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Autore: Akiko chan    06/02/2011    1 recensioni
Indugiò ancora un attimo, perso in quel mare glauco, assaporando quell’emozione sconosciuta che lei sola sapeva trasmettergli… Un attimo ancora prima di entrare in lei. E fu in quell’attimo che lo percepì per la prima volta.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kei Hiwatari
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO I. RICORDI DI LUI
 
Il giovane studente si lasciò cadere a peso morto sulla panchina di legno, scolorita e scrostata dalla perenne esposizione alle intemperie, ben nascosta dai folti cespugli di rododendro e dalle betulle dall’altissimo fusto. Con gesto stizzito si allentò lo stretto cravattino rosso che completava la severa divisa del college: accidenti a quell’inutile aggeggio che gli toglieva il respiro! Se avesse potuto lo avrebbe fatto a pezzi, come d’altronde avrebbe volentieri disintegrato tutta quella stupida uniforme.
 
Appoggiò svogliatamente i gomiti sullo schienale di legno, sollevando leggermente il capo in modo che la profumata brezza proveniente dal lago, che si intravedeva appena oltre il rigoglioso fogliame, gli accarezzasse dolcemente il volto teso. Quel posto nascosto, sconosciuto alla maggior parte degli studenti, era una vera e propria oasi di pace e tranquillità. Non a caso l’avevano scelto come luogo prediletto per i loro incontri clandestini. Sempre nell’ombra, sempre lontani da occhi indiscreti, ma per quanto ancora avrebbe sopportato quella situazione? Non erano due banditi e non stavano facendo nulla di male, eppure lei non era disposta a rivelare al mondo la verità, e lui non poteva far altro che accettare, accettare l’idea che fosse contornata da ragazzi e non poter intervenire, vederla ridere e scherzare con i compagni che le sbavavano addosso senza neppure sforzarsi di nasconderlo … accettare … accettare … mandare giù a grossi bocconi quella schifosa gelosia che gli avvelenava il sangue …  accettare ... accettare tutto pur di starle accanto…
 
Si scostò con gesto distratto della mano il ribelle ciuffo di capelli grigi che gli ricadeva d’avanti ai vivaci occhi scuri, solleticandogli le palpebre ed il naso. Incrociò le pupille osservando pensoso quel leggero filo grigio che gli svolazzava di fronte, quel colore era assurdo, avrebbe dovuto cambiarlo, come poteva pretendere che lei dicesse ai quattro venti di stare con lui, quando niente in lui era normale? A partire dal colore dei capelli … ma chi voleva prendere in giro … non era certo la sua capigliatura il reale problema! Lui era un outsider comunque, era lo straniero, il muso giallo, il pezzente venuto da quel rozzo paese con le sue antiquate usanze.
 
Quel branco di viziati figli di papà non facevano altro che ricordarglielo squadrandolo con disprezzo dall’alto in basso ogni volta che lo incontravano, facendo apprezzamenti meschini e considerandolo un infame bastardo, indegno di frequentare la loro scuola, persino di respirare la loro stessa aria.
 
Eppure quando il suo bey saettava veloce, non vi era dubbio su chi fosse il migliore! Ma quelle sfide clandestine, che si svolgevano di notte, nascosti negli anfratti più reconditi dell’imponente struttura del college, non erano sufficienti a riabilitarlo ai loro occhi. Le sfide di bey erano proibite, considerate uno sport ridicolo, indegno di essere paragonato al nobile rugby, al baseball, al basket. Ma quegli idioti, troppo vigliacchi per ammettere che il bey-blade era una vera e propria arte sportiva, ne erano tuttavia affascinati e quasi tutti gli studenti del collage partecipavano a quelle gare proibite. Lui era senza ombra di dubbio il più forte, di notte lo temevano e forse lo ammiravano, ma quando spuntava il giorno quegli ipocriti, dimenticavano le cocenti sconfitte, l’umiliazione per non essere neppure in grado di avvicinare i loro ridicoli bey al suo Dranzen per più di un paio di secondi… se Dranzen glielo permetteva di avvicinarsi altrimenti non facevano neppure in tempo a poggiarsi sul campo di gara!
 
Quelle sfide lo avevano sempre annoiato morte, vi aveva partecipato solo perché all’epoca non aveva niente di meglio da fare. Odiava il senso di inutilità ed infelicità che quelle vuote trottole lasciavano in lui. L’Aquila Rossa ruggiva indignata ad ogni scontro e lui temeva che prima o poi lo avrebbe abbandonato per ripicca se non avesse smesso di umiliarla in quel modo. E così una sera di due mesi prima aveva deciso che sarebbe stata l’ultima volta e  … così fu …
 
-…basta me ne vado siete un ammasso di dilettanti, mi fate schifo!-
 
-Aspetta! Un’ultima sfida-
 
Mi ero bloccato al suono di quella voce melodiosa che avevo sentito più volte nei corridoi al termine delle lezioni. Eppure non osavo credere che appartenesse proprio a… mi voltai incredulo, nascondendo a fatica la mia sorpresa nel trovarmi di fronte proprio Patience Delaney in carne ed ossa.
 
Quante volte l’avevo osservata di nascosto, ogni minimo dettaglio di lei era impresso a fuoco nella mia mente. Odio tutto dell’America: la gente, il cibo, il clima, l’aria, l’odore, la strafottenza e l’arroganza, ma non ero riuscito ad odiare lei … Pat la ragazza più corteggiata del college, una bellezza da far perdere la testa a chiunque. Ci avevo provato ad ignorarla, a fingere di non accorgermi del mio cuore che accelerava senza motivo al suo solo apparire, del vuoto allo stomaco e delle mie mani sudate…  Non mi è stato per niente facile ammettere che neanche io, nonostante la mia perenne aria di “uomo imperturbabile” ero immune a quel fascino fuori dal comune.
 
Ripresi il controllo sforzandomi di non far trapelare nulla al di là della maschera indecifrabile che indossavo da tempo immemorabile -Perché dovrei perdere altro tempo?-
 
-Un ultimo incontro- aveva insistito lei guardandomi dritto negli occhi.
 
-E contro chi?- avevo ribattuto con il mio solito sorrisetto ironico stampato in volto, guardandomi attorno con finta aria annoiata.
 
-Con me-
 
-Cosa?- avevo strabuzzato gli occhi sbigottito - Stai scherzando!-
 
-No, in guardia- aveva intimato per tutta risposta senza scomporsi ed impugnando un dispositivo di lancio bianco come la neve, e bianco immacolato era anche il bey che un attimo dopo roteava minaccioso in mezzo alla pista.
 
Quel vortice immacolato mi stregò trascinandomi con sé in un candido turbine e senza farmelo ripetere due volte lanciai Dranzen.
 
I due bey sfrecciarono veloci come saette, scontrandosi ripetutamente senza mai sbilanciarsi, l’Aquila non fiatò, Dranzen non respinse l’attacco, i bey si respinsero per poi cercarsi di nuovo in una specie di prova di forza, quindi riallontanarsi, vorticando sempre di più.
 
Fu una folgorazione improvvisa, una sensazione sconosciuta, ma paradossalmente familiare.
 
Un attimo, mi ci volle solo un attimo, per percepire il suo bit power.
 
Stupito avevo alzato lo sguardo incontrando gli incredibili occhi color indaco di lei, un colore sconosciuto in Giappone, due pezzi di cielo dal fascino magnetico che in quel momento brillavano eccitati e… soprattutto parlavano, parlavano solo a me, e mi dicevano che anche lei aveva percepito il mio bit.
 
Fu un istante, un impercettibile gesto di assenso che solo noi potemmo cogliere…
 
Un secondo dopo i due bey erano di nuovo in mano ai rispettivi proprietari.
 
Un coro di disappunto si sollevò attorno a noi, nessuno comprese il perché di quella repentina interruzione, proprio quando il duello si preannunciava interessante. Ma noi sapevamo il motivo e soprattutto continuavamo a comunicare in quel misterioso modo. Un’altra sfida, ci stavamo dicendo, noi due soli, lontani da sguardi indiscreti…
 
Non avevamo altra scelta: se i bey erano banditi, i bit power erano persino demonizzati, temuti come il diavolo. Se solo qualcuno avesse scoperto che noi due lo possedevamo, sarebbe stata la fine, avrebbero subito spifferato la verità al preside e i bey incriminati, sequestrati.
 
Ma la nostra sfida era ormai aperta e non poteva concludersi senza che i due bit si scontrassero.
 
Un ultimo sguardo, un definitivo accordo.
 
Mi allontanai, sicuro che avrei avuto presto sue notizie, mentre lei rispondeva alle domande curiose dei presenti, che non sospettavano assolutamente nulla di quanto fosse accaduto. Con uno dei suoi magnifici sorrisi, che facevano ammutolire e perdere la ragione, lasciò tutti senza parole, evitando qualsiasi spiegazione.
 
Sapevo che era solo questione di tempo, ma non mi sarei mai immaginato di trovare, la mattina successiva, un bigliettino, accuratamente ripiegato, infilato nel mio armadietto nel corridoio. Solo poche, ma chiare righe “Alle sei oggi pomeriggio nel boschetto di betulle a sud del lago. P.D” solo le iniziali…ovvio non voleva rischiare che qualcuno intercettasse la sua corrispondenza con l’emarginato...
 
Aspettai con impazienza che le inutili ore della mattinata passassero e mi presentai all’appuntamento con una buona mezz’ora di anticipo. Ma in fondo non ero stato l’unico ad attendere quell’incontro con impazienza, perché pochi minuti dopo il mio arrivo, comparve lei, materializzandosi silenziosamente a pochi passi da me.
 
-Sei pronto?- mi chiese semplicemente senza nemmeno salutarmi. Fui scocciato da quell’accoglienza sbrigativa ma non battei ciglio…
 
Tre… due… uno…lancio!!!
 
I bey schizzarono impazziti divellando zolle di terra e squarciando cespugli spinosi di rosa selvatica, non c’era che dire non era una principiante, controllava la sua trottola con discreta abilità. L’energia dei due bey aumentava, ad ogni loro scontro la sentivo crescere e anche Pat la sentiva, glielo lessi nell’espressione estasiata…quanto era bella…toglieva il fiato…ma non dovevo distrarmi, quello era il momento di liberare l’Aquila Rossa…e se fosse stata una trappola? Una ridicola messa in scena per far uscire il mio bit e farmi sequestrare Dranzen? Poteva quell’angelo essere l’arma che mi voleva ferire? Non mi restava che rischiare, Dranzen era in difficoltà e io non volevo perdere, non con lei, con nessuno… La guardai  e di nuovo i nostri occhi si parlarono…non vi era possibilità di errore e all’unisono il nostro grido si levò alto nel cielo azzurro di quel pomeriggio estivo.
 
-Aquila Rossa vai!-
 
-Fenice bianca attacca!-
 
Magnifici! Due bit power potenti e maestosi: l’Aquila Rossa e la Fenice Bianca vibrarono nell’aria alteri e supremi…ma non vi era scampo l’Aquila Rossa era indubbiamente più potente e Pat non sapeva guidare la Fenice. In pochi secondi la Fenice Bianca chinò maestosa il capo e scomparve nel suo bey che si arrestò ai piedi della padrona.
 
E ora? Sarebbe andata via? Era arrabbiata? Mi odiava?
 
No niente di tutto questo.
 
Recuperò il suo bey e mi si avvicinò sorridendo felice.
 
-Hai vinto. Sei un vero campione ed è stato un onore vedere un bit power così potente in azione…ah io sono Pat…-
 
Uhm! Come se non lo sapessi, quel nome che ripetevo anche in sogno…
 
-…tu sei Kei il Giapponese…-
 
Che voleva dire? Mi irrigidii istintivamente ma, sbirciandola di sottecchi, non colsi né malizia né scherno nella sua voce, anzi proseguì dolce e pacata e ogni sua parola mi accarezzava l’anima, inaridita da quei tristi mesi in quel paese ostile.
 
-Desideravo conoscerti da molto tempo…mi era giunta voce della tua bravura col bey ma non immaginavo tanta perfezione…-
 
-Dai non esagerare…- non era da me fare il modesto ma con lei non mi riusciva di fare l’arrogante spaccone che voleva intimorire il mondo intero.
 
-No dico davvero …io…Kei…io vorrei sapere come hai scoperto la potenza dell’Aquila Rossa e come hai imparato a gestirla così bene…-
 
-Beh è una storia lunga…-
 
-Raccontamela ti prego … ecco sediamoci su quella panchina. Io non ho fretta e tu?-
 
-Fretta? No…no- la seguii sulla panchina e iniziai a parlare, non solo di Dranzen ma di tutta la mia vita, dei miei compagni, delle sfide, della Russia, delle mie vittorie. Il mio cuore esultava perché lei mi ascoltava attenta e avrei parlato all’infinito pur di starle così vicino…
 
Alla fine tacqui. Si era fatto veramente molto tardi, il cielo si stava tingendo di rosso e la sfera incandescente del sole rifletteva i suoi ultimi bagliori sulla superficie piatta del lago.
 
-Che bello il cielo a quest’ora…- disse Pat sospirando- I colori del tramonto mi ricordano le sfumature della tua Aquila Rossa-
 
Incredibile anche io lo avevo sempre pensato!
 
-Kei…-la sentii chiamare esitante
 
-Dimmi-
 
-Io volevo chiederti un favore…credi di potermelo fare?-
 
-Sentiamo di che si tratta- avevo tergiversato per un’innata tendenza alla prudenza, ma ero consapevole che se mi avesse chiesto la luna, sarei corso a prendergliela…
 
-Io vorrei che tu mi allenassi, che mi insegnassi a dominare meglio la mia Fenice…-
 
Mi guardò supplichevole e io quasi mi sciolsi, come un ghiacciolo al sole.
 
-Sì- risposi secco, non perché mi scocciasse, ma perché non riuscivo più a parlare…se avesse continuato a guardarmi così, mi avrebbe senz’altro ucciso…
 
-Dici davvero?- scattò in piedi entusiasta – Che ne dici di domani alla stessa ora qui?-
 
-Si-
 
-Oh non so come ringraziarti! Allora a domani- disse scappando via veloce.
 
Rimasi immobile per parecchi minuti prima di riprendermi da quel fantastico pomeriggio, alla fine mi decisi ad alzarmi e dirigermi verso il dormitorio, finalmente felice come non lo ero mai stato.
 
Ci rivedemmo il giorno dopo, e quello dopo ancora, e ancora…era brava. Imparava in fretta. Come avevo già constatato il suo controllo del bey era quasi perfetto, ma aveva dei problemi a maneggiare la potenza della Fenice…non si concentrava abbastanza, e quel giorno era particolarmente distratta…
 
-Insomma Pat, concentrati!-
 
-Mi sto concentrando!-
 
-Non è vero! Cos’hai?-
 
Fu un attimo magico. Un dialogo che lei tentava di soffocare ma quella nostra misteriosa telepatia era scattata ancora una volta. Richiamai Dranzen allibito…non potevo…non osavo credere che…
 
-Non ho niente Kei, sono solo stanca- disse facendo vagare lo sguardo altrove. Ma sapevo che mentiva. Il mio cuore aumentò i suoi battiti mentre la osservavo che lenta si adagiava sulla panchina allungando le belle gambe davanti a sé, tentando di ostentare un’indifferenza che non provava affatto. Mi avvicinai e mi sedetti accanto a lei.
 
-é il tramonto- dissi tanto per rompere quello strano imbarazzo.
 
-Già l’ora dell’Aquila Rossa…che bello mi toglie il fiato il colore del cielo…-
 
-è la stessa cosa che ho pensato quando…- mi bloccai appena in tempo.
 
-Quando?- mi incalzò, guardandomi con il viso in fiamme, non so se era una mia impressione causata dal riflesso del cielo o per una reale emozione che la scombussolava…
 
-…quando ti vedo. Ogni volta che ti vedo penso che sei bella da togliere il fiato Pat-
 
Trattenne il respiro, io impugnai tutto il mio coraggio e la baciai…
 
Una lieve pressione sugli occhi interruppe bruscamente i piacevoli ricordi di Kei. Due mani leggiadre premevano dolcemente sulle sue palpebre.
 
-Uhm…- mugugnò il ragazzo- chissà chi sei…-
 
Appoggiò le sue mani robuste su quelle piccole che gli impedivano di vedere, le accarezzò dolcemente e poi spostò il suo tocco sugli avambracci, i gomiti, per salire lento e delicato sempre più sù….
 
-Ok …ok mi arrendo!- rise felice la ragazza togliendo le mani dagli occhi di lui e circondandogli le spalle. Lo baciò delicatamente sulla guancia, sussurrandogli piano – Lo sai che non resisto quando mi tocchi così….-
 
Kei si alzò, l’afferrò saldamente per i fianchi e in un attimo la sollevò portandola al di là della panca, di fronte a lui. Pat lo lasciò fare fiduciosa, aspettando che lui si riaccomodasse sulla panchina per poi sedersi sulle sue ginocchia, subito circondata dalle braccia protettive di Kei. Si scambiarono un lunghissimo bacio pregno di amore e passione.
 
-Sei in ritardo- sussurrò Kei riprendendo fiato qualche attimo dopo.
 
-Uhm…- mugugnò lei ancora stordita dal bacio mozzafiato del suo ragazzo -Mi…mi hanno trattenuta al club delle majorette, siamo tutti indaffarati per la preparazione della festa di domani…perché quella faccia? Te ne ho parlato no?- disse tentando di dare un tono noncurante alle sue parole, anche se sapeva benissimo quanto Kei odiasse quel tipo di feste.
-Sì- rispose brusco
-Amore che c’è? Perché ce l’hai con me?Lo sai che non mi posso tirare indietro, sono il capitano della majorette e questa festa è inevitabile, dobbiamo rendere omaggio alla squadra di rugby del college che quest’anno ha vinto il campionato…-
-Sì lo so. Non ce l’ho con te-
-Bugiardo, te lo leggo in faccia-
-Insomma Pat! Che pretendi da me?- sbottò infine incapace di trattenersi oltre -Devo far finta di non sapere che quelli della squadra di rugby ti gironzolano intorno come api sul miele? Per non parlare del loro capitano…Peter Sanders…-
-Uffa ancora con Peter! Te l’ho già spiegato, tra me e lui non c’è stato niente di serio, e poi era molto tempo prima di conoscere te-
-Niente di serio, però lo hai baciato!-
-Solo un paio di volte e non mi è piaciuto per niente. Io ho capito cosa vuol dire baciare con te…e non solo- disse birichina aprendo due bottoni della camicia di Kei e infilando veloce una mano per accarezzare la pelle nuda e calda del petto del ragazzo.
-Uhm…- borbottò lui confuso dalle languide carezze di Pat.
-Stasera ti aspetto alla solita ora?- chiese maliziosa, baciandolo lentamente sul collo teso.
-Cosa? Sì…ma dove vai?- chiese stupito, vedendola in piedi, pronta a scappare via.
-Devo andare, sono scappata un attimo con una scusa, ma si staranno già chiedendo dove sia finita-
-E lascia che se lo chiedano-
-Dai non aumentiamo sospetti che già ci sono in giro…-
-E allora? Io sono stufo di fare tutto nell’ombra. Voglio che sia chiaro a tutti che tu sei mia. O forse ti vergogni di dire che stai col “Giapponese”?-
-Non dire sciocchezze! Comunque non mi sembra il momento per discutere di queste cose, a stasera- disse scomparendo oltre gli alberi.
-Pat aspetta!-
 
Ma era troppo tardi, lei era già lontana. 
  
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