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Autore: topolinodelburro    15/11/2010    1 recensioni
Shinobu era consapevole di quanto quella carta fosse stupida, ma non riusciva a non stringerla spasmodicamente tra le mani. Di sicuro una volta giunto a casa se ne sarebbe liberato, o l'avrebbe fatto sua sorella al posto suo. Nel frattempo, rossa, spiegazzata, veniva osservata ogni tanto, di nascosto, giusto perchè Ephraim non si accorgesse che la stesse studiando forse un po' troppo rispetto a quanto avrebbe dovuto.[...]
Avrebbe potuto regalarla a Miyagi-san forse, probabilmente gli avrebbe portato fortuna; dopotutto era lui tra i due, quello che credeva ciecamente nell'astrologia.
[Seconda classificata al contest "le 22 stelle(multifandom)" indetto da souseiseki]
Genere: Introspettivo, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Nuovo Personaggio, Shinobu Takatsuki , Yō Miyagi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quello che infilò la testa tra il tessuto delle tende del varco per dare un'occhiata al negozio era un uomo avanti con l'età e sempre lo stesso, si offrì di servire i ragazzi alla cassa.
-Bene giovani, cosa desiderate?-
-Ci serve sapere qualcosa su questa carta- Ephraim indicò Shinobu, e l'uomo anziano aldilà del bancone parve non capire, arricciò le sopracciglia e si toccò una delle rughe che gli attraversava la fronte.
-Il tarocco. Il futuro. Può spiegarcelo?-
L'antiquario si sistemò degli occhialini argento sul naso, prima di grattarsi la barbetta leggera ed abbandonare i suoi allampanati occhi su Shinobu.
-Hai trovato tu la carta ragazzo?-
Shinobu annuì.
-Era dritta... o rovescia?-
-...Dritta, mi pare-
-No, era storta, la ragazza era capovolta- Ephraim gli diede una spintarella sulla spalla, si guardarono.
-Era rovescia? Davvero?-
-Sì era storta-
-Ok, era capovolta, la carta, era capovolta-
L'anziano voltò leggermente gli occhi alle travi del soffitto.
-Le Stelle...- si toccò il naso -è una carta positiva, ma non nel tuo caso-
Ephraim ridacchiò -Non c'è persona più baciata dalla buonasorte di Shinobu-
L'uomo fece spallucce indifferente, sorridendo ambiguo. -Una maledizione, squilibri, disarmonia, ostacoli... oh, un incontro diciamo... bhè- si interruppe ricacciando nuovamente gli occhialini al loro posto, ridacchiò, probabilmente lo trovava divertente -Hai già terminato la scuola?-
-Fra poco più di un mese, voglio entrare all'università ad aprile-
-Credo sarebbe meglio per te concentrarti sulla tua vita, direi per un anno-
-Un anno? Devo entrare all'università...- sbottò.
Il vecchietto lo scimmiottò emettendo dei versi indistinguibili, sventolando una mano di fronte al suo viso.
-Sciocchezze, ragazzo, sciocchezze, su, non prefissarti obbiettivi che non raggiungerai, ma non preoccuparti, Le Stelle sono sfortunate e... hai detto qualcosa?- negò, e quello riprese -ed i suoi effetti sono prolungati nel tempo, ma non eterni- ci tenne a precisare.
Shinobu sbuffò e riprese repentinamente tra le mani la sua carta rossa.
-Usciamo, grazie per la pagliacciata eh!-
Ephraim rivolse un cenno di scuse all'antiquario prima di essere trascinato fuori dal locale.. Dietro di loro, la porta si chiuse con uno scampanellio soave.
Shinobu si dimostrò scontroso per il resto del cammino.
-Dove stai andando ora?-
-All'università, Miyagi mi passa a prendere uscendo-
-Potevi dirlo prima-
Shinobu flettè le spalle, ma non diede troppo retta a ciò che Ephraim gli stava comunicando. Le parole erano ovattate, non per colpa della carta questa volta. L'aveva nascosta nel fondo della sua tasca, e nonostante al momento questa non fosse all'apice dei suoi pensieri poteva sentirla produrre calore contro il tessuto della tela dei pantaloni, in corrispondenza della sua coscia destra. O almeno ne dava l'impressione.
Giunsero presto ai cancelli dell'università. Ephraim si dileguò velocemente salutandolo di sfuggita, quasi certamente per evitare di incontrare di nuovo Miyagi.
Si sedette distrattamente su una delle panchine presenti all'esterno della facoltà, gettando la sua sacca sul posto libero accanto al suo. Sospirando, abbandonò la testa contro il legno dello schienale, scivolando in avanti lentamente. Attorno sentiva il chiacchiericcio degli studenti e si immerse nei loro discorsi.
C'era a chi il semestre non era andato bene, a qualcuno il voto dell'esame non era bastato ed aveva rifiutato l'esito, altri si davano appuntamento al raduno del campus, due ragazze si scambiavano il numero di cellulare, chi si faceva prestare gli appunti, due che litigavano.
Le Stelle erano ancora calde nella sua tasca, ma avevano smesso di interessargli. Eppure continuava a passare la sua mano sul tessuto dei pantaloni cercando di trasmettere quel calore alle sue dita, quasi involontariamente.
Una mano appoggiata sulla sua spalla lo scosse ed aprì d'impeto gli occhi.
-Dormi?-
-No-
-Ti porto a casa?-
-Ok-
Seguì Miyagi nel parcheggio riservato ai docenti e montò sulla sua auto schioccando la portiera forse un po' più del dovuto. Lo aspettò accendersi una sigaretta, e poi chinarsi verso il posto del guidatore.
-Mi fai giudare?- ci sperò.
-Tuo padre ti ha pagato i corsi?-
Annuì. Miyagi si sporse verso il suo sedile e lo baciò, la sua bocca aveva già il sapore del fumo -La prossima volta- ridacchiò mettendo in moto, mentre Shinobu si infossava seccato nel sedile accanto al conducente.
Solitamente erano silenziosi, lungo i loro tragitti, e nemmeno quella volta furono molto più loquaci. Miyagi di tanto in tanto sbirciava dalla sua parte cercando di trovare un argomento vincente per attaccare bottone. Tossicchiò, sbriciolando la cenere della sigaretta fuori dal finestrino.
-Allora... com'è andata a scuola?-
-Bene-
Di Shinobu amava proprio il fatto che riuscisse a farlo sentire importante, considerato diciamo.
Diede qualche altra veloce occhiata nella sua direzione.
-Che hai in mano?-
Le mani del giovane pulsarono, e la carta che aveva raccolto dalla sua tasca venne premuta rapidamente al petto nel tentativo di nasconderla -Niente- si affrettò a dire, arrossendo.
-Una carta? Posso vedere?-
-Non è niente- ribattè -Sono le Stelle-
-Credi nei tarocchi? E che dicono?-
-Non credo nei tarocchi, l'ho trovata-
-I tarocchi rivelano il destino, non eri tu quello che ci credeva fermamente?- ghignò dicendolo, ed a Shinobu sfuggì una smorfia formulando una risposta -Io credo nel destino, non certo nelle stelle-
Miyagi accostò l'autovettura al cancello di villa Takatsuki, osservando Shinobu scendere velocemente chiudendo la portiera e rivolgendogli appena un saluto sbrigativo prima di sparire oltre le inferriate. Forse l'aveva offeso, chissà. Ripartì, contanto di richiamarlo, nel dopocena.
Nei giorni seguenti, Miyagi non aveva più rivisto quella carta, nè fatto alcun pensiero su di essa.
Il tempo era sempre stato monotono, soprattutto a Sado, ed in quelle settimane non fu da meno.
L'isola sembrava essere intoccabile per certi versi, e così, nell'accidia di alcuni giorni, aveva imparato a non dar peso ad ignoti particolari, soprattutto se questi avevano a che fare con Shinobu. Da terrorista qual'era infondo, era terribilmente caratteristica la sua cocciuta ossessione riguardante le cose inutili. Non lo preoccupavano i suoi piccoli disguidi comportamentali.
Per quanto riguardava il soggetto della questione invece, il tempo gli era sfuggito dalle mani, un mese trascorso, forse alcuni giorni di più. Shinobu era sommerso tra capo e collo dagli impegni e dallo studio per gli esami, ed il tempo con Miyagi si assottigliava a qualche svelta chiacchierata nella sua macchina mentre lo riaccompagnava a casa. Rifletteva appunto, mentre percorreva frettolosamente il vialetto di casa.
Sua sorella sarebbe partita per l'estero il giorno stesso. Diede un'occhiata all'orologio. Errore: sua sorella, era, partita il giorno stesso per l'estero. Poco male, avrebbe condiviso la villa con il padre ed il personale.
Raccattò la chiave dal fondo della sua sacca e la infilò nella toppa del portone principale facendola tintinnare. Fece schioccare la serratura e appoggiò l'oggetto metallico nel centrino sulla mensola di sinistra.
-Kanto-san, chichi-ue, sono a casa, ho una fame tremenda...- Si fermò a mezz'aria al centro dell'atrio riccamente rivestito dal nuovo marmo spagnolo che il padre aveva ordinato sei mesi prima. Il caliza capri creava immagini spumose e porose sul suo sfondo di natura candida, ma dalla presenza granulare di quei colori come acquerellati, e soffici, che gli regalavano una profondità naturale, come quella della carta reciclata.
Se n'era dimenticato.
Kanto si era licenziato appena qualche giorno prima, apparentemente senza alcun motivo importante. Per quel che ricordava, probabilmente aveva lavorato per la loro famiglia da prima della sua nascita. Il padre non aveva ancora digerito la notizia, ed al momento il posto di maggiordomo alla villa, restava ancora vacante.
-Vediamo che è rimasto-
Abbondonò la sua sacca sul divanetto dell'ingresso, e dopo essersi tolto le scarpe prese a circolare in direzione della cucina. Attraversando gli ambienti si incuriosì dall'assenza di cameriere, e giunto in prossimità del frigorifero si stupì che nessun cuoco lo sgridasse per star rovistando indecorosamente nella dispensa. In realtà non c'era nessuno, nemmeno uno sguattero in quella cucina.
Il suo stomaco brontolante gli ricordò che nemmeno nel frigorifero, era rimasto qualcosa.
-Non è possibile- si accigliò, e cercò di ricordare. Spostò gli occhi al calendario decorato da fiori di pesco appeso alla parete. Era il 21 marzo, e quella sera si sarebbe celebrata la festa per l'Equinozio di primavera. Vai a cercarla, la sfortuna. Il padre aveva concesso il congedo al personale in occasione della celebrazione nazionale. Si spiegava, ma il frigorifero era ancora vuoto, ed il suo stomaco ancora gorgogliante.
Fece retromarcia e si precipitò allo sbocco della lunga scalinata in diaspro rosso prendendo a valicarla saltando gli scalini a due a due; giunto alla fine si mise a correre lungo il corridoio laterale che dava sugli appartamenti privati, e quivi prese di nuovo a correre, salendo la seconda gradinata e dandosi dell'idiota per non aver pensato all'ascensore. Sul pianerottolo prese fiato, poi proseguì nuovamente, deciso, verso lo studio di suo padre.
La casa era vuota. Afferrò la maniglia della porta in mogano dell'ufficio di suo padre e la torse, tirandola verso di lui; i cardini dell'uscio perfettamente oliati fecero scivolare la massiccia anta sul tappetino decorativo, senza emettere un cigolio. Era un bel tappetino, ricamato con delle finiture lineari, ma un'impronta di fango lo macchiava stupidamente.
Un odore ferroso gli arrivò alle narici e seppe già cos'era.
Guardò dentro la stanza, piano scivolò verso terra, trattenendo una presa ferrea sulla maniglia in ottone. Vide suo padre giacere sul parquet senza muoversi. Un liquido amaranto si era rappreso nel legno da... quanto tempo?
Era strano, innaturale, indecente quasi, vedere il proprio padre austero, autoritario, eppure così comprensivo e magnanimo, immobile, iniziare a puzzare nell'aria viziata della casa dove si aveva passato l'infanzia. Vedeva ancora quel rivolo grumoso e compatto di sangue scuro che gli colava dalla bocca, ed il pensiero ritmico che ora basta, non sarebbe stato rimproverato ancora da quell'uomo, gli martellava contro le tempie. Gli venne da vomitare, e lo fece davvero.
Lasciò la maniglia della porta, e crollò a terra, sudava, tremava, ma riuscì a mettersi in piedi, ed a muovere quei pochi passi che bastarono a portarlo davanti all'uomo che l'aveva tenuto sulle ginocchia da bambino; un buco gli squarciava il petto ora, e da quello sbocco il suo corpo morto vomitava liquido scuro, si liquefaceva, e colava sul pavimento in un impiastriccìo di melma che gli rovinò la scamosciata pelle dei mocassini.
Si piegò, e con una lucidità che credeva non possedere estrasse il palmare del padre dalla sua tasca e digitò le cifre numeriche che più gli stavano vorticando in testa in quel momento.
   
 
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