Un abbraccio.
Un abbraccio.
Ecco cosa desiderava in quel momento Hanna Abbott.
Si strinse meglio che potè quella coperta sporca di calcinacci e di grumi di sangue.
Sbattè gli occhi più volte, cercando di non dormire.
Tutto intorno a lei non era altro che confusione, uragani vestiti di verde e di bianco che correvano lungo i corridoi e parole secche che tagliavano l'aria irrespirabile e carica di tensione.
Perchè lì, dietro quelle tendine verdi c'erano loro i suoi amici.
C'era Susan, coperta da una maschera di sangue, addormentata su un lettino e indifferente alle cure dei guaritori.
C'era Justin che piangeva sommessamente, sconvolto dalla morte dei suoi più cari amici.
E poi nell'altra stanza un impassibile Ernie che fissava il soffitto e contava lentamente e con voce roca, sperando di addormentarsi e risvegliarsi nel suo letto a baldacchino con le coperte della sua squadra preferita.
Sentì le lacrime uscire e rigare il suo viso.
Quando sarebbe finito tutto questo?
Ma proprio poco prima di decidere di andarsene e cercare un angolo dove piangere ogni lacrima, ogni frustazione, un'ombra che riconobbe nonostate la vista offuscata si sedette accanto a lei.
-Ce la faremo tutti.-
E solo allora capì quanto le cose fossero cambiate da quella notte.
Si lasciò stringere goffamente dall'abbraccio di Neville, pregando che quella notte finisse presto.
-Io sto bene, non piangere.- scandì bene le parole, come se le costasse troppa fatica parlare.
Lei stava bene.
Il braccio era ancora gonfio e bendato da garze magiche. La gamba maciullata e insensibile ai suoi comandi. Il petto dolorante.
E soprattutto gli occhi bendati.
-Non si preoccupi signorina Bones, questa sarà una situazione temporanea.- le aveva detto il guaritore, appoggiando la sua mano calda alla spalla. -Ancora qualche giorno e le ridaremo la vista.- disse fiducioso.
Ma Susan non accennò a un sorriso o a un gesto di riconoscenza, quel giorno lei voleva solo che qualcuno avesse la decenza di lasciarla da sola.
Nemmeno Hanna aveva ascoltato le sue parole. E ora si trovava a consolarla.
Automaticamente la strinse in un abbraccio, forte e deciso, nonostante il dolore al braccio e affondò il naso nei capelli vaporosi e profumati della sua migliore amica.
Quante volte aveva trovato rifugio fra le sue braccia?
-Non piangere, non piangere.- ripeteva meccanicamente all'amica, domandandosi se mai avrebbe avuto la possibilità di rivedere il suo sorriso sbarazzino.
In quel momento però, bastava il calore del suo abbraccio a farla sentire viva.
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Eccoci al secondo capitolo.
Vi è piaciuto?
Qui abbiamo la Tassorosso per eccelenza Hanna Abbott e gli ospedali.
Vi spedisco una scatola di cioccorane,
un bacione
Isy.