Libri > Harry Potter
Segui la storia  |       
Autore: Cassie chan    17/01/2011    18 recensioni
ATTENZIONE: non tiene conto degli eventi del settimo libro...!!Sono passati alcuni anni dalla fine della guerra, ed Hermione Jane Granger vive estromessa dal suo mondo, quello della magia, a causa di una condanna ricevuta tempo prima. Fidanzata delusa, disoccupata cronica, cinica perenne, Hermione ormai dispera dell'arrivo del principe azzurro. Ma quando arriva, non è facile riconoscerlo nelle fattezze affascinanti ma DECISAMENTE irritanti di Draco Lucius Malfoy, specie se babbano anche lui... ma la vita è decisamente strana e può anche capitare che ci si imbatta in una piccola fiaba, proprio quando si credeva di vivere in un incubo...:) PUBBLICAZIONE CAPITOLO 51 : 14 LUGLIO 2020
Per seguirmi con più costanza: https://www.facebook.com/groups/putaspellonhereyes/
Genere: Comico, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ginny Weasley, Harry Potter, Lavanda Brown, Ron Weasley | Coppie: Draco/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'THE "HAVE A LITTLE FAIRY TALE" SAGA. ' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo 30 – Love song requiem step 1

 

Alla mia amica Chloe, una dedica con tanto affetto

Ti voglio tanto bene…!

 

 

La mattina, bevo sempre il succo di ananas, ma, se sono terribilmente nervosa, senza accorgermene, ingurgito caffè amaro, nero e soprattutto bollente.

Quando c’è il sole, mi viene automatico indossare qualcosa di colorato, fosse anche una semplice sciarpa vivace e luminosa.

Il mio colore preferito è il rosso, ma in realtà tendo ad indossare maggiormente il bianco e l’azzurro, perché penso di attirare troppo l’attenzione con il rosso.

Ho rivisto “Moulin Rouge” dodici volte, ma mi fermo sempre quando Christian e Satine si riuniscono sul palco; il finale l’ho visto solo la prima volta, perché odio che lei muoia. 

Se mi taglio e vedo il sangue macchiarmi la pelle, chiudo gli occhi, tamponando la ferita, perché ho sempre paura che non finisca più di scorrere.

Quando è finita con Ron, ho evitato di guardarmi allo specchio per mesi, convinta di essere orrenda, e, da allora, resto davanti allo specchio massimo per trenta secondi.

Odio le barbabietole rosse da quando sono stata male per tre settimane, dopo averle mangiate, anche se, secondo ogni test ed analisi, avevo invece preso la mononucleosi.

Cerco di tenere acceso il cellulare massimo sette ore al giorno, perché mi illudo che così possa dedicarmi solo a me, ma poi metto la deviazione di chiamata per il numero di casa.

Il mio libro preferito è “Orgoglio e Pregiudizio”, amo il finale e che stiano assieme per sempre, ma rileggo sempre quando Lizzie rifiuta Darcy, perché mi ricorda me stessa.

D’estate quando mangio il gelato, prendo sempre il cono, mai la coppetta, e, se le calorie sono troppe, prendo anche la panna dicendo che oramai il danno è fatto.

Se sento “My sharona”, ho la bruttissima abitudine di mettermi a canticchiare, muovendo la testa come un pupazzetto da macchina, è più forte di me.

Se sto dicendo una bugia, mi mordicchio la pellicina attorno alle unghie; se invece dico una cosa ovvia nella sua verità, inarco sempre il sopracciglio destro. 

Sbatto sempre troppo violentemente le porte, le finestre, gli sportelli delle macchine, le ante degli armadi e delle dispense, i cassetti e le portelle dei generatori di corrente.

Dimentico sempre dove lascio le pantofole, ne ho già dodici paia per questo motivo, perché le ricompro e puntualmente poi le ritrovo.

Sollevo il mento, raddrizzo la schiena, allineo le spalle parallelamente al bacino, rilasso l’addome, punto il petto in fuori, mantengo i piedi uniti con i calcagni ben piantati…

… ma sono sempre gli occhi a tradirmi.

Particolari che non valgono a conoscere una persona, ovviamente. Sono quelle cose piccole, sciocche, minuscole, che fanno di un individuo quello che è.

Non valgono a conoscere una persona… ma valgono ad individuare quanto ne sai di quella persona. Se sai queste cose, così piccole, di quelle grandi devi per forza avere una conoscenza plenaria ed esaustiva. Sono come segnali luminosi, cartelli stradali, minimi indizi di ciò che sei. E chi sa decifrarli, o li ha saputi perlomeno notare, è come se avesse un accesso privilegiato alla tua persona, alla tua anima… al punto dove giace il tuo cuore segreto, come un tesoro da tirare fuori dalle viscere oscure della terra.

Quando mio marito mi guarda con sguardo assente, chiedendomi con un filo di voce perché, dopo tante volte, adesso invece mi rifiuto di fare l’amore con lui, vorrei rispondergli questo. Sebbene sembri il contrario, il sesso non è il modo più sublime di unire due persone. È solo uno dei tanti modi, meraviglioso, appagante, totalizzante. Ma non unico.

E io so che potrei anche fare l’amore con lui, senza problemi, lasciandomi andare ad una logica meccanica e primordiale, soddisfando l’istinto di ogni corpo, compreso il mio.

Non mi sentirei nemmeno in colpa, in fondo è di mio marito che si tratta… e poi si può davvero tradire una persona che, probabilmente, ormai ti ha sradicato del tutto da sé?

Ma non sarebbe ciò che mio marito vuole, penserebbe che sono finalmente di nuovo sua… e sbaglierebbe. E, quel che è peggio, è che stavolta io non sono in grado di spiegargli il perché del suo sbaglio.

Come ho sempre fatto. Come faccio da una vita… spiegare le cose a lui, fino a quando le capisca senza incertezze.

E Ron stavolta non potrebbe capire. Mio marito non potrebbe capire.

Perché lui, quelle cose piccole piccole… non le conosce. Nessuna, me ne sono già accorta. Anche se è stato con me per anni… ed è mio marito da cinque.

Quelle cose… vederle, scorgerle, intuirle, capirle… quando nemmeno io sapevo razionalmente che ci fossero… quelle cose le ho viste per la prima volta,tramite gli occhi di un altro, che dapprima le derideva, le ridicolizzava, le odiava… ma le vedeva. Le ha viste, fino ad accarezzarle con gli occhi. Fino ad amarle.

Ed esse mi hanno resa sua, per sempre.

Sua.

Per sempre.

Mi posso anche chiamare Hermione Jane Granger in Weasley… ma per sempre qualcosa, dietro la mia superficie, mi impone di chiamarmi Hermione Jane Granger in Malfoy.

In Malfoy.

Alexander Leo Malfoy. Esattamente come per mio figlio. Restiamo entrambi nell’essenza al di là di questa finzione, suo figlio, lui. E sua moglie, io.

Alex ha il sangue ad unirlo.

Io ho me stessa ad unirmi a lui. Perché, prima di essere sua nel corpo, prima di unirmi a lui nella carne… io sono stata sua nella sua mente.

Come lui è stato mio nella mia mente.

Perché tutte quelle cose… piccole, insignificanti al punto di non saperle nemmeno io… le ho viste tutte nei ricordi di Draco.

 

 

Come diamine ha fatto Draco Malfoy ad innamorarsi di Hermione Granger?

Quella domanda frana nei miei pensieri, rovinando come una valanga che non si può fermare, mentre Raissa dice pigramente di sì.

Mi mordicchio l’interno della guancia, nervosa, stringendo ancora Serenity che si divincola per continuare il suo gioco innocente. Zabini continua a parlare, sempre più irrequieto, misurando la stanza in grandi falcate e diffondendo un profumo acerbo di liquirizia, proveniente dalla quinta sigaretta che ha acceso in pochi minuti. Ciancia di tradimento. Non sa se tradirà Draco, non impedendo che io mi consumi lentamente ma inesorabilmente, oppure mostrando i suoi ricordi che lui gli ha affidato per ben altri motivi.

Sospiro, se avessi saputo che i Serpeverde hanno tutte queste crisi di coscienza…

La cosa peggiora con l’ingresso della Parkinson, che si sente in ovvio e discutibile diritto di esporre anche le sue tesi senza che nessuno glielo abbia chiesto. Tutto con una voce da gallina strozzata che mi fa rimpiangere di non essere, oltre che muta, anche sorda. Zabini, poi, che in un primo momento aveva preso in evidente considerazione l’idea di mostrarmi i suddetti ricordi, adesso cambia personalità all’arrivo di Pansy versione cornacchia urlatrice, e dice che non esistono ricordi che Draco gli ha dato e che stava solo parlando di una possibilità, remota ed assolutamente poco confacente al vero. Prima di iniziare a gettare di nuovo tutto all’aria, Raissa perde il controllo ed inizia ad urlare a sua volta, facendo tacere gli altri due.

“Io non ho promesse da rispettare, in palese contraddizione tra loro… ne ho solamente una… guarire la Granger… e dato che la mia sembra essere molto più attendibile della tua, Zabini, considerando che l’ho fatta solo un’ora fa, mi sento in dovere di considerarla prioritaria… ma se vogliamo rispettare la democrazia con grande tatto ed assoluta inappropriata eleganza, facciamolo pure… ma mi riservo che la stessa fedeltà la usiate per comunicare a Malfoy, non appena sarà tornato, che la donna che ama è ormai un cadavere… e si sarebbe salvata se voi non fosse stati così pedantemente fedeli da proteggere i suoi ricordi…”. 

Dopo quelle parole, accade tutto velocemente, troppo velocemente.

Compare il Pensatoio, assieme ad una bottiglia intarsiata di fiori d’oro, vorticante di una nebbia argentata. Zabini ci punta contro la bacchetta e, dopo aver sillabato una specie di parola d’ordine che non riesco a sentire, essa si apre con uno stridio fastidioso. Il flusso di ricordi scorre nel Pensatoio velocemente, come l’acqua di una cascata, Zabini la richiude prima che scorrano del tutto.

Nella bottiglia, restano evidentemente solo quelli di Helena.

Stavolta essi mi sono risparmiati… stavolta… ci sono solo io…

L’eccitazione mi fa sudare le mani, le stringo freneticamente una dentro l’altra. Non penso alla possibilità di tornare libera. Non ci riesco.

Penso solo a Draco. Al mio desiderio di capire.

E, senza nemmeno rendermene conto, il mio viso già infrange la superficie densa come mercurio e rilucente come diamante.

L’inferno di porte chiuse, che è la mente di Draco, si riapre di nuovo ai miei occhi.

 

 

La mente di Draco è cambiata dall’ultima volta, in cui ci sono stata. Quando era lui a guidarmi, nel corridoio immenso pieno di porte di ogni dimensione e colore, esse erano quasi tutte chiuse, sigillate, inaccessibili. Ora, invece, al mio silenzioso passaggio, esse si aprono tutte, dalle più piccole alle più grandi.

Potrei entrare in ciascuna di esse, se solo lo volessi… incredibile

Allora, Draco mi aveva indirizzato in modo frettoloso e spedito per mostrarmi i ricordi di Helena in modo che capissi di non avere speranze con lui, oltre di essere stata usata tutto il tempo da quando ero arrivata al Petite Peste. Adesso, invece, mentre scivolo come un fantasma, argentea come un pensiero, non ho alcun limite. Guardo per qualche istante le porte disposte in fila, improvvisamente incerta su quale varcare e su come trovare me stessa in quel labirinto, curiosa dei ricordi di Draco, eppure contemporaneamente quasi timorosa di invadere la sua privacy per cose che non mi sono state concesse. La mia ricerca si ferma, quando, dritto davanti a me, rivedo il portone della scorsa volta.

Quello di legno chiaro, inciso di rose che descrivevano voluttuosamente le iniziali di Helena.

Devo essermi persa, arrivando di nuovo qui… o Zabini mi ha mandato nei ricordi sbagliati. Sto già per innervosirmi e per tornare indietro con passo marziale, quando il portone frana su sé stesso, come se si fosse fatto di sabbia. Spaventata, mi ritraggo su me stessa, pensando di aver fatto io qualcosa di sbagliato, mentre i chiavistelli, le serrature e i pannelli si sgretolano, diventando polvere chiarissima e luminescente. Come sotto una tempesta di vento, la sabbia si solleva, soffiando contro il mio viso. Stringo gli occhi irritati, coprendomi il viso con le braccia, mentre delle strane parole prendono forma nella mia mente, respirando nelle mie orecchie.

 

“E’ un maschio, signora Malfoy! Uno splendido maschio! Come avete intenzione di chiamarlo?”.

“Draco… Draco Lucius Malfoy…”.

“E’ un nome potente mia signora… si dice DRACO DORMIENS NUMQUAM TITILLANDOS…”.

“Spero che gli insegni appunto ad essere forte ed implacabile… quando lo sottoporrete al rito? Il Signore Oscuro ne ha richiesto immediatamente l’esecuzione… vuole accertarsi che Draco gli sia destinato…”. Una pausa incerta e sofferta.

“Suo marito ne ha dato già esecuzione… aspettano il risultato della cera a momenti…”.

“Non capisco come faccia una cera sciolta nell’acqua a decretare il destino di una persona… delle forme casuali possono guidare un bambino? E se non uscissero le iniziali del Signore Oscuro? Non vorrei che…”.

Un’affrettata rassicurazione. Una porta che si apre, sbattendo. Una domanda concitata. Una risposta addolorata.

“La cera non ha assunto le forme delle iniziali del nostro Signore …”.

“E cosa, allora?”. Materno sollievo malcelato.

“Tre lettere incomprensibili… H.J.G… è in esse il destino di vostro figlio Draco, mia signora…”.

 

Riapro a fatica gli occhi. Il giorno della nascita di Draco… le iniziali…

Avevo letto da qualche parte di questo rito, compiuto ancora dalle famiglie Purosangue di più antica tradizione. Si scioglie la cera di una candela accesa dentro un catino d’acqua fredda, e, dalla forma assunta dalla cera medesima, si determina il destino del neonato.

Può prendere la forma di un qualche oggetto, indicando una qualche propensione futura, oppure appunto le iniziali di qualcuno che sarà determinante nella vita del bambino. Ron è l’unico che conosco, fino ad ora, che lo avesse subito da piccolo, e mi disse che assunse la forma di un triangolo, probabilmente già testimone del rapporto tra me, lui ed Harry che gli ha decisamente cambiato la vita.

Lessi anche che, nei tempi dell’ascesa di Voldemort, i figli dei Mangiamorte si auguravano segni quali le iniziali del loro Signore, sia come Tom Orvoloson Riddle che come Voldemort, o altri simboli ugualmente nefasti che avrebbero inequivocabilmente testimoniato che il loro figlio era legato a Voldemort. Lui stesso se ne accertava personalmente, dando molta importanza a tale rito, ma, alla sua seconda ascesa, non ci dette più alcun peso, sempre meno convinto di persone che gli potessero essere fedeli a vita, se non per calcoli utilitaristici più che per un improbabile destino forgiato da cera liquefatta.

Draco… l’ha subito anche lui da piccolo, ovviamente… Voldemort era ancora al potere quando nacque… e si auguravano le sue iniziali…

Invece… quelle di Helena… e lei effettivamente gli ha cambiato la vita…

Ma… quelle sono anche… le mie…

Per questo, sono arrivata qui… dietro a quel portone, non c’è mai stata solo Helena… ma… anche io…

Assurdo… ogni cosa, da giorni, mi sembra sempre più assurda.

Sono sempre stata nel destino di Draco. E, di conseguenza, lui nel mio. Incredibile anche solo pensarlo… l’implicita conferma mi viene quando vedo dall’altra parte della soglia, dove prima c’era quel mastodontico portone, lo specchio in cui avevo visto la storia di Helena e Draco. Esso si illumina di luce azzurrognola, splendendo come la superficie di un mare illuminato dalla luna. Mi avvicino cautamente, quasi temendolo, e le prime immagini che riesco a distinguere, mi lasciano senza fiato.

Il treno rosso di Hogwarts. Il primo settembre di quasi tredici anni fa.

Sono nei ricordi di Draco già allora…

 

 

Il colore rosso dell’Espresso per Hogwarts lo irritava profondamente, l’aveva già deciso Draco Lucius Malfoy, undici anni, non appena lo aveva visto per la prima volta.

Certo, ne aveva sentito parlare nei racconti di chi era andato ad Hogwarts prima di lui, o lo aveva visto nelle fotografie dei suoi genitori, ma lì, dal vivo, con la nuvola di vapore tutt’attorno e il sole che lo illuminava rendendolo come un fuoco notturno, ne passava di acqua sotto i ponti. E Draco aveva già deciso che non lo sopportava.

Perché, poi, era rosso come i Grifondoro? E non verde come i Serpeverde? Si chiese con una punta di ulteriore disprezzo e fastidio. 

Doveva essere sicuramente un’idea di quel babbanofilo di Silente, quello si fa venire idee che nemmeno la più stupida delle mezzosangue si farebbe venire. Questo, almeno a sentire suo padre. E Silente, per quello che ne sapeva lui, era maschio e purosangue.

Camminava impettito lungo il binario 9 e ¾ , l’elfo domestico alle sue spalle che spingeva a fatica il pesante baule verde smeraldo. Draco lo guardò stomacato, mentre sudava accaldato in quell’ancora calda mattina di settembre, e si fermava a riprendere fiato, rimproverato immediatamente con un gelido sibilo da Lucius Malfoy. Il piccolo elfo, la cui pelle grinzosa era imperlata di piccole gocce di sudore, prese a tremare violentemente, riprendendo immediatamente il suo lavoro a ritmo più sostenuto. Draco si sentiva così importante, mentre camminava a fianco di sua madre e suo padre, il mento fieramente alzato.

Sua madre era la più bella tra le altre mamme, gettò un’occhiata divertitamente sprezzante a quella che sembrava la madre dei Weasley, impegnata a trattenere per un braccio una piccola furia dai capelli rossi che strillava come un’ossessa. Narcissa invece volteggiava come una sirena, stretta nel suo abito blu oltremare che faceva risaltare gli occhi chiari e la criniera bionda. Draco la guardò orgogliosamente, fiero della sua famiglia, stringendo nella manina paffuta la sua bacchetta nuova di zecca, imitando il contegno aristocratico di suo padre, che la impugnava sempre sotto il mantello leggero come una nebbia di vento.

Le occhiate che la gente, al loro passaggio, li scoccava, li sembravano un degno e scontato coronamento.

Narcissa, a quegli sguardi, però, stringeva freneticamente la spalla del figlio, sospingendolo in avanti, mentre Lucius accelerava il passo, inarcando in avanti la schiena.

Improvvisamente, Draco intercettò il cenno ossequioso di saluto di una donna alta, dal viso arcigno. Narcissa sorrise nella sua direzione, avvicinandosi a lunghe falcate.

“Buongiorno Cissy, cara…” la salutò amichevolmente la donna, baciandola su entrambe le guance. Alle sue spalle, comparve un uomo tarchiato e brizzolato che prese a parlare con Lucius.

“Ciao Charisma…” rispose educatamente Narcissa, distaccandosi alla manifestazione d’affetto decisamente troppo calorosa per una donna fredda come lei.

Draco sospirò, guardando i due adulti parlare con i suoi genitori. Per un attimo se ne era dimenticato ed aveva sperato di passare indenne per il binario, salendo di soppiatto sul treno.

Ed, invece,  se c’erano loro, voleva dire che c’era anche…

“Ciao Draco!!” una voce squillante gli perforò immediatamente le orecchie, attirando l’attenzione per il suo spropositato volume di un gruppo di ragazzine del quinto anno.

Per un tremendo ed imbarazzante minuto, gli parve persino che ne fosse sovrastato ed ammutolito anche il cicaleccio dell’intero binario. 

“Ciao Pansy…” rispose con poco calore Draco, roteando il capo per guardarla in viso, mentre spuntava oltre la schiena di sua madre Charisma. La bambina, che aveva un viso severo come quello della madre, lo salutò con la mano, avvicinandosi immediatamente a lui e prendendo a chiacchierare con confidenza. Era vestita di tutto punto, indossava un costoso vestito di velluto rosso che fece aumentare l’emicrania di Draco ancora di più.

Si conoscevano da anni, lui e Pansy, e spesso a Draco era capitato di intercettare discorsi strani dei suoi genitori che avevano a che vedere con parole sconosciute come “dote” e simili. Spesso, infatti, i Parkinson venivano a casa sua e peroravano la tesi che la “loro dote” era sicuramente maggiore di quella di Astoria, un’altra ragazzina odiosa che Draco conosceva di vista. Era troppo piccolo per capire che cosa si celasse dietro quelle parole, ingenuamente pensava che si trattasse di un paragone tra le qualità delle due bambine.

Ed era una bella lotta, considerando quanto fossero odiose entrambe.

I suoi genitori erano molto amici dei Parkinson, e lo avevano sempre pregato di trattare bene Pansy, anche se a Draco era sempre sembrato abbastanza difficile: troppo appiccicosa, chiacchierona e soprattutto aveva la precipua caratteristica di pretendere da lui attenzione assoluta.

Pretesa che Draco, dall’alto del suo cognome, non riusciva assolutamente a giustificare.

Ma, anche quel giorno, al momento di salutarlo, la madre lo aveva pregato di essere sempre gentile con Pansy e di fare amicizia con lei. Draco replicò infastidito di sì e meditò di seminarla quanto prima una volta salito sul treno, quando avrebbe cercato i suoi veri amici. Blaise, Vincent, Gregory. E soprattutto avrebbe cercato anche Potter…si diceva che sarebbe venuto a scuola quest’anno.

Era una celebrità, anche se Draco non aveva capito esattamente che diamine avesse fatto per esserlo. Si diceva che fosse sopravvissuto all’Avada Kedavra di un mago molto potente… e se quello lo avesse semplicemente mancato?

Boh… comunque, i suoi avevano piacere anche che legasse con lui. O meglio che lo controllasse. Chissà perché…

Lucius lo salutò con una semplice alzata di capo, dicendogli di fargli sapere se qualcosa andava storto. Draco inarcò scetticamente un sopracciglio, dandogli le spalle. Le porte del treno si chiusero con un cigolio e il mezzo partì, sbuffando. Affacciato dal finestrino, Draco vide i suoi genitori diventare sempre più piccoli, fino a sparire del tutto in un lampo biondo. Pansy continuava a parlare e lui fece molta meno fatica a negare la stretta al cuore che provava a vederli allontanare, con lei che non gli avrebbe comunque fatto dire mezza parola.

Era contentissimo di andare ad Hogwarts, sicuro che sarebbe stato smistato a Serpeverde come sua madre e suo padre, certo che sarebbe stato il bambino più lodato e stimato, come era avvenuto in quella stazione… ma al contempo, era la prima volta che si ritrovava senza i suoi genitori, e questo gli faceva un po’ paura.

Certo, suo padre lo aveva rassicurato a suo modo, dicendogli che qualsiasi sgarro che avesse subito, glielo avrebbe dovuto comunicare e lui avrebbe agito di conseguenza.

Ma questo aveva aperto nuove voragini nei pensieri del figlio… perché doveva subire dei torti?

“Andiamo a cercarci gli altri, che ne dici?” cinguettò Pansy guardandolo, e Draco annuì, più preso dalla possibilità di scaricarla che dalla eventualità di restare solo con lei, come lei probabilmente sperava. Ovviamente, Pansy riprese a parlare con voce forsennata, contribuendo alla confusione che già Draco sentiva e che veniva amplificata dal vociare concitato dei ragazzi che correvano, entravano ed uscivano dagli scompartimenti o che si riabbracciavano dopo l’estate. Draco li guardava con curiosità, chiedendosi se l’anno prossimo anche per lui sarebbe accaduta la stessa cosa. In questo, Pansy continuava a parlare di migliaia di cose assieme, senza che lui si desse la benché minima pena di ascoltarla attentamente. Era così presa dal suo discorso da non accorgersi nemmeno di una figura accovacciata per terra, a qualche passo da loro. Draco l’aveva notata prima di lei e riuscì a fermarla in tempo, prima che la calpestasse, prendendola per un braccio. Pansy lo guardò attonita, poi si accorse al suo cenno del capo dell’ostacolo.

“Si può sapere che diamine ci fai per terra?” chiese Pansy, innervosita, guardando la bambina accucciata per terra e mettendosi le mani sui fianchi “Potevo cadere…!”.

Draco alzò gli occhi al cielo, quante tragedie inutili…

La bambina si alzò in piedi, rivelandosi completamente alla vista di Draco, scuotendosi la polvere di dosso alla divisa nera di Hogwarts che già indossava. Guardò Draco per qualche secondo, sbattendo le ciglia con espressione confusa e sorpresa, per poi alzare orgogliosamente il capo.

Era una bambina assolutamente ordinaria, come ce ne sono tante. Aveva i capelli cespugliosi, ispidi ed elettrici, che sembravano un vespaio impazzito di riccioli e boccoli disordinati. Lo ispirava curiosamente a ridere, per quanto sembrasse buffa, specie quando aprì la bocca rivelando anche due ugualmente ridicoli incisivi, grandi più del normale. Per Draco, doveva essere una di quelle persone che si dovevano solamente nascondere dalla faccia della terra, per non subire il ludibrio altrui. Eppure, notò, dopo qualche momento, che invece la sua espressione era altezzosa ed orgogliosa, non c’era nulla in lei che presagisse che si vergognasse di qualcosa del suo aspetto, anzi ne sembrava esageratamente fiera.

Che razza di controsenso… gli occhi apparivano curiosi, attenti, sgranati su ogni particolare di chi si trovava di fronte. Era fastidiosamente irritante anche nel modo di stare in piedi, con la schiena dritta e i piedi uniti.

Sembrava la figlia di qualche Mago potente e nobile, conscia completamente del suo ruolo nel mondo. Draco sospirò in modo quasi teatrale, allontanandosi. Probabilmente doveva aspettarsi che i suoi chiamassero anche i genitori di quella bambina ridicola per compararne la “dote”.

Spiccava persino nella folla di ragazzini che salivano al castello, dopo aver attraversato il Lago nero sulle piccole imbarcazioni. La sua chioma vaporosa era impossibile da ignorare.

Era come il treno rosso di Hogwarts nella sua testa, li irritava i nervi ottici.

La chiamarono prima di lui, per lo Smistamento. Tese le orecchie per sentirne il cognome, l’elemento di discrimine di ognuno di loro, in quella Sala.

Due sillabe, dal suono liquido e duro. Granger.

E Draco capì di essere caduto nell’errore più grande e umiliante della sua brevissima vita. Era una Mezzosangue.

Alla fine della giornata, nel suo nuovo letto, confuse la nostalgia per casa con la prima irritazione per la neo Grifondoro.

 

La tenerezza di vederci di nuovo così piccoli, per un attimo, mi attanaglia il pensiero, confondendomi. Appoggio la fronte sullo specchio palpitante di colori ed immagini che vorticano per mostrarsi già ai miei occhi. Mi viene da sorridere, curiosamente, dopo essermi rivista. Ero buffa, davvero… e pensare che ero anche convinta di essere bellissima ed intelligentissima.

Porto entrambe le mani sullo specchio, sofferente.

Quel giorno abbiamo messo la prima pietra del mondo che ci avrebbe divisi…

 

L’urlo di dolore ruppe il silenzio perfetto e riverente che godevano i sotterranei, durante le lezioni di Severus Piton. Un gruppo di venti studenti contrasse contemporaneamente le spalle, sollevando gli occhi dalle pagine ingiallite del manuale di Pozioni e dai calderoni che ribollivano ingredienti mescolati in modo più o meno preciso. Passarono pochi secondi che l’intera stanza fu avvolta da un fumo acre di colore nero scuro che aveva una consistenza densa e pesante, tanto da indurre tutti a tossire con prepotenza.

Un lampo di luce verde-oro e la nube si dissolse velocemente, come era nata. Severus Piton ripose la bacchetta con un gesto lento e annoiato, gettando un’occhiata raggelante dietro gli sporchi capelli neri per individuare il responsabile del disastro. Dopo aver appurato che stranamente non si trattava di Neville Paciock, che era ancora intento a tagliare la radice di Mandragola in un modo così goffo e grossolano che non avrebbe potuto utilizzarla nemmeno per un minestrone di dubbio gusto culinario, percorse la stanza con uno sguardo obliquo, vagando tra fronti volutamente abbassate ed occhi desiderosi di scoprire la nuova vittima sacrificale di Piton.

Potter e Weasley erano anche loro ancora intenti all’aggiunta della Polvere di Girilacco, si erano fermati con le mani a mezz’aria, le espressioni cupe e nervose. Con una punta di dispiacere, Piton si rese conto che quindi non era stato nessuno dei Grifondoro. Andò quindi con estrema riluttanza a scandagliare le file dei Serpeverde, scoprendo in fretta il colpevole dell’esplosione. Vincent Tiger, infatti, si teneva la mano sinistra ustionata con l’altra, gemendo silenziosamente. Draco Malfoy, accanto a lui, sospirava rumorosamente, guardando il calderone che divideva con lui parzialmente esploso.

“Signor Malfoy, la pregherei di andare in infermeria a prendere un medicamento per il signor Tiger…” ingiunse Piton con voce melliflua, guardando il suo pupillo “… e per voialtri, non credo che nessuno vi abbia detto di fermarvi… cinque punti in meno per Grifondoro…”. Gli studenti rosso-oro ripresero immediatamente a lavorare, riempiendo nuovamente il freddo scantinato di chiacchiere sussurrate, ferme imprecazioni contro il professore e risate trattenute all’indirizzo di Tiger che, intanto, continuava a tenersi la mano ferita.

Draco uscì dalla stanza con un lieve sospiro, intimando a Tiger di riprendere immediatamente a preparare la Pozione. Il ragazzo con foga riprese a tagliare la radice di Mandragola con una mano sola. Draco si chiuse la porta alle spalle, risalendo le scale ed attraversando i corridoi deserti, attraversati solo da gruppi nutriti di studenti che andavano da una lezione all’altra, accompagnati rigorosamente da insegnanti e prefetti. Uno di essi, uno sciocco Tassorosso del secondo anno, lo guardò obliquamente, chiedendosi sicuramente come mai lui invece se ne andasse libero e tranquillo per la scuola. Poi il suo sguardo si distese, diventando gelido, mentre voltava il capo, riprendendo a parlare con una ragazzina dalle trecce bionde.

Passando accanto a lui, Draco sentì distintamente la ragazzina sussurrare: “Ovvio, Ernie… quello è Draco Malfoy… figurati se il Basilisco va ad attaccare lui… Serpeverde e Purosangue …!”. Draco scrollò le spalle con indifferenza, sentendosi fiero di quelle definizioni che lo ponevano una spanna sopra i comuni studenti, costretti invece a farsi accompagnare a lezione come dei poppanti. Lui, lì dentro, non rischiava nulla. Anche se avesse incontrato l’Erede di Serpeverde in persona, probabilmente sarebbe stato lui ad inchinarsi di fronte a Draco… o almeno lo avrebbe sicuramente lasciato tranquillo.

Draco continuò a camminare pigramente verso l’infermeria, le mani in tasca, godendosi la sensazione di quiete e silenzio. Quella scuola doveva essere sempre così, altro che quella feccia che la infettava costantemente. Forse, dopo che il Basilisco avesse fatto pulizia e quell’incapace di Silente se ne fosse andato, la scuola avrebbe riaperto con un nuovo ordinamento.

Niente più mezzosangue e babbani.

Suo padre lo sperava più di ogni altra cosa.

E Draco con lui.

Il ragazzo biondo si fermò a guardare fuori dal porticato, gli occhi grigi pigramente poggiati sui ritagli di sole che bagnavano il cortile come oro liquido, filtrando dalle nuvole che attraversavano velocemente il cielo primaverile.

Tante cose stavano per cambiare… e lui doveva essere pronto.

Poggiò un braccio piegato su una delle colonne di pietra che delimitavano il porticato, sospirando lievemente e socchiudendo gli occhi.

Quasi spaventato da quel gesto, girò bruscamente su sé stesso, bussando alla porta dell’infermeria alle sue spalle. Dall’interno, non proveniva alcun rumore e nessuna voce.

Imprecando per l’assoluta incompetenza del personale di quella scuola e maledicendo sua madre per non avergli permesso di andare a Durmstrang, il ragazzo entrò cautamente nella stanza, accostando immediatamente la porta alle sue spalle. L’infermeria, come aveva previsto, era assolutamente vuota, Madama Chips era chissà dove, all’anima sua.

Draco roteò gli occhi, innervosito, guardandosi attorno tra i letti parzialmente celati da tende immacolate, sospinte dal vento che entrava dalla finestra lasciata aperta. Il silenzio era assoluto, completo, alle orecchie del ragazzo giungeva solo il vociare soffuso dell’aula vicina e il rumore metallico degli anelli che reggevano le tende che, al muoversi delle stesse, battevano contro le aste che sormontavano i letti.

Si mosse indolentemente annoiato verso una serie di mensole, ingombre di boccette piene di strani liquidi colorati, su cui torreggiavano delle etichette che ne spiegavano sommamente il contenuto; se quella dannata donna non si muoveva, almeno cercava di fare da solo. Una volta, la stessa Madama Chips, quando si era recato in infermeria per una ferita post partita di Quidditch, gli aveva detto di fare da solo, dato che era impegnata a medicare una bimbetta del primo anno. Che non lasciasse tutto per porgere le sue solerti cure al rampollo dei Malfoy, era parso ovviamente strano all’undicenne Draco, che quindi aveva combinato un pasticcio con le pozioni, in modo da farla rimproverare duramente, mentre lui ghignava con soddisfazione. Ma dubitava che stavolta sarebbe successo… l’infermiera era impegnata oltremisura in quei giorni, a causa del Basilisco e delle sue vittime.

Quindi, nessuno si sarebbe sognato di muoverle un rimprovero di qualsivoglia natura.

Inoltre, la cosa poteva anche tornagli utile… la solita emicrania che lo colpiva sempre all’assoluta mancanza di efficienza della gente che lo circondava, gli stava perforando il cervello, quindi, provvedendo da solo, avrebbe trovato un rimedio anche per quella, senza che l’infermiera lo ammorbasse con inutili domande di circostanza. 

Attraversò la stanza silenzioso, acclimatandosi perfettamente alla quiete che lo circondava, superando la fila di letti e raggiungendo velocemente la libreria dove le boccette splendevano di luce colorata, rinfrangendo i raggi bianchi del sole in gocce arcobaleno. Scorse con il dito i vari nomi delle pozioni, cercando di ricordarne le funzioni e le proprietà, la sensazione d’intrusione al cervello che aumentava di minuto in minuto. Si portò una mano sulla tempia, sofferente, era talmente intensa e fastidiosa che si era tradotta nella sensazione che qualcuno lo osservasse, quando invece la stanza era ovviamente e vistosamente deserta. Il respiro gli accelerò in preda ad un’ingiustificata ed assolutamente anormale ansia, mentre, frettolosamente, cercava il medicamento per le bruciature, trovandolo alla fine, con enorme e poco celato sollievo, in una boccettina panciuta che conteneva un liquido denso di colore arancione. Si voltò su sé stesso, smanioso di tornare nel buio eppure accogliente sotterraneo di Piton, chiedendosi come mai sentisse quel senso assurdo di oppressione al petto, come una premonizione improvvisa che gli faceva persino dubitare di essere immune ed al sicuro in quella scuola, come pensava da quando il Basilisco aveva preso ad attaccare babbani e mezzosangue.

Ma, quando si voltò, lentamente, quasi come se temesse davvero di incontrare gli occhi gialli del mostro leggendario a pietrificargli lo sguardo, il sollievo curvò le sue labbra in un sorriso sardonico e soddisfatto.

Era solo… lei.

Il passo di un predatore della notte, implacabile eppure leggiadro, si avvicinò all’ultimo letto, prima della finestra, reso visibile dalla tenda lasciata distrattamente aperta. La gola bruciava di una risata urticante, come sapone negli occhi, mentre guardava il corpo immobile della ragazza, distesa su quel letto, una mano sollevata in alto come se tentasse disperatamente di stringere qualcosa, i tratti congelati in una perenne e nefasta sorpresa.

Erano passate alcune settimane da quando il Basilisco aveva pietrificato la Granger. E, quella sera, Draco aveva dato una festa nella sua camera, ridendo sguaiatamente con Blaise e gli altri Serpeverde ed improvvisando persino un balletto tribale sul suo letto, a cui era seguita una pomiciata appassionata con Pansy. Dio, era così felice che non si era nemmeno accorto di quello che faceva… e il giorno dopo, con lei convinta di essere diventata ormai a tutto diritto la futura signora Malfoy, era stato decisamente seccante rimettere le cose a posto e convincerla che si era trattato solo di un errore.

Ma, nonostante quell’indubbio fastidio, non avrebbe mai rinnegato quel momento di assoluto e perfetto godimento… il momento in cui tutta la scuola aveva saputo dalla voce impastata di dolore e pianto della Mc Granitt, che Hermione  Granger era l’ultima vittima del mostro. L’aveva sperato, se l’era augurato diverse volte parlando con Tiger e Goyle, e finalmente era stato accontentato.

La guardò con divertimento, schernendola nel pensiero.

Della Granger, odiava tutto… tutto. Non c’era cosa che non gli desse fastidio, considerò guardandola.

Il tempo si era fatto più caldo nelle ultime settimane, preannunciando l’arrivo celere e veloce di spruzzi d’estate, ma lei indossava ancora un pesante maglione di lana grigia, sopra la gonna a pieghe della divisa, che le lasciava scoperte le gambe fasciate in un paio di calze nere molto coprenti. Seguì le linee del suo corpo, fino a quell’odiosa mano che ancora era protesa in alto, come lei faceva sempre in classe, facendola scattare ancora prima che il professore di turno finisse la sua domanda. Adesso, invece, nelle aule regnava il silenzio ammantato di paura e timore che Draco tanto adorava. E che non gli faceva scoppiare la sua solita emicrania.

Che soddisfazione… l’avrebbe pagato il Basilisco, se lo avesse visto.

Chissà che diamine di pagamento, poteva desiderare una bestia del genere, poi… 

I capelli, impreziositi da minuscoli fili di bronzo dorato creati dalla luce del sole, indoravano il cuscino bianco latte, sparsi come se lei fosse in tutto e per tutto morta. Draco si chinò guardandoli, per un attimo curioso della loro consistenza. Chissà se assomigliavano a quelli delle statue, cesellati fino ad ogni ricciolo e boccolo, in modo da suggerire l’idea di una morbidezza che era solo un’illusione di freddo marmo liscio. Sembravano così reali… eppure, come il resto del corpo della Mezzosangue, erano immobili come il suo respiro, come qualsiasi cosa di lei… si chiese, guardandola con disgusto, se dietro la pelle granitica, lei fosse effettivamente ancora in grado di sentire. Se, insomma, lo vedesse, lo sentisse, ma fosse solo incapace di muoversi.

Infantilmente, fu quasi preso dalla smania di farle un dispetto qualsiasi, tipo tapparle il naso tra il pollice e l’indice per vedere se reagiva in un qualche modo, o rovesciarle qualcosa di liquido addosso.

Qualsiasi cosa…

… di lei lo disgustava qualsiasi cosa. Il corpo ancora così acerbo come quello di una bambina, piegato spesso dal peso dei tomi che si portava avanti ed indietro. Le mani dalle unghie rosicchiate e malcurate, le cui dita stringevano sempre con foga quasi smaniosa le penne intinte d’inchiostro, che solo lei sapeva far scorrere a quella velocità sovraumana, mentre scriveva. Le labbra che celavano a fatica quegli odiosi incisivi, che sfuggivano un respiro articolato in suoni e parole sempre irritanti e sempre pronunciati a sproposito. La zazzera di capelli che, sebbene cercasse di domare in ogni modo con fasce e fermagli di dubbio gusto, era sempre disordinata e incolta, come se alla fine si arrendesse e semplicemente non le importasse più.

Ma di lei, le dava assoluto fastidio il nome.

Hermione Granger.

Il nome… constatò, stringendo i pugni e serrando la mascella mentre la guardava. Nulla di lei era cambiato in quegli istanti, nulla, nemmeno il colore terreo della pelle del viso.

Quel nome, che recava ancora la colpa inconfessabile di quel giorno di un anno prima, quando, per via del suo assolutamente ingiustificato contegno e rigore aristocratico, gli era sembrata una Purosangue… era diventato sinonimo di una condanna. Era il nome che suo padre inseriva nei discorsi per farlo sentire in colpa, paragonando con scherno le doti della Mezzosangue alle sue.

Se Draco falliva, Lucius chiosava che persino la Granger ci sarebbe riuscita. Oramai era il paragone assoluto, il contraltare di ogni cosa che facesse.

Ovviamente, Lucius usava il nome della ragazza con irrisione, facendo scivolare le consonanti dure e liquide con grazia disgustata e instillando nell’animo di Draco l’adeguato senso di inferiorità che sperava lo spingesse a migliorare, nel sentirsi, non solo paragonato, ma anche perdente, di fronte ad una lurida Sanguesporco. 

Ma, anche a scuola, quel nome era dappertutto. Sulle bocche dei professori, ad eccezione di Piton ovviamente, sulle quelle degli studenti, che si chiedevano come diamine facesse ad essere sempre così preparata in tutto. E se quella domanda era colma di ammirazione sincera nei Grifondoro, nei Tassorosso e nei Corvonero, nei Serpeverde, che pure non sfuggivano al suo dannato incantesimo di perfezione, diventava piena di invidia e risentimento.

Ma sempre c’era… sempre… in ogni cosa che facesse, fosse anche perfetta e meravigliosa, lei c’era.

Poteva anche avere E in un compito, ma lei avrebbe permesso di inventare una nuova valutazione che avrebbe reso il suo voto obsoleto e ridicolo.

Era come un’ossessione… e la odiava. La detestava. Voleva che il suo nome sparisse dalla memoria di tutti. Voleva che fosse Draco Malfoy, quello che ripetevano genuflettendosi, non il suo nome sporco e ridicolo.

Era una cosa assurda… assurda, decisamente. Quella piccola strega ridicola… gli stava rovinando la vita.

Ma, adesso, si disse con gioia, era finita. Finalmente se ne stava zitta e al posto suo… quello che le spettava. Fuori dalla vita e dalle menti di tutti.

Un giorno, l’avrebbero scordata. Rimpiazzando l’assordante vuoto che lei aveva lasciato con la ridondanza del suo di nome. Sorrise ancora, era solo questione di tempo… ed anche suo padre avrebbe smesso con i suoi paragoni cretini.

Avrebbe smesso anche lui.

“Addio Granger, riposa in pace…” ghignò all’indirizzo della fanciulla immobile, guardandola in volto. Aveva evitato di farlo fino a quel momento, quasi spaventato dal colore vitreo delle sue pupille. Fu in quel preciso momento, al contatto con l’agata spenta dei suoi occhi, che si accorse con un brivido di come lei sembrasse seguirlo con lo sguardo, da qualsiasi parte si muovesse in quella stanza.

Era stato quello, prima, a farlo sentire curiosamente osservato.

Gli occhi… lo seguivano, anche se si spostava. Era come averli direttamente nel cervello.

Era come se vivessero di vita propria… o era la luce del sole a renderli luminosi come la prima volta che l’aveva vista?

Sudando freddo sotto quello sguardo che gli appariva contemporaneamente di rimprovero e pietà, cercò di dirsi razionalmente che era solo una stupida impressione, che la Granger era oramai come un fantoccio, ma la sensazione proseguì, paralizzandogli le membra ed impedendogli di muoversi come se fosse sotto lo stesso incantesimo della ragazza. Divenne un calore insopportabile, una debolezza fiacca ed una nausea inammissibile che lo fece fuggire lontano da quella stanza, tacendo al cuore ed alla mente una probabile motivazione che non implicasse che stava male per il contatto visivo prolungato con la Granger stessa.

Lo nauseava così tanto da farlo stare male fisicamente, dannata Mezzosangue.

Trascorse giorni a letto in preda ad una febbre che non si poteva curare in alcun modo e che solo il tempo e l’indebolirsi del ricordo dei suoi occhi nella sua mente, fece sparire.

Non sapeva Draco Malfoy che quella febbre era il primo segno del destino.

Quello che l’avrebbe separato dalla sua famiglia per sempre… perché la prossima volta, non avrebbe avuto la scusa della Granger per coprire pateticamente gli effetti di quell’inspiegabile malattia.

La prossima volta… quattro anni dopo… si sarebbe trattato di Silente e del suo omicidio.

E allora il silenzio con cui ammantava ogni cosa che non capiva e non accettava, compresa Hermione Granger e l’effetto terribile che gli aveva causato, si sarebbe miseramente infranto sotto la scure delle parole del professore che aveva sempre indorato di lodi il suo nome, non quello della nemica.

Poche e semplici parole. Letali… come strappargli la carne dalle ossa.

Draco non poteva essere un Mangiamorte.

 

Ero già stata pietrificata, me ne ero completamente dimenticata. Al secondo anno, dal Basilisco.

Già… ma allora fu diverso, rispetto a quanto è accaduto adesso con lo Zahir. Completamente diverso.

Non me le ero andata a cercare, tranne per il fatto che vagavo da sola per i corridoi. 

Ne avevo parzialmente evitati gli effetti, ricorrendo a quel piccolo specchietto.

E, soprattutto, da statua, non ero stata minimamente cosciente… mi era solo sembrato di dormire, per settimane, senza che ne preservassi il benché minimo ricordo.

Infatti, non avrei mai immaginato che Draco mi avesse visto… che fosse stato lì, a pochi passi da me…

I suoi ricordi... sospiro dolorosamente… il bambino viziato che mi perseguitava a scuola, che detestavo. E che mi infastidisce ancora adesso, se ci ripenso. Ma aveva un motivo.

Suo padre.

Ero, in fondo, quella che gli impediva di ricevere le lodi che pensava di meritare tanto dai suoi genitori, tanto dai professori.

ma già da allora, già da quel giorno, in Draco Lucius Malfoy, c’era qualcosa di profondamente diverso.

Già, da quel giorno, Draco aveva in sé il germe della sua redenzione. Di quella che era una malattia del corpo, ma era il disagio dell’anima.

Per un cuore buono, in un corpo destinato al male.

 

Era accaduto davvero?

Draco continuava a chiederselo ininterrottamente da ore, guardando il tessuto verde bottiglia del baldacchino del suo letto. Seduto a gambe incrociate sul materasso, aveva tirato le tende pesanti, rimanendo nel buio, gli occhi aperti, spalancati, progressivamente acclimatati alla mancanza di luce, tanto da distinguere persino che le torce si erano accese e che quindi era scesa la sera. Si mosse solo quando si rese conto che un piede si era addormentato.

Si stese quindi supino, poggiando la testa sul cuscino e chiudendo gli occhi.

Non era preoccupato. In fondo, riflettendoci, non lo era affatto. Aveva chiaramente detto a Tiger e Goyle di non dire nulla a nessuno e contava sulla memoria paludosa dei due che, ben presto, si sarebbero dimenticati di tutto.

Non era nemmeno preoccupato del Trio delle Meraviglie… se avessero diffuso troppo la voce, sapevano che probabilmente sarebbe giunta alle orecchie di qualche professore che non avrebbe visto la cosa come un’impresa eroica, ma come un qualcosa da punire. O perlomeno lo credeva. Ma, trattandosi della Mezzosangue, dubitava che avrebbe rischiato la sua pulitissima carriera scolastica.

Quindi, a conti fatti, non era preoccupato che si sapesse. Non esageratamente, in fondo.

Era arrabbiato?

Di primo acchito, sì, lo era stato. Aveva meditato di ucciderla, per aver osato sfiorarlo con quella sua mano ripugnante. Aveva pensato di scrivere una lettera a suo padre, dicendogli tutto… aveva anche preso un pezzo di pergamena ed una penna, già intinta nell’inchiostro. E poi, una nuova riflessione lo aveva fatto velocemente desistere, ed aveva lasciato il materiale per scrivere sulla sua scrivania, rifugiandosi a letto.

La rabbia era scomparsa al pensiero che suo padre ridesse di lui, per essersi fatto schiaffeggiare da una piccola e tutto sommato debole Mezzosangue. Certo che ne avrebbe riso… e sicuramente si sarebbe vendicato con lei, ma che soddisfazione ne avrebbe avuto lui? Nessuna. Perché ora, la Granger aveva conquistato un ulteriore punto nella loro personale guerra sotterranea.

Era stata la sola, dopo suo padre, a schiaffeggiarlo. E suo padre lo aveva fatto solo una volta, per quel dannato libro del Piccolo Principe.

La guancia, sebbene il colpo non fosse stato fortissimo, specie per un tredicenne come lui che cresceva in fretta, modellato dall’attività fisica e dallo sport, bruciava ancora. Forse era ancora rossa… eppure la rabbia non tornava.

Non arrivava più.

E allora che cosa era che provava? Schifo?

Certo, lei lo aveva toccato… e sì, si era lavato quindici volte, mentre Tiger e Goyle annuivano comprensivi. Poi li aveva cacciati, dicendo che doveva studiare.

Ma anche lo schifo era passato, ad un certo punto…

… era rimasto… solo…

Sorpresa. Meraviglia. Stupore.

Da dove diamine l’aveva trovato il coraggio lei, quella stramaledetta Mezzosangue, per schiaffeggiare lui, Draco Malfoy?

Non aveva pensato che suo padre le avrebbe potuto far passare le pene dell’inferno? Contava tanto sulla sua presunta impunità davanti a Silente? Non poteva essere così sciocca e non sapere CHI suo padre era… e che cosa poteva farle, fuori da quella scuola… no… sebbene gli costasse fatica anche solo pensare di ammetterlo, sapeva che non era così stupida.

Lo aveva fatto e basta, quella lurida e sporca Mezzosangue.

Gli occhi fiammeggianti d’ira, il viso deformato dal livore… lo aveva fatto e basta. Convinta di poterselo permettere… convinta che fosse in suo potere.

Diede un pugno forte alle colonne intarsiate che reggevano il baldacchino, che tremò leggermente.

… la rabbia ritornò come un fiume in piena.

Non sarebbe successo mai più. Nessuno lo avrebbe toccato mai più, tantomeno quella piccola sciocca. Mai più sarebbe stato così debole da concedere anche a quella idiota della Granger di schiaffeggiarlo.

Sarebbe stato così potente, un giorno, che persino lei avrebbe dovuto baciargli l’orlo della veste.

Rise di quell’immagine e si alzò dal letto con un flessuoso salto. Uscendo, gettò un’occhiata in tralice alla pergamena ancora sulla scrivania. Recava solo l’incipit “Cari padre e madre”.

Restrinse le pupille con fastidio, afferrandola e stracciandola.

E sussurrò con un ghigno: “Cari padre e madre, mi dispiace… ma la partita con la Mezzosangue, è solamente mia…”.

 

Vederlo crescere sotto i miei occhi… vedermi crescere attraverso i suoi occhi… nonostante la durezza dei suoi pensieri e l’odio percettibile che vi sento, è come inseguire un filo rosso.

Trovare il bandolo della matassa... è netto, evidente, visibile, nei suoi pensieri.

Lo vedo e lo seguo, mentre turbina nello specchio la sera del Ballo del Ceppo.

 

“La Granger deve aver utilizzato un filtro d’Amore su Krum… non c’è altra spiegazione…” asserì Pansy per la settima volta nella serata, guardando con occhi ridotti a fessure il campione bulgaro volteggiare al centro della sala, completamente perso della sua accompagnatrice.

Il volto della Serpeverde, impiastricciato da adolescenti mani inesperte, sparì e ricomparì sotto un riflesso iridescente, proveniente da un fascio di luce che aveva colpito un addobbo di cristallo.

“E allora come mai sembra… decente… a tutti, e non solo a Krum?” ribatté con espressione nervosa Daphne, sistemandosi una ciocca di capelli platino dietro le orecchie e sistemandosi meglio il vestito di satin grigio, che aveva appena scoperto con evidente disappunto essere identico a quello della campionessa di Beauxbatons. Le due ragazze, acquattate in un angolo della stanza dove un centinaio di ragazzi ballavano spensierati, gettarono un’occhiata disgustata ad un gruppo di Serpeverde che sbavavano a bocca spalancata, guardando Krum e la sua dama.

Alle parole più che logiche, Pansy tacque sconfitta, incassando il colpo e facendo cadere il suo braccio dal gomito di Draco, che aveva toccato per attirare la sua attenzione.

Inutilmente.

Draco non aveva detto una parola, da quando era entrato. Non aveva voluto ballare, non aveva voluto parlare, si era appoggiato ad una colonna con la schiena, osservando con occhi pigramente annoiati la sala ingombra di persone. Pansy gli gettò un’occhiata in tralice, cercando di indovinarne i pensieri, cosa che mai le era riuscita e tantomeno poteva riuscirle adesso. Gli occhi del ragazzo erano persi nei suoi pensieri, inaccessibili, splendevano solo dei riflessi delle luci colorate che giocavano a disegnargli le iridi di lapislazzuli e diamante. Improvvisamente, Draco sbuffò senza ritegno e si allontanò, alzando gli occhi al cielo e dicendo a Pansy che andava a prendersi qualcosa da bere.

La ragazza, confusa, annuì senza replicare, fissando la schiena del ragazzo che si allontanava per qualche istante, prima di scrollare le spalle e ritornare a parlare con le sue amiche.

Draco fendé con la solita flessuosa eleganza la folla che ballava accaldata, nonostante fosse una sera gelida di dicembre, sguardi femminili che carezzavano il suo completo di velluto nero con il collo alto e che non potevano minimamente presagire quanto il principe azzurro delle loro notti, fosse in realtà profondamente irritato e seccato.

Primariamente, per quel ridicolo abbigliamento che lo faceva somigliare ad un vicario, ma che la madre gli aveva ingiunto di indossare con la clausola che fosse un abito d’alta moda. Come se a lui importasse… non era mica una ragazzina sciocca, interessata alla moda… quel commento poteva interessargli come sapere che Albus Silente adorava le caramelle al limone.

Ma, contrariamente a quanto gli era tipico, non aveva detto nulla. Aveva indossato il completo senza una parola, senza nemmeno una riga in cui redarguiva pesantemente la madre, certo di ottenerne il consenso e le scuse immediate.

La verità era che voleva evitare quanto più possibile le discussioni con i suoi genitori, già ampiamente nervosi negli ultimi periodi.

Giravano voci strane in merito ad un probabile ritorno del Signore Oscuro, cosa che aveva messo tutti in subbuglio. Compreso Draco che, però, dal basso dei suoi quattordici anni, non capiva come mai quella notizia fosse accolta più che con gioia, con evidente sgomento.

Per questo, evitava di gravare troppo sui suoi, fosse anche con il racconto di ciò che accadeva a scuola durante il Torneo Tremaghi… la frustrazione per il nuovo ruolo di spicco di Potter come campione di Hogwarts e sulla mancata applicazione delle regole, quando si trattava del celeberrimo ragazzo, era diventata una consuetudine da sfogare in privato, o con amici sempre più accondiscendenti e sempre meno effettivamente partecipi.

Aveva gioito, quindi, quando aveva saputo che quell’anno avrebbe passato il Natale ad Hogwarts e non a casa, nel castello diventato silenzioso come una tomba.

Ma non aveva immaginato che ciò significasse partecipare a quella pagliacciata.

Urtò una ragazzina che lo guardò, schioccando la lingua infastidita, e si diresse velocemente verso il tavolo dei rinfreschi, afferrando un bicchiere di Burrobirra e trangugiandone in pochi sorsi il contenuto. Si riappoggiò ad un’altra colonna, incrociando le braccia, attento che Pansy si mantenesse sempre a debita distanza, completamente assorbita dalle chiacchiere sciocche con le sue amiche.

Quella sera, era più insopportabile del solito.

Il vestito che portava, era di un ridicolo rosa pallido, che la faceva sembrare una specie di meringa venuta su male. Lei aveva cianciato per giorni sul fatto che fosse identico a quello di una famosa cantante o roba simile, ma su di lei non faceva decisamente l’effetto che lei aveva sperato.

Ci ballava dentro, nelle sue forme ancora virginali, mentre il vestito era pieno di spacchi e scollature. Era assolutamente ridicola… e odiava vederla al suo fianco in quelle deplorevoli condizioni.

L’aveva invitata, perché così era stato deciso dai suoi… figuriamoci… ed aveva accettato sempre per non contraddirli, ed anche perché di quel ridicolo ballo, gliene importava ben poco.

E poi, scegliendola, aveva troncato sul nascere il cicaleccio delle ragazzine Serpeverde che filosofeggiavano sulla possibilità che, dietro ogni suo sguardo, si nascondesse un invito in ginocchio, accompagnato da sguardi adoranti e promesse d’amore eterno. Ma ovviamente, Pansy si era rivelata sempre sé stessa. Non che sperasse, peraltro, che un vestito la facesse cambiare. Sperava almeno che il volume della musica fosse troppo alto per farla parlare.

Ma era ovvio che, se si indossava qualcosa di diverso dalle soliti uniformi nere, la capacità oratoria diventava decisamente superiore in un’oca simile. 

Specie se poi, l’ultima persona al mondo che si aspettava potesse fornire spunti di conversazione di quel particolare tipo a Pansy, aveva invece segretamente concordato per fornire materiale alla Parkinson di cianciare in eterno.

Un altro motivo per detestarla, se mai ce ne fosse stato bisogno, concordò tra sé e sé, stringendo i pugni. Una coppietta che sostava accanto a lui, si allontanò, bisbigliando spaventata.

La guardò di nuovo, cercando facilmente un lampo azzurro in mezzo alla sala. Non era la prima volta in quella serata, se ne era già abbondantemente reso conto, ma ogni volta si era dato una spiegazione ineccepibile.

La prima volta, quando era entrata, l’aveva guardata per rivolgerle un insulto carico di disprezzo, immaginandola alla stregua della Mc Granitt e dei suoi barbari tentativi di sembrare un essere di sesso femminile.

… e non ne aveva trovato nessuno…

La seconda volta, quando erano iniziate le danze, l’aveva guardata, sperando che inciampasse nel suo vestito, rovinando faccia a terra, suscitando l’ilarità generale e l’ispirazione per un insulto che non riusciva a formulare.

… ma lei, leggera come una gazzella, non aveva sbagliato un passo.

La terza volta, quando gli era passata distrattamente accanto, l’aveva guardata, mentre Pansy la indicava senza ritegno, sostenendo che era ovvio che lei ci fosse qualcosa di diverso che doveva essere assolutamente magico.

… e lui aveva trovato circa sette cose che la facessero sembrare diversa.

I capelli lisci e lucenti, legati in una crocchia elegante.

Il sorriso più aperto e malizioso, senza ombra dell’imperfezione degli incisivi che, solo qualche giorno prima, le aveva fatto crescere a dismisura.

L’andatura spedita e sicura, persino su quelle scarpe alte.

La schiena dritta e le spalle aperte, forse perché non aveva tutta quella massa di libri che si portava sempre dietro.

Le labbra più rosse del consueto, che si aprivano solo per sussurrare.

Il colore più roseo del viso, mentre Krum si chinava sempre casualmente su di lei.

Gli occhi che saettavano su Weasley più volte di quanto non lo facesse normalmente.

… ed ovviamente il vestito. Non sembrava uno spaventapasseri, come aveva immaginato quando aveva saputo che qualcuno, Paciock probabilmente, l’aveva invitata.

Dio, quanto si era immaginato il momento in cui l’avrebbe vista e si sarebbe piegato in due dalle risate… ma nulla del genere era successo. Come diamine era possibile?

Doveva aver fatto qualcosa, non c’è dubbio… qualcosa… ma cosa? E poi, nessuno, a parte lui, lo trovava anormale… c’erano una sfilza di professori che avrebbero riconosciuto un maleficio da chilometri.

E se Silente o la Mc Granitt, sicuramente, non avessero voluto smascherarla, Piton non ne avrebbe perso l’occasione. Ed invece, tutti si limitavano a guardarla e a dirle con tono ammirato quanto fosse bella.

Possibile… che lo fosse sul serio?

No, no, che non era possibile… insomma, non era suo padre a sostenere che le donne babbane sono quanto di più orrido esista sulla faccia della Terra?

Pansy passò in quel momento accanto ad Hermione Granger, urtandola deliberatamente. Lei fece un passo indietro, perdendo l’equilibrio, ma Krum l’afferrò prontamente per un gomito, impedendole di cadere.

Ecco, appunto, sospirò, acquattandosi dietro la colonna per impedire che Pansy lo vedesse. Appena lo sorpassò, uscì dal suo nascondiglio, la Granger stava parlando con Krum e sorrideva come se nulla fosse successo. Era evidente che sorridesse in maniera più nervosa di quanto l’avesse vista fare in altre circostanze, e si era separata da Krum imbarazzata… ma non era la solita Granger. No, dannazione, non era la solita Granger.

La breccia nel muro, iniziò lentamente a spaccare la granitica convinzione che lo permeava come un dogma sacro.

Draco sentiva le parole di suo padre affastellarsi nel suo cervello, pronunciate dalla sua voce autoritaria, come se lo avesse lì, davanti agli occhi, intento a fare la sua filippica.

Le sue risposte erano timide, pronunciate a mezza bocca, con incertezza, come se non ci credesse nemmeno lui. Ma, per la prima volta, c’erano.

Guardava Hermione Granger e gli appunti per le risposte fiorivano come primule di marzo. 

Le donne babbane sono quanto di più stupido esista sulla faccia della Terra.

Aveva davanti la studentessa migliore di Hogwarts, quella che non aveva mai preso un voto inferiore al suo.

Le donne babbane sono quanto di più frivolo esista sulla faccia della Terra.

Aveva davanti la chiave delle vittorie dello Sfregiato di fronte a tutti i suoi nemici, compreso suo padre.

Le donne babbane sono quanto di più orrido esista sulla faccia della Terra… la Granger rise ancora, scuotendo il capo, i riccioli che tintinnarono come campanelli.

Sussurrò qualcosa nell’orecchio di Krum, poi indicò l’angolo dove c’era Draco. Il cuore in gola, le mani sudate, la vide avvicinarsi, passando leggera come una farfalla di seta tra le persone avide del suo tocco.

Che diamine voleva adesso? Si agitò Draco, spostando il peso da una gamba all’altra, un magone sul petto.

Dando le spalle a Krum, la Granger si concesse un respiro più forte del solito, che la fece somigliare più a quella che era di solito. Non guardava lui, comunque, Draco se ne accorse subito. Voleva allontanare i suoi occhi da lei, ma era ipnotizzato dalla magia che sembrava averla trasformata, come una principessa, al grande ballo. Ridicolo, si disse ancora, doveva aver fatto sicuramente qualcosa.

La Granger si avvicinò al tavolo delle bevande, si versò del succo di frutta e lo bevve lentamente, dando le spalle a Draco stesso. La sua schiena scoperta, a pochi centimetri da lui, sembrava tremare, facendola sembrare un pesce fuor d’acqua. Un ricciolo era sfuggito dall’elegante acconciatura e le sfiorava delicatamente la pelle morbida delle spalle, ora contratte, mentre guardava la sala distrattamente, le labbra accostate al bicchiere che non svuotava.

Si avvicinò piano alle sue spalle, sostandole a pochi passi. Se lei si fosse voltata, lo avrebbe sicuramente urtato, Draco sentiva il profumo sconosciuto di lei, sapeva di un fiore di vaniglia.

Quella vicinanza… era la voce del padre che smetteva di parlare nella sua mente. Per la prima volta, suo padre aveva torto nella mente di Draco.

Avvertendo la presenza di qualcuno alle sue spalle, la Granger si voltò bruscamente, girando su sé stessa e trovandolo lì, a pochi centimetri da lei.

“Malfoy?” chiese interrogativa, un’ombra di sorpresa che era sopravvissuta all’avversione per lui, restando nei suoi occhi, prima di focalizzare chi fosse.

Draco, come se si svegliasse improvvisamente, spalancò gli occhi, scuotendo il capo ed abbandonando la sala. Inutilmente, la voce di Pansy cercò di richiamarlo indietro.

Corse per i corridoi deserti, evitando sporadiche coppiette che cercavano privacy, e raggiunge di corsa i sotterranei, spalancando la porta della sua camera. Se la chiuse furiosamente alle spalle, l’eco risuonò per tutta la sala comune, come lo scoppio di un colpo di fucile. Si gettò sul letto, respirando a fatica, una mano piegata sugli occhi, il petto che andava su e giù.

La breccia nelle sue convinzioni, diventava sempre più friabile.

Non chiuse occhio, tutta la notte, gli occhi di quell’incantatrice di serpenti attaccati ai suoi pensieri.

Spaventato, salì a colazione la mattina dopo. Temendo di incontrarla, temendo che lei fosse ancora così… temendo che tutto fosse definitivamente falso… tutto quello che gli aveva detto suo padre.

Ma, la mattina dopo, Hermione Granger era di nuovo sé stessa, i capelli solo un po’ più lisci, il carico di libri tra le braccia, la gonna dell’uniforme sempre più lunga di quella delle sue coetanee.

Draco la guardò, cercando traccia della principessa della sera prima, e non ne trovò. Rise tra sé e sé, sollevato, e dandosi dello stupido per tutto quello che aveva passato quella notte.

… lei era di nuovo la stessa…

Si avvicinò a Pansy e Blaise con un sorriso. Sciorinò convinto la sua teoria, addentando un pezzo di muffin e seppellendo ogni altro pensiero fallace nella palude di una memoria che avrebbe sempre negato.

La Granger aveva decisamente usato qualcosa per incantare Krum.

 

Sorpresa, porto una mano sullo specchio, ancora incantata da quello che ho visto. Non mi ha guardato quel giorno né affascinato, né incantato, né attratto, né chissà in che modo romantico. No, assolutamente, constato con le mani sudate. Era solo… spaventato. Autenticamente terrorizzato.

È in questo preciso momento che mi rendo confusamente conto di come le chiacchiere sui Mezzosangue siano state così assolute nella sua mente, fin dall’infanzia, che qualsiasi cosa che uscisse da quell’assioma incontestabile, gli apparisse come demolire l’immagine stessa di suo padre.

Mentre mi guardava, sebbene potesse constatare in modo superficiale che fossi più graziosa del solito, questo per lui rappresentava indirettamente… tradire suo padre.

Gli occhi che vedevano una cosa, trasmettendo un impulso che il cervello non poteva ignorare… ed intanto lo spirito di sopravvivenza delle sue idee, cresciute negli anni come rampicanti a cui aggrapparsi in ogni caso, di fronte a qualsiasi cosa, di fronte a qualsiasi palese contraddizione.

Sono sempre stata la palese contraddizione di quello che pensavano i suoi e che li avevano inculcato nel cervello.

Mi ha sempre odiato più per questo, che per altro… fossi stata orribile, stupida e frivola come diceva suo padre… non avrebbe speso mai il suo odio su di me…

Non mi ha mai odiato perché ero una Mezzosangue in sé… ma perché ero la prova vivente che le cose che diceva suo padre, erano bugie.

Ero la soluzione inammissibile dell’equazione che riassumeva il resto della sua vita.

La prova del nove che non riusciva mai. La quadratura del cerchio che stonava. Il teorema di Pitagora che diceva il contrario di quanto scritto nei libri.

… a scuola… mi ha sempre odiato per questo.

Vedermi attraverso i suoi pensieri… mi sta facendo capire… anche quell’odio. Me ne sta facendo capire l’origine e la ragione… al punto, impossibile anche solo da spiegare, che riesco persino a capirlo per quello che provava. Accarezzo lentamente la sua immagine in quel vetro, lontana nel tempo e nella memoria, mentre parla accalorandosi con Zabini.

La libertà che mi hanno sempre dato i miei per le mie scelte, mi sembra qualcosa di così scontato che non vederla in altre persone… mi sembra solo impossibile.

Ma adesso… capisco quanto sia stato difficile per te, più di quanto lo sia mai stato per me.

… che cosa avrai provato il giorno in cui hai scoperto che eri innamorato proprio di me?

Tremo dall’ansia di scoprirlo, la mano che scivola sul suo riflesso come se fosse ghiaccio. Le immagini passano velocemente, frammenti di me e di lui, lievi, leggeri, perlopiù frasi mozzicate, silenzi carichi di tensione e sguardi colmi di risentimento e sospetto. Sparisce completamente la piccola breccia nel muro, e il ricordo della sera del Ballo perde completamente definizione e consistenza, schiacciato sotto il peso del ritorno di Voldemort nella sua vita. Io appaio e scompaio come una fastidiosa meteora, come una macchietta nel coro, sullo sfondo della massa di persone che lo circonda. Lentamente, con il passare di quei flash fugaci, mi rendo conto di come perda progressivamente interesse per tutto, per la scuola, per la sfida aperta con Harry, spinto da necessità che avverte più impellenti e più importanti del mero itinerario scolastico. Nei suoi pensieri, il desiderio di emergere, di vincere la guerra con quel mondo magico che l’ha sempre rifiutato, anche se non ne ha mai avvertito né il motivo né tantomeno il rimedio, si incarna nell’immagine di Voldemort stesso, il signore che lo renderà potente e rispettato… anche agli occhi di suo padre, sempre più distante e sempre più preso dai suoi intenti egoistici. La madre è anch’essa una cometa, di rara bellezza, ma comunque evanescente e volubile nel cielo dei suoi giorni. Vedo anche il rapporto con gli altri Serpeverde cambiare, li vedo crescere sotto i miei occhi come non hanno invece mai fatto sotto il mio autentico sguardo, perso a quel tempo in orbite che non erano sicuramente le loro.

Vedo Draco allontanarsi progressivamente da Tiger e Goyle, bollandogli come due idioti senza cervello e con cui non ha alcun genere di confronto, ed avvicinarsi invece sempre di più a Blaise e Theodore Nott, con cui parla molto e trova molte affinità. Anche il suo rapporto con le ragazze cambia, lo vedo con una punta di gelosia ingiustificata, mettersi seriamente con Pansy Parkinson, a seguito di un’effettiva crescita fisica e mentale della ragazza. Distogliendo lo sguardo imbarazzato, li vedo fare l’amore per la prima volta il giorno del quindicesimo compleanno di Draco, nella sua stanza. Eppure, seguo ancora con lo sguardo, dopo quello, in modo quasi automatico, entrambi si rendono conto di essere uniti solo dall’amicizia e non dall’amore. Si lasciano serenamente e pacificamente, e lei diventa praticamente la sua ombra. La sua migliore amica.

Non avrei mai immaginato che ne fossero successe tante, proprio sotto i miei occhi…

Lo vedo anche aderire alle squadre d’Inquisizione della Umbridge, entusiasta del suo potere e della possibilità di punire. Marcia per il castello come un generale, a capo dei suoi fidati soldati, cercando di scovare il luogo dove noi dell’ES ci riunivamo, la buon vecchia Stanza delle Necessità, ma, sebbene comprenda la somiglianza che quella situazione abbia con la vita reale, prende tutto come un gioco, come la giusta vendetta nei confronti di quel Potter che gli ha sempre rubato la gloria e l’onore sotto il naso, che ha sempre creduto gli fosse dovuta. E contro di me, ovviamente… conserva di me solo il frammento del giorno in cui fummo portati nell’Ufficio della Umbridge e dell’espressione di puro disprezzo con cui lo guardai.

Se ne compiace, ovviamente, e medita che finalmente anche io ho avuto quello che mi merito e che devo solo ringraziare di aver messo piede in quella scuola.

Le sue convinzioni, al quinto anno, sono più granitiche che mai.

Cambia tutto con l’arresto di suo padre e con la sua missione di uccidere Silente. Persino i suoi ricordi diventano stranamente foschi, cupi, monocromatici. Passano velocissimi, come lame di luce perlacea che squarciano come tagli una nera oscurità perfetta.

Sono in bianco e nero, con pochissimi particolari colorati. Pochissimi.

L’oro di un boccino, nascosto sotto un letto, con un’ala spezzata.

La copertina azzurra del libro di Pozioni, che Piton gli porge con un’occhiata significativa.

Il cuore rosso di cioccolata che Pansy gli porge con un sorriso triste, il giorno di San Valentino.

E poi… sgrano gli occhi… la mia nuca… ed un fermaglio fucsia.

Mentre siamo in coda per ritirare un compito corretto di Incantesimi, lui è poco dietro di me. Lo sguardo perso nel vuoto, la solita sensazione di cupo terrore, l’angoscia che gli permea la fronte di sudore freddo, mentre ogni rintocco è l’avvicinarsi del calare della scure del boia su di lui e sulla sua famiglia.

Io procedo serena, scocco un’occhiata innervosita a Ron che è davanti a me e che si sbaciucchia con Lavanda, mi sistemo i capelli trattenuti dal fermaglio fucsia.

Lui, dietro di me, segue le mie mosse con distrazione. E prova invidia. Invidia. Mi ha invidiato.

Invidia la mia nascita, invidia la mia famiglia, invidia il destino non segnato che possiedo. Invidia i miei genitori al sicuro in una casa calda ed accogliente, invidia i miei sogni ancora intatti, invidia Voldemort che tange di striscio la mia vita, invidia i miei pensieri pieni di sciocche preoccupazioni inutili. E mi odia di nuovo, ricacciando quel pensiero scomodo.

Si dice che ce la farà, ucciderà Silente e tutto andrà a posto. E si dice che la tensione gli gioca brutti scherzi, se sta persino invidiando la Granger.

Nella sua mente, il desiderio di onnipotenza ed onore sta scomparendo lentamente.

Si affievolisce sotto la domanda ossessiva del perché, da quando è stato marchiato, la sua vita non è diventata migliore… affatto. Anzi fa sempre più schifo.

Passano poi ricordi che già conosco, l’omicidio di Silente, la fuga con Piton, la sua malattia incurabile causata dal rimorso, la decisione dei genitori di venderlo agli Auror, l’arrivo a Grimmuald Place. Sono una carrellata rapidissima di sensazioni ed emozioni che immagino così fulminei da non traumatizzare Serenity, la vera destinataria di queste memorie.

Finché le immagini riprendono a ritmo normale, attorno ad una data. 5 giugno.

Si ferma di nuovo tutto su quella data, e comprendo che di nuovo ci sono anche io. Ma anche stavolta, non ricordo perché.

È sempre stato un’ombra tale nella mia vita, come io una meteora nella sua, che ancora non mi capacito di quanti ricordi preservi di me…

Poi, mentre le immagini acquisiscono forma, ricordo vagamente qualcosa, assieme a ricollegare quella data.

Il 5 giugno… di quell’anno… il diciottesimo compleanno di Draco…

 

I suoi vestiti erano ancora impregnati dell’odore di sua madre.

Violetta di Parma, che lei faceva arrivare direttamente dall’Italia. Se lo spruzzava sempre copiosamente sul collo, sulle clavicole e sulle lunghe braccia, intrecciate di perle bianche e nere.

Negli anni, quell’odore aveva significato casa. Ora significava tradimento. Il loro, non il suo; a quello, Draco Malfoy ci pensava raramente.

Vedeva la sua, come giustizia. Il tradimento era quello dei suoi.

Quella parola, dalle lettere scandite e difficilmente equivocabili, era diventata come un picchio nella sua testa. Martellava costantemente, senza mai apparente sosta, disarmonica e stonata, qualsiasi cosa facesse, ed essa calava sulle sue palpebre come un velo opprimente e scuro. Filtrava anche il reale, mostrandolo attraverso quella lente opaca.

Persino la sua stessa pelle ne acquisiva un qualcosa di diverso. Era la pelle di seconda scelta di uno che meritava di essere venduto.

Anche a quella parola, non cessava mai di pensare. All’inizio gli era parsa esagerata, troppo poco abituato a considerare sé stesso alla stregua di una cosa, avvertendo quello che aveva dentro come un segno tangibile di una dimensione ben lontana da quella immateriale. Pulsava dentro di vita e forza… e quindi non era una cosa da vendere.

Ora, la rabbia stantia di quei giorni aveva anche reso quel mero segno di riconoscimento come essere umano, abbastanza inutile.

E vendere, come verbo, era diventato oltremodo calzante. Caratura, peso, valore commerciale… ne enumerava infiniti corollari nella mente. Quelli che gli avevano fatto meritare di essere venduto.

E, poi, arrivava la chiusura del cerchio. Meritava di essere venduto, come una cosa vecchia, sciocca ed inutile? Benissimo. Meritava anche di tradire.

Un attimo… non tradire… espressione scorretta… meritava giustizia.

Sua madre lo aveva abbracciato il giorno prima, quando era tornato a Malfoy Manor per raccogliere delle nuove informazioni da portare a Potter e agli Auror. Aveva aspirato il profumo di lei, ed aveva sperato come un bambino idiota, che Narcissa non si staccasse mai da lui, mentre chiudeva lentamente gli occhi. Ma era rimasto rigido come un pezzo di ghiaccio e lei gli aveva chiesto ancora una volta, perché non tornasse a vivere a casa con loro.

Ma lui aveva ribadito, non senza una nota dura nella voce ormai da uomo, che era grande abbastanza per vivere da solo. Gli occhi di sua madre si erano illuminati di un pigro bagliore azzurro, cercando nell’impettito giovane davanti a lei, il piccolo principe che correva a nascondersi dietro la sua gonna ad ogni accenno di pericolo.

Non l’aveva trovato.

Draco avrebbe voluto sputarle in faccia che era stata lei ad ucciderlo, ma non lo faceva mai.

Avrebbe compromesso il suo ruolo di doppiogiochista, certamente.

Ma intuiva che ovviamente, c’era dell’altro, l’ancora assurdo desiderio di non farle del male, quando invece lo stesso modo in cui aveva scelto di vivere, era praticamente un ucciderla in modo costante.

Ma, anche a questo, Draco Lucius Malfoy, non pensava quasi mai.

Si limitava a salutare sua madre con un affrettato cenno del capo, mentre suo padre, immobile sulla scalinata di marmo nero, stringeva con forza il corrimano, fino ad avere le dita bianche. Si guardavano negli occhi per qualche istante, nubi d’ottobre gemelle, prima che Draco inforcasse l’uscita, l’inconcepibile ed inspiegabile certezza che suo padre, Lucius, in qualche strano e confuso modo, sapesse tutto.

Di lui e di quello che stava facendo.

Anche quel giorno, era andata così. Anche quel giorno, era alla fine tornato a Grimmuald Place, nella sua polverosa stanza in soffitta, con il minuscolo oblò che fungeva da finestra.

All’inizio, disgustato dal suo ruolo e smanioso di non condividere troppo la casa con Potter e compagni, ci tornava solo una volta alla settimana, trascorrendo il resto del tempo in giro per bettole e locande, smanioso della libertà che aveva perso per qualche settimana, dopo essere stato venduto agli Auror. Ne voleva sempre di più, voleva l’ossigeno che premeva contro i suoi polmoni, fino ad urticargli la laringe.

Poi, passata quella normalissima sensazione, aveva invece desiderato mura sulla sua testa, a raccogliere e comprimere i suoi pensieri.

E, quindi, ignorando sommamente quasi tutti gli abitanti di quella casa, ci tornava sempre più spesso. Ci era tornato anche quel giorno, il 5 giugno… il suo compleanno.

Sua madre aveva insistito per farlo rimanere molto più del solito, ma lui aveva scrollato le spalle, irremovibile, ed aveva sibilato che non aveva tempo per quelle sciocchezze.

La mente correva ai diciassette compleanni prima, sfarzosi, bellissimi, da suscitare invidia e meraviglia. Fontane di cioccolato, piccoli draghi addomesticati da cavalcare, scope volanti e mini tornei di Quidditch.

Ed aveva anelato, come non mai, tornare nella sua piccola e gelida stanza, dove il 5 giugno era solo un giorno tra il 4 e il 6 giugno.

Dove nessuno gli avrebbe fatto gli auguri, o gli avrebbe messo in mano pacchetti luccicanti di cose inutili. Dove ogni cosa aveva il sapore del sangue, detestabile, orribile, ma sincero.

Gli occhi della gente che incontrava per casa, specie di quelli che erano solo di passaggio, erano vuoti e spenti, e a Draco stranamente davano una calda sensazione di familiarità, come qualcosa che riconosci e ti conforta nella sua somiglianza. Razionalmente, sapeva che difficilmente quelle persone avevano qualcosa in comune con lui, eppure era sempre così che si sentiva. Rincuorato. Rinfrancato, e non ne poteva fare a meno.

Ognuno là dentro aveva perso qualcuno che amava e, sebbene non fosse vero, Draco amava fingere quello stesso sguardo con facilità impressionante, dicendosi che anche i suoi, per lui, erano morti.

Ne piangeva un lutto silenzioso, fatto di lacrime soffocate nel cuscino che, di giorno in giorno, si erano sempre più diradate. Un lutto che si confondeva con il sospetto e la sfiducia che, nonostante quello che stava facendo, sembrava circondarlo come un alone incancellabile. Di sera, quando la sola compagnia era la luce della finestra della casa di fronte, pensava con sarcastica amarezza che avrebbero avuto davvero fiducia in lui solo il giorno in cui sarebbe morto per mano di Voldemort, cosa che non poteva escludere e che, anzi, era molto più che probabile.

E allora, fuoco alle polveri, se non sarebbe diventato un eroe… con tutto quello che ne conseguiva.

Ma non gli interessava. Ormai nulla gli interessava davvero.

Nulla… persino la vita stessa, indossata come una scomoda ed ineliminabile abitudine, scevro d’ogni inclinazione a piangere, a ridere o a provare qualsiasi cosa di diverso da un guasto rancore.

Irritato da quell’odore che sembrava attaccarsi addosso, contaminandolo fino alle ossa, si sfilò velocemente la maglia azzurra, gettandola con rabbia per terra, restando a torso nudo. La calpestò violentemente con il piede, dopo aver incontrato il riflesso diafano della sua pelle nello specchio di fronte a lui.

Linee più scolpite del torace per l’esercizio fisico da traditore che doveva fare ogni giorno. E cicatrici, piccole, chiare, impercettibili, ma che facevano tutte male come il primo giorno.

Improvvisamente, i sensi affinati dagli allenamenti a cui lo sottoponeva Lupin, Draco sentì un rumore soffocato fuori dalla sua porta. Afferrò prontamente la bacchetta, ancora vestito solo dei jeans, non preoccupandosi che, molto probabilmente, doveva trattarsi di uno degli abitanti della casa, piuttosto che di un autentico nemico. Si appoggiò contro la porta, la bacchetta sguainata, cercando di ascoltare i rumori che provenivano da fuori.

Un tramestio di passi, che scendevano le scale. Poi più niente.

Deciso a prendersela con qualcuno, aprì di scatto la porta, sperando di cogliere in flagrante il molesto avventore. Ma, davanti alla porta, non c’era nessuno.

Sospirò, inarcando un sopracciglio, facendo un passo per rientrare dentro, ma, nel farlo, notò qualcosa appoggiato per terra. Si chinò leggermente, raccogliendo un piccolo involto di colore verde bottiglia.

Un pacchetto.

Un pacco regalo, con un piccolo fiocco rosso in cima.

Draco lo teneva in mano, come se temesse di vederlo esplodere da un momento all’altro. Sotto il fiocco rosso, un biglietto bianco recava poche scarne parole, scritte con una calligrafia panciuta e precisa.

Tantissimi auguri di buon compleanno, Draco.

Che sua madre avesse scoperto dov’era e gli avesse mandato quel regalo?, si chiese chiudendo la porta con un piede. Sì come no… scopre che sono un traditore e la prima cosa che fa, è mandarmi un regalo, a meno che non fosse davvero un modo per farlo fuori. Pronunciò automaticamente qualche formula con la bacchetta, controllando il contenuto del pacchetto, ma non ne venne fuori nulla.

Inoltre, era abbastanza scontato che nessuno sarebbe potuto entrare nella casa, arrivare fino alla sua stanza, depositare un pacchetto ed uscire senza che nessuno se ne accorgesse… e poi, ammesso e non concesso che ci fosse riuscito, che senso avrebbe dovuto avere usare un mezzo del genere per ucciderlo, e non farlo fuori direttamente, una volta arrivato a pochi metri da lui?

No… era stato qualcuno della casa… quindi uno dei buoni… quindi qualcuno… che si è ricordato del suo compleanno…

Scartò sospettoso il pacchetto, uscendone fuori una sciarpa di colore verde anch’essa. Semplicissima, con delle frange alle estremità. Nulla di speciale, insomma, non sembrava nemmeno di grande qualità.

Forse l’aveva fatta Molly Weasley, dubitava che qualcuno fosse uscito a comprarla… certo che regalare una sciarpa a giugno aveva del geniale, constatò caustico, gettandola sul suo letto.

Si distese a sua volta sul letto, esaminando il biglietto che aveva accompagnato il regalo. Chi diamine era stato? Non riconosceva la scrittura del biglietto.

Doveva essere stata Molly Weasley, concluse alla fine con un sospiro, chiudendo gli occhi. Quella sera, a cena, in maniera volutamente casuale, aveva fatto scivolare nel suo piatto una razione in più di torta alle ciliegie.

Quando lui l’aveva guardata interrogativo, aveva solo sorriso, non replicando nulla.

Sì, sì, doveva essere stata lei… i pensieri divennero sempre più foschi, fino a che il sonno lo cullò, portandolo nel velluto dolce di un riposo senza sogni.

Si svegliò che il sole era sorto già da qualche ora. O perlomeno così pensava, visto che dalla sua misera finestrella non si vedeva nulla.

Per fortuna, quella mattina non aveva nulla da fare, quindi poteva anche restare a letto un po’ di più… che fortuna, davvero. Voleva fare disperatamente qualcosa, qualsiasi cosa per evitare di pensare ad una cosa qualunque.

Come ogni giorno, era la prima sensazione che lo coglieva appena sveglio.

E, se questo significava aiutare Molly Weasley a liberarsi di Mollicci, lo avrebbe fatto con enorme e disgustoso piacere.

Si vestì velocemente, scendendo di sotto, la casa completamente avvolta nel silenzio, cosa abbastanza strana. Doveva essere in corso qualche operazione che implicava la presenza di tutti… aveva sentito parlare di qualcosa di grosso, dovevano catturare due Mangiamorte dei peggiori ed interrogarli per sapere dove si trovava Voldemort. Cosa che nemmeno lui era riuscito a sapere.

Chissà a chi sarebbe toccato morire, stavolta … a qualcuno che era suo amico una vita fa, o ad uno dei volti scavati che transitavano lì, come anime di un infinito purgatorio?

Fece qualche passo, entrando in cucina. Sulla tavola c’era solo una brocca di latte freddo e un paio di muffin, lasciati sicuramente per lui da Molly.

Quella donna, appuntò mentalmente Draco, addentando un muffin, lo trattava come un figlio.

Doveva essere una sua dote naturale, o forse vagamente indotta dal fatto di avere così tanti figli. E Draco la lasciava fare anche con lui.

Ogni gesto d’affetto che accettava da Molly Weasley, era un gesto che non concedeva di fare a sua madre.

Si appoggiò stancamente al muro, continuando a mangiare e guardando pensosamente il vuoto davanti a sé, finché un rumore per le scale lo fece dapprima sobbalzare, poi, riconoscendone l’origine, meditò di fuggire di sopra, ma ovviamente non faceva in tempo. Quindi restò al suo posto, stoico come il capitano di una nave che affonda, aspettando l’inevitabile.

L’inevitabile… che aveva una massa di capelli ricci ed una lingua lunga come poche. E che, ovviamente, aveva nome Hermione Jane Granger.

L’aveva già riconosciuta per la serie di rumori che aveva fatto per le scale, le scendeva sempre come un elefante, la grazia femminile non sapeva nemmeno dove abitava. Inoltre, da quando stava con Weasley, doveva aver anche attaccato qualcuna delle malattie infettive di cui soffriva il rosso a livello celebrale. Insomma, ci voleva un’ischemia seria per stare con un tipo del genere.

A Draco, che pure poco importava delle vicende sentimentali di Grimmuald Place, non era certo passato inosservato del fatto che stessero assieme, sebbene sembravano nasconderlo alla onnipresente madre Weasley… il motivo, pensava Draco, risiedeva forse nel fatto che li avrebbe fatti sposare seduta stante.

Ma bisognava essere abbastanza ciechi per non accorgersi dei sussurri a mezza bocca, l’uno nell’orecchio dell’altra, o delle mani strette sotto il tavolo, o del fatto che, di sera, lui spesso andava nella camera di lei, attraversando con un passo non propriamente felino il pianerottolo tra le varie stanze, svegliando spesso anche lui che imprecava gli ormoni di quei due.

Quindi Molly Weasley doveva essere davvero la mamma migliore del mondo… anche cieca era…

Da bravo Serpeverde ed ex Mangiamorte, si aspettava con soddisfazione il momento in cui sarebbero stati scoperti dalla corpulenta signora. Anche se sicuramente Molly Weasley agognava non tanto velatamente avere la Granger come nuora, non sarebbe stata sicuramente contenta di ciò che facevano sotto il suo stesso tetto. Insomma, perlomeno Draco lo pensava… vai a vedere che quella lì già smaniava per avere un nipotino…

La Granger irruppe in cucina con la sua solita innata eleganza, spettinata come se si fosse appena svegliata, anche se era vestita di tutto punto. Indossava una camicia bianca sopra un paio di pantaloni azzurri, ed era vistosamente trafelata, il viso rosso dalla corsa che aveva fatto per le scale. Non era sfuggito ad un osservatore attento come lui, quanto la ragazza fosse cambiata nel corso dell’anno, in cui non si erano visti.

Se lui infatti era passato da una parte all’altra delle barricate in cui era diviso il mondo magico, lei aveva invece viaggiato alla ricerca degli Horcrux, assieme a Potter e Weasley.

Immaginava che tipo di viaggio fosse stato… ed immaginava che non fosse stata una semplice passeggiata nei boschi.

Non erano tornati da moltissimo tempo da quel viaggio, circa tre settimane, in cui al comando di tutte le operazioni, c’era sempre stato Lupin, ma non appena Potter era tornato, era come se in modo immediato ed automatico, il scettro del comando fosse passato a lui. Difatti, Lupin stesso aveva conferito con Potter per ore sulla situazione di Draco stesso, convincendolo della sua buona fede.

Un tempo, questa cosa avrebbe dato estremo fastidio a Draco, si sarebbe impuntato… ora, come per molte altre cose, non gli importava più.

Era Potter l’eroe… e lui, al massimo, poteva ambire ad essere una squallida spalla e controfigura. Ma non importava, come sopra insomma.

Non avrebbe, però, potuto negare l’aura diversa che aveva il magico Trio, da quando era tornato. A parte le cose evidenti come la relazione tra Weasley e la Granger, abbastanza scontata e prevedibile, piccoli particolari avevano cambiato notevolmente i tre. Potter era cambiato fisicamente, più alto, più robusto, ma anche più silenzioso e malinconico. Weasley era più serio e posato, ed aveva preso l’abitudine di seguire con lo sguardo la Granger dovunque si spostasse.

E lei, la Granger… bisognava essere alla stregua dell’ipovedente Cooman per non accorgersi dei suoi cambiamenti.

Quando l’aveva rivista, si era meravigliato non poco. C’era ben poco della ragazzina saccente che conosceva a scuola. O meglio, era sempre saccente, ma fisicamente c’era ben poco. Era molto dimagrita, ma a questo aveva sopperito il fatto che fosse cresciuta in altezza, portava finalmente i capelli ordinati e coordinava persino vestiti ed accessori. Un miracolo, insomma.

Ma era sempre insopportabile, anzi forse lo era più di prima, ora che era anche spalleggiata dal suo Re straccione.

Quindi, i duelli verbali con lei non erano certo venuti meno, ma adesso la parola MEZZOSANGUE era abolita, ovviamente. Sarebbe stata fuori luogo per un traditore convertito.

Anche se, pensava Draco, non l’avrebbe mai potuta usare come l’aveva usata a scuola… la breccia della sera del Ballo del Ceppo era diventata una voragine, fatta apposta per ferire anche quel ricordo del padre nella sua testa.

Quindi si poteva riconoscere che lei fosse intelligente e persino decente… ma non era il sangue sporco a renderla insopportabile. No, era proprio lei così, sospirò.

Manco quell’attenuante le poteva riconoscere.

La Granger entrò quindi in cucina con passo marziale ed esaminò la stanza per tutta la sua larghezza e, non trovando chi cercava, emise un lungo sospiro lamentoso.

Poi, lo sguardo si incupì, notando Draco appoggiato contro la credenza; il ragazzo, in tutte quelle sue manovre, aveva finto abilmente di non essersi minimamente accorto di lei.

La Granger lo guardò sospettosamente sotto le lunghe ciglia nere, poi, alzando gli occhi al cielo, sospirò ancora, avvicinandosi di qualche passo ed inserendosi nel suo campo visivo, in modo che non potesse continuare ad ignorarla.

“Malfoy, dove sono gli altri?” chiese impaziente, battendo il piede per terra con nervosismo.

“Che vuoi che ne sappia io?” rispose lui a tono, continuando a mangiucchiare senza darsi la benché minima pena di sollevare anche lo sguardo “Non mi sembra di essere diventato una sorta di portinaio… non ci dovrebbe essere un elfo domestico o qualcosa del genere?”. La Granger parve trattenere a stento un pensiero che le aveva attraversato gli occhi scuri e che le aveva curvato il viso in un accenno di fastidio represso, ma si morse la lingua e non disse nulla, limitandosi a sospirare ancora con teatralità.

“Non sai dove potrebbero essere andati?” chiese ancora con un filo di voce, guardandolo.

Draco sembrò pensarci per qualche momento, poi finse un’espressione di improvvisa consapevolezza che accese lo sguardo di Hermione. Poi, scosse il capo con un ghigno, mormorando che non lo sapeva. La Granger, ovviamente irritata, sbuffò ancora, non dandosi però pena di rispondergli. Era sempre così con lei, constatò Draco, non gli rispondeva mai a meno che non fosse necessario. E generalmente non lo trovava mai necessario.

Draco intuiva il perché, e lo trovava estremamente fastidioso.

La Granger era buona. Molto più di Potter. Lo era sempre stata.

E, da buona, non poteva avere null’altro che pena e compassione per lui. Era evidente nei suoi occhi, quando lo guardava e quando tratteneva le risposte piccate che le sue provocazioni le suggerivano.

Hermione, davanti a lui, fece qualche passo, afferrando un pezzo di pergamena da una mensola ed una penna babbana. Scrisse poche righe e poggiò il foglietto sul tavolo, accanto alla colazione di Draco, prima di voltarsi per uscire.

Il ragazzo, sospirando perché finalmente se ne stava andando di sopra, gettò un’occhiata distratta al biglietto che era ovviamente un messaggio per Weasley.

Poi, con un piccolo sussulto, vide qualcosa che non lo convinceva ed afferrò il foglio, rigirandoselo tra le dita. La consapevolezza glielo fece stringere tra le mani, facendolo accartocciare.

La grafia, la scrittura del biglietto della sera prima… era la stessa. Era stata la Granger a scriverlo.

D’accordo la pena e la compassione e non rispondergli per le rime, quando la provocava… ma arrivare a fargli anche i regali, qui si esagerava.

Salì le scale velocemente, due gradini alla volta, fermandosi solo quando arrivò davanti alla camera di Hermione, la cui porta era socchiusa. Non dandosi pensiero di bussare o altro, la spalancò violentemente. La Granger, che si stava mettendo una giacca, probabilmente per uscire, sobbalzò spaventata, poi, riconoscendolo, sospirò di sollievo, urlando: “Che diamine vuoi?? Ti sembra il modo di entrare nelle stanze delle persone?!”.

“Scusa la mancanza di galateo, Granger…” replicò Draco sarcasticamente, guardandola dall’alto in basso “Ma ero troppo sconvolto all’idea che mi avessi fatto un regalo per il mio compleanno per badare all’educazione… come diamine te ne sei uscita??? Faccio così pena??!”. La sua voce si era fatta fastidiosamente acuta sulle ultime parole, aumentando di tono e rivelando la rabbia enorme che gli era montata addosso.

Come accadeva da anni, però, la Granger non reagì come lui si aspettava e come avrebbe fatto qualsiasi persona sana di mente al suo cospetto. Non lo aveva fatto a scuola quando era il rampollo dei Malfoy, figuriamoci se l’avrebbe fatto adesso… non si piegò, quindi, chiedendogli scusa e prostrandosi ai suoi piedi, non fosse altro per il quieto vivere. Anzi, quelle parole ebbero il preciso effetto che Draco si era augurato poco prima.

Aveva stretto gli occhi, abbandonando ogni tenerezza per il ragazzo abbandonato dai suoi genitori e ogni forma di riguardo per il doppiogiochista da cui materialmente dipendeva il loro destino, in quella guerra.

Aveva riassunto il solito cipiglio severo e il solito ardore furibondo, guardandolo con astio. A Draco venne curiosamente da sorridere, dovette trattenersi con tutte le forze per non farlo, specie perché non ne capiva l’origine.

“Veramente era da parte di tutti, razza di furetto ingrato…” replicò atona, perdendo ogni forma di contegno “Ma a nessuno andava di scrivere un biglietto, e sono stata costretta a scriverlo io… capisci il senso della parola costretta, o devo tipo mimarlo per fartelo comprendere?!”. Aveva le guance rosse per l’irritazione, le mani strette a pugno, sembrava una bambina piccola in posizione di combattimento.

A Draco si persero ancora le parole in gola, non riusciva a parlare. E non perché non avesse argomenti, o fosse tipo affascinato da lei, o spaventato… no. Si stava trattenendo dallo scoppiare a ridere.

Era così buffa… ma non nel modo ridicolo con cui lo era a scuola. Non le faceva venire voglia di prenderla in giro, le faceva venire solo voglia di stuzzicarla di più.

Una sensazione nuova. Una sensazione piacevole.

Lo faceva sentire di nuovo… vivo. Voglioso di qualcosa, che non fosse la vendetta.

“E sai che c’è?!” continuò Hermione la sua invettiva, finendosi di infilare la giacca “Visto che le serpi come te non hanno evidentemente un collo idoneo a sentire il freddo, me la prendo io la tua sciarpa…! Ovviamente con le dovute scuse per averti trattato da essere umano!”. Soddisfatta dal silenzio, di cui fraintendeva abbondantemente l’origine, Hermione inforcò l’uscita, sbattendo la porta e scendendo velocemente le scale.

Dietro la porta della sua camera chiusa, Draco Lucius Malfoy, traditore di ogni parte del mondo, venduto dai suoi genitori agli Auror per la sua evidente incapacità di essere un Mangiamorte, scoppiò infine in una risata liberatoria e colma di sentimenti inespressi e scordati. Piegandosi in due dal gran ridere, riascoltando il cuore battere per qualsiasi di diverso dalla mera inedia o dal rancore, ebbe un sussulto di speranza.

Il primo, da quando era stato marchiato… l’ultimo, prima di molti anni dopo.

Quando il suo destino e quello della ragazza più buffa che avesse mai conosciuto, ancora insopportabile come poche, si sarebbero intrecciati di nuovo, ma in un modo che Draco Malfoy non poteva nemmeno lontanamente immaginare.

 

La speranza… quel giorno, con la mia celeberrima imitazione di pesce palla, ti ho ridato la speranza.

La speranza di trovare ancora motivi per ridere.

Incredibile… con un gesto così piccolo…

So quanto labile sia stata quella speranza, conosco in parte i suoi ricordi di quello che è accaduto dopo.

E so che sarà stato solo un breve momento, questo, che mi è stato concesso di vedere.

Eppure… quel pensiero… di essere stata questo, anche solo per un secondo in un momento del genere della sua vita, mi riempie il cuore.

Scappa da ridere anche a me, osservando il mio riflesso. Sono buffa davvero, quando faccio così… e pensare che ho sempre pensato di essere tremenda ed implacabile.

Prova ulteriore di quante cose io stia scoprendo, guardandomi attraverso i suoi occhi.

Il mio sorriso si congela, quando le immagini riprendono, velocemente, forse perché la mia stessa volontà ha impedito che diventassero più nette e precise.

Non voglio più rivederlo quel ricordo. La sera a Grimmuald Place, lui che piangeva la morte dei suoi genitori e io che, irritata dal suo modo di rispondermi, gli avevo augurato di morire in quella tremenda guerra. Come sono stata capace di dargli la speranza, così sono stata capace di togliergliela.

I ricordi turbinano ancora, portandosi via per fortuna quell’immagine odiosa che spero la stessa Serenity non debba conoscere mai, e giungono ad una calda notte estiva, piena di gioia.

Forse la notte più bella della mia vita… il mio futuro era così radioso che sembrava risplendere… la notte della sconfitta di Voldemort.

E ci sono ancora io, nel ricordo di Draco. Stavolta questa scena la ricordo anche io… fu l’ultima volta che lo vidi, prima di rivederlo al Petite Peste.

 

Un unico enorme corpo, con centinaia di facce, ognuna delle quali faceva una cosa diversa… come uno di quei mostri mitologici dal corpo di serpente che, ad ogni colpo infertogli, creava un’altra testa.

Draco Malfoy, quasi diciannove anni, sopravvissuto alla grande battaglia finale contro Voldemort, si chiese scioccamente se quell’ultima riflessione non fosse l’esito di un profondo trauma celebrale non diagnosticato, piuttosto che di pensieri normalmente sconnessi e comprensibilmente sconvolti, dopo tutto quello che aveva subito. L’infermiera, però, nella tenda di soccorso adibita alla cura dei feriti, continuava a garantirgli che non aveva nulla di grave. La guardò meglio, mentre lo medicava. Era Madama Chips, da un passato lontano secoli ne riemerse l’immagine fumosa e sbiadita, assieme alla scarsa considerazione che aveva sempre avuto di lei, quando era a scuola.

Draco si ripromise, vedendola allontanarsi ondeggiando, di recarsi da un vero Medimago, non appena si fosse potuto alzare. Quella, doveva essere anche ubriaca…

Non che non fosse giustificata… probabilmente metà dell’Inghilterra magica, ora che Voldemort era morto, era sotto l’effetto di litri d’alcol…

Draco Lucius Malfoy era abbastanza restio a credere di essere ancora vivo.

La bassissima soglia di sopportazione al dolore, che lo aveva contraddistinto quando era ancora un bambino, si era notevolmente alzata e razionalmente sapeva che, a parte la ferita alla testa, la gamba rotta e una serie di escoriazioni superficiali, stava discretamente bene. Era anche imbottito di antidolorifici, quindi era abbastanza lucido. O meglio, lucido, perché non sentiva il dolore, ma per il resto, difficilmente lo si poteva definire in possesso di tutte le sue capacità mentali, sensoriali e cognitive. E questo, per un piccolo ed impossibile rompicapo che lo affliggeva… lui era vivo. Non era morto.

A meno che l’inferno non avesse uno sgraditissimo senso dell’ironia, facendogli credere di essere ancora in vita quando in realtà era morto… ma doveva essere davvero un inferno di quinta categoria.

E lui, il traditore di ogni parte del mondo, si meritava un inferno con i controfiocchi.

Draco Malfoy non si capacitava di essere ancora vivo. Questo era il punto.

Era convinto, certo e sicuro di morire quella sera, e si era preparato molto, nei giorni precedenti a quello.

Non aveva spinto il suo pensiero nel programmare nemmeno un minuto dopo quella fatale giornata in cui avrebbero attaccato il covo di Voldemort.

Alla fine, qualcun altro aveva parlato, rivelando la collocazione del nascondiglio.

Sembrava che fossero stati Pansy, Blaise e Nott. Si era chiarito anche con loro, prima di affrontare la battaglia. Nott non ne aveva voluto sapere, rintanandosi nella cella oscura in cui era stato rinchiuso, anche se non c’erano grandi prove contro di lui. Blaise e Pansy avevano accettato le sue spiegazioni di buon grado.

Aveva detto addio alla vita, facendo sesso con la sua pseudo fidanzata Denise… ed aveva aspettato di morire. Ma la bastarda, la Morte, non se l’era portato via.

Non che si potesse dire che non l’avesse sfiorato durante la battaglia.

Nelle prime concitate fasi dello scontro, quando i Mangiamorte disorientati si erano visti attaccare dagli Auror così all’improvviso, ogni colpo aveva più lui come obiettivo, piuttosto che lo stesso Potter, a cui sembrava mirare solo Voldemort. Non che non l’avesse immaginato… era il traditore, ci mancava anche che non lo facessero.

Meno ovvio era stato, invece, che era stato protetto da ogni parte. E questo gli faceva abbondantemente propendere per la tesi che fosse stato un sogno e che lui fosse morto.

Lupin, i Weasley, lo stesso Potter… e persino la Granger che, poche settimane prima, gli aveva augurato di morire… ognuno di loro si era scagliato in sua difesa, evitandogli la morte quando gli attacchi erano semplicemente troppi e Draco aveva ormai sentito la fine prossima, fino al punto che i Mangiamorte avevano deciso di lasciarlo momentaneamente perdere per riprendere lo schema dell’attacco originale, così come inveiva Voldemort.

E lui era stato libero di muoversi come meglio gli competeva, come sapeva meglio, come il serpente elegante ma implacabile, che aveva imparato ad essere.

Specie, quando avevano cercato di disarmarlo… perché Draco Malfoy era il maestro degli Incantesimi senza bacchetta.

Ne aveva fatti fuori parecchi, anche di gente che conosceva e con cui aveva riso per anni, ma che ora lo volevano morto nella maniera peggiore possibile. Primi tra tutti, Tiger e Goyle.

Ed aveva anche restituito il favore che aveva avuto, quando era stato protetto. E questo, se possibile, era ancora più assurdo. Doveva essere morto, decisamente, all’anima della Chips e delle sue ferite superficiali.

Ricordava distintamente sua zia scaraventarsi su Molly Weasley, come una bestia ferita, pronta ad ucciderla.

E ricordava anche distintamente sé stesso colpire il sangue del suo sangue, alle spalle. Era stata lei, Bellatrix, poi, a lanciargli un anatema che gli aveva rotto la gamba.

Ma, prima di allora, aveva anche salvato la Piattola Weasley da Pucey… e lui l’aveva guardato con un odio tale che, per un attimo, non era stato più in grado di muoversi.

Ovvio… sua sorella marciva ad Azkaban per colpa sua.

Aveva persino aiutato Potter ad infliggere il colpo finale a Voldemort… se questa non era fantascienza, non sapeva che cosa altro poteva esserlo…

Non che la sua vita non si fosse trasformata progressivamente in una patetica commedia degli errori… ma pensava che il palcoscenico calasse quella sera.

Lo pensava… e forse lo sperava pure. Draco si portò una mano tra i lunghi capelli biondi, stringendone una ciocca con rabbia, piegandosi in due sul lettino su cui sedeva da quando la battaglia era finita.

Attorno a lui, la gente si muoveva come un corpo solo, dotato di mille teste. C’era chi piangeva qualcuno che era morto, chi rideva, chi cantava, chi gemeva per il dolore. Era come un coro stonato in modo macabro e perverso, a cui si aggiungeva e mescolava l’odore del sangue che, come sempre, lo faceva stare male, e quello del disinfettante, che gli faceva arricciare il naso.

Perché non era finita quella sera? Che razza di senso dell’umorismo aveva quel Dio che lo aveva risparmiato?

Non sapeva che farsene della sua vita. Non sapeva che farsene.

Sarebbe dovuto morire quella notte, come un eroe… non vivere come un fantasma… attendendo di morire per mano di qualcuno, desideroso della sua testa di traditore…

Gli avrebbero proposto di cambiare identità, lo immaginava… ma Draco Malfoy gli sarebbe sempre venuto dietro… per sempre… l’unico modo per chiudere i conti con lui, era morire.

Morire, quel giorno… ed ora? Che avrebbe fatto?

Era meno che niente… non era nulla… non aveva nessuno da riabbracciare, alla fine di quella guerra. Era solo un uomo morto che camminava. Che cosa avrebbe fatto, adesso, ora che non era più utile a nessuno?

Come una risposta materializzatasi a quella domanda, si sentì chiamare leggermente a bassa voce da qualcuno: “Malfoy…”.

Sollevò gli occhi umidi, incontrando quelli castano chiaro della Granger che lo guardava lievemente preoccupata. Si tirò immediatamente a sedere composto, come se fosse stato punto da un’ape, raddrizzando la schiena.

Lei seguì quelle manovre in silenzio, limitandosi a spostare il peso da una gamba all’altra, visibilmente a disagio. Doveva averla costretta qualcuno, probabilmente Potter, a venire lì a parlare con lui.

In fin dei conti, ricordò Draco serrando la mascella, l’ultima volta si era augurata caldamente che morisse… ed invece non era successo. Se avesse saputo lei, la Granger, che per lui era una maledizione essere ancora vivo…

“Che diamine vuoi?!” inveì con rabbia, guardandola e desiderando avere il braccio rotto, piuttosto che la gamba, almeno si sarebbe potuto alzare ed andarsene in modo dignitoso.

All’anima di Bellatrix, che marcisca all’inferno, lei che è morta sul serio…

La Granger non rispose ancora, abbassò gli occhi e rimase in silenzio, dondolandosi pensosamente. Sembrava vittima di un profondo conflitto interiore, come se nel suo corpo si scontrassero due volontà diverse che le imponessero di fare due cose diametralmente opposte. Non le era tipico quell’atteggiamento silenzioso e sommesso: piuttosto le era tipico che iniziasse ad urlare e a sbraitare, dicendo assurdità. Invece se ne stava ferma, in silenzio, contraendo le mani.

Avrebbe voluto battere il piede per terra, richiamando la sua attenzione ed esortandola a muoversi, ma non lo fece. Gli venne piuttosto da osservare come stesse, nel caso avesse subito qualche colpo che le impedisse di ragionare.

La camicetta rosa che indossava, era sporca di sangue e terriccio, ma lei non sembrava ferita; anche i pantaloni fustagno erano macchiati allo stesso modo, ma ancora non sembrava ferita.

Doveva essere il sangue di qualcun altro, non il suo.

Aveva comunque le braccia magre coperte di lividi ed ematomi, un labbro spaccato su cui si era aggrumato del sangue e le mani coperte di piccoli tagli.

Ma, rispetto ad altri, si poteva dire che stesse bene.

Draco sospirò lungamente, niente traumi cranici… ed allora che diamine voleva ancora?

Alla fine, lei scosse il capo leggermente, sospirando lievemente, e sollevò gli occhi che avevano riassunto il solito cipiglio autoritario. Sorrise in modo nervoso ed automatico, prima di dire: “Scusami se ti ho disturbato… volevo solo riferirti che il Ministro mi ha chiesto di dirti che vorrebbe incontrarti la settimana prossima… per parlare della tua… situazione…”. La sua voce si era piegata a disagio sull’ultima parola, facendole distogliere lo sguardo da lui.

“Certo… la mia situazione…” replicò lui, per nulla interessato al messaggio. Non era venuta a fare l’ambasciatrice… la Granger era dannatamente cristallina quando ci si metteva. Era venuta… per altro.

Cosa, lo sapeva solo lei…

Rimase ancora in silenzio, poi, quasi preda di un’ispirazione improvvisa, Hermione gli chiese distrattamente, non guardandolo ancora in viso: “Stai bene?”.

Doveva essere davvero morto, constatò sorpreso, visto che la Granger gli chiedeva anche come stesse… voleva risponderle male, irritandola e facendo sparire quel fastidioso contegno che stava mostrandogli, ma non ce la fece ancora.

“Sto bene… me la caverò…” sussurrò, e fu quasi un riflesso automatico chiederle: “E tu?”.

Lei sembrò sorprendersi davvero per questo, serrò le spalle e lo guardò interrogativa. Poi, qualcosa le curvò lo sguardo in modo quasi dolce e sorrise in un modo che non le aveva mai visto fare: “Me la caverò anche io…”.

Draco, imbarazzato, voltò il capo dall’altra parte, concentrando tutta la sua attenzione sulle operazioni di bendaggio di Madama Chips.

“Sarebbe stupido, allo stadio attuale delle cose, dirti: teniamoci in contatto o cose simili, visto che non siamo mai stati in contatto…” la sentì bisbigliare ancora, la voce che si perdeva nel vociare confuso che li circondava.

Draco non riuscì ancora a voltarsi per guardarla in volto: “Ci mancherebbe…”.

Lei rise piano, poi proseguì: “Stammi bene allora… salutami Denise…”.

“E tu non salutarmi Weasley, Granger…” replicò infine, ghignando. Lei borbottò qualcosa, ma gli sembrò più farlo per abitudine che per effettiva irritazione.

Draco si voltò, infine, solo quando sentì i suoi passi allontanarsi. Ne seguì la chioma riccia, come quel primo giorno ad Hogwarts, sparire attraverso la folla di malati e degenti, per poi prendere l’uscita. Vedendola uscire, provò una fitta acuta allo stomaco… nel bene e nel male, dire addio alla Granger era dire addio ad un pezzo della sua vita.

La guerra era finita… anche con lei.

Chi aveva vinto, non l’avrebbe mai ammesso compiutamente… perché era lei che aveva vinto, inutile girarci attorno.

Aveva davanti a sé un futuro radioso e luminoso… lui non sapeva nemmeno se ce l’aveva un futuro… sarebbe diventata una donna importante, potente, con ruoli di responsabilità e comando.

Ci giurava che sarebbe diventata il Capo degli Auror.

Ma soprattutto era una donna amata… da Lenticchia, certo, e questo poteva essere solo una disgrazia, ma intanto era amata da qualcuno.

Poi, ovviamente, c’erano Potter e gli altri Weasley…

Sorrise, chiudendo gli occhi… non voleva essere amato, mai più… specie da tipi del genere… ma, intanto, dopo anni di scomoda lotta intestina, poteva decretare il risultato di quello scontro.

La piccola Granger aveva sconfitto il grande Draco Malfoy.

Si stese di nuovo a letto, chiudendo gli occhi. La guerra aveva avuto il pregevole dono di tirare fuori la vera natura delle persone. Comprese le loro.

Aveva tirato fuori la sua, nera come la pece e dannata più dell’inferno. Ed aveva tirato fuori quella della Granger, luminosa, chiara, trasparente come un paradiso che a lui era solo dato di guardare.

E la guerra aveva anche deciso quella che sembrava una battaglia eterna.

Lui non poteva assolutamente competere con Hermione Jane Granger.

 

Ero andata a chiedergli scusa, quel giorno.

Non mi aveva costretto Harry… ero andata a chiedergli scusa per avergli augurato di morire.

Stringo il pugno sulla superficie gelida dello specchio, immaginandomi ad un tratto in modo chiarissimo anche quello che sta succedendo, dopo che Draco mi ha visto uscire.

Sono rimasta fuori dalla tenda per una decina di minuti, una mano sul petto, andando avanti ed indietro innervosita.

Perché non ce l’avevo fatta… era stata la prima volta che mi ero sentita in imbarazzo, davanti a lui.

Non mi era mai successo, e questo mi rendeva confusa. Poi, me ne scordai ovviamente, specie perché non avevo spiegazioni.

Spiegazioni che avrei trovato sempre a fatica, quando non avrei potuto più ignorare quella sensazione, vivendo con lui.

Quella sensazione… il legame, il filo rosso… è sempre esistito. Sempre.

Già da quel giorno… certo non ci sopportavamo, ma già non ci odiavamo più. È incredibile che io lo capisca solamente adesso.

Il vero odio, contrariamente a quanto ho sempre pensato, non nacque in quegli anni, ma dopo. Quando divenni il Capo degli Auror… perché divenni quella che copriva il silenzio sulla morte dei suoi genitori. E perché, ai suoi occhi, fui la complice omertosa dell’uccisione di Helena ed Amos Diggory, visto che nessun Auror intervenne quel giorno, essendo coinvolto lui. 

Dopo, quelle cose si sono rivelate infondate…

… ma intanto avevano avuto l’enorme potere di spazzare via quel germe positivo, che mettemmo quel giorno.

L’avrei inseguito, poi, per settimane, non appena lo rividi, pensando che fosse ancora uno vetusto orgoglio Purosangue a separarci. O semplicemente la tesi che eravamo troppo diversi per stare assieme, anche solo come amici.

Quel germe, però, era già esistito.

Astoria aveva ragione, è sempre stato tutto più semplice di quello che credevamo... e forse la condanna per chi calpesta un legame del genere, di cui si dovrebbe solo essere grati, è proprio questa. Sforzarsi con la stessa forza, con cui si è negato quel legame, di ricostruirlo… e, non riuscendoci, vivere con la consapevolezza di averlo perso solo perché lo si è distrutto con le proprie mani. Questo, ha scelto Draco. Vivere con questa condanna, con questo pensiero, convinto come è, di avermi perso per sempre.

Ma oggi, Draco, anche questo finisce…

Quel legame è sempre esistito… esiste ancora oggi… e sempre esisterà…  possiamo fare qualsiasi cosa, andare, tornare, svegliarci ed addormentarci, ma esso sarà sempre lì.

Di negarlo, oramai, sappiamo entrambi che è impossibile…

E se tu hai accettato di vivere con il tormento di averlo perduto, io non lo farò mai. Mai più.

Perché è sempre lì, intero, bello, splendente, come è sempre stato anche quando non lo vedevamo.

E se vivere significa negarlo, e morire significa che esso è parte di noi… se devo morire, sapendo che è inevitabile e fatale che sono destinata ad essere tua…

… così sia.

 

Questo capitolo è stato un autentico parto!! Non so nemmeno io da quanto lo state aspettando, povere stelline mie!! Purtroppo di mezzo c’è stato, nell’ordine, un esame, le vacanze di Natale, una crisi d’ispirazione senza precedenti e tutta una serie di piccole cose rompiscatole che mi hanno distratto il cervello…J Inoltre sono troppo egocentrica per avere una beta, quindi rileggere il capitolo e scovare i mini errori è stata una pena senza precedenti…L Ma a parte questo, finalmente iniziamo a fare un po’ di ordine in questa matassa di eventi che ho messo a cuocere, entrando nella testa del bel Serpeverde!:D Devo dire che Draco mi affascina molto come personaggio e spero di essere riuscita a renderlo anche se solo in parte… voglio, come sempre, che resti assolutamente IC, credo che sia la mia prima priorità nella storia, stessa cosa ovviamente per Hermione. Quindi, siccome la mia storia segue l’andamento di quella canon fino al sesto libro, volevo assolutamente che Draco non sembrasse innamorato di Hermione già dal primo anno, cosa che ho letto in alcune fic e che, a parte alcune, non ho trovato molto convincente. Sono dell’opinione infatti che, se guardassimo solo la storia originale, Draco ed Hermione sono colmi di potenzialità l’uno nei confronti dell’altra, ma bisognerebbe introdurre un evento davvero traumatico nella vita di entrambi per farli avvicinare. Ma, lasciando le cose come stanno, non riesco proprio ad immaginare un Draco innamorato di Hermione già dal primo anno, quando la chiamava Mezzosangue e simili… insomma volevo creare una connessione tra di loro che fosse indipendente da un comune sentimento d’amore, inteso in modo tradizionale. Mi piace molto l’idea di un rapporto fatale che esiste indipendentemente da etichette come AMORE, ODIO, AMICIZIA, ecc… e mi piaceva molto anche l’idea di due persone che hanno vissuto la vita, l’una accanto all’altro, ma senza toccarsi davvero mai… questo, ripeto, è la mia personalissima idea e spero di averla resa al meglio!! Ovviamente sono aperta a qualsiasi nuova tesi…:D nel prossimo capitolo, invece, entreremo più nel vivo della vicenda, scorrendo i ricordi di Draco al Petite peste, quindi della mia “vera” storia!

Il titolo del capitolo è preso da una canzone dei Trading Yesterday, a mio dire, davvero stupenda ed adattissima a questa coppia… per chi la volesse ascoltare questo è il link di un video DRAMIONE proprio con questa canzone in sottofondo!

 

http://www.youtube.com/watch?v=DuLYt7GOmBk

 

Ora passo velocemente ai ringraziamenti e alle risposte di rito:

SHINKORO: che bello una nuova lettrice!! Ti ringrazio tantissimo dei tuoi complimenti, mi hanno fatto davvero piacere!!:D sono contenta che la storia ti sia piaciuta e che tu te la sia divorata!! Sono cose che, ad una pseudo scrittrice come me, fanno sempre piacere!! Purtroppo come avrai potuto leggere da questo capitolo, Hermione cinque anni dopo è effettivamente sposata con un’altra persona… ma in HALFT le cose non sono mai come sembrano e, tranquilla, ho sempre garantito l’happy ending tra la nostra Herm e Draco!! Grazie ancora, un bacio

SLAB: “Come diamine ha fatto Draco Malfoy ad innamorarsi di Hermione Granger?”, è la domanda da un milione di dollari, anzi di galeoni!! J ma spero che da questo e dal prossimo capitolo di dare finalmente risposta a questa domanda!! Grazie tantissimo dei tuoi complimenti, e non ti preoccupare, recensisci quando puoi e vuoi!:D un bacio!!

LADY_SLY: Ciao cara Ale!! Grazie davvero dei tuoi complimenti, lo scorso capitolo effettivamente mi è stato abbastanza difficile da scrivere, nel senso che Hermione immobilizzata in un letto, non era il massimo della vita per una descrizione accurata, ma volevo effettivamente che arrivasse quello di cui mi hai parlato tu, cioè la sensazione quasi di sentirsi soffocati dalla voglia di parlare, di fare qualsiasi cosa e di non poterlo fare.  Mi è piaciuto tantissimo il tuo paragone della mia storia ad una pianta d’edera, è un’immagine davvero affascinante e poetica!! Grazie ancora, un enorme bacio!

ERUANNE: ciao carissima!! Hermione effettivamente, soprattutto per come l’ho resa io, può rompere le scatole anche se fosse muta e sorda! In questo assomiglia molto alla sottoscritta…! Grazie della fiducia anticipata per questo capitolo, spero che ti piaccia anche dopo averlo letto… come infatti hai visto, ho seguito il tuo consiglio e ho vagato un po’ nel passato dei nostri cari Herm e Draco!!:D Non ti preoccupare dell’Hermione del futuro, già dal prossimo capitolo avrai una bella sorpresa…! Un bacio Cassie!!

PICCHIBAU: ciao cara!! È sempre bello trovare nuove lettrici! Tranquilla, in tantissime occasioni ho ribadito di non farvi “Spaventare” dall’apparente futuro nero di Hermione! Andrà tutto bene, ve lo assicuro! Un bacio e grazie a te di aver letto la mia storia! Un bacio!

STELLALE: ciao tesoro!! Grazie davvero dei tuoi complimenti, me ne fai davvero tanti tanti, me felice!! Le parti del futuro sono effettivamente un po’ laceranti anche per me, nel senso che è difficile scriverle sapendo che c’è dietro, ma davvero, dal prossimo capitolo le cose andranno meglio anche per la Herm del futuro! Per quanto riguarda la parte sul presente, anche io ho adorato (pure se l’ho scritta da sola!) la dichiarazione di Draco, rispecchia l’idea dell’amore che ho io, qualcosa di puro, totale e che non ti porta mai a cambiare te stesso, e che ti rende più libero, non più prigioniero. Volevo che si avvertisse quanto Draco fosse cambiato per merito più o meno palese di Hermione… e l’uscita di scena mi serviva così, anche se sono stata effettivamente cattivella! Pansy e Blaise volevo lasciarli come sono, due Serpeverde, odio quelle storie dove familiarizzano  subito con Hermione, anche se sono anni che non si sono mai filati di striscio. Per quanto riguarda Raissa, avrà un ruolo molto importante in futuro, e sono i segreti del mestiere spiccio che faccio lasciarla per il momento in ombra!!:D Una cosa: correggimi pure quanto vuoi!! Merito fior fior di strigliate per certi pasticci che combino!! Quindi dimmele tutte che, progressivamente, quando si spera, riuscirò a rivedere la storia che è piena di contraddizioni insopportabili, toglierò anche quegli errori! E sono stata così logorroica che il capitolo viene persino diviso in due parti!!:D grazie ancora!! Un bacio!!

VERONIC 90: grazie tantissimo dei tuoi complimenti, questi capitoli sono daaaaavveero importantissimi!! Un bacio!!

SINGER: credo che la domanda : “Come diamine ha fatto Draco Malfoy ad innamorarsi di Hermione Granger?”, sia la più quotata al mondo!! Grazie dei complimenti, un bacio!!

OPHELIA: ciao tesorina!! Tu mi fai troppi complimenti, addirittura un genio??!! Se fossi così geniale non avrei aspettato tanto tempo per scrivere ed avrei circa due miliardi di recensioni!!:D ti ringrazio davvero tantissimo, anche di tutti gli spot via facebookiana!! Raissa non convince nemmeno me che l’ho creata, ed è tutto dire… sarà lei a dirmi in che direzione vuole andare!!:D come avrai letto, alla fine ho scritto anche dei ricordi di scuola e per questo il capitolo lo dovevo per forza dividere in due…:D spero che non ti dispiaccia!!:( un bacio, tesorina!!

HELDER BLACK: ciao carissima! Sono contenta che la scena della dichiarazione ti abbia scaldato il cuore, è una cosa bellissima da sentire considerando, come sempre, quanto fossi dubbiosa al riguardo…:D grazie ancora tantissimo, un bacione!

VANILLA SKY: no, no, non tralasciare lo spagnolo per me!! Bisogna studiare!! (lo dice una che dovrebbe studiare diritto commerciale ed invece sta scrivendo da ore!!)!! grazie davvero tantissimo dei tuoi complimenti!! Hai davvero ragione, me ne ero dimenticata!! Questa storia era anche pubblicata sul sito Every little thing dedicato alle Dramione, ma poi, come centinaia di altre cose mie, mi sono dimenticata di aggiornare anche lì, sono contenta allora di averti ritrovato qui…J un enorme bacio, Cassie!!

LYLI ROSE: ciao cara, grazie dei tuoi complimenti!! Purtroppo il futuro dei cinque anni dopo si avvererà, ma non per il momento, e comunque avremo sempre il lieto fine!! Posso anticipare però che la colpa di tutto sarà di Hermione stavolta, non del povero Dracuccio!! Grazie tantissimo del tuo consiglio, effettivamente l’ho trovato molto utile, specie nell’ultimo ricordo…! Draco è veramente prolisso quando ci si mette, è un personaggio molto complesso…L grazie ancora!! Un bacio!!

SEVEN: la mia carissima Nadia!! Inutile che ti stia a dire quanto adoro le tue recensioni, sono delle vere e proprie analisi del testo, farcite delle tue riflessioni. Come dico sempre, sei il sogno di ogni pseudo scrittrice come me!! Grazie davvero della pazienza che hai nell’ascoltare tutte le mie paranoie sulla storia e simili!! Lo dico e lo ripeto, metà di HALFT è del tutto MERITO TUO!!! (ps: ho di nuovo msn andato, ma è una cosa passeggera, la risolvo in poco!) un bacio, tvb!

HALEY JAMES: Haley, ciao!! Mamma mia, grazie davvero, addirittura un libro? J Sinceramente non lo so, diciamo che questa storia è troppo legata al fandom di HP per poterla rendere autonoma ed indipendente come storia originale, dovrei stravolgere un sacco di cose e alla fine non sarebbe più la stessa… ma il fatto che tu ci abbia seriamente pensato mi ha davvero colpito e fatto piacere!! Raissa mi piace ed inquieta allo stesso tempo, mentre Hermione mi è sempre facilissima da descrivere perché, ripeto, in questa mia versione, non ho dovuto fare altro che modellarla su me stessa!! :D Blaise e Pansy li ho voluti lasciare volutamente così, diciamo che ho cercato di pensare a come si comporterebbero nella realtà due persone che vedono un loro amico mettersi con una che odiano (anche se tecnicamente non stanno ancora assieme) e penso che troppa “comprensione” mi sarebbe sembrata forzata…J un grandissimo bacio!!

Un ringraziamento particolare va alla meravigliosa SWEET TAIGA che ha realizzato una bellissima copertina di HALFT che potrete vedere se entrate nel mio profilo FB , Cassie chan EFP!! E che mi ha anche davvero pubblicizzato in modo meraviglioso nella sua storia, dateci un’occhiata, è davvero carina!! Si chiama SHE CALLED IT LOVE!! Ecco il link: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=607470&i=1

Un enorme bacio anche a coloro che leggono soltanto la storia, siamo a quota 162 preferiti, 228 seguiti e 38 da ricordare!! Grazie a tutti!!

 

 

 

 

   
 
Leggi le 18 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: Cassie chan