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Autore: Herit    30/12/2010    2 recensioni
In una Midgar troppo sporca e macchiata dalla piaga della droga vive Cloud. Poliziotto che non fa altro che sopravvivere senza combattere o affrontare quelli che sono i fantasmi del suo passato. Nella stessa Midgar c'è una ragazza, Tifa, che l'aspetta paziente da troppo, troppo tempo, ma che non ha il coraggio di lasciarlo andare. Due persone tanto vicine da risultare tremendamente distante. E quando Tifa viene rapita, lui è costretto a fare i conti con il passato, con il presente, ed anche con il suo futuro.
Dal racconto:Vive da solo. Un fantasma di se stesso e di quello che era stato. La vita frantumata a soli ventitré anni. O per lo meno così si sente. Preda di sensi di colpa non suoi. Per cose che lui non ha fatto. Ed è forse per questo che si ritiene ancora più responsabile. [...] Con il braccio che non sorregge Denzel va ad avvolgere il collo del biondino, costringendolo a posare il capo chino sulla sua spalla. Lo stesso capo contro il quale lei appoggia il proprio. -Profumi di gigli. Sei stato alla chiesa.- Non è una domanda, quella della ragazza, ma una semplice constatazione. Lui la lascia fare. Gli piace quel contatto.
Genere: Azione, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Cloud Strife, Denzel, Marlene Wallace, Sephiroth, Tifa Lockheart
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Track 2. Other World:

The world with you.


La stazione. Avevo sempre pensato fosse un bel posto per passare il tempo. Gente che va. Gente che viene. Tante storie che si intrecciano tra di loro per brevi attimi e che poi si perdono per sempre. E poi magari si intrecciano ancora nel nuovo soffio di un attimo, ma in quel momento si è troppo presi da altro per accorgersene. E' in questo posto che tutto è cominciato.

Io a Midgar c'ero stato un paio di volte, da ragazzino. Uno dei tanti che ci passano nei loro viaggi e che di questa città portano con sé tanti ricordi di trasgressioni insensate. Io portavo con me il ricordo di tante belle ragazze con cui ci avevo provato. Quando si è un rubacuori professionista e dall'apparenza un po' frivola, c'è poco da fare. Fortunatamente all'alba dei miei ventidue anni avevo cambiato idea e mi ero arruolato nella polizia di questa città nella quale il lavoro certo non manca.

Era proprio nella Stazione di Midgar che avevo conosciuto per la prima volta Cloud Stife. Nemmeno diciassette anni. Un ragazzo piuttosto taciturno che avrebbe presto intrapreso la carriera del SOLDIER, disposto ad abbandonare, come me del resto, la propria casa e la propria famiglia. Disposto ad abbandonare tutto in nome di qualcosa in cui credeva davvero: la giustizia. E poi, ma lo potei scoprire solo in seguito, come molti ragazzini nutriva ammirazione e stima profonde per Sephiroth. Tanto che la prima volta lo vidi vacillare fu quando gli comunicai che era il nostro diretto superiore. Nello sguardo un bagliore emozionato che poche volte sono riuscito a vedere di nuovo.

Ricordo che quel giorno la stazione mi appariva come un film in bianco e nero. Una di quelle vecchie pellicole che nel tempo si è leggermente ingiallita. Ecco. Questo sembrava. Il grigiore di quel cielo che non è mai cambiato. Il grigiore di quella nebbiolina che poco a poco invadeva la città come un parassita che si nutre di tutto ciò che trova innanzi a sé, ingoiandolo ed inglobandolo. Gente che andava e gente che veniva. Uno di quei vecchi film che raccontava di quei poveracci che migravano dalla campagna alla città con la speranza di trovare lavoro. A Midgar, all'epoca -ma anche adesso credo-, avveniva il contrario. La gente si spostava dalla città alle campagne perché a Midgar era impossibile vivere una giornata tranquilla, senza che il notiziario delle dodici sparasse in prima pagina la cronaca nera oppure un titolo a piena schermata che comunicasse di questa o di quella rapina finita più o meno bene per rapinatori e/o rapinati. La vita nelle campagne era davvero più semplice.

Qualcosa spezza il ritmo dei miei pensieri e vedo davanti a me due occhi color smeraldo che mi fissano divertiti e io so già perché c'è quell'espressione su quel volto tanto carino e tanto amato. Si abbassa verso di me, stuzzicandomi il viso con i ciuffi più corti di capelli che le incorniciano la faccetta sempre dolce e vivace. Reclama un bacio che presto le arriva perché effettivamente a lei non so dire di no.

-A cosa stai pensando?- Chiede ad un soffio dalle mie labbra. Non ne sento il profumo. Non sento il calore del suo respiro. Non sento niente di quello che avrei sentito abitualmente. Alle anime non è concesso. Ma il sapore di quei baci non è cambiato da quando avevamo un corpo entrambi. Da quando facevamo l'amore. Da quando giocavamo sul letto con i cuscini perché magari lei aveva fatto il broncio e finivamo sfiniti a ridere stesi ed abbracciati dandoci degli stupidi perché era normale commettere errori ed era inutile arrabbiarsi quando bastava parlare. Peccato sia durata troppo poco e ormai non abbiamo più un letto su cui fare a cuscinate o un divano su cui buttarci dopo che eravamo tornati a casa sfiancati dal lavoro per... coccolarci un po'. Avevamo accelerato i tempi. Tutti ce lo dicevano. Dopo un solo anno di conoscenza, avevamo cominciato a vivere assieme, nel suo appartamento. Avevamo accelerato i tempi, ma ora come ora la reputo una fortuna: almeno avevamo potuto viverci un poco.

-Ad un certo biondino che probabilmente si sta ancora accusando di quel che è successo.- Le spiego mentre allungo le braccia per cingerle la vita. Una vita sottile. Il rumore della stoffa che fruscia che risuona nella mia mente. Il suono di ricordi. Il calore di un corpo che non potrei più sentire e che avvolge invece i miei arti.

Ricordi.

Ricordi.

Ricordi.

Fanno male, ma ringrazio di poterli ancora avere per me. Di non averli ancora perduti. La sento sospirare. Più per vezzo che per bisogno: le anime non respirano. Mi abbraccia il collo, posando la sua testa sulla mia, nascondendo il viso alla mia vista e restiamo così per un po'. Un tempo che non so definire, perché anche se siamo in una sorta di paradiso, il mio unico vero paradiso è con lei. Così. Lo era anche quando eravamo vivi. Ma in quel luogo il tempo non par nemmeno scorrere. Il soffio di un istante si amplifica all'infinito, senza trovare poi più inizio o conclusione.

-Sai che non si darà mai pace...- Non ha il suono di una domanda, quanto di una constatazione che le fa male e sentirla così mi invoglia a stringerla più forte, posando il capo sulla sua spalla. Non abbiamo un corpo, ma dopo tre anni che siamo morti, riusciamo a controllare la consistenza della nostra anima, tanto da non rischiare di trapassarci a vicenda. Ci abbiamo lavorato parecchio, eh! E finalmente abbiamo raggiunto un risultato davvero ottimo.

-Lo so. Ma cosa potremmo fare?- Dev'essere strano, per lei, sentirmi scoraggiato, tant'è che per qualche attimo non risponde, distaccandosi poco a poco da me e mostrandomi uno dei suoi sorrisi migliori. Non so che poteri magici abbia questa ragazza, ma ad un suo sorriso è impossibile opporre alcun tipo di resistenza. Ed un suo sorriso è in grado di tirarti su il morale anche quando ce l'hai sotto le suole delle scarpe. Ecco cosa ci vorrebbe a Cloud! Qualcuno che gli sorrida così. Ed ecco che torno a chiedermi perché ancora non abbia detto niente a Tifa. Perché si ostini a starle lontano. Vedere Mari e Denzel gli farebbe ancora meglio. Li ama. Sono la sua “famiglia”. E ancora si ostina a non rendersene conto. E poi: idea...

-Ci inventeremo qualcosa.- Mi risponde la giovane Cetra. Morta troppo giovane e per questo i suoi -nostri assassini- presto o tardi pagheranno. Eccheccavolo! E la giustizia dov'è a questo mondo, altrimenti? Rispondo al suo sorriso con un'espressione sorniona. Di chi ha già inventato quel “qualcosa”. La vedo sorpresa davanti ai miei occhi mentre le sue mani prendono a carezzarmi i capelli scuri, a porcospino. Tra me, Claud e Reno c'è competizione aperta, per quanto riguarda la capigliatura. Ma almeno la mia sta bassa. Aspetta in silenzio, mostrando impazienza solamente nel suo ostinarsi a guardarmi. Io però dissento con il capo. Devo trasgredire qualche regola, se voglio mettere in atto il mio piano e forse è meglio che lei non venga a sapere cosa voglio combinare. Il Paradiso lei se lo merita tutto.

-Stai tranquilla, Aerith. So cosa fare e come farlo.- La rassicuro semplicemente, facendo un po' il ruffiano, andando incontro alla sua mano con la testa, invogliando ancora quelle carezze che per qualche istante sono cessate. Obbediente, lei riprende da dove si è fermata, ricominciando a giocherellare con i miei ciuffi neri. E' ovvio che voglia spiegazioni, ma per il momento non gliene fornisco e sembra accettarlo. Si è sempre fidata di me. Lo fa anche ora e l'apprezzo per questo. D'altronde l'amo anche per questo.

-Zack, mi raccomando...- Non sa nemmeno lei cosa raccomandarmi. Ma quella frase è d'obbligo. Quel botta e risposta era ormai collaudato e rodato da tempo. Ogni volta che io e Cloud dovevamo partire per qualche ispezione, me lo ripeteva. Ogni volta che ci affidavano un malvivente da cogliere in fragrante io le ripetevo le stesse cose dette solo poco fa e lei si raccomandava. Era il mio motivo per tornare. Dirle: “Vedi? Non mi è successo niente! E adesso voglio un premio perché sono stato bravo.” Espressione sardonica e voce maliziosa. Sguardo accattivante. E Claud ogni volta diventava paonazzo al pensiero del “premio” che avrei ricevuto io. Mi piaceva la sua ingenuità da questo punto di vista. Di quel bambino cresciuto troppo in fretta. Di quell'adulto rimasto inconsciamente ancora bambino. Così scappava. Sono sicuro che andasse da Tifa, ma che quel che facevano, fosse ben lungi dalla notte di passione e tenerezza che avremmo affrontato io e questo fiore che ancora stringo tra le braccia.


   
 
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