Libri > Harry Potter
Segui la storia  |       
Autore: ele_lele    18/08/2010    2 recensioni
Cosa succederebbe se una Grifondoro e un Serpeverde si innamorassero? E se in particolar modo i ragazzi in questione fossero Hermione Granger, Grifondoro per eccellenza, e Draco Malfoy, infido e seducente Serpeverde?
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Blaise Zabini, Daphne Greengrass, Ginny Weasley, Harry Potter | Coppie: Draco/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
cap 16

Campagna di Promozione Sociale - Messaggio No Profit:

 

Dona l’8‰ del tuo tempo alla causa pro recensioni.

 

Farai felice milioni di scrittori.

(© elyxyz)

 

 

 

 

 

WHERE IS THE LOVE?

 

 

Il vento soffiava gelido tra i rami degli alberi e le prime gocce di pioggia iniziavano a cadere lente come una litania e veloci come solo un pettegolezzo sa diffondersi.

Ma, alla resa dei conti, forse sarebbero state meglio quelle stille gelide sulla pelle che il coltello a doppio taglio di un qualsiasi pettegolezzo diffusosi tra le mura magiche del castello della Scuola di Magia e di Stregoneria di Hogwarts.

La fiamma baluginante della candela era fioca e sembrava sul punto di spegnersi per un nonnulla ogni volta che Draco le passava accanto.

Il giorno era passato lento e i minuti si erano susseguiti pigri l’uno all’altro portando con loro una strascicata sera che aveva abbracciato tutto con il suo manto buio e materno della Notte.

Si era fermato, dopo cena, a osservare le prime gocce di pioggia cadere e poi, non pago neppure di quello che di solito sarebbe stato un sollievo, era sceso nei sotterranei con l’umore sotto le scarpe e con la voglia di non vedere nessuno.

E il Fato l’aveva accontentato: evidentemente tutti erano intenti a fare qualcosa d’interessante e appagante nelle loro camere perché quando lui era entrato nella Sala Comune l’aveva trovata deserta.

Solo con i suoi pensieri si era messo a girare in tondo davanti al camino spento e aveva deciso di smorzare le luci per tentare si trovare sollievo al suo pulsare alla tempia che sembrava volergli spaccare la testa a metà da un momento all’altro.

L’unico bagliore proveniva da una candela posta sul freddo camino di marmo, la cui fiamma, appunto, era tremula e rischiava di spegnersi per ogni corrente fredda o spiffero dei gelidi sotterranei.

E non erano pochi…

Era quasi l’una di notte passata quando la porta dell’ingresso si aprì e tre figure entrarono di soppiatto e silenziosamente nel buio ambiente a loro tanto familiare.

Draco, come un predatore che attende silenzioso il momento migliore per attaccare, sorrise tra sé.

Il mal di testa era andato via via scemando e adesso gli si presentava anche l’opportunità di chiarire lo strano comportamento di quelle tre figure appena entrate che lui conosceva così bene.

Udì un’imprecazione e a seguire una bestemmia irripetibile, segno che Blaise, nonostante facesse quella strada tutti i giorni da ben sette anni, ancora non aveva imparato che appena dietro il quadro che nascondeva l’entrata della Casa di Serpeverde al resto del castello, c’era uno scalino.

E a giudicare dal ringhio roco neppure Daphne doveva essersene ricordata.

Sorrise scuotendo la testa mentre anche la terza figura, la meno alta e magra dei tre e, a parere di Draco, anche la meno intelligente, inciampava ma, a differenza degli altri due che si erano ripresi in tempo, cadeva giù come un sacco di patate emettendo un gridolino.

-Zitta stupida! Vuoi forse svegliare qualcuno?- sibilò Daphne cercando di modulare anche lei la sua stessa voce rauca.

La luce, come da copione, si accese di colpo nell’istante esatto in cui Draco pronunciò a bassissima voce la formula, e vide i tre strizzare gli occhi nel tentativo di vedere chi avessero davanti.

-Neppure Weasel avrebbe saputo fare di meglio…- li derise notando con un certo disappunto lo scatto nervoso che aveva avuto Pansy quando lo aveva nominato.

- Draco - protestò Blaise, precedendo Daphne che sembrava animata più da un istinto omicida che dal  profondo legame fraterno che li legava da quando erano entrati insieme a Hogwarts, tutti piccole aspidi in seno che avevano dato i tanto sperati frutti divenendo, con poche eccezioni come Tiger, Goyle e Pansy, delle calcolatrici Serpi.

-Buonasera miei cari, buonasera. Se non vado errando siete tornati un po’ oltre il coprifuoco consentito…-

-Non mi sembra che tu stasera sia di ronda- berciò Daphne – e in ogni caso tu delle volte non torni proprio…-

-Allora sono ancora più encomiabile, non trovi Greengrass? Voglio dire, uno studente di Serpeverde che ‘fraternizza’ con studentesse di altre case… chi l’avrebbe mai detto?- continuò la sua farsa con voce fintamente angelica e melodiosa.

-Vieni Pansy, andiamo a dormire- esclamò piccata Daphne prendendo sottobraccio la compagna di stanza ma, quando passò accanto a Draco, non riuscì ad esimersi dall’esprimere quello che pensava a riguardo

-Porco!- e detto ciò sparì nel corridoio buio e silenzioso.

Quando furono rimasti soli, Blaise sospirò, lo sguardo ancora fisso nel punto esatto in cui la bionda tutto pepe era scomparsa inghiottita dal buio, e si girò verso l’amico che lo scrutava attento in silenzio.

-Andiamo vecchio mio, ritiriamoci anche noi nelle nostre stanze…- e detto ciò s’incamminò senza curarsi di aspettare che Draco lo stesse seguendo o meno.

Quando entrò in camera e pochi secondi dopo sentì chiudere la porta, ebbe la certezza che neppure Draco era immune da quella che gli essere umani, i comuni mortali, chiamavano “curiosità”.

In fondo aveva anche lui peccati molto banali.

E come tutte le Serpi che si rispettassero, Blaise fece del suo meglio per farlo cadere nella sua trappola.

Aveva bisogno che Draco parlasse, e l’avrebbe fatto parlare.

In un modo o nell’altro.

 

 

 

Due corpi così aggrovigliati da sembrarne uno solo, usufruivano nel modo più piacevole che si potesse immaginare della Stanza delle Necessità.

In quell’occasione aveva offerto loro un letto a baldacchino con lenzuola e coperte rosso perdizione.

La passione che li aveva colti aveva fatto divampare la fiamma della lussuria in modo inaspettato e ora si trovavano a combattere il terzo round di quella sera, appassionato come gli altri due, fatto di baci violenti e carezze possessive, morsi improvvisi e mosse azzardate che sembravano voler sottometter l’altro e non volerci fare l’amore.

Anche se, in quel caso, forse di amore non si trattava.

-Non credevo potessi avere tutti questi lati … interessanti, Weasley-

Il chiarore del camino mandava ombre tremule in tutta la stanza e aveva gettato la quasi completa oscurità sul materasso, rendendo così impossibile osservare il volto dell’interlocutore della ragazza.

-Ginevra. Chiamami Ginevra-

Una risata divertita scosse il petto del ragazzo su cui lei aveva appoggiato una pallida guancia –E perché mai? Tu sei la Weasley è tra noi c’è stato solo sesso…- chiarì duro il ragazzo.

Lei sembrava spaesata.

Perplessa, sbatté le palpebre un paio di volte di troppo rispetto al normale, nel tentativo di capire a cosa fosse dovuta quella freddezza, senza tuttavia riuscirci.

-Io… io non capisco…-

-Non capisci piccola Weasley?- il tono divertito e cattivo di chi ha in mano un coltello e sa di tenerlo per il manico e senza alcuna pietà si prende tutto il tempo necessario per trovare il punto adatto per piantarlo il più a fondo possibile nel petto della vittima designata.

Lei scosse la testa, i lunghi capelli rossi che turbinavano sulle sue spalle gracili.

Il ragazzo si era lentamente alzato ed era uscito dal cono d’ombra, ma essendosi voltato anche di spalle non si riusciva in ogni caso a scorgere il suo volto ombroso.

-Beh, tu sei una pezzente Weasley e io un Serpeverde.Devo però ammettere che fare sesso con te è stato divertente, sai davvero come tenere caldo il letto di un uomo. E sai anche come soddisfare la libido. Una piacevole sorpresa, un appagante diversivo, ma niente di più.-

Si era rivestito e si era diretto come se niente fosse verso la porta, dandole le spalle e parlando con superbia.

Lei non si era accorta di aver iniziato a piangere  fino a quando non aveva assaggiato il sapore salato delle sue stesse lacrime sulle proprie labbra.
Allora girarsi e reagire era stato istintivo.

Perché era una Weasley [e loro non erano pezzenti, ma una famiglia di maghi Purosangue anche migliore delle altre], perché era stata la fidanzata di Harry Potter [che l’aveva tradita con quella che credeva fosse la sua migliore amica], perché era stata sedotta e abbandonata [avendo lei stessa sedotto e abbandonato, attrice consumata che non poteva più contare sulle sue recite e le sue improvvisazioni].

Perché era una strega ed era cresciuta, cambiata, maturata.

[Perché era una donna].

E perché era stanca. Voleva Vittoria e Vendetta, e Giustizia e Gloria.

Voleva tutto e niente.

E voleva tutto e niente, tutto insieme.

E fu allora che lo disse.

Piano, una parola che striscia senza farsi sentire, proprio come lui era strisciato verso di lei [subdolo, infido, codardo e vigliacco], dietro le sue spalle [avvolgendo con le sue spire il suo collo fino quasi a soffocarla], tra le sue gambe [che lei aveva aperto per lui] e poi via da lei, con infinita cattiveria, verso la porta.

“STUPEFICIUM”.

 

 

 

Il sole spuntò pallido rispecchiando appieno lo stato di salute degli studenti .

Che Draco Malfoy non fosse poi così famoso per il suo colorito roseo era cosa ormai risaputa, ma che anche Ronald Weasley e Luna Lovegood avessero la stessa cera dava da pensare.

Ovviamente nessuno disse nulla su Blaise Zabini, Pansy Parkinson e Daphne Greengrass; loro potevano fare tardi tutte le volte che volevano e sarebbero stati comunque invidiati da tutti per come facevano le ore piccole.

Harry Potter invece faceva alzare gli occhi al cielo: se era pallido lui significava che a breve ci sarebbero stati dei guai.

Le uniche che sembravano avere un colorito normale, grazie anche ai vari strati di fondotinta e fard, erano le Tre Grazie, ovvero Lavanda, la Gemella Scema e la nuova adepta, alias Hermione Granger.

La piccola di casa Weasley entrò con passo incerto in Sala Grande e quando si accertò che non vi erano pericoli per la sua manicure fresca fresca, si azzardò ad entrare, mulinando senza posa i capelli color del fuoco.

Harry la guardava con la bava alla bocca e gli occhi di uno spiritato.

Che gli amici si vedono nel bisogno è risaputo e il buon Ronald ‘The King’ Weasley, notato lo sguardo che posava sul quel fiore delicato che era sua sorella, gli piantò una poderosa gomitata nelle costole, rischiando così di farlo secco per la grande felicità di Malfoy che all’ultimo dovette abbandonare le sue speranze notando che effettivamente il Bambino-che-era-sopravvissuto-tutto-quel-tempo-senza-un-motivo-vero-apparente non aveva intenzione di lasciarci le penne.

Peccato.

Dalla finestra s’intravedeva un turbinio di foglie, il vento che scuoteva le cime degli alberi tranne il Platano Picchiatore che se ne stava immobile come fosse una statua.

[Pronto a colpire quando le prede meno se l’aspettavano…]

Blaise Zabini, il corpo statuario appoggiato a uno stipite dell’enorme porta della Sala Grande, osservava la vita quotidiana della scuola con palese divertimento impresso nelle iridi scintillanti.

Pansy Parkinson, capelli corvini arruffati in perfetto stile Harry Potter,  era seduta accanto alla divina Daphne Greengrass, la sigaretta, non la prima della giornata,  tra le dita fine e lunghe.

Dal tavolo dei professori, Severus Piton, scrutava Zabini che osservava i suoi compagni di Casa e indugiava sul sorriso sornione del ragazzo.

Inquieto.

Tutta quella gioia nella casa del nobile Salazar significava solo una cosa: guai.

Si alzò di scatto per dirigersi nel suo studio

 

 

Le lezioni della McGranitt erano sempre state catalogate come “interessanti”.

Per lo meno dalla perfetta Caposcuola Hermione Granger, tanto che la professoressa, memore dell’andamento scolastico ineccepibile della ragazza durante il corso dei sette anni trascorsi ad Hogwarts, vedendola crollare il capo sul banco e pensando che i turni di ronda fossero troppo serrati anche per i ritmi della ragazza, decise di chiudere un occhio.

Proprio come Hermione Granger, che di occhi ne aveva chiusi due.

 

 

Una nebbiolina impalpabile ricopriva tutto, avvolgendola dolcemente e sfocando i confini labili delle forme che apparivano già vaghi alla tremula luce delle lanterne del corridoio.

Conosceva quei muri, pur avendoli visti poco nei suoi sette anni di studio ad Hogwarts.

Relativamente poco, ma se si teneva conto che era una Grifondoro, poteva ritenersene quasi esperta.

Lo scalino sbeccato e tagliente, la torcia dietro la statua del cavaliere senza testa sempre spenta, il quadro del Vampiro che, come sempre, tentava di sedurla con la forza del pensiero, la mattonella che bisognava saltare per non mettere il piede in fallo, il gelo che sembrava entrare dentro il corpo, la mente, le ossa, l’anima… sì,  conosceva quel posto.

Quello era il corridoio che portava alla Sala Comune di Serpeverde

Avrebbe dovuto essere tranquilla, ora che conosceva la sua meta, eppure si sentiva inquieta.

 

 

Mosse inquieta la testa attirando l’attenzione di Harry che la guardò allibito.

Darren Mullet, un odioso Serpeverde seduto a pochi bachi di distanza da Harry, la guardava con palese disgusto, come se anche respirare la stessa aria di una Mezzosangue come Hermione, per uno come lui fosse troppo.

-Che Darren Mullet andasse a fare in culo- sibilò il Bambino sopravvissuto cercando di attirare la sua attenzione solo per lanciargli un’occhiata d’avvertimento.

Hermione parve accorgersi che qualcosa nell’aria era cambiato, e sospirò.

 

Un sospiro lieve le sfuggì dalle labbra pregustando già quello a cui stava deliberatamente andando incontro.

Quando arrivò davanti all’ingresso della Sala Comune Serpeverde il muro si aprì davanti a lei come se la stesse attendendo, placido e senza fretta, salvo poi richiudersi prepotentemente dietro le sue spalle per bloccarle ogni via di fuga.

Eppure non si sentiva in trappola.

 

La sensazione era esattamente quella di un topolino messo a un angolo e con davanti a sé un gatto affamato: in trappola.

La professoressa McGranitt lo scrutava con un cipiglio duro e le labbra così strette che avrebbe potuto giurare che da un momento all’altro le sarebbero sparite.

Lo chignon sempre tiratissimo, era leggermente sfatto e alcuni fili grigi sfuggivano al severo controllo delle forcine; un evento più unico che raro.

Evidentemente era furibonda.

-Signor Potter, le assicuro che essere sopravvissuto a Lei-Sa-Chi non l’autorizza a distrarsi durante la mia lezione. Dieci punti in meno a Grifondoro. E questo era l’ultimo avvertimento. Per tutta la lezione non ho fatto altro che tenerla d’occhio…

 

 

Tenerla d’occhio.

Doveva essere stato quello l’ordine  scatenante di tutto.

Lui doveva aver ordinato a qualcuno dei Suoi di tenerla d’occhio e così era stato fatto.

Complici le sue gambe traditrici che si muovevano senza che lei avesse impartito loro ordini e la portavano a percorrere quei freddi e cupi corridoi di cui non avrebbe mai pensato di sentire la mancanza.

E così era lì, in una stranamente deserta Sala Comune dei Serpeverde.

Immobile.

E pensierosa.

 

La fissava, immobile e pensieroso, con un astio e una brama che difficilmente avrebbero potuto essere coniugabili.

Vedeva quella labbra da Madonna che l’avevano baciato con la brama che si confaceva più a una Puttana, avevano partorito promesse sacre e le avevano profanate non mantenendole.

Eppure quel rossore gli riportava alla memoria labili petali ed effimere promesse, fugaci baci e graffi indelebili.

Da Madonna aveva curato con le sue labbra ogni singolo taglio che gli era stato inflitto sul corpo.

Come una Puttana aveva lambito, senza pudore o vergogna, carni, distribuendo senza remore baci di cui avrebbe presto perso il conto.

Come una Madonna aveva giurato su tutto quello che lui le aveva chiesto di giurare, e come una Puttana  si era fatta beffe dei suoi giuramenti, traendone solo il piacere a cui ambiva forse fin dall’inizio.

Come una Madonna le si erano imporporate più e più volte le guance, e aveva abbassato pudicamente gli occhi, le braccia inermi di chi teme di fare qualcosa di sbagliato e il fiato trattenuto nel vano tentativo di non far capire a lui la paura che aveva.

Come una Puttana i suoi gemiti erano arrivati alle sue orecchie, eccitandolo sempre di più, portandolo al limite con lei, più e più volte.

Come una Madonna.

Come una Puttana.

Lei.

 

 

Lei.

Aveva architettato tutto quello per avere lei.

Chissà quanti dei suoi compagni aveva dovuto ricattare, minacciare, intimidire per farla trovare da sola.

Chissà per quanto tempo aveva architettato ogni minimo dettaglio di quel folle piano che alla fine l’aveva condotta da lui.

Si mosse come un automa verso la sua stanza, incurante del freddo e dei brividi che le percorrevano il corpo.

Era avvezza a quei brividi e ormai sapeva che non erano dovuti all’ambiente sei Sotterranei riscaldato poco e male.

Era lui.

Quando aprì la porta della sua stanza lui era lì, ad aspettarla.

Candele tremule bruciavano tutt’intorno a lui, rendendo la sua pelle diafana quasi trasparente.

Sembrava essere fatto di luce riflessa, quasi come un sogno.

 

 

Evidentemente stava sognando, anche se a giudicare da come strizzava gli occhi nel sonno, doveva essere più un incubo.

I capelli sciolti che si spandevano tutt’intorno al suo capo, sul banco, sulle spalle che si alzavano e si abbassavano come quando aveva la febbre, in un ritmo troppo veloce, gettavano su di lei ombre insolite.

 

 

Ombre insolite giocavano sul suo corpo creando effetti di luce così dolorosi da guardare, che per un attimo fu tentata di distogliere lo sguardo.

Ma non lo fece.

In uno slancio quasi improvviso, si gettò tra le sue braccia che la catturarono come se non volessero più lasciarla andare.

Se le fece male con quell’abbraccio possessivo e violento, non lo diede a vedere e non fiatò.

Si limitò ad affondare il viso nel suo petto ispirando quel profumo di cui si era privata per tutto quel tempo.

Le mani di lui, veloci, le percorsero la coscia in tutta la sua lunghezza, per poi intrufolarsi con foga sotto la gonna della divisa, portata leggermente più corta del solito.

L’aria si era rarefatta senza che lei se ne rendesse conto, rendendole difficile anche respirare.

Il soffitto sembrava gravarle sul petto e gli occhi sembravano vedere solo sprazzi d’oro e d’argento.

I suoi capelli.

I suoi occhi.

Quando, delicatamente e con una fretta che le era sconosciuta, le abili dita di lui le scostarono il cotone leggero delle mutande per intrufolarsi nella pelle calda e sensibile delle cosce, serrò gli occhi, come per proteggersi da un male che sapeva comunque non sarebbe arrivato.

Saggiava e lambiva le sue carni con una ferocia e una delicatezza che sembravano compensarsi, annullarsi vicendevolmente e lasciarla sempre sull’orlo di uno strapiombo.

Un baratro che sembrava colmarsi solo quando le sue labbra si posavano sulle sue, quando mordeva e giocava, succhiava e leccava.

Senza posa, senza fine, come se lei fosse il suo ossigeno, la sua luce, la sua vita.

Dolore e piacere necessario per non essere inghiottiti da quel buio dei sotterranei.

-Non chiudermi fuori… - una supplica a fior di labbra.

Un gemito, dita che entravano in lei, strappandole un mugolio di sorpresa e di piacere.

-Non… non lo sto facendo- anche parlare in quelle condizioni sembrava impossibile, oltre le sue capacità.

-Sì invece- protestò lui togliendo la mano e sorridendo alla protesta involontaria che era nata dalle sue labbra socchiuse.

Aprendo gli occhi non seppe spiegarsi come aveva fatto a essere completamente nuda sotto di lui, altrettanto svestito.

Ed eccitato, proprio come lei.

-Lo vedi ora?- riprese tranquillo.

[Oh, cielo se lo vedeva. Eccome se lo vedeva…]

-… mi stavi chiudendo fuori. Non farlo Hermione-

Il suo nome pronunciato da lui suonava come una preghiera e una bestemmia allo stesso tempo.

Lei, Madonna e Puttana.

Lei, semplicemente lei.

Lei mentre lui la baciava, lei mentre lui l’osservava per imprimersi nella memoria ogni suo più piccolo gesto, lei e le sue labbra arrossate dai baci di lui, lei sotto di lui.

Lei, piena di lui.

E lui, dentro di lei, tra le sue cosce, tra le sue braccia, sulla sua bocca, tra le sue mani, nel suo odore.

Lei.

E lui, sulla bocca di lei.

-Draco…

 

-Draco…

Quel sussurro parve echeggiare nella confusione della fine dell’ora, mentre lei si svegliava dal rumore dello scalpitio delle sedie che si spostavano e dei suoi compagni che uscivano di gran carriera dall’aula.

Solo tre persone sembravano non essersi accorte di quanto stava accadendo loro attorno.

-Hermione…

Una supplica, quella del bambino Sopravvissuto, nel vano tentativo di annullare quello che aveva appena sentito pronunciare dalle labbra della sua migliore amica, che sembrava rendersi conto di quanto detto e lo guardava allibita.

-Harry…

Un nome, le sue scuse.

E allora non ci fu più motivo affinché Draco rimanesse nell’aula ormai vuota tranne che per loro tre.

Lei aveva scelto ancora una volta.

Harry…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

.......Continua……….

 

 

 

§§§   Angolo Autrice   §§§

 

Eccomi qui, come sempre in ritardo.

Ormai non ci sono più scuse che reggano…

Mi limito solo a ringraziare quanti di voi leggono la mia storia e continuano a metterla tra i Preferiti e le Seguite e un GRAZIE particolare a quanti lasciano una recensione!

 

“-Che Darren Mullet andasse a fare in culo-“ è una citazione del cattivissimo film inglese  “Tormented”, con il sublime Alex Pettyfer e l’altrettanto brava Georgia King.

Ovviamente non ho contato April Pearson il cui talento ormai do per scontato…

 

 

@ Elyzaza: Hai dovuto aspettare un po’, ma alla fine eccomi qui…

@ Mirya: Sei il mio punto fermo. Eccoti qui accontentata, perché ogni promessa è debito…

 

Alla prossima

 

Ele_lele

   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: ele_lele