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Autore: Ely79    12/01/2011    2 recensioni
Cosa spinge un uomo a schierarsi da una parte, piuttosto che da un’altra? Può l’amore spingere verso il lato più oscuro dell’animo umano?
Storia partecipante al contest "Re o Regina di Yule" indetto da The Death Eater.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Mangiamorte, Nuovo personaggio, Rabastan Lestrange
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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- Questa storia fa parte della serie 'Rabastan Lestrange'
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IV.
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Il baldacchino mi sovrastava con l’ombra oltremare del damasco. Ero nel mio letto, a casa mia, e non ricordavo come vi ero giunto. Negli occhi vedevo danzare ancora il rogo di smeraldo.
«Elanor» chiamai, scoprendo la mia voce un sussurro roco.
Rispose un silenzio sconfinato. Cercai di alzarmi, ma ogni parte del mio essere gridava di dolore, quasi fosse ancora in preda alle fiamme. Soprattutto il braccio sinistro, che ardeva con vigore e lanciava di continuo strali d’acuta sofferenza. Avrei voluto strapparlo via e se avessi trovato la bacchetta, con tutta probabilità, l’avrei fatto. La stecca di quercia però era scomparsa. Feci appello alle poche forze che percepivo aleggiare in quel sacco cadente che era il mio corpo e mi misi a sedere. Trattenni a stento un conato. Il puzzo mefitico dell’unguento pareva essersi attaccato a me come un’edera su un muro.
«Elanor» chiamai ancora, sforzando la gola più che potevo.
Fu ancora silenzio.
Non era da lei svanire a quel modo. Scesi dal letto, sorreggendomi ad una colonna. Come uno sciocco appellai la bacchetta con quanto fiato riuscii a spremere dai polmoni, aspettando in vano che questa mi raggiungesse.
Lo specchio mi rimandò un’immagine sconosciuta: un uomo alto e robusto, sul cui avambraccio gonfio e arrossato, campeggiava un’orribile chiazza nera. Immagini confuse del rito si riaffacciarono nei miei pensieri. Chi mi aveva ricondotto a casa? Perché ero ancora nudo e portavo addosso quel fetore nefasto?
Incurante dei capogiri, raggiunsi l’anticamera. Il mantello di Elanor non c’era. L’idea che le fosse accaduto qualcosa durante la cerimonia mi colpì come la peggiore delle Maledizioni.
«Elanor!» gridai, aggrappato alla porta.
La casa era vuota, priva di suoni.
Arrancai lungo il corridoio, tremando per le energie che venivano meno. L’aria era fredda, come se tutte le finestre fossero state spalancate sull’inverno. Desideravo la mia bacchetta, anche se non sapevo come fare per riportare indietro mia moglie, ovunque si trovasse. Barcollai sotto il peso delle vertigini, le pareti si piegarono ed il pavimento fuggì via da sotto i piedi.
Quando riaprii gli occhi, il baldacchino mi sovrastava per la seconda volta. A differenza del precedente risveglio, avvertivo una presenza al mio fianco e la piacevole sensazione di essere accudito con affetto.
Elanor era riapparsa, Materializzata come da un sogno. Stringeva con entrambe le mani la sua bacchetta, guidando monticelli di stoffa lungo le membra infiacchite.
«Purificans» mormorò, ed una pezzuola umida prese a tamponarmi il petto.
Allora si accorse che ero sveglio. Le sfuggì un singhiozzo e gli occhi verdi si velarono di lacrime. Mi gettò le braccia al collo, coprendomi di baci carichi di sollievo. E di nuovo percepii il suo incantesimo segreto, la dannazione del suo amore, far breccia nella mia anima e risollevarmi dalla debilitazione.
Le sorrisi, rubandole per un attimo la bacchetta. Ordinai alle tende di aprirsi, ma queste ondeggiarono lievi al loro posto, scomposte da una brezza leggera. Irritato, tentai un’altra volta. Un’altra ed un’altra ancora, prima che Elanor posasse dolcemente la mano sulla mia.
«Lascia. Faccio io, mio buon signore» disse e ripeté l’incantesimo.
I drappi obbedirono, scorrendo ai lati delle finestre. Nella tenue luce del giorno appurai le mie reali condizioni: la pelle era tesa e gonfia, non solo sul braccio; aloni scarlatti e lividi segnavano dove le fiamme erano divampate. Qualcosa poggiava sul mio petto: un sacchetto d’organza turchese contenente due pietre, chiuso con quelli che riconobbi essere i capelli di Elanor.
«Tormalina nera e Occhio di Tigre avvolti nell’azzurro per dissipare le energie negative e calmarti. E una mia ciocca per canalizzare i loro influssi. Non potevo permettere che Farran tagliasse i tuoi, sono troppo corti per questo genere d’incantesimi» spiegò, sforzandosi di sorridere mentre li scostava dalla mia faccia per baciare la ferita lasciata da Bellatrix.
Con difficoltà, mi sollevai sui cuscini mentre i tamponi terminavano di rimuovere le tracce dell’unguento. Elanor sollecitò un elfo perché si sbrigassero a portare quanto necessario al padrone. Poco dopo, un’altra creaturina deforme comparve scoppiettando, portando un vassoio con teiera e tazze fumanti.
Elanor la scacciò, accollandosi per intero la parte della balia amorevole.
La temporanea incapacità d’eseguire banali incantesimi domestici mi faceva sentire un grandissimo idiota. Un idiota, sì, ma molto fortunato.
«Tisana di passiflora con tre gocce di Pozione Letisonno» disse, accostando la tazza alle mie labbra. «Hai bisogno di quiete e riposo. Sei molto provato dall’iniziazione. Più di quanto lo siano stati gli altri, secondo Lucius. Pare che… quel mago… abbia voluto punirti per non esserti inginocchiato subito. Nessuno conosceva la fattura che ha usato. L’ha cancellata solo quando è apparso quello» e indicò intimorita il Marchio Nero.
Lo sentivo bruciare, graffiare, agitarsi come un animale vivo, annidato in profondità nella carne. Avvertivo la sgradevole sensazione di due occhi scarlatti puntati su di me, attraverso il tatuaggio.
«Avevi la febbre alta, deliravi… hai aggredito Farran e Rodolphus».
Lesse la domanda sul mio volto. Se avevo aggredito loro, avevo forse tentato di fare altrettanto con lei? Le avevo fatto del male?
«Mi hanno permesso di accudirti dopo che hai preso sonno» rispose accarezzandomi.
Bevvi un sorso, trovando l’infuso irrimediabilmente disgustoso. Avrei preferito un buon bicchiere di vino elfico o di Noite Ventosa*, un liquore portoghese noto per le sue proprietà medicamentose. Purtroppo, Farran, oltre ad disprezzare gli alcolici, sembrava non attribuir loro tali qualità ed aveva predisposto una cura a base di tinture madri delle piante più disparate, dalla valeriana al lentisco argenteo. Per quanto poco ferrato in Erbologia, sapevo che quegli intrugli avevano il solo scopo di assopire gli scatti d’ira e distendere i nervi. La sua mancanza di fiducia nel mio autocontrollo, per quanto fondata, mi offese.
«Dov’eri?» chiesi, allontanando la tazza.
«So che preferisci essere al mio fianco quando esco, ma volevo farti una sorpresa per quando avessi riaperto gli occhi. Non potevo mandare un elfo: Morgana sola sa cosa avrebbe combinato! E poi, ho dovuto impiegarne sei per riportarti a letto. Sei pesante, sai?» tentò di scherzare.
Appellò una scatola, poggiata sullo scrittoio in fondo alla stanza. Le rivolsi uno sguardo di rimprovero: stava usando troppi incantesimi, si sarebbe affaticata presto e non potevo permettere lo facesse per me.
Tolse il coperchio, mostrandomi l’acquisto. Sgranai gli occhi incredulo, prima sul contenuto, poi su di lei.
«So quanto ti piacciono, anche se non lo ammetterai mai» e aveva ragione.
Nella scatola si agitavano otto piccole zucche di Halloween di pastafrolla incantata, ripiene di crema scura. Dolciumi da bambini. E io non sapevo resistere. Un pasticcino piuttosto intraprendente sghignazzò forte e balzò fuori dalla confezione. Occorsero alcuni tentativi prima che riuscissimo ad accalappiarlo.
«Non atteggiarti a consumato veterano, Rabastan. Non con me» mi riprese, facendosi seria e triste. «Hai ventidue anni e fai parte dei Mangiamorte da meno di ventiquattr’ore. Datti tempo per divenire un eroe della causa, mio buon marito e signore».
Per mettere a tacere ogni eventuale protesta, prese la zucca fuggitiva e me la posò nel palmo. Quella si agitò cercando di svignarsela, spargendo briciole sulle lenzuola. Scossi il capo e la rimisi nelle mani di Elanor. Presi di nuovo la sua bacchetta per appellare la mia, finita nell’anticamera.
«Æquifracta» pronunciai, tornato padrone della mia asta.
Il dolce si aprì in otto spicchi arancioni e bruni, perfettamente identici. Riconobbi il profumo della cannella e delle castagne del ripieno. Lo stomaco esternò con veemenza il vuoto che l’attanagliava.
«Ora lascia che sia io a prendermi cura di te, per una volta. I mostri da uccidere sono molti e devi essere in forze per salvare la tua dama» sorrise, porgendomi uno spicchio. «Ho fiducia in te. Sono certa farai grandi cose per il Lord».
«Per te» corressi, infilando in bocca due spicchi di zucca.
«Per me» ripeté commossa, accoccolandosi al mio fianco.
«E così sia» decretai.
Avrei combattuto con onore, per debellare la piaga che infettava il nostro mondo. La piaga che affliggeva la mia Elanor.
«Sono buone?» domandò ironica, guardandomi addentare con avidità il quarto dolce in pochi minuti.
Inghiottii il boccone senza masticare, ignorando il suo guizzare sotto ai denti.
«Non quanto te».

*Noite Ventosa: Notte Ventosa

   
 
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