Capitolo 27 – Going toward entropy
Quando ero incinta di Alex, facevo sempre lo
stesso sogno.
Ogni notte, sognavo di partorire un serpente.
Mi risvegliavo sudata, accaldata, piangendo e
gridando. E mio marito correva a consolarmi, mi abbracciava e mi diceva che
andava tutto bene. Gli dicevo che avevo paura che lo Zahir mi fosse entrato nel
sangue, che avesse ucciso il mio bambino e che quella sarebbe stata la mia
punizione. Lui semplicemente mi diceva che era ridicolo, che non c’era nulla da
punire in me e che mio figlio sarebbe nato, come tutti gli altri bambini prima
di lui. Quando lo guardavo, ancora poco convinta, lui mi allungava il polso, mi
passava un dito sulla pelle integra e mi diceva: “Guarda? Vedi qualcosa?
Cicatrici? Segni? Ferite? Non c’è più nulla…”. Spesso, singhiozzando, ostinata
come una bambina, dicevo che quel serpente era dentro di me. E lui, paziente e
dolce come è sempre stato, mi sussurrava che avevo il cuore di una leonessa.
Il mio cuore l’avrebbe spaventato e sarebbe
scappato via.
Lui ha sempre cercato di consolarmi così, e ha
sempre avuto effetto, non so nemmeno io come, anche se alludeva ad un cuore che
non amava lui.
Ma, per lui, non è mai stato un problema… o
perlomeno ha sempre finto che non fosse un problema.
Non so come ce l’abbia fatta, come ce la faccia
ancora, come riesca a vivere con la certezza che, nel momento in cui dovesse
mai arrivare la notizia che aspetto da cinque anni, io me ne andrò via da qui,
lontana dalla nostra vita. Forse, è in quei momenti che ricordo il serpente che
mi cingeva il polso, che mi era entrato nel sangue, infiammandolo d’odio e
rendendomi una preda delle più facili, e credo che non se ne sia mai andato
davvero, anche se so che non è così.
Mi viene da credere in modo automatico di
vivere ancora di odio e di egoismo, perché spesso, in modo più o meno palese e
cosciente, costringo mio marito a subire tutto questo.
Sarebbe la giusta punizione che fossi
condannata a questo, a non conoscere mai più la purezza di me stessa, a vivere
per sempre con il ricordo di quel odio atroce che mi ha avvelenato l’anima, che
è stata l’arma micidiale, forgiata per distruggerci. Sarebbe la punizione
giusta, lo penso spesso.
Poi arriva Alex e so che io la mia punizione
l’ho già abbondantemente avuta, quando è nato lui.
Quando l’ho visto per la prima volta.
Quando il mio cuore si è fermato, sciolto
dall’amore e dal dolore. Ed ogni volta che lui mi guarda, o ride, o mi indica
qualcosa che l’ha colpito, mi spezza sempre il cuore. Certo, subito arriva
l’amore sconfinato per lui, per il mio bambino. Ma, quando lui non vede, io
chiudo gli occhi, prendo un respiro e mi faccio forza, cancellando la
somiglianza inevitabile che i suoi tratti mi comunicano. Perché di lui, tutto,
è una condanna, per me.
Perché, quando mio figlio mi guarda… io rivedo
l’oro e la perla.
Perché, quando mio figlio mi guarda… io rivedo
sempre suo padre.
E quando penso al suo nome, mi dico che avrei
dovuto sceglierne un altro, perché non so tutto questo quanto potrà durare.
Forse per anni. Forse per sempre.
E quel nome sarà stato inutile. C’è Alexander,
il nome di mio padre. Ma non è tutto il suo nome.
Esso resta sempre sepolto. Ma scriverlo mi fa
bene, non mi fa dimenticare tutto quello che quel serpente si è portato
via.
Perché si è portato via tutto… tranne una cosa.
Il nome di mio figlio.
Alexander Leo Malfoy.
Il mio corpo… il mio
cuore… il mio stesso pensiero… io non
riesco più nemmeno a controllarlo…
L’odio è una forza potente, immensa, quasi quanto
l’amore. Forse anche di più dell’amore.
Quando guardavo Draco, io sentivo sempre che ero
troppo poco per lui, che non ero mai degna dei suoi occhi e del suo sguardo,
specie se, in modo più o meno conscio, mi paragonavo ad Helena.
Ora, invece, io sono una regina, una stella nel cielo che lui
non potrà mai eclissare. Mai più. Bella, desiderabile, lui ha solo da temermi
adesso. Ha da temere il mio assurdo desiderio di fargli del male, come prima mi
aveva terrorizzato causargli ancora altro dolore.
Come direbbe mia nonna, tutto torna indietro.
Specie il male. Ora Draco Malfoy avrà un assaggio di ciò che ha fatto a me.
O mio Dio… che cosa
sto per fargli?
Mi siedo sul bancone del bar, issandomi su con una
leggerezza ed una grazia che non ho mai posseduto.
Incrocio le gambe in modo volutamente ammiccante,
prima di sbuffare con voce monocorde: “Si può sapere che diamine vuoi,
esattamente? Mi stai annoiando Malfoy…”.
Il suo volto, da irato com’era, si fa sorpreso,
assolutamente sconvolto. I suoi occhi luccicano di stupore, come se volesse
chiedermi chi sia io adesso. Ogni cosa di me gli sembra strana, diversa, tipica
delle donne pessime che ha sempre frequentato. Le movenze da gatta morta di
Summer… e magari anche di Helena. Anche se lei era il tipico angelo del
paradiso, giusto… come scordarlo… ed invece ora io sono all’inferno. È qui che
mi volevi condurre Malfoy? Ora vedrai quanto può bruciare il fuoco.
Si avvicina di qualche passo, gli occhi grigi
ancora incerti e quasi addolorati, prima di sputare fuori con il solito astio
che oramai non fa minimamente presa su di me: “Serenity… non ti azzardare mai
più a portarla con te… e con quell’altra specie di bambolotto che ti porti
dietro, sono stato chiaro?”. La sua voce, un tempo, mi avrebbe terrorizzato. Mi
sarei spaventata, temendo che mi facesse del male. Ma che dico… non ho mai
temuto che lui mi facesse del male, come quanto invece di fargliene io a lui.
Ed infatti gli ho consegnato il mio cuore, lasciando che me lo riducesse a
brandelli sanguinanti.
Ora, invece, non la sento neppure la sua voce, anzi
sbadiglio rumorosamente coprendomi la bocca con la mano, attenta solo che i
suoi occhi mantengano quella precisa espressione. Di dolore. Sorrido, che
raccontasse e dicesse quello che vuole, ma credo che sentirà la mancanza della
sua piccola e fragile Hermione.
Draco… vattene,
dannazione, finché sei in tempo.
Riesco ad essere me
stessa solo qui, in questa parte del mio cuore… come sfugge allo Zahir, non lo
so…
Vattene, accidenti…
Al mio teatrale sbadiglio, i suoi occhi si riducono
in due fenditure colme d’odio, freme come sempre. L’odio degli uomini è sempre
così patetico, non sanno nemmeno che cosa significa. Non suscitare mai l’odio
in una donna, invece.
“Cosa, esattamente, ti dà tanto fastidio?” sussurro
con voce calda, guardandomi le unghie, prima di distendere il palmo davanti a
me e tornare a guardarlo “Il fatto che Hayden sia migliore di te, praticamente
in tutto, e che Serenity se ne possa rendere conto, anche se è ancora una
bambina?”. Il suo sguardo si fa di diamante, duro, inaccessibile, mentre ancora
una parte del suo sguardo cerca di fugare il mistero che gli sembra palese
scorgere in me, dato che, per una volta sola, non mi sono gettata ai suoi piedi
per farmi martirizzare.
“Giusto…” replico quasi come se avessi avuto
un’ispirazione improvvisa e batto una volta le mani, guardandolo “Non dovrei
dirlo, per non ferirti…! In fondo, Serenity è la tua sola ragione di vita…”, mi
gratto pensosamente la guancia: “… anche se al momento, non capisco perché non
dovrei dirlo… l’ho colto per un momento e mi è sfuggito daccapo…”, scoppio a
ridere di fronte ai suoi pugni chiusi, incrociando le braccia al petto: “… in
fondo, cavolo, Malfoy, è dallo stesso momento in cui ho messo piede qui che mi
hai, letteralmente non in senso lato, rovinato
la vita… quindi insomma ci sta che non sia masochista, fino
a questo punto…”.
“Rovinato la vita?” ripete lui atono, facendo un
passo avanti “Te la sarai rovinata tu da sola la
vita… fosse stato per me saresti stata fuori di qui dal momento stesso in cui
ci eri entrata…”.
“Certo, certo…” sbuffo ironicamente, distogliendo
lo sguardo da lui come se improvvisamente mi ripugnasse anche solo la sua vista
“Sai cosa? Andiamoci sotto con le confessioni, visto che tu mi ha ustionato le
orecchie e gli occhi con i tuoi ricordi, vuoi? Cinque minuti di mie innocenti
paroline non ti faranno male a lungo…”.
Dio mio… ora lo farò
a pezzi…
“Hai ragione…” commento falsamente, alzandomi dal
bancone con passo leggero e tornando ai suoi occhi, osserva le mie movenze
senza parlare, ancora alla ricerca del particolare che gli sfugge. Quando mi
porto la mano nei capelli, scostandoli dal mio viso, e il serpente che mi
intreccia il polso luccica nel neon del bancone, stringe le iridi, ma non fa
nulla. Euforica, mi rendo conto che non lo conosce. Era la mia sola possibilità che lo conoscesse. Dannazione.
“La vita me la sono rovinata da sola… decisamente,
come una povera imbecille…” continuo, muovendomi verso di lui come un serpente
che ammira la sua preda. E devo dire che è decisamente una preda di alto livello.
“Ti ho rivisto e mi sono autonomamente convinta che tu fossi diverso, cambiato…
hai degli amici che ti vogliono bene, una sorellina adorabile, una fidanzata,
bionda manco a dirlo… e mi dico, sai che c’è, Malfoy non deve essere stato così
male se ha tutto questo… ma la tua vita è un’invenzione continua. Ripetitiva,
come sempre è stata…”, schiocco la lingua con espressione annoiata, contando
sulle dita sotto il suo sguardo furioso: “… la fidanzata è Astoria, la sorella
non è una sorella, gli amici non sanno nulla di te… bella vita, davvero… ma in
fondo credo che sia il massimo a cui può ambire una persona come te, no?”.
“Che diamine vuoi dire?” commenta fioco, quasi
ambendo il colpo mortale che gli sto per infliggere. Mi invita decisamente a
nozze.
Non ha ancora capito bene dove sto arrivando,
continua in quell’atteggiamento che, da stamattina, non ho capito, ma che ora
riesco ad inquadrare meglio, ora che provo qualcosa per lui. Odio. Piena di odio al punto di volerlo fare a pezzi. Stringo gli
occhi, inclinando la testa di lato, guardandolo.
Mi scappa da ridere che prima non lo capissi.
Era così chiaro… così evidente che… un groppo in gola… sbatto le palpebre un paio di
volte, mentre il fiume che mi scorre dentro, ruggisce e si arresta, come se si
fosse fermato, placcato da un argine immenso come una montagna che lo tiene
facilmente a freno. Disorientata, lo guardo, gli occhi che si riempiono di
lacrime che non so perché dovrei piangere, adesso, che sono così vicina a
vendicarmi. Anche i suoi occhi cambiano, in un momento, ritornano gli occhi che
amavo tanto, lucidi, intensi, pieni di luce e di dolore, stelle cadenti e
meteore i suoi pensieri e i suoi sentimenti che ora potrei leggere uno per uno.
Gli occhi che amavo tanto… no… gli
occhi che amo tanto… uno spasmo ancora più forte, mi prende il
respiro, bloccandolo, la presa dello Zahir che si fa sempre più forte, riprendo
a sanguinare senza posa, con una fitta nascondo il polso dietro la schiena.
Abbasso lo sguardo, i suoi dannati occhi… come diamine fa? L’odio mi ha
mostrato netto il suo limite, ora lo vedo perfettamente che cosa c’era in lui
da stamattina. L’odio ci vede meglio sia dell’indifferenza che dell’amore,
strano a dirsi ma è così, perché cerca solo difetti da sfruttare a suo
vantaggio. E ora io so quello che non vedevo. Quello che non vedevo, anche
quando mi raccontava di Helena. Il
limite.
I suoi gesti, le sue azioni, le sue parole.. il
corpo… vuole che io vada avanti compiendo quell’ultimo passo finale che mi
separi da lui. Vuole tenermi lontano da lui.
Ma poi gli occhi… i suoi occhi... sono ammantati
dalla speranza timida e decisamente suicida che io ritorni sui miei passi.
Vuole che… torni… da lui… perché? Perché
pensa entrambe le cose? Sarebbe sempre il vincitore, sia che io dica queste
ultime parole, sia che non lo faccia. Perché? La nausea mi prende la bocca
dello stomaco, mi sento svenire, il fiume che abbandona il mio corpo come una
risacca gelida, lasciandomi senza forze. La mano sul petto, respiro a fatica,
l’odio che sembra abbandonare il mio cuore martoriato per un attimo, lasciando
il posto all’… amore.
Ma certo, Helder me
l’aveva detto, l’amore avrebbe spezzato lo Zahir… è quella la mia sola
speranza…
L’amore è la mia sola
speranza per tornare me stessa.
“Granger, ti sei incantata?” nella sua lotta ha
vinto il desiderio di mandarmi via. Trema la sua voce di fronte all’altro
desiderio, ma ha deciso come prima che sia quello il più forte. Che io vada
via. Per sempre. Decretando la vittoria del mio odio.
Ora, però, ho capito…
mi devo aggrappare a quel ricordo per non perdermi, i suoi occhi… ora lo so…
una piccola parte di lui ha sempre voluto che restassi con lui… una parte della
stessa dimensione di quella che, in me, è ancora me stessa e lo ama, in questo
corpo posseduto dall’odio…
Mi sollevo lentamente, tornando a sorridere, il
senso di perdizione sparito, il desiderio di fargli del male triplicato e quel
fiume in piena di nuovo pronto a darmi la forza sufficiente.
“Scusami…” sorrido, risollevandomi in piedi e non
dando il benché minimo peso al cedimento che ho avuto, in modo che non lo dia
nemmeno lui. Per fortuna, il desiderio di mandarmi via in lui è più forte di
qualsiasi cosa, lo leggo nei suoi occhi ed ancora mi chiedo il perché. Ma
ricaccio indietro quella domanda perché la risposta…
… mi farebbe tornare
me stessa…
“Dicevo che è il massimo a cui può ambire una
persona come te…” continuo con un sorriso che si finge comprensivo.
“Avanti Granger… finisci la frase, non averne paura…
dillo…” mi provoca lui, un bagliore maligno negli occhi. Probabilmente si
aspetta che mi fermi al momento giusto. Non ha ancora capito nulla, Draco
Malfoy.
O sta ancora cercando
di mandarmi definitivamente via… ma non ha senso continuare a ferirmi, l’ha già
fatto in tutti i modi immaginabili…
In fondo, se gli do
solo fastidio, dovrebbe essere semplice ignorarmi? Invece vuole davvero che io
vada via.
Troppo interesse.
Vuole qualcos’altro. Cosa, dannazione?
Mi avvicino in punta di piedi, quasi danzando, come
non avrei mai potuto fare prima, prendendo fiato: “Dicevi che ero innamorata di
te… ma pensaci, chi mai potrebbe innamorarsi di uno come te? Seriamente, sarà
stato un tuo desiderio perverso di avermi tua, non il contrario… e ora magari
mi replicherai che di te si sono innamorate le due sorelle Greengrass, se mai
possa essere un motivo di vanto. Astoria la tralascio decisamente, ed Helena…
vanesia e viziosa, una donna così non so davvero a chi augurarla… se non a
te…”.
Apre la bocca, semplicemente furibondo, i suoi
occhi perdono quel desiderio, fino a qualche minuto fa, ancora febbrile di
trattenermi qui, e diventano acciaio fuso, il vortice e l’uragano che mi
spazzerebbe via. Ora che ho toccato Helena, ovviamente, ogni sua minima
resistenza è svanita, ora è un tutt’uno con il corpo e con il volermi mandare
via.
Sorrido e, con grazia, allaccio le mie braccia
attorno al suo collo, lo sento irrigidirsi ma non lo farei spostare nemmeno se
volesse. Il colpo che gli ho inferto, è bastato ad annullare tutte le sue
difese e ad impedirgli di dire qualsiasi cosa. L’ira si spegne così come era
nata, mentre ancora scruta nel mio viso la risposta, il tassello che gli sfugge
e che mi luccica al polso. Non sa che la risposta che cerca, il motivo per cui
ora sono così, ce l’ha a due centimetri dal collo. Pulsa lo Zahir al contatto
con la sua pelle, quasi come se riconoscesse la sua origine, e Draco sembra
quasi rabbrividirne, anche se penso che imputi il tutto al contatto con il
metallo freddo.
Gli accarezzo suadente la nuca, facendo aderire il
mio corpo al suo, prima di riprendere ad un respiro dalle sue labbra: “Io sarei
stata quella diversa… l’avrai pensato chissà tante di quelle volte, no? Per
questo non mi hai voluto mandare via, sul serio, per questo sono ancora qui…”.
Mi avvicino alle sue labbra, cercando quella sua confessione che mi
consentirebbe di prendere il suo cuore di ghiaccio tra le dita, e spezzarlo
infine, come ha fatto con il mio. Chiudo gli occhi, già sicura della sua
risposta.
Ma, improvvisamente, è come se anche lui avesse
raggiunto una nuova e diversa consapevolezza. Spero
che abbia capito, Dio mio. il suo corpo si fa più rigido e
la presa delle mie braccia viene sciolta bruscamente. Mi afferra per le spalle,
mi allontana e mi scuote, gli occhi due gelidi laghi montani illuminati dalla
luna.
Lo guardo senza capire, sbattendo le ciglia,
incassando il colpo. Sarebbe stato quello a cui tenevo di più, ristabilire le
cose…fargli ammettere che è sempre stato lui a volermi e a non potermi avere,
non il contrario… ma non mi ha voluto. Ancora.
“Granger, non so che diamine ti stia prendendo…”
mormora, staccandosi da me, prima di darmi le spalle “Ma fatti soddisfare dal
tuo ragazzo, invece di rompere le scatole a me…”. La rabbia e il livore
infiammano il mio odio, imporporandomi le guance di sdegno, facendomi chiudere
le mani fino a sanguinare, togliendomi il respiro. Sfuggono le parole, senza
che nemmeno le controlli, infrangendosi contro le sue spalle serrate: “Si
trattava solo di un impulso, Malfoy… perché
io ti odio, Malfoy, e non avrei mai potuto amare una persona patetica come te…
patetico sì, e me lo sarei dovuto ricordare prima, ma invece mi sono fatta
prendere dalla compassione… ed invece sarebbe dovuto essere come sempre è
stato, io e te che non ci siamo mai potuti vedere, come se mi fossi il rosso negli
occhi. Ma guardati, un ex Mangiamorte che ha amato una sola donna nella sua
vita, che non ha nemmeno saputo proteggere… grande affare per Helena affidarsi
a te, certo che era una donna furba… traditore dei suoi genitori, ma che poi ne
piangeva la morte… ti sei fatto anche ricattare da un’oca come Astoria… e ora
investi tutta la tua vita su Serenity. Ottima mossa, fino a quando non capirà
anche lei, come sua madre, che persona sei… non a caso lei, Helena, non ha mai
lasciato suo padre, no?”, sorrido di soddisfazione alle sue spalle che si
piegano come sotto il peso delle mie parole, e continuo divertita, ad ogni
parola quasi un ulteriore piacere, come una catarsi: “Avanti, non dirmi che hai
davvero creduto che fossi innamorata di te? Non puoi averlo seriamente pensato…
sei l’ultima persona al mondo di cui mi sarei potuta innamorare…”. Inclino la
testa di lato, aspettandomi la sua reazione, mentre si volta lentamente,
tornando a guardarmi. Ma, sgomenta, mi rendo conto che è rimasto immobile,
assolutamente indifferente. I suoi occhi sono di nuovo foschi, irraggiungibili
come sempre. Le mie parole non l’hanno ferito, o meglio hanno smesso di
toccarlo in un punto preciso della nostra conversazione.
…quando ho tentato di
baciarlo…
Fa un sorrisino ironico, prima di scrollare le
spalle e dire con voce annoiata: “Ora che mi hai esposto a sufficienza le tue
teorie, possiamo tornare al punto fondamentale?”.
“Cosa?” chiedo con un filo di voce, svuotata del
mio senso profondo di giustizia che volevo ristabilire e che mi aveva saturato
fino a poco prima.
“Serenity… non avvicinarla mai più…” soffia fuori
con risentimento, guardandomi dall’alto in basso, prima di voltarsi e sparire.
Resto immobile e ferma, finché esce, poi mi porto
le mani alla bocca, sedando la nausea improvvisa che mi prende allo stomaco.
L’odio e l’amore hanno lo stesso effetto, in fondo,
non danno mai pace. Nulla mi dà la pace. Mi stanno solo uccidendo.
Ma l’odio non posso metterlo a sopire come l’amore.
E questo è qualcosa che lo distingue nettamente dall’amore.
Lo rende più forte e lo rende la catena che ancora
mi lega a Draco Malfoy. Un filo rosso, ora dannato come sangue sporco, che
ancora mi rende sua schiava.
E, quando incrocio il mio riflesso nello specchio,
dopo qualche ora, capisco che d’amore magari non sarei morta. Ma di odio sì.
Perché esso oramai è nel mio sangue.
Tocco il riflesso freddo che mi rimanda lo
specchio.
Un’altra Hermione occhieggia dall’altra parte.
Adesso, ha i capelli e gli occhi dello stesso colore.
Neri.
Infantilmente,
ho pensato che una doccia mi avrebbe fatto sentire meglio, avrebbe lavato via
quel fiume nauseabondo che ancora sento dentro, pronto a pungermi al minimo ricordo
di Draco. O avrebbe almeno cancellato quell’onta dal mio aspetto. Ma l’acqua è
scivolata sui miei capelli, ora liscissimi e neri, come se li temesse, e,
quando sono uscita dalla doccia e mi sono guardata allo specchio, anche i miei
occhi sono rimasti uguali. Niente più il castano caldo a cui sono abituata da
quasi ventiquattro anni… dall’altra parte del vetro, vedo gli occhi di un
corvo, neri, perfettamente compatibili con i miei capelli, ad ogni respiro
splendono di luttuosa ardesia. Helder me l’aveva detto che anche il mio aspetto
sarebbe cambiato, ma non immaginavo così tanto. Allora, quando Helder parlava,
ogni sua parola era stata zucchero, perché pensavo che mi sarei sbarazzata del
mio cuore. Ed è successo. Ma, guardandomi, so che oramai c’è qualcosa di più in
ballo rispetto al mio solo ed unico amore. C’è in ballo tutta me stessa.
So
di non essere stata più bella in vita mia, i capelli sono finalmente ordinati,
lisci come se li avessi appena stirati anche se sono ancora umidi, le labbra
risaltano rosse di corallo sulla pelle candida, gli occhi scintillano vivaci,
senza segni di stanchezza o tristezza.
Ma
ogni demone è bellissimo, chi non lo sa.
Sono
fatti apposta per attirare le persone, per poi cibarsi delle loro anime.
E,
mentre guardo le mie labbra curvarsi di un sorriso senza allegria, so
perfettamente che ormai io sono un demone. Non ho più nulla di quello che ero prima. C’è sempre il
bracciale al polso a ricordarmelo, ora anch’esso nero, gli occhi di rubino,
vipera pericolosa ed infida. Mi asciugo la fronte e il viso dalle gocce d’acqua
che ancora la ricoprono, mi lego un asciugamano sotto le spalle ed esco dal bagno.
Seth deve essere rientrato senza che me ne accorgessi, ora contempla una serie
di camicie che ha messo diligentemente sul letto, una accanto all’altra. Una
mano sotto il mento, pensoso come il Mosè di Michelangelo.
Ma
non mi fa ridere. Ovviamente. Non c’è nulla che possa suscitare oramai ilarità
in me.
Pablo
Neruda diceva che ridere è il linguaggio dell’anima. E io l’anima, non ce l’ho
più.
L’ho
venduta, per una falsa pace ed un’amara morte.
Quando
Seth si accorge di me, naturalmente trasale. Alzo gli occhi al cielo, ci manca
che mi faccia la paternale. Dico solo che avevo voglia di cambiare immagine e
look. Mi siedo sul letto, aprendo l’armadio e ricordandomi che stasera c’è una
festa al locale, per quello Seth è così preoccupato del suo aspetto.
Gli
abiti mi sembrano tutti troppo colorati e troppo da educanda, ovviamente. Mi
ricordo di una busta di roba che Ginny mi aveva dato tempo prima, quando
credeva che facessi la fame e che lei non usava più. Non l’avevo mai toccata,
sapendo come si veste lei e meditando di portarla in qualche postribolo di alto
borgo che ne avesse bisogno. La trovo per caso ed, improvvisamente, tutto mi
appare perfetto. Esco una canotta striminzita bianca, a costine, un paio di leggings di pelle nera e un paio di scarpe lucide di
vernice rossa, con un tacco quadrato e di almeno dodici centimetri.
Tutto,
perfetto.
Non sono decisamente io… se penso che ora mi vestirò anche con quella
roba…
“Persino
gli occhi sembrano cambiati…” commenta Seth, avvicinandosi e guardandomi,
mentre si chiude i bottoni della camicia “Non stai affatto bene…”.
Schiocco
la lingua con fastidio, replicando frustrata: “Ho la faccia troppo da
cretina?”.
Lui
mi accarezza dolcemente la testa in un moto tenero, ma che mi dà solo fastidio.
Mi mordo il labbro inferiore, sapendo che è solo lo Zahir a farmi sentire così,
e che Seth non c’entra nulla. Gli occhi mi si annebbiano mentre rifletto sul
fatto che probabilmente la malattia che mi scava il cuore non si sazierà di
odiare Draco, ma prenderà a detestare ogni persona che conosco e che mi ama. La
cosa migliore sarebbe sparire per sempre, senza lasciare traccia. Specie ora
che ho compreso che non posso fare nulla per ferire Draco, per vendicarmi. È
come una parete di gomma, logorata da anni di odio persino più penetrante del
mio, che rimbalza ogni tentativo di ferirlo ancora. Non come me, che ho venduto
l’anima per liberarmi di lui. Draco… e lo odio ancora di più mentre lo penso… è
adesso molto più puro di
quanto non sarò io. E non c’entrano nulla le parole Mezzosangue e Purosangue. Oramai
non si fa toccare più da nulla, compreso l’odio, come una rosa bianca in una
piana di neve fresca.
Ora,
che so di non poter ferire Draco… la sola cosa che l’odio reclama a gran voce… il
senso di ogni cosa, è slegato da me, come se mi fossi fatta un burattino dai
fili spezzati ed annodati, in modo da non poterli tendere mai più..
Ora
voglio solo stordirmi. Con qualsiasi cosa. Il dolore che mi ha spinto a creare
lo Zahir… aveva una consistenza, era qualcosa.
Una
lastra sul petto, come se fossi sepolta viva e non potessi respirare,
insopportabile, certo, ma era qualcosa, ero viva almeno.
Ora…
vuoto, mancanza di una prospettiva alcuna del futuro, assenza di un qualsiasi
volere o desiderio… apatia… come quella che descrivevano e volevano i greci, la
mancanza di passione, qualsiasi essa sia. Esattamente come se fossi sette
dannati metri sottoterra.
Sul
serio. Adesso.
Voglio
sentire qualcosa. Voglio perdermi in qualcosa. Intontirmi al punto tale da non
sapere più chi sono.
Intuisco
in modo frammentario che starò bene solo allora, perdendo me stessa ed il mio
intollerabile cuore imputridito.
Indosso
silenziosamente i miei vestiti mentre Seth continua a parlare, non lo riesco
nemmeno ad ascoltare, mondo di gelatina che mi circonda, dove galleggio e dove
nulla mi riporta alla densità delle cose vere e reali.
Per
intorpidirmi, come sotto un’anestesia, ci sono solo due strade. Le strade che
mi portarono a Dean, all’inizio di questo cerchio che ora necessariamente si
deve chiudere, come un gatto che si morde la coda. Se non sono capace di altro.
Dannazione, se sto ripensando a Dean, le strade possono essere
solamente...
Afferro
il cellulare dalla mia borsa, componendo il numero di Hayden, Seth mi guarda
stranito, rendendosi conto che non lo sto degnando di alcuna attenzione. Parlo
con voce soffusa, invitandolo alla festa di stasera. Chiudo il telefono con un
freddo sorriso, scrollando le spalle alle rimostranze di Seth perché non lo
stavo ascoltando. Aspetto solamente di staccarmi da me, da Hermione Jane
Granger, di bruciare in un lampo fulgido di fiamma e poi perire nelle mie
ceneri.
Le due strade…
Di
sotto, troverò tutto l’alcol che mi occorre. Come quella sera con Dean.
E,
come allora, avrò anche il sesso a finirmi il pensiero. Con Hayden.
Sarebbero
bastate le luci stroboscopiche e la musica spaccatimpani a rintontire
normalmente il mio cervello.
Non
a caso, nonostante lavori qui da parecchio tempo, non ho mai messo piede
nemmeno per sbaglio nella discoteca del Petite Peste. Ringraziavo mentalmente
Malfoy per averla resa insonorizzata dal resto del locale e, quindi, quando
c’era una festa, mi rintanavo al piano di sopra con Serenity, giocando con lei
fino a quando non si addormentava e passando il successivo tempo da sveglia
studiando.
Patetica.
Davvero patetica.
Le
mie orecchie poco allenate ai rumori forti, dato che per tutta la vita li ho
sempre evitati accuratamente, fischiano un po’, ed i miei occhi non distinguono
realmente nulla sotto le lame di luce psichedeliche, ma la mia andatura è
comunque disinvolta, tanto da attirare gli sguardi di parecchi ragazzi. Sorrido
compiaciuta, cercando con lo sguardo Hayden, tinta di quel rossore scarlatto
che è solo un vessillo falso di fragilità, fatto apposta per attirarlo. Alcuni
ragazzi iniziano a ballarmi attorno, strusciandosi su di me in modo esplicito,
li gelo con lo sguardo e si allontanano come se si fossero scottati. Di un uomo
solo ho voglia stasera, non sono certo diventata una che va con tutti… ancora.
Fino a quando anche Hayden sarà diventato inutile per sedarmi l’odio
insaziabile dentro, che mi mangiucchia come se fossi un cibo succulento, per
poi risputarmi fuori con disgusto, oramai ridotta ad avanzi di quella di prima.
Mi muovo ritmicamente, inarcando la schiena come una gatta, muovendo la testa
in modo che i miei capelli catturino tutta la luce colorata. Tutti accorgimenti
maliziosi che prima, nemmeno sapevo che esistessero, sono diventata il fiore
carnivoro che chiama la sua vittima.
Fluttuano
le mie mani attorno a me, carezzevoli sguardi sorpresi sulla mia pelle.
Da
lontano, appoggiati alla postazione del Dj, vedo Seth ed April, mi guardano
come se non mi riconoscessero. I loro sguardi sono stravolti e sconvolti, c’è
qualcosa che mi irrita enormemente del loro silenzioso rimprovero, e mi volto
dall’altra parte.
Potrei
cercare di soffocare la mente anche solo con questo, con questa overdose di
sensi, lasciare perdere Hayden che ancora non si vede e non toccare nemmeno una
goccia di alcol, ma improvvisamente mi assale l’odore dei nontiscordardime, del
Confundus, segno tangibile che Draco sta per entrare. Non lo vedo, ancora, ma i
miei occhi, come bersagli, già lo cercano, pronti a renderlo schiavo del
desiderio di vedermi e non potermi avere. Alla fine, con un groppo, lo
intravedo avvicinarsi a Seth ed April, restare lì immobile accanto a loro e
scambiare qualche parola. Seth fa un cenno nella mia direzione ma Draco non
solleva nemmeno lo sguardo.
Inutile,
dannatamente inutile. È tutto dannatamente inutile. Mi infilassi nel suo letto
e lo implorassi di violentarmi, e lui non alzerebbe nemmeno un sopracciglio.
Non mi vorrà mai. E io non potrò mai spezzargli il cuore.
La
gola raschia di frustrazione e gli occhi pungono di insoddisfazione, mentre
fendo la folla, spostandola a gomitate, lo Zahir che prende letteralmente a
bruciare sulla pelle nuda, è come se ormai fossi avvolta da un rogo, fuoco nel
sangue e fuoco negli occhi, arso dell’odio di non suscitare alcuna reazione in
Draco Malfoy. La mia pelle brucia come se avessi preso il sole per tutto il
giorno, sento la gente che si sposta da me come se fossi un lapillo
incandescente. La mia vista è come offuscata da una nebbia rosso sangue che mi
cala sugli occhi, impendendomi di vedere bene, sbatto le palpebre per schiarire
ciò che vedo, ma essa non accenna ad andare via, mentre il rogo progressivo che
si dipana dal mio polso si fa sempre più forte, come se fossi di carta e
danzassi in una lingua di fuoco.
Arrivata
al bancone, sono senza respiro e, probabilmente, sono rossa in viso come una
fiamma viva. Luccicano gli occhi come se avessi la febbre e l’alcol che mi
viene servito, non brucia nella faringe, bicchiere dopo bicchiere, sembra quasi
freddo, dandomi pavido sollievo dall’arsura progressiva che mi consuma
dall’interno, come se avessi ingerito uno stoppino e un litro di benzina.
L’annebbiamento che bramo, però, non arriva, mi sembra solo di avere mille mani
e mille occhi tutti attorno a me, pronti a scrutarmi e a rimproverarmi
silenziosamente. Le guance bollenti si raffreddano di lacrime odiose, mentre
corro fuori a cercare refrigerio nell’aria fredda della sera. Scivolo tra la
gente che, quasi come se avesse capito di che cosa sono fatta adesso, mi evita
senza nemmeno toccarmi.
L’aria
esterna, satura di umidità e di pioggia che continua a cadere in scrosci
rumorosi e copiosi, mi colpisce in viso, dandomi la nausea, cado in ginocchio,
reggendomi il polso che continua ininterrotto a bruciare come un tizzone
ardente. Se me lo strappassi via a morsi, finirebbe il dolore? O si
propagherebbe per tutto il corpo, come un veleno?
Il
mio riflesso corvino nella pozzanghera ai miei piedi, mi suggerisce la seconda
ipotesi.
Non
finirà mai, a meno che non morirò io.
Batto
il pugno furiosa sull’asfalto bagnato, il dolore della lieve escoriazione come
un pallido segno contro la mia coscienza, arsa nel mio polso spezzato dal
fuoco. L’alcol inizia a fare effetto solo nella mia andatura che diventa
incerta, come se camminassi su una trave di sughero sospesa sul mare. La
cortina di fumo rossastro non si dirada dai miei occhi, nemmeno sotto la
pioggia, e mi ritrovo ad entrare nei sotterranei del Petite Peste, invece che
dall’ingresso principale. Imprecando, inciampo su delle pile di cartoni
impolverati, tossendo per l’aria di chiuso e di stantio. A tentoni, cerco un
interruttore, lo Zahir che preme sulla mia pelle, come se avesse trovato la sua
preda. Cosa, dannazione?
Quando
la luce si accende, il fuoco mi toglie il fiato per come diventa intenso. E
l’odio trova il modo di venire fuori, di sfogarsi prima di uccidermi. Rido
sguaiata, folle come Bellatrix Lestrange, folle nel ricordo impolverato che
emerge improvviso e vivido, mentre l’ultimo pezzo del mio mosaico mi si rivela
con perfetta chiarezza. Ed è improvvisamente come spingere il fuoco, lontano da
me, fuori da me. Con forza sovraumana, lo tendo fuori da me, come una freccia
da scoccare, tenendolo in tensione, cacciandolo dalle mie membra fiaccate, fino
a raggiungere il solo Zahir. Tutto il calore, tutta l’arsura che mi stava
uccidendo, si concentra in quel solo punto, avviluppando di tremore il resto
del corpo, ora freddo.
Il
senso di ferire Draco ritorna. Posso farlo.
È
facile come lasciar andare un elastico teso troppo a lungo. Schizza lontano e
non puoi fermarlo, nemmeno se volessi.
Il
fuoco, che avevo sempre percepito come una specie di febbre, ma solo ed
esclusivamente mia, scoppia invece come una bomba dal mio polso, diventando
reale, bruciando tutto il sotterraneo, mentre continuo a ridere.
Bruciando
tutto ciò che ho davanti a me. La carta. I ritratti.
Helena
di carta e pittura. Hermione di carta e matita.
La
carta si annerisce in pochi secondi, aggrovigliandosi in forme surreali,
allungate, brucia di nuovo Helena Jasmine Greengrass, come il giorno in cui è
morta, ma stavolta assieme ad Hermione Jane Granger. Le due donne che sono
state la rovina di Draco Malfoy.
Ora capisco… ora è tutto chiaro… perché… mi ha fatto restare qui.
Il sotterraneo pieno di schizzi miei e di Helena. Il quadro di lei che
stava terminando, quello che aveva iniziato tanti anni prima, come ho visto nei
suoi ricordi.
Draco ricordava sempre il quadro di Daisy Diggory che Amos aveva in
salotto. Parlava con esso, quando tornava dal lavoro, come se la moglie fosse
ancora viva, fosse ancora con lui.
Aveva deciso di dipingere Helena, aveva iniziato con i suoi occhi e,
quando lei era morta, aveva deciso di renderlo un dipinto vivo, animato, per
avere sempre un ricordo di lei. Per farlo, credeva che bastasse il forte
sentimento per lei, come dicono tutti i libri.
Un quadro si anima perché richiama un pezzo di anima di quella persona,
dal mondo dei Morti. E solo un sentimento forte può farlo.
Ma evidentemente l’immagine di lei iniziava a sbiadire con il tempo e
non riusciva a finire il quadro.
Poi sono arrivata io… con la mia strana somiglianza con Helena. Mi ha
visto dormire quella prima sera che sono rimasta qui.
Quel ricordo… io con la maglia da calcio. Lui che non riusciva a
capire. E poi afferrava il tutto.
Guardando me, ricordava lei.
E la mattina dopo, mi ha fatto restare qui. Con la clausola che vivessi
qui.
Era il solo modo per guardarmi senza che me ne accorgessi… guardarmi
dormire…
È sempre stato… solo… questo…
Rido
con soddisfazione mentre il ritratto di Helena sparisce nelle fiamme, assieme
agli schizzi che invece mi rappresentano, poco abbozzati, come era giusto per
lui, essendo solo la copia malriuscita di Helena. Servivano solo da guida per continuare l’opera di
lei.
Tutto
torna al suo posto, ogni mistero svelato. Ogni minima parola adesso ha un senso
diverso, ulteriore, chiaro, preciso.
Ora
di Helena non resta davvero più nulla… ora saprà cosa ho provato io. Dovrà
soffrire per forza adesso.
Calpesto
con soddisfazione la cenere del ritratto, ridendo ancora, non ne è rimasto che
qualche frammento sparso. Qualche frammento sparso. Li guardo distrattamente, l’odore di
carta bruciata che mi annebbia l’olfatto, la cortina di sangue ancora sugli
occhi. Una fitta improvvisa al cuore. Dolorosa, più del fuoco. Annaspo senza
respiro.
Il ricordo. La tempera fresca.
Sebbene
lo Zahir mi stringa forte, quasi impedendomi di muovermi, mi chino a
raccogliere il frammento del ritratto bruciato. Piccolo, minuscolo, si
spezzetta tra le mie dita, eppure è chiaro anche nella nebbia di rubino. Lo
guardo un paio di volte, il respiro accelerato, il fuoco che ritorna ma gela su
sé stesso, una cascata che lo mette a tacere, come se non avesse nemmeno motivo
di esistere e di aprire bocca nel mio corpo.
Quel
minuscolo frammento… piccolo… di occhi. Di Helena.
Gli occhi.
Ma
non sono azzurri. Non sono quelli di Helena.
Nostalgia,
lacrime sulle labbra riarse dal fuoco.
Occhi
color cioccolato… come erano i miei. Luccicanti, pieni di luce. Un castano
intenso, definito, senza alcuna traccia di azzurro.
Un
altro spasmo. Scricchiola lo Zahir, liberando altro fuoco indifferente nel mio
corpo.
Il ricordo… era reale. Quando ero addormentata… io ho davvero visto
Draco e questo posto.
La mano fasciata. Lo spasmo negli occhi grigi. Il pensiero di Draco.
Helena somiglia ad Hermione.
Nel ricordo, c’era ancora dell’azzurro. Ora… non ce n’era più.
Il quadro… gli occhi… stavo diventando io.
La tensione nel suo corpo. Mandarmi via e volermi disperatamente
trattenere qui.
Era vero. Mi ha sempre voluto trattenere qui.
Draco… mi hai voluto sempre trattenere qui, al punto che… ancora non ci
posso pensare…
Al punto da confondere il ricordo di lei. Al punto da offuscare l’amore
che doveva animare il quadro e richiamarla.
Al punto che gli occhi di lei… diventassero i miei.
Non ci posso credere… e io… ora… ho distrutto tutto…
Improvvisamente,
un conato di vomito mi impedisce di respirare, crollo supina, piegandosi sul
peso del mio corpo che si fa gelido, mentre una risacca di fuoco liquido lo
abbandona, così come era nata, bruciando tutto al suo passaggio, come un
esercito sconfitto che, battendo in ritirata, si vendica dei più deboli. Esce
dal mio corpo, lentamente, facendomi sentire punte ed aghi di dolore, persino
sotto le unghie.
Un
attimo di pace, prima che un’altra onda torni al suo posto. Fredda eppure
calda, mi scava dentro la voragine che aveva lasciato quando se ne era andata
via. Riprende il suo posto con prepotenza come un imperatore legittimo che
torna sul trono.
L’amore
riprende possesso di me. Doloroso, inquieto, curvato dal senso di colpa. Ma
enorme come era prima, salvandomi almeno dal fuoco eterno. Lo Zahir geme e si
spezza, riducendosi ad una nera polvere di vento che vola via dal mio polso.
L’amore.
Sono di nuovo me stessa.
Guardo
il polso, libero dal bracciale di morte che lo cingeva, lo segna una cicatrice
scura, come una bocca deformata, ma non mi interessa. Finalmente… sono libera.
Il senso
di felicità che mi pervade non dura che pochi secondi.
Pioggia nel mese di settembre.
Ancora
in ginocchio, nella cenere, non lo vedo in viso. Sibila le parole che mi
aspetto e che non sono nulla, rispetto al senso assurdo di colpa che mi
sconquassa dentro, rovesciandomi, dopo aver distrutto tutti i ricordi della
persona che amo di più al mondo.
Ora
che lo so. Ora che lo sento daccapo. Ora che amo Draco come sempre. Come sento
adesso che doveva essere da sempre, per quanto sia giusto e naturale per me.
Nessuno Zahir al mondo avrebbe potuto davvero farmelo scordare. Ne sarei morta,
prima.
E
ci sono quasi morta.
Non
mi sarei mai fermata. Mai. Dopo i ritratti, avrei ucciso lui, e poi me stessa.
Ma
io ho già ucciso me stessa, l’Hermione che, senza che io lo potessi minimamente
immaginare, gli era cara fino a cinque secondi fa e che brillava di tela
innocente. Innocente come mi credeva e come ora sa che non sono mai stata.
Quella Hermione, anche se ora è di nuovo qui…
“Per
me, da oggi, Hermione Jane Granger…non esisti più…”.
… per lui, è morta davvero.
Non so che le sia successo… anche questi capelli, sembra così diversa…
e credo anche che tu la conosca meglio di me, per poterlo dire… ma una cosa non
è mai cambiata… lei… Hermione… è sempre stata solamente tua…
Terra bagnata come un eco che scompare.
Nel
dormiveglia, indotto dall’alcol e dalla stanchezza, la voce che sento soffice e
soffusa vicino a me, mi sembra quella di un angelo. Si accompagna ad una
tiepida carezza sui miei capelli e ad un sospiro appena trattenuto.
La
testa mi scoppia di mille voci. È come se dall’altra stanza ne provenissero altre,
concitate, agitate, frettolose… ma sono così lontane… che non sembrano essere
davvero nell’altra stanza.
Bisogna agire, adesso, subito. Anche stanotte, se necessario.
Una
voce familiare. Acuta, sottile, dolciastra.
Le
altre, invece, non mi sembra di riconoscerle, mi giungono lievi ed impalpabili,
come se si trattasse di un sogno.
Forse sarà del tutto inutile… l’avessimo saputo che sarebbe andata
così, avremmo agito prima.
Non è tutto perduto, comunque… basta poco per…
Le
voci si spengono così come erano nate, diventando sommessi bisbigli che non
riesco più a distinguere. Faticosamente riapro gli occhi. La voce dell’angelo…
sorrido. Ovviamente era la sua.
“Hermione,
tesoro…” Seth, preoccupato, mi accarezza la fronte madida di sudore. Contro la
mia pelle bollente, la sua mano sembra dolcemente fresca. Eppure, la prima cosa
che sento distintamente attorno a me, è il profumo di Draco.
Come
potrei confonderlo con qualcos’altro che esista al mondo… perché era qui?
Non
merito nemmeno di restare nella sua stessa casa ancora per un minuto, dopo quello
che ho fatto.
Non
ero in me, d’accordo, ma lui non lo sa. E soprattutto non conta.
Era
una parte di me. Io ho creato lo
Zahir. Io non me ne sono andata,
quando ho visto che le cose iniziavano ad andare male. Io sentivo quella feroce soddisfazione al pensiero di infliggergli
quanto più male possibile. Ed io ho
bruciato il quadro di Helena.
Sono stata io. Non lo Zahir.
Distendo
lentamente il polso davanti a me, lo Zahir non c’è più, la lunga e sottile
cicatrice rossastra pulsa di dolore, riempiendomi il braccio di scariche
elettriche. Devo considerarmi fortunata ad essere ancora viva. Decisamente
fortunata.
Nel
riflesso dello specchio, accanto al letto, intravedo anche il mio attuale
aspetto. Ancora nero, ma quasi sbiadito. I miei colori lentamente torneranno,
lo so, l’odio abbandonerà del tutto il mio corpo, le scariche elettriche
passeranno, il tremore pure, forse anche la cicatrice un giorno si rimarginerà
del tutto, smettendo di fare male. Ma il pensiero di quell’odio che mi ha
posseduto… quello… non credo che andrà mai più via. Resterà sempre l’onta di un
ricordo inconfessabile, salvato in extremis solo dall’amore per lui.
Come
il peccatore che si pente in punto di morte. Ecco, così.
E,
ora, devo solo ringraziare di non essere all’inferno. Di non bruciare. E mi
devo preparare al mio lungo purgatorio, all’espiazione del peccato. Primo
passo, non vedere Draco mai più. Andarmene via. Lasciarlo libero finalmente.
Smettere di rovinagli la vita.
Accusavo
lui di averlo fatto con la mia.
Invece,
sono io che lo faccio da settimane con le sua, specie dopo che mi ha detto in
tutti i modi di andare via.
Non
ci credo di essere stata così egoista e sconsiderata… arrivando al punto di
distruggere, stringo il lenzuolo tra le dita… se anche un giorno mi perdonasse,
io non perdonerò mai me stessa. Mai. Per avergli fatto deliberatamente così
male… ed è la persona che amo di più al mondo… figuriamoci se davvero l’avessi
odiato.
Un
brivido di freddo mi scuote, attirando l’attenzione di Seth che si precipita a
mettermi un’altra coperta addosso.
“Herm,
stai bene?” mi chiama ancora, scuotendomi leggermente. Guarda il mio polso,
scorgendo la ferita che marchia la pelle chiara, e a disagio, la nascondo
immediatamente sotto il lenzuolo.
Faccio
un cenno affermativo con il capo, chiedendo che cosa sia successo. Seth mi
spiega che ho bevuto troppo e che ho perso i sensi, non fa nessun accenno al
fuoco nei sotterranei. Evidentemente Draco ha messo tutto a posto, per quanto
sia possibile.
Gli
occhi mi si riempiono di lacrime, pensando che ho distrutto anche la sola cosa
che dimostrasse che ci teneva a me.
La
sola cosa che avrebbe potuto darmi forza.
Quindi,
forse, è anche meglio che quel frammento non esista più. Non finirebbe mai con
quel frammento sempre negli occhi. Un giorno, lontano chissà quanto, mi
dimenticherò persino che è esistito. Quando anche io sarò lontana chissà
quanto…
“Forse è meglio che ti lascio riposare…”
suggerisce cauto Seth, studiando il mio viso, evidentemente stravolto.
Sollevo
gli occhi, poverino, quante gliene faccio passare…
Sorrido:
“Tranquillo Seth, sto bene… anzi, ti chiedo scusa per prima… credo di essere
affetta da qualche forma di schizofrenia…”.
“Me
ne ero accorto…” sospira lui sedendosi sul letto accanto a me “Ma credo che non
sia una novità… l’ho capito dal primo giorno che ti ho conosciuta… e come se
non bastasse, sei terribile quando ti innamori…”.
“Decisamente…”.
“Quindi…”
replica Seth con voce sorniona e ammiccante, guardandomi di lato e attendendo
finalmente la mia confessione finale. Crede di avermi gettato una trappola
perfetta in cui sono cascata, sorrido. Chiaro che l’avessi subodorata, mi ci
sono tuffata apposta.
“Niente,
Seth…” sospiro, torturando il lenzuolo tra le mani, le scariche che continuano
lungo il braccio “Credo che tu lo abbia sempre saputo no?”, la mia voce si
smorza, mentre aggiungo: “Sono dannatamente innamorata persa di Danny Ryan…”.
“E
Hayden? Cosa è cambiato da stamattina?” mi chiede con voce incolore, nessuna
ombra di rimprovero o di giudizio nella sua domanda. Vorrei dirgli che non è
cambiato nulla, che il mio cuore era solo anestetizzato da un incantesimo
ancestrale, ma ovviamente non posso. Quindi respiro a fondo, prima di
rispondere: “Nulla… o meglio, credo che mi volessi convincere che Danny non
contasse nulla per me… e per farlo, ho usato Hayden. A pensarci, mi faccio
abbastanza schifo… eppure, adesso, mi sento quasi meglio, ora che sono almeno
sincera con me stessa… certo con Hayden sarà dura, dovrò parlargli e chiarire
le cose, e sicuramente non vorrà più avere nulla a che fare con me… cosa che
non posso biasimare… ma sono innamorata di lui… di Danny…”.
Distolgo
gli occhi, è così difficile dire Danny e non Draco. Rende la cosa diversa da
come è in realtà.
Relega
tutto in una dimensione onirica e lontana. Danny non ha mai amato Helena, non
ha mai stretto una Promissio Gemina con Astoria Greengrass, non ha la figlia
della sua ex da accudire, non ha mai ritratto una donna che amava con i miei
occhi.
Danny
non è Draco. E io sono innamorata di Draco Malfoy, non di Danny Ryan. Ed è un
concetto profondamente diverso.
Perché
richiama alla mente il binario 9 e ¾ e un bambino biondo che teneva il libro
del Piccolo Principe, nascosto sotto il letto; mi fa pensare ad un campo da
Quidditch e al ragazzo che mi chiamava Mezzosangue, per la prima volta nella
mia vita; mi fa ricordare la Sala Grande illuminata a giorno, al Ballo del
Ceppo, ed il giovane uomo che mi lanciò un’occhiata senza poter dire
null’altro.
Mi
fa ricordare chi sono davvero. E mi riporta la dimensione enorme del mio amore,
per cui ho lasciato indietro chi ero davvero.
“Mi
ha detto di parlarti…” esordisce Seth con un filo di voce, richiamandomi dai
miei pensieri. Mi stringo nelle spalle, presagendo il resto.
“Domani
mattina… ha detto che ti accompagnerà nella località dove avrai l’esame…”.
Ovvio. Stavolta vuole essere davvero sicuro che io vada via sul serio…
Hogsmeade. È lì… mi accompagnerà lì.
Seth continua con la voce flebile, dicendomi che non ha capito il
motivo di tanta risoluzione improvvisa in Danny, sembrava spiritato e asserisce
convinto che, da quando lo conosce, è la prima volta che non gli ha concesso
nemmeno di replicare e di opporsi a quello che stava dicendo. Deglutisco,
immagino perfettamente il tenore della conversazione e lo sguardo che deve aver
avuto, ne sono stata la destinataria così tante volte che oramai non mi
spaventa più, anzi, da povera pazza, mi sono innamorata anche di quello
sguardo. Certo per Seth, invece, è diverso. Ed è ancora la sottile differenza
esistente tra Danny e Draco a fare tutto.
Quello sguardo è tipico di Draco e non di Danny. E Seth, con Draco, non
ha mai avuto a che fare. Ma io sì.
Il limite che ho sempre sfiorato e sfidato, ora è superato.
Dico a Seth che voglio riposare ed invece inizio ad ammonticchiare roba
sul letto, uscendola da armadi e cassetti, per poi riporla con eccessiva
lentezza nella mia borsa da viaggio. Non ho tantissima roba da portare via dal
Petite Peste. Non ne avevo mai portata molta.
Sono sempre stata terrorizzata dall’idea che quella diventasse in tutto
e per tutto casa mia.
Ma lo è diventata lo stesso, senza che nemmeno me ne rendessi conto. O
meglio lo è diventato Draco.
Draco ora è casa mia.
Ed è una morsa calda alla bocca dello stomaco, che mi mozza il fiato,
sapere che ho lottato così duramente per evitarlo ed è comunque successo.
Forse, poi, sarebbe anche andata bene così, forse sarei riuscita a restare qui,
nonostante tutto, ma io dovuto rovinare tutto.
Il braccio formicola in preda alle scosse elettriche che non mi
lasciano in pace, la ferita aperta dello Zahir pizzica come se fosse infetta e
le ginocchia cessano di reggere il mio peso, facendomi scivolare a terra come
una supplice, incapace persino di mettermi a piangere.
È in quella posa che accolgo l’alba, ovattata da rimpianti, rimorsi e
ricordi.
Credo di essermi addormentata e di non essermene accorta, infatti il
tempo sembra passato in un solo secondo. Un momento prima, il braccio
formicolava ed era notte… ed ora c’è il sole. Mi alzo in piedi, quasi per
sincerarmi che davvero sia l’alba. Sorge un sole strano, freddo, attraverso la
nebbia che non si dirada, come una coltre di nubi scesa apposta per rendere
tutto meno visibile. Il braccio continua a tremare, senza controllo, lo tengo
fermo con l’altra mano. Chissà per quanto tempo dovrà durare, constato
sospirando. Dubito anche che esista un modo per frenare questa cosa. In fondo è
l’effetto collaterale di una pozione proibita.
Con la coda dell’occhio, guardo il mio riflesso nello specchio. Sbatto
le palpebre un paio di volte, incredula, avvicinandomi ad esaminare meglio la
mia immagine. Impossibile.
Ho i capelli perfettamente pettinati e legati in una treccia, ancora
neri, come i miei occhi, ma che si stanno piano riempiendo di riflessi color
cioccolato. Sono anche vestita in modo diverso, con un paio di jeans e una
camicia a scacchi verdi ed azzurri.
E quando mi sono cambiata??
Inoltre, da un esame veloce del bagno, sembra anche che mi sono fatta
la doccia. Eppure, non me lo ricordo proprio… sarò diventata anche sonnambula?
Tra le altre stranezze, quella maggiore però risulta essere il fatto
che, nella tasca dei miei pantaloni, c’è una bacchetta.
Sembra quella che Draco mi diede il giorno in cui tememmo l’attacco dei
Mangiamorte, quella che lui diceva avere di riserva e che usava a scuola. E
quando l’ho presa?? E perché? Più scavo nella mia memoria, e più non me lo
ricordo, dannazione.
Speriamo che sto maledetto Zahir non mi abbia anche fuso il cervello…
sospiro, cosa di cui non potrei nemmeno essere completamente sicura.
Esco di soppiatto, sperando di poterla riportare nella stanza di Draco,
senza che lui se ne accorga. Liquido tutto mentalmente con il fatto di aver
sognato di dovermi difendere da qualcosa, e quindi mi sono preparata e ho preso
anche la bacchetta, anche se la spiegazione non mi convince del tutto,
perlomeno il sogno dovrei ricordarlo.
Ma, mentre esco, quella questione passa ovviamente in secondo piano.
Lui è già lì ad aspettarmi, fermo sul pianerottolo tra le due parti
dell’appartamento, le braccia conserte e gli occhi chiusi, la schiena
appoggiata alla porta della sua camera.
Faccio appena in tempo a nascondere la bacchetta sotto la mia maglia
che inizia a parlare:“Sei pronta?” .
La voce sottile per paura di svegliare Serenity ha solo le parole di
una carina cortesia. Il suo tono è stentoreo e potente come una condanna a
morte. Non apre nemmeno gli occhi.
Annuisco senza sollevare il viso da terra, porgendogli la mia valigia
che recupero dall’interno. In fondo, non ha alcun senso aspettare ancora. Mi
concedo il lusso proibito di conservare il calore lieve della mia mano che
sfiora la sua, per l’ultima volta, mentre prende in mano il mio bagaglio. Quel
secondo di pelle accarezzata lo terrò nel cuore come un addio, anche se è un
suicidio cercare ancora, a questo punto, cose del genere. Mi concede il dono
anche di poter arricchire quel contatto con un ultimo sguardo, mentre ci
sfioriamo. La luna dei suoi occhi compare dietro la coltre della sua
indifferenza e rabbia, poi scompare, lasciando il posto alla mia notte eterna.
Ora, nulla potrà rischiarla. Mai più.
Prima
di incamminarmi alle sue spalle, il braccio mi prende a tremare così forte che
mi sembra che si debba staccare dal corpo. Spaventata, tento di tenerlo fermo
ancora con l’altra mano, ma le scariche sembrano quasi trasmettersi anche al
braccio sano.
Sembra
quasi che stia sfuggendo dal mio controllo.
Pochi
secondi, e sembra passare. Dovessi sopportare solo questo per quello che ho fatto…
andrebbe anche bene così.
Ma
la condanna non è quella, ovviamente. È scendere queste scale, cosciente che è
l’ultima volta.
È
guardare le pareti con sgradito affetto, ricordando episodi e momenti.
È
trattenere le lacrime di fronte a Seth che ovviamente è giù ad aspettarmi.
Ed
è lo strano formicolio sotto le dita, che non c’entra nulla con le scariche
elettriche, che non lo rivedrò… per anni.
E
mi sembra che quella strana percezione e certezza abbia preso anche lui,
rendendolo immobile come una statua mentre Draco esce per accendere la
macchina. Spalanca le braccia e, come una bambina, corro ad abbracciarlo.
Sembra
un addio… e non dovrebbe esserlo… ed invece lo è.
D’ora
in poi, tutto sarà diverso… forse è questo. Forse è la nostalgia perché non
vivremo più assieme.
Non è questo.
Io sento che Seth non lo rivedrò più.
Cerco
di tenere a freno questa componente fortemente irrazionale, che non so nemmeno
da dove mi sia uscita, e mi stacco da Seth a malincuore, accarezzandogli la
guancia bagnata: “Smettila, scemo… non me ne vado certo dall’altra parte del
mondo…”.
“Lo
so…” aggiunge con un singhiozzo “Ma… avrei voluto fare di più per trattenerti
qui…”.
“Non
dire sciocchezze… io e Draco non possiamo più vivere assieme, lo sai meglio di
me…” sorrido, prima di rendermi conto di
come ho chiamato Draco davanti a lui. Spalanco gli occhi, portandomi le mani
alla bocca, prima di mentire in modo automatico, come ho sempre fatto da quando
ci conosciamo. Ma Seth non trasale e nemmeno mi guarda interrogativo. Nulla di
tutto questo.
Sorride
mestamente, e poi sussurra: “Spero solo che questo passato che vi separa
adesso, un giorno vi unirà finalmente… sai cosa, Hermione? Voglio continuare a
credere che sia il vostro destino… non sarebbe così difficile per voi, se non
fosse così…”.
“Se
sarà così, quel giorno sarai il primo a saperlo…” sorrido, nonostante tutto.
“E
voglio anche i particolari piccanti… visto che io non ne ho potuto godere…”
scherza tra le lacrime, dandomi un buffetto sulla guancia.
“Quelli
te li sogni, razza di satiro in calore…” aggiungo con la mia solita voce
autoritaria e saccente, piegata ed incrinata dalle lacrime, prima di correre
fuori e scappare via da lui. Apro velocemente lo sportello della macchina di
Draco, non lasciando che nemmeno l’aria del primo mattino mi pizzichi il viso
bagnato. Lui entra velocemente dall’altra parte, mettendo in moto.
Le
lacrime non smettono di scendere dai miei occhi, eppure resto a testa alta,
guardando dritto davanti a me il parabrezza e la Londra sonnacchiosa che
lentamente mi lascio alle spalle per un futuro sconosciuto. Tutto è nebuloso, e
non è solo colpa delle lacrime o del nodo in gola che mi impedisce di
respirare.
È
la presenza di Draco, silenziosa come un macigno, ad offuscare ogni cosa.
Senza
di lui, il mio futuro è solo una pagina bianca che non posso scrivere, come se
non avessi nemmeno un pezzo di carbone per provare a segnare qualcosa. So che
strapperò pagine su pagine, illudendomi di poter essere nuova e diversa e di
poter cancellare ricordi e sentimenti. Ad ogni pagina strappata, mi
riprometterò che quella sarà la mia ultima volta e che stavolta non resterà
bianca, ma avrò la forza di iniziare di nuovo qualcosa. Ma il cimitero delle
mie pagine strappate e dei mie giorni bruciati sarà sempre troppo esteso.
Non
avrò nemmeno la consolazione di colpe da dare, se non a me stessa.
Avrò
il macabro conto dei giorni che lo separano dalla donna che davvero lo farà
innamorare, come spero che accada.
Oppure
conterò i frammenti del suo cuore, ancora sanguinante per Helena, e mi dirò che
sto meglio perché soffre anche lui. Ed poi mi ritroverò a maledire quel
pensiero nelle mie lacrime, perché penserò sempre che il suo dolore sarà sempre
peggio di qualsiasi cosa che possa succedere a me.
Sicuramente,
un giorno, avrò anche amanti e fidanzati.
Li cercherò
in chiunque con così poca stima di sé stesso da prendere una con il cuore
difettoso.
Nelle
lenzuola riscaldate da precario calore, cercherò la traccia delle labbra di Draco
sulle mie, che mi hanno marchiato come se davvero fossi sua. E sarà
disperazione non trovare più i suoi occhi e sognarli sempre, più reali di
qualsiasi cosa davvero esistente.
Ed
un giorno, so che arriveranno anche dei bambini, figli di qualcosa che ho
avvicinato idealmente all’amore per lui, per cercare di darmi sollievo nella
pietosa bugia di averlo dimenticato. Il tempo darà conforto, levigherà il
dolore e la mia perdita, riempiendomi di inutili e futili scadenze ed impegni
che forgeranno la voragine dentro ad immagine e somiglianza di una vita piena e
felice.
E
lui sarà quella scatola in soffitta che tirerò fuori il giorno in cui sono
particolarmente triste, o in cui ho litigato con mio marito, o a Natale quando
penserò ancora a lui e pregherò per un dono indirizzato a lui, sotto un
qualsiasi albero illuminato.
Ma
non se ne andrà via mai. Questo lo so. Diventerà rimpianto per un qualcosa mai
avuto ed inconsapevolmente consumato.
Diventerà
freddezza dei gesti e delle emozioni, congelate per sempre in questa mattina
fredda di giugno.
Diventerà
pretesto per litigi e distanze frapposte tra me e chi mi ama.
Diventerà
malinconia nei giorni dei pioggia e fastidio nei giorni di sole.
Diventerà
una cosa senza nome, attaccata dentro, che alla fine nemmeno saprò identificare
più, ma che saprò sempre essere lì.
E io cosa diventerò per te?
La
mia mano poggiata sul sedile dista solo venti centimetri dalla sua, stretta con
rabbia sul cambio. Studio per qualche istante la sua mano contratta, le dita
affusolate che, ora, mi sembra incredibile che mi abbiano stretto a sé, mi abbiano
accarezzato il viso e mi abbiano trattenuto mentre cercavo di scappare via.
Mi
mordo il labbro, le lacrime che non hanno smesso un secondo di scendere dai
miei occhi, in silenzio, senza che se ne accorgesse.
“So
che non ha senso adesso…” sussurro, voglio almeno che ricordi questo di me, e
non il demone di ieri sera. Sono delle scuse inutili e stantie, ma almeno sono
diverse dalle parole di ieri: “… ma non avrei voluto… fare… quello che ho
fatto…”.
Sollevo
gli occhi bagnati, cercando per un’ultima volta i suoi, anche se lontani e
fissi davanti a sé. Godrò solo del loro riflesso, illuminato a tratti dai fari
delle auto, ma andrà bene così. Davvero. Oramai va bene tutto, anche il
silenzio.
Ma
non li trovo dove mi aspettavo i suoi occhi.
Sono
nei miei, la strada solo una magra distrazione. Sussulto, in preda ai brividi,
come se avessi la febbre.
I
suoi occhi diventano scintillanti di diamante, mentre sussurra il mio nome, che
non credevo di sentire più dalle sue labbra. Lo assaporo come una caramella
dolcissima ed imprevista, come la parola gentile che ti illumina la giornata,
come il miracolo che non avresti mai nemmeno osato chiedere. La mano sul
volante trema, la stringe forte, tornando a guardare la strada con rabbia e dice
qualcosa che intendo a fatica, il braccio che riprende a formicolare forte, la mia
mano che corre, inconsapevolmente, alla bacchetta nella mia tasca.
Lo
sento fermare la macchina, tirare bruscamente il freno a mano e spegnere il
motore, ma vedo il tutto come se fossi lontana mille miglia, come se vedessi la
scena dall’esterno.
Quando
lo sento parlare, mi sembra quasi di non essere più qui.
“E
io vorrei essere cambiato, Granger… al punto di fare la cosa giusta…” la sua
voce è lontana chilometri ed anni assieme.
Trema
tutto il mio corpo assieme al mio braccio.
Mi
sento intorpidita, come se mi stessi addormentando, la mano che estrae la
bacchetta dalla mia tasca.
Non
capisco che cosa stia succedendo al mio braccio, perché si muova senza il mio
controllo, perché abbia preso la bacchetta, ma è un rimasuglio della mia mente
a farsi quelle domande, apatia e sonnolenza nel corpo. Resto cosciente solo
perché il mio cuore continua a guardare gli occhi di Draco nei miei e continua
ad aspettare che finisca di parlare.
Il
mio corpo, pesante come cemento, non lo sento più mio.
So
che il mio corpo è sempre uguale.
Sono
sempre immobile a sentirlo, ho gli occhi sempre aperti… ma è come se… non mi
appartenesse più.
“Ed
invece, Hermione, io non sono mai cambiato… mai… sono sempre così dannatamente
egoista, così come ero con Helena…e così sono rimasto anche con te…”.
Violento
il mio corpo perché riesca a parlare, ma niente. Resto fredda come il ghiaccio,
il denso torpore che continua ad avanzare. Il suo volto, illuminato lievemente
dalla luce di un lampione, rimasto acceso nella nebbia, si solleva guardandomi.
È distrutto, a pezzi, come se si stesse spezzando a metà. Di nuovo. Ma stavolta
sono gli occhi a vincere. Stavolta… che sento di non poter rispondere.
“… io…
non posso sopportarlo, Hermione… ho fatto di tutto, ma non posso sopportarlo… non
vederti mai più…”.
Scoppia
il cuore, nello stesso momento in cui il torpore arriva a lambirmi
completamente.
E,
mentre vorrei solo gettarmi tra le sue braccia e piangere, mi ritrovo a
sollevare la bacchetta contro i suoi occhi atterriti.
E,
mentre vorrei solo urlargli quanto lo amo, mi ritrovo a sussurrare due parole
che mi ha sempre terrorizzato pronunciare e che ho evitato sempre di dire
compiutamente.
Proprio
come ti
amo.
Solo
che queste non potrebbero essere la fine per me e per il mio desiderio di non
farmi ferire da nessuno. Non sono ti amo.
Sono
parole agghiaccianti, specie perché significheranno la sua di fine. Senza alcuna metafora.
Avada kedavra.
E dopo questo capitolo scommetto che bramerete ancora di più
la mia morte!! Come sempre sono di corsa, quindi non ce la faccio a rispondere
alle vostre recensioni, ma prometto di farlo domani via FB per quelle dello
scorso capitolo!!:D chiedo davvero scusa…L grazie a tutti!! Per chiarimenti e domande, sono sempre disponibile
via FB!! Un bacio!!