What colour is the snow?
Capitolo 20: Persona significa maschera.
Buio assoluto e silenzio tombale.
Se l’Inferno esisteva veramente, allora doveva essere in quel modo. Una
stanza enorme, le cui dimensioni non avrebbe saputo definire con certezza,
completamente soggiogata dalle tenebre, senza che neanche un solo raggio
luminoso riuscisse a penetrarle e donare quel minimo di coraggio necessario a
stringere i denti e non arrendersi davanti al timore non delle tenebre, ma di
cosa si annidava in esse.
E all’improvviso una luce.
Tutto prese forma: la sala, il palco, l’uomo che si ergeva con coraggio
innanzi al suo pubblico. Un vecchio che dimostrava molti anni di più di quanti
probabilmente ne possedeva. Un riflettore lo illuminava da capo a piedi,
mostrandone le umili vesti, i capelli imbiancati e la barba incolta, gli occhi
socchiusi, contornati di occhiaie scure e rughe, eppure vivi, attenti,
splendenti di una speranza che neanche l’avanzata età era riuscita a far
decadere.
Teneva i piedi ben puntati a terra, come se le scarpe consumate dal
tempo gli si fossero ancorate al pavimento in legno; la fronte alta, lo sguardo
intenso.
Alzò una mano e il silenzio che fino ad allora era stato quasi sacro
sembrò improvvisamente non appartenere più alla sfera dell’esistenza. Con un
semplice e regolare gesto, la Persona era stata capace di imporre se stessa su
ogni altra cosa presente.
-Tutti sappiamo cos’è la bellezza- parlò con voce profonda, sicura. Un
uomo che sa farsi ascoltare è un uomo che deve essere ascoltato –ma cosa
significa “godere della bellezza”? Qualcuno in questa sala è capace di darmi
una risposta?-
Probabilmente nessuno, e anche se qualcuno l’avesse saputo non avrebbe
potuto esprimerlo perché, molto semplicemente, non esisteva. C’era solo
Persona, lei e la sua domanda a cui solo lei avrebbe potuto e dovuto dar
risposta.
Mosse un passo lento verso la propria destra, tracciando una linea
curva sul palco, mentre l’intensa eppure gelida luce lo seguiva fedelmente,
come un cane col padrone. Una mano dietro la schiena, l’altra all’altezza del
petto, aperta.
La pelle era screpolata all’inverosimile a causa della fredda aria che
avvolgeva il luogo, entrando dentro, fino in profondità, conferendo a quella
domanda ancora irrisolta una pesantezza glaciale. Ormai l’attesa era diventata
insopportabile.
-Godere della bellezza secondo molti è osservare un fiore, un colore.
Per altri è lasciarsi avvolgere e trasportare da una melodiosa sinfonia. Per
altri ancora è soffermarsi ad osservare con meticolosità i dolci e amati tratti
della persona con cui condividiamo la vita. Ma è giusto fermarsi a questo?- un’altra
domanda.
Egli giocava su quel susseguirsi istantaneo e potente di domande e
risposte; non concedeva agli esseri di cui era oggetto di studio, più di quel
dovuto attimo di appagamento nello scoprire la risposta all’ultima domanda.
–Godere della bellezza è anche soffrire. Osservando un colore o i
giovani tratti della donna che amiamo, il nostro animo matura la consapevolezza
che siamo mortali. Godere della bellezza non significa solamente ammirarne i
colori e le forme, ma avvertire il profondo dolore della consapevolezza che un
giorno le nostre membra decadranno, gli occhi perderanno vivacità, il cuore
batterà con fatica, in una lenta e inesorabile discesa verso l’abisso-
Ancora nessun suono, nemmeno un sospiro.
Persona tornò sui suoi passi, facendo così finire sotto la luce del
riflettore una sedia apparsa dal nulla, o meglio, apparsa dalle tenebre. Vi si
sedette con fare stanco, tirando un sospiro dopo aver poggiato i gomiti sulle
ginocchia. Con la schiena così piegata sembrava anche più vecchio di prima.
Movimenti lenti, i suoi, curati e ragionati. Ogni suo battere di ciglia
era colto con attenzione, ogni volta che apriva la bocca per parlare,
richiudendola subito dopo, il mondo sembrava dapprima trattenere il fiato per
poi afflosciarsi con cocente delusione.
-Molte persone colgono questo ragionamento; esse si dividono in due
grandi gruppi: i vinti e i non vinti-
riprese il discorso, stavolta con toni più sentenziosi ed estremisti
–analizziamo i secondi, decisamente meno interessanti: essi comprendono quanto detto
sopra e, consci della propria caducità, tentano di godere quanto più possibile
della bellezza. Questi uomini hanno preso molti nomi nel corso del tempo:
artisti, poeti, intellettuali, filosofi; tutti accomunati dall’amore e
l’interesse verso l’interiorità dell’uomo e della natura.
Facciamo un salto all’indietro e torniamo ai primi. Essi non accettano
di perdere quel poco di tempo che ci è stato messo a disposizione nella ricerca
di un qualcosa che non è possibile conoscere. Preferiscono accontentarsi della
bellezza intesa puramente in senso estetico. Ma fino a che punto una bellezza
esteriore rispecchia una bellezza interiore, che è invece propria degli
appartenenti alla seconda categoria?-
Un ragionamento lineare, preciso, che rispondeva a modo suo a molti perché,
ma ciò non sembrava bastare. Una pesante atmosfera aleggiava, e ciò provocò una
risata divertita in Persona, che riprese a parlare.
Il tono stavolta era alto, solenne, quella era la conclusione.
–L’uomo è nato come bestia, e la bellezza è affascinante anche per la
sua capacità di farlo tornare tale. Il bello, a volte, coincide col malvagio-
E tutto finì così com’era iniziato: nel silenzio.
Le luci si alzarono illuminando tutto il teatro, il cui principale
colore era l’oro. Le sedie vecchie, sporche, con la tappezzeria addirittura strappata
in certi punti; i muri invasi dall’umidità e dalle crepe. Insomma, sembrava che
tutto il plesso si tenesse in piedi per miracolo.
Persona era rimasto sul palco, in attesa di un applauso. Fece un
inchino a mezzobusto mentre il silenzio veniva spezzato, stroncato, violentato
dal battere di un unico paio di mani, quelle del solo spettatore in quel teatro
di fantasmi.
Gli occhi di Persona si poggiarono su quelli celesti del biondino che
era stato il suo spettatore, cogliendone immediatamente l’eterocromia
nonostante questa fosse pressoché invisibile.
Il battere ritmico delle mani, l’espressione concentrata di chi ha
seguito tutto il ragionamento, ma non solo: la leggera inclinazione delle
sopracciglia, la mascella serrata, i gomiti poco lontani dal busto, tutto in
quel giovane lasciava indovinare il suo stato d’animo: una cocente frustrazione.
Mentre Persona si incamminava per uscire dalla scena, Nathan si alzò.
Colse con mano pesante il proprio cappotto, indossandolo con movimenti
meccanici. Faceva freddo lì dentro, o forse era solo una sua impressione?
D’un tratto si bloccò, e lì rimase, statico come il pendolo di un
orologio scarico.
Il suo animo era mosso da una serie di emozioni contrastanti, un vero
turbine di sentimenti, che doveva riuscire però a tenere a bada. Strinse i
pugni, imponendosi di sopprimere l’ira.
Mentre usciva da quel luogo diventato ormai opprimente, venne investito
dall’aria gelida di Terren, che però non aveva niente a che vedere con quella
di Hidel. L’atmosfera era fredda, proprio come lui in quel momento.
Si dice che la rabbia faccia ribollire il sangue nelle vene, ma per lui
non era mai stato così. Quando si adirava, lui non sentiva mai caldo. Piuttosto
avvertiva un incredibile freddo; era come se il sangue gli si raffreddasse
all’improvviso, obbligandolo ad una razionale e glaciale riflessione su ogni
minima cosa, persino su questioni assolutamente inutili.
Per questo era pericoloso quando era arrabbiato: niente gli sfuggiva. Un’ottima
macchina da guerra, a detta di Marcus.
E le parole di Persona erano state talmente azzeccate che lo avevano
colpito nel profondo della sua mente già scossa per la propria dimostrazione di
debolezza appena avuta con Annlisette. Già, quella serata era cominciata male,
e stava andando sempre peggio.
Nonostante abitasse a Terren da
diversi anni, Nathan non aveva mai colto certe sfumature di quella città. Ma
ora, con la mente congelata, che come al solito gli imponeva una fredda
compostezza davanti alle situazioni complicate, riusciva a cogliere nuove
immagini, nuovi volti, e capiva che forse lui, in realtà, di Terren ne sapeva
davvero poco.
Aveva sempre pensato che la notte
avesse un che di spaventoso in una città grande come quella, con tutti suoi
vicoli bui e stretti che non erano mai cambiati, sin dai tempi dei cavalieri;
pensava anche che molte brutte facce si aggirassero rendendola poco piacevole,
pericolosa: malavita, gang, maniaci e prostitute; insomma, Nathan aveva sempre
creduto che fosse decisamente meglio evitare di uscire di notte.
C’erano tuttavia molte cose a cui
non era mai riuscito a dare risposta, e una di queste era quell’incomprensibile
senso di appartenenza a quella seconda faccia di Terren.
Era possibile che un Angelo si
trovasse a suo agio proprio lì, in mezzo all’oscurità di una città che di notte
diventa cattiva?
Camminava guardando in avanti,
senza però perdere nessun particolare di ciò che lo circondava. La pioggia gli
batteva addosso ancora più fredda dell’aria, ma era una bella sensazione. La
sentiva infiltrarsi attraverso il colletto del cappotto, qualche goccia
riusciva addirittura a raggiungergli le spalle. Alzò il capo lasciando i bui
vicoli per osservare il cielo. Le nubi erano davvero tante, nere, con qualche
venatura rosse; sembravano veramente fatte di cotone. Il cielo totalmente
coperto, ad eccezione di un piccolissimo spazio che si era ritagliata una
grande, rotonda luna splendente di rosso, talmente luminosa da poterne distinguerne
i vari crateri anche a quella distanza.
Di tanto in tanto quel magnifico
scenario veniva reso ancora più potente dal calare impetuoso dei fulmini, che
si aggrovigliavano tra di loro come serpenti. L’unione durava meno di un
secondo, eppure erano ben visibili. Sembrava che giocassero; no, sembrava che
si azzannassero violentemente.
Sul volto di Nathan apparve un
sorriso mentre faceva quei pensieri.
–C’è un qualche timore
reverenziale in tutto questo… o forse è solo desiderio di onnipotenza- disse a
voce ben alta, consapevole che nessuno lo avrebbe udito. Era solo lì, mentre il
cielo veniva squartato.
Un nuovo fulmine si abbatté poco
lontano, facendo tremare la terra, e a questo punto il giovane rise tra sé e
sé, spostando delicatamente con una mano una ciocca di capelli che gli era
ricaduta in viso –oh sì, è decisamente voglia di onnipotenza-
Riprese a camminare per i vicoli
a grandi falcate, sembrava quasi giocare a fare il passo più lungo della gamba
senza cadere. E ci stava riuscendo. Osservava con intensità ogni cerchio d’acqua
che i suoi passi creavano, riflettendo intanto su quanto il suo atteggiamento
potesse risultare contraddittorio.
-C’è una diatriba- sentenziò senza
che quel sorriso assorto gli abbandonasse il volto.
Rifletteva su quanto il suo modo
di fare cambiasse quando si trovava in compagnia di Annlisette. All’interno
degli Angeli era conosciuto, sì, per la sua grande sagacia, ma soprattutto per
quella vena tipica dello scienziato pazzo che a volte lo portava a fare
discussioni connesse tra di loro solo ai suoi occhi, o a chiudersi in un
silenzio tombale per ore intere, prima di scoppiare a ridere senza un motivo.
C’era persino che giurava di averlo visto giocare a scacchi da solo.
Eppure, questi atteggiamenti
erano tanto strani quanto rari. Ognuno ha i suoi scheletri nell’armadio, che
tende a nascondere mostrando una faccia allegra e posata davanti agli altri.
Fin qui non c’era niente di strano, questo si diceva Nathan –Il mondo è folle,
gira a testa in giù, e ognuno lo dimostra a modo suo-
Saltò una pozzanghera evitando
così di bagnarsi ancora di più.
-Ma allora perché…?- perché
quella sua facciata “folle, a testa in giù”, veniva soppressa dalla piccola
Ann? Forse per la sua innocente sensibilità, priva della contaminazione della
realtà nuda e cruda? Non riusciva a capirlo. Sapeva solo che con lei il suo
lato umano riviveva, e questo non aveva bene agli occhi di molte persone.
Si fermò mettendo una mano in
tasca, osservando la città intorno a sé. Si trovava ad un incrocio vuoto,
nessuna carrozza in vista, nessuna persona a ore tre o due. Le fredde gocce
d’acqua continuavano a battere incessantemente contro il lastricato e i mattoni
delle case. Essendo notte fonda, tutte le finestre e le porte erano barricate,
a parte una, ben illuminata dall’interno.
Si soffermò sull’insegna
illuminata appena, leggendovi a fatica “Mastro birraio – taverna”. In effetti
un caffè ci sarebbe stato bene, perlomeno gli avrebbe calmato un po’ i nervi.
-Dubito che farebbero entrare uno
ridotto così- ridacchiò, realizzando che doveva avere proprio una brutta cera.
Era riuscito a calmarsi da poco,
quando aveva finalmente buttato fuori tutti – o quasi - i suoi pensieri e li
aveva espressi ed affrontati, eppure non sentiva di essere ancora giunto alla
soluzione finale, quella che avrebbe risolto tutto e gli avrebbe finalmente
permesso di capire cosa era giusto fare. Erano quelli i momenti in cui avrebbe
dato qualsiasi cosa per un caffè.
Era quasi deciso ad entrare
quando un’illuminazione giunse dal cielo sotto le spoglie di una prostituta.
La donna bardata di verde stava
infatti uscendo in quel momento dalla taverna assieme a un uomo decisamente
poco felice. Nathan aprì bene le orecchie, rimproverandosi quella curiosità.
-Juliet, ti prego!- urlava
l’uomo, un ragazzetto dalle origini evidentemente umili. Muoveva le braccia
coperte solo da un vecchio e logoro pastrano, affondando fino alle caviglie
nelle pozzanghere.
-Taci, non voglio più saperne
niente di te!- urlò quella con voce troppo profonda per essere quella di una
donna. Al contrario dell’uomo, ella
vestiva una pelliccia sfarzosa volutamente aperta sul davanti, in modo da
mettere in risalto le forme dell’abbondante seno. Il viso, truccato
egregiamente, il portamento fiero, tutto in lei era molto sensuale. Beh, a parte
la voce.
-Ma io ti amo, Juliet! Non posso
vivere sapendo che lavoro fai!-
“Eh” sospirò Nathan “non vedo
quale altro lavoro potrebbe fare…”
-Non me ne importa! Avevi detto
che andava bene! E’ il mio lavoro, decido io, non tu!- urlò in risposta la giovane.
-Ma…-
-Niente ma! Se mi amassi
veramente capiresti che è questo…-
Un fulmine colpì terra, impedendo
a Nathan di sentire il resto della frase. Nella sua mente continuava a pensare
che non potesse esserci lavoro migliore per una donna con un simile caratterino.
Sarebbe stata una tragedia averla in casa.
Quei due avevano del tutto perso
ogni interesse agli occhi dell’Angelo, che voltò le spalle facendo per
andarsene, quando la voce dell’uomo gli giunse un’ultima, decisiva volta.
-Per te combatterei contro il Signore!-
Il biondo si fermò in mezzo alla
strada, con un’espressione stupita sul volto. Dietro di lui la lite continuò a
lungo, fin quando il povero uomo non venne malamente cacciato.
Juliet mise i polsi impreziositi
da bracciali sui fianchi, tirando un lungo sospiro –Che giornataccia…-
Si lamentò a lungo, fin quando i
suoi occhi castani non si posarono sulla figura avvolta dalle tenebre che stava
più in là.
Inizialmente ne fu intimorita,
avendola ricondotta a quel killer che da un po’ di tempo a quella parte si
divertiva a far a fette la gente. Poi però la luce le permise di scorgerne i
lineamenti maschili, i capelli spettinati biondo scuro. Era un essere umano,
sì. Era un maschio, ovvero un possibile cliente.
Fu così che si avvicinò a Nathan
dopo aver aperto l’ombrello. Avanzava nella notte con passi misurati e curati,
ancheggiando in modo sensuale. Quando gli fu praticamente accanto, poté
finalmente notare che si trattava di un tipo piuttosto affascinante. Ridacchiò
“Forse questo bel bambino può rendere redditizia questa serataccia”.
-Ti bagnerai tutto, se continui
così- sibilò condividendo il proprio ombrello, e finalmente poté vedere il suo
viso per bene –la tua mogliettina potrebbe rimanerci male se torni a casa
malato-
Nathan le lanciò un’occhiata inizialmente
assente, come se fosse rimasto assorto nei suoi pensieri fino a quel momento.
Ma fu questione di un attimo, infatti quello dopo stava già ridendo
allegramente.
-Lo trovi buffo?- Juliet, presa
in contropiede, alzò un sopracciglio.
La risata di lui si smorzò poco a
poco, ma sul suo viso rimase uno splendido sorriso. Lo stesso di chi trova
all’improvviso qualcosa che cerca da molto tempo.
-Assolutamente sì; ho penato come
un pazzo, e la risposta era proprio la più ovvia! Grazie, Juliet! Ora ho
capito-
-Oh, prego, amore. Ma non sta
bene origliare, sai?- fece finta di rimproverarlo. Era il suo metodo per
attaccare bottone, ma sapeva che stavolta sarebbe stata dura. Quell’uomo non
sembrava una preda facile –Comunque… e qual è la risposta, mio caro?-
-O meglio, qual è la domanda- la
corresse lui. Sembrava su un altro pianeta, questo si diceva la donna mentre lo
ascoltava dire con fare entusiasta e concentrato –cosa si deve fare per rendere
possibile l’amore tra un essere umano e un Angelo?-
Lei non rispose, lasciando che
fosse lui a riprendere la parola. Eppure Nathan volle attendere, forse creare
una sorta di suspense, nell’illusione che Juliet fosse realmente interessata.
Ma anche lui lo sapeva che se quella donna era lì, in mezzo alla buia notte e
al freddo gelido, a condividere il suo ombrello con lui contro la pioggia
scrosciante, era solo per un motivo.
Sul suo pallido volto apparve un
sorriso appena accennato, una di quelle smorfie degne delle migliori Personae.
E in quel momento un rumore li
spazzò via il silenzio.
Ann guardava tristemente il
paesaggio fuori dalla finestra. La stanzetta di Sogno era molto piccola e rosa,
disordinatissima e calda. Buia com’era in quel momento, ogni pupazzo di pezza
assumeva contorni abbastanza paurosi, per non parlare delle bambole di
porcellana, che avevano terrorizzato la giovane contadina a prima vista.
Stesa sul letto, così immobile
come una morta, la piccola Sogno pareva davvero una delle sue adorate compagne
di giochi. Faceva un po’ impressione, con quella pelle così pallida e le ciglia
lunghe, i capelli che ricadevano in tanti morbidi boccoli sulle lenzuola; ma la
cosa più inquietante era che non pareva respirare, tanto che Ann diverse volte
si era avvicinata per controllare che fosse ancora viva. Così aveva scoperto
che la sua dolce amica aveva un respiro lievissimo: sollevava appena il petto
quando respirava. Era davvero incantevole.
Ann avrebbe volentieri ceduto
alla tentazione di addormentarsi lasciandosi cullare dalla sua principesca
immagine, ma la grande preoccupazione che le attanagliava lo stomaco glielo
aveva impedito.
Era infatti consapevole del fatto
che Nathan fosse uscito da un pezzo e non avesse ancora fatto ritorno. Cosa era
andato a fare in una notte tempestosa come quella? Aveva udito la porta
dell’appartamento accanto aprirsi e chiudersi con un botto rabbioso, così aveva
subito realizzato quanto dovesse essere nervoso.
Non l’aveva mai visto arrabbiato,
né ci teneva. Riusciva solo a immaginare cosa era in grado di scatenare nei
momenti d’ira un animo così portato alla pacatezza e alla riflessione.
Si sentiva molto in colpa, capiva
che buona parte di quella rabbia era dovuta alla loro discussione, alle sue
domande invadenti. Ma immaginava che Nathan fosse rimasto frustrato anche dalla
propria indecisione, o almeno lo sperava; altrimenti le sarebbe toccato
addossarsi tutta la colpa, ed era una cosa che il suo orgoglio le imponeva di
rifiutare.
L’aveva guardato allontanarsi
sotto la pioggia da solo, senza ombrello, come un’anima che non trova pace.
Avrebbe voluto scendere, urlargli di non andarsene, aveva infatti paura che
stesse per scomparire di nuovo, come aveva già fatto una volta, quando se n’era
andato da Hidel, senza lasciare alcuna traccia del proprio passaggio.
Sembrava un fantasma, quell’uomo.
Ann aveva passato tutta la notte
lì, alla finestra, poggiata contro il caldo muro. Di tanto in tanto il calore
della grande e pesante coperta verde che le avvolgeva il corpo la induceva ad
uno stato di incoscienza, ma si risvegliava poco dopo, rimproverandosi di quei
minuti di mancata attenzione, per poi tendere l’orecchio ad ogni possibile
suono. In cuor suo, sperava che Nathan fosse tornato già da un pezzo, rendendo
vana quella sua attesa.
Di certo la ragazzina non
immaginava che il giovane uomo stesse proprio in quel momento salendo le scale
del palazzo. Completamente fradicio, al suo passaggio lasciava una scia d’acqua
piovana. Il respiro concitato e il sorriso sulle labbra testimoniavano quanto
fosse entusiasta.
Trascinava malamente qualcosa avvolto
in una cappa marrone, anch’essa totalmente bagnata, come se fossero appena
usciti da una vasca da bagno.
Saliti finalmente al piano abitato dai
Metherlance e dai Darkmoon, Nathan infilò le chiavi nella toppa con un
movimento infelice, spezzato di tanto in tanto da qualche parola rivolta alla
cosa che si stava portando dietro.
Entrato dentro, dopo esser stato
finalmente invaso dal calore ristoratore della casa, gettò per terra il mazzo e
subito dopo anche la cappa, la quale rivelò finalmente il suo contenuto, che lo
fissava con uno sguardo in cui collidevano ansia e feroce rabbia animale.
-Osi guardarmi così, animale?- rise a
bassa voce l’Angelo, richiudendosi alle spalle il paletto della porta.
Anche se, a dirla tutta, in quel
momento il vero animale era lui. E ne era consapevole.
-Non darti tante manie di superiorità,
Angelo!- berciò rabbiosamente l’altro, quasi sputando su quell’ultima parola.
Nel parlare aveva usato una lingua che non era l’inglese, piuttosto sembrava un
dialetto nordico, di quelli tipici delle zone di Hidel.
Tentò di mettersi in piedi, ma ben
presto il suo tentativo fallì a causa di una ferita piuttosto profonda alla
coscia sinistra, che lo costrinse a terra, piegato dal dolore.
-Fa male, vero?- continuò Nathan con un
sorriso crudele, rispondendo alle parole del suo avversario nella sua stessa
lingua. Le parole di entrambi, ora, sembravano molto più leggere e sfuggenti di
prima –E non hai neanche assaggiato l’antipasto-
-Che cosa vuoi da me?-
Gli occhi furenti della seconda persona
parvero sul punto di prendere fuoco, tanto erano rossi di rabbia. Sicuramente
non avrebbe avuto problemi a far a pezzi Nathan se fosse stato in buone
condizioni fisiche, ma con una gamba grondante di sangue e una pallottola
probabilmente piantata nel femore l’impresa sembrava ardua persino per un omone
di due metri.
-Esattamente quello che tu volevi da
me- rispose candidamente il biondo, avvicinandosi poi a quella che era
diventata la sua preda –solo qualche risposta. Oh, ma non rispondere subito,
perché, vedi, in questo momento ho proprio bisogno di torturare qualcuno-
Damon bussò alla porta d’ingresso
diverse volte prima che il padrone di casa si degnasse di aprirla. Fu così che
si ritrovò a imprecare mentalmente davanti ad un Nathan totalmente lindo e
tranquillo, con tanto di tazza di caffè in mano e giacca addosso.
-Noi ci preoccupiamo tutta la notte… e
tu ti fai il caffè. Fico, devo provarci anch’io- commentò sarcasticamente,
entrando poi nella casa appena illuminata dalle imposte quasi del tutto chiuse.
Mise le mani sui fianchi –Dovevi vedere Ann; ha passato tutta la notte alla
finestra aspettando il tuo ritorno. Ci ha detto che sei uscito senza neanche un
ombrello-
-E’ vero- confermò Nathan con una
serenità invidiabile. Superò in cugino raggiungendo la cucina fredda sia nei
colori che nella temperatura; posò lentamente la tazza sul tavolo, per poi
sedersi con il placido sguardo ancora focalizzato sul cugino Darkmoon, che
sembrava volerlo fare a pezzettini.
-Non essere così vitale, Nate-
-Cielo, Damon, sono le sette del
mattino! Come vuoi che mi comporti?- borbottò esasperato, stiracchiandosi.
-Che siano le sette del mattino o le
due di notte, mio caro e inesperto cuginetto, la preoccupazione di una donna è
una cosa da prendere al volo!- lo ribeccò Damon avvicinandosi al tavolo e
sedendosi poi come se si trovasse a casa sua, sistemando accuratamente i piedi
sul banco –Insomma, devi coltivarti queste cose o resterai scapolo a vita,
sai?-
-E tu resterai mutilato a vita se non
togli quei piedi dal mio tavolo entro tre secondi. Due secondi, un sec…-
-Va bene, va bene!- proruppe Damon
mettendosi composto sulla sedia. Fulminò Nathan con lo sguardo, ricevendo in
cambio un altro totalmente disinteressato –Già di buon umore, vedo-
L’altro emise un sorta di “mhh-mh” che
avrebbe dovuto essere un’affermazione, sorseggiando intanto il proprio caffè.
Poggiò il gomito sul tavolo.
Anche se a giudicare dalle sue solite
frasi poco cortesi poteva non sembrare, era davvero allegro quella mattina, e
lo si poteva notare da due principali particolari: primo, si era fatto la
doccia, ed era una cosa che faceva la mattina solo se era particolarmente di
buon umore; secondo, non se ne era ancora uscito col suo solito sorriso
beffardo.
-Allora?- lo spronò Damon, ma ricevette
in cambio solamente un’espressione incuriosita –Che ti è successo di bello?-
-Hm!- finalmente Nathan staccò le
labbra dal bordo della tazzina, lanciando un’occhiata entusiasta al cugino.
Inghiottì e si mise a parlare –Me ne stavo dimenticando; guarda nel magazzino-
Damon non se lo fece ripetere due
volte. Balzò in piedi con fare scattante, saltando il gradino che elevava la
cucina al di sopra del salone, attraversando poi la stanza a grandi falcate,
curioso di scoprire il motivo di tutta quella vitalità di quell’uomo
solitamente così freddo e scostante.
Nella sua mente si avvicendarono molte
ipotesi; se non ci fosse stata Ann sì e no cinque metri quadri più in là, avrebbe
pensato ad una bella donna – anche se non avrebbe mai capito secondo quale
criterio logico alla poverella fosse toccato proprio il magazzino -, ma,
conoscendo Nathan, sicuramente la cosa in questione doveva essere legata al
lavoro.
Immaginò un meraviglioso connubio in
cui apriva la porta ritrovandosi davanti Jen vestita da danzatrice del ventre.
No, era troppo bello per essere vero.
Tuttavia ci sperò fino all’ultimo
momento, quando, sotto il vigile sguardo del cugino dagli occhi celesti,
afferrò vigorosamente la maniglia ferrosa della vecchia e pesante porta,
aprendola con uno scatto fulmineo.
Beh, in un certo senso era sicuro di
trovarsi davanti a qualcosa legato al lavoro, ma di certo non si aspettava una
cosa simile!
In un primo momento indugiò
sull’ipotesi fin troppo vezzosa di chiudere la porta e tornare a sorridere e
scherzare come se niente fosse, ma fu costretto ad arenare ben presto
quell’idea, in quanto un paio di occhi castani decisamente poco amichevoli si
puntarono su di lui come a volerlo trafiggere.
-Fantastico. Hai ritrovato la tua vena
sadica e crudele. Marcus ne sarà felice- commentò immobile.
Sentì Nathan ridere di gusto, quella
sua solita risata appena udibile, forse ben più inquietante di quella dei
cattivi delle fiabe.
Eppure ebbe sincera pietà verso quel
povero ragazzo all’apparenza poco più grande di loro, dai lunghi capelli color
pece, legato da capo a piedi, neanche fosse un animale. Sicuramente aveva
commesso qualche passo falso che gli era valso un biglietto d’ingresso gratis
per lo studio delle torture – il magazzino – di Nathan.
Era madido di sudore, sporco di terra,
il viso grondava sangue. Gli aveva strappato un occhio. Chissà che cosa ne
aveva fatto.
-Nate, non ti senti un po’ una bestia,
ogni tanto?- chiese, sperando di trovare quel minimo di umanità nel cugino.
La risposta di Nathan fu immediata,
quasi calcolata –E’ raro che qualcuno non mi faccia sentire tale- sì, forse Ann
era davvero l’unica a riuscirci. Tuttavia si impose di non pensarci; non gli
andava di cominciare male la giornata -Se c’è una cosa che odio sono le spie.
Fatti dire ciò che ha detto a me-
-Spie?-
-Spie- ribadì –a quanto pare i Demoni
vogliono guerra-
Note
dell’Autrice:
Oddio, l’ho finito? L’ho finito davvero? Non è uno scherzo?
E’ finito? … Banzaaaaaai! *saltella*
Non potete capire quanto sono stata su questo maledetto
capitolo @@ mi ha dato tanti di quei problemi che diverse volte mi sono chiesta
se sarei mai riuscita a finirlo! E ora che lo vedo completo mi sento
realizzata!
Bene, finalmente si passa al capitolo 21, i cui eventi
dovevano essere narrati esattamente nel capitolo 11 °w° cosa sarà mai slittare
di dieci capitoli?
Spero vivamente che questo capitolo 20 abbia dato risposte e
nuovi interrogativi. Ho finalmente svelato una sfaccettatura del carattere di
Nathan che da molto tempo attendeva di esser messa in luce. Aww, mi piace
questo personaggio, peccato che mi dia tanti problemi!
Ringrazio infinitamente per le recensioni che mi hanno
permesso di vincere quella scommessa con me stessa, vi adoro! <3
Grazie mille ai lettori, ai commentatori e anche a chi si
limita a tenere tra i preferiti/seguiti questa storia <3
Al prossimo capitolo!
Chu,
Sely.