna della divisa, portata leggermente più corta del solito.
L’aria si era rarefatta senza che lei
se ne rendesse conto, rendendole difficile anche respirare.
Il soffitto sembrava gravarle sul
petto e gli occhi sembravano vedere solo sprazzi d’oro e d’argento.
I suoi capelli.
I suoi occhi.
Quando, delicatamente e con una
fretta che le era sconosciuta, le abili dita di lui le scostarono il cotone
leggero delle mutande per intrufolarsi nella pelle calda e sensibile delle
cosce, serrò gli occhi, come per proteggersi da un male che sapeva comunque non
sarebbe arrivato.
Saggiava e lambiva le sue carni con
una ferocia e una delicatezza che sembravano compensarsi, annullarsi
vicendevolmente e lasciarla sempre sull’orlo di uno strapiombo.
Un baratro che sembrava colmarsi solo
quando le sue labbra si posavano sulle sue, quando mordeva e giocava, succhiava
e leccava.
Senza posa, senza fine, come se lei
fosse il suo ossigeno, la sua luce, la sua vita.
Dolore e piacere necessario per non
essere inghiottiti da quel buio dei sotterranei.
-Non chiudermi fuori… - una supplica
a fior di labbra.
Un gemito, dita che entravano in lei,
strappandole un mugolio di sorpresa e di piacere.
-Non… non lo sto facendo- anche
parlare in quelle condizioni sembrava impossibile, oltre le sue capacità.
-Sì invece- protestò lui togliendo la
mano e sorridendo alla protesta involontaria che era nata dalle sue labbra
socchiuse.
Aprendo gli occhi non seppe spiegarsi
come aveva fatto a essere completamente nuda sotto di lui, altrettanto
svestito.
Ed eccitato, proprio come lei.
-Lo vedi ora?- riprese tranquillo.
[Oh, cielo se lo vedeva. Eccome se lo vedeva…]
-… mi stavi chiudendo fuori. Non
farlo Hermione-
Il suo nome pronunciato da lui suonava
come una preghiera e una bestemmia allo stesso tempo.
Lei, Madonna e Puttana.
Lei, semplicemente lei.
Lei mentre lui la baciava, lei mentre
lui l’osservava per imprimersi nella memoria ogni suo più piccolo gesto, lei e
le sue labbra arrossate dai baci di lui, lei sotto di lui.
Lei, piena di lui.
E lui, dentro di lei, tra le sue
cosce, tra le sue braccia, sulla sua bocca, tra le sue mani, nel suo odore.
Lei.
E lui, sulla bocca di lei.
-Draco…
-Draco…
Quel
sussurro parve echeggiare nella confusione della fine dell’ora, mentre lei si
svegliava dal rumore dello scalpitio delle sedie che si spostavano e dei suoi
compagni che uscivano di gran carriera dall’aula.
Solo tre
persone sembravano non essersi accorte di quanto stava accadendo loro attorno.
-Hermione…
Una
supplica, quella del bambino Sopravvissuto, nel vano tentativo di annullare
quello che aveva appena sentito pronunciare dalle labbra della sua migliore
amica, che sembrava rendersi conto di quanto detto e lo guardava allibita.
-Harry…
Un nome, le
sue scuse.
E allora non
ci fu più motivo affinché Draco rimanesse nell’aula ormai vuota tranne che per
loro tre.
Lei aveva
scelto ancora una volta.
Harry…
.......Continua……….
§§§ Angolo Autrice §§§
Eccomi qui,
come sempre in ritardo.
Ormai non ci
sono più scuse che reggano…
Mi limito
solo a ringraziare quanti di voi leggono la mia storia e continuano a metterla
tra i Preferiti e le Seguite e un GRAZIE particolare a quanti lasciano una
recensione!
“-Che Darren
Mullet andasse a fare in culo-“ è una citazione del cattivissimo film inglese “Tormented”, con il sublime Alex Pettyfer e l’altrettanto
brava Georgia King.
Ovviamente
non ho contato April Pearson il cui talento ormai do per scontato…
@ Elyzaza:
Hai dovuto aspettare un po’, ma alla fine eccomi qui…
@ Mirya: Sei
il mio punto fermo. Eccoti qui accontentata, perché ogni promessa è debito…
Alla
prossima
Ele_lele