Fictional Dream © 2011 (14 febbraio 2011)
Disclaimer: Harry Potter, Ron Weasley, Hermione Granger,
Severus Piton, Draco Malfoy e tutti gli altri personaggi appartengono a J.K.
Rowling, al suo editore e ai distributori internazionali che detengono i diritti
sull'opera. Questa storia è stata redatta per mero diletto personale e per
quello di chi vorrà leggerla, ma non ha alcun fine lucrativo, né tenta di
stravolgere in alcun modo il profilo dei caratteri noti. Nessun copyright si
ritiene leso. L’intreccio qui descritto rappresenta invece copyright
dell’autrice (Callie Stephanides - http://fictionaldream.iobloggo.com). Non ne è ammessa
altrove la citazione totale né parziale, a meno che non sia stata autorizzata
dalla stessa tramite permesso scritto.
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L’aria sa di pioggia e di polvere; di paura e di morte.
Pioggia è questo Sabbath umorale e umido, che anticipa
l’estate senza convinzione.
Polvere è il respiro eroico del Torneo Tremaghi, la sua eco
entusiasta e prepotente.
Paura è la traccia che segue, perché di terrore odora Draco.
Morte… Morte è il suo profumo.
È un superbo leopardo delle nevi quello che fende rapido
l’oscurità della Foresta Proibita. La terra è pesante sotto le sue zampe, gonfia
di umidità. Stringe le mascelle e libera un suono gutturale – un uggiolio
soffocato e feroce.
Se solo Draco potesse sentirmi, pensa – spera.
Tutto tace.
La terza prova sta per cominciare.
Traditori di tutti, mastica rabbioso, tra saliva e
sangue. Traditi dal padre prima; dal maestro poi. Sono stati due stupidi, due
illusi. Sono pedoni sacrificabili.
Florian strizza gli occhi. La pupilla reagisce all’oscurità
dilatandosi. È un Mannstier come tutti i Von Kessel. Al casato Von Kessel, il
Ministero si rivolge con deferenza, senza imporre la violenza di un timbro e di
un registro. Pochi conoscono il suo segreto e Draco è tra questi, assieme a Karkaroff: l’amato maestro che l’ha straziato.
I garretti cedono. La foresta sa di sole, ma non è un buon
sapore. È la sconfitta che ti cade addosso, la paura e il dolore. Ha le fauci
piene di terra, e schiuma bile e sangue. Deve rialzarsi, anche se dalla ferita
aperta sul fianco il sangue erutta più denso che mai.
Draco si prepara a uccidere sotto l’Imperius di Crouch.
Se anche fallisse, la sua vita basterebbe allo scopo.
Florian chiude gli occhi.
Sa che dovrebbe rialzarsi e riprendere la corsa. Sa che non
andrà a nessuna parte: quindici anni e muore sotto il cielo di Litha.
La terra è calda e libera un odore grasso e buono. Poco alla
volta, il felino cede il passo al ragazzo.
Spessi nembi velano il cielo estivo. Timide, le stelle si
ritraggono.
Florian stira le labbra – la smorfia spastica di un’agonia.
Non vede più nulla, se non ricordi.
La memoria è quello che trascini con te all’inferno, quando
cancelli presente e futuro.
***
Ha undici anni e piove, quando s’imbarca a Riga per
Durmstrang – per il suo primo, spaventoso giorno di scuola. Il porto, alle
cinque del mattino, ha la bruttezza spettrale dei luoghi poveri, consumati dalla
Storia. Puzza di pesce, di vuoto, di freddo.
Florian si stringe nelle cocche della pelliccia. Al suo
fianco qualcuno lo imita: è un ragazzino fragile e spaventato, il cui viso
patito si perde nelle volute di una candida sciarpa.
È Draco Malfoy, e quello è il loro primo incontro.
***
Cade una goccia.
Florian ne lecca l’impronta tiepida con la lingua. Sembra
salata.
Potrebbe essere una lacrima.
***
Florian è il più giovane del suo casato: quando lo mandano a
Durmstrang, i suoi due fratelli – i gemelli Kaspar e Klaus – ambiscono entrambi
a diventare Czar di Imbolc – ne parlano dall’estate e aspettano il ritorno sui
banchi di scuola con l’ansia fremente dei lupi affamati.
Florian li ascolta in silenzio e apprende le poche, scarne
regole che disciplinano il più spietato dei collegi.
Durmstrang ha quattro dormitori, quattro come i Sabbath
Maggiori della Ruota dell’Anno – Samhain, Imbolc, Beltane, Lughnasadh. A Samhain
appartengono i crepuscolari e i mistici. A Imbolc, i cacciatori. A Beltane, gli
alchimisti. A Lughnasadh, i politici e gli ambiziosi.
A quindici anni, il miglior studente di ogni Casa diventa
Knjaz del Dormitorio. A diciassette, Czar.
Lo Czar ha poteri disciplinari illimitati e il prestigio di
un principe. Essere Czar, soprattutto, vuol dire avere diritto a una camera
privata e a due ore di braci: un solo giorno al Nord basterebbe a spiegare
perché tutti accettino di sottoporsi alle prove durissime che assegnano il
titolo.
Al contrario di Hogwarts – Hogwarts la tiepida, la civilizzata
– a Durmstrang lo Czar non viene designato dall’alto, ma eletto dagli stessi
studenti.
Come?
“A filo di lama. In punta di bacchetta,” ghignano feroci i
gemelli.
Sono giorni e giorni di duelli, intervallati solo da lezioni
in cui s’insegna ancora a mordere e a combattere.
Oderint dum metuant: ecco il motto di Durmstrang.
Florian ha undici anni e trema nella sua pelliccia: trema di
freddo e di paura, perché l’ignoranza è più dolce di una certezza disperata.
Trema anche Draco Malfoy.
Tra le dita, entrambi stringono una bacchetta di biancospino.
***
Florian tossisce, nebulizzando di rosso l’aria.
Contro il palato, il sangue ha un gusto rugginoso e dolce.
Che pianta è il biancospino?
Un fiore tenero, pieno di speranza.
Un fiore bugiardo, perché di speranza, loro due, quando mai
ne hanno avuta?
***
Il vascello che attracca al molo fantasma di Riga è
spettrale: le vele lacere somigliano a fuochi fatui; la polena è una gargolla
spaventosa. In lontananza, Kaspar e Klaus, uniti ai compagni di Imbolc, ridono
rumorosi e sguaiati.
Florian spera che non gli tocchi lo stesso dormitorio, perché
i ‘cacciatori’ eccellono nelle Arti Oscure – e ogni occasione è buona per fare
pratica.
Gli studenti diretti a Durmstrang provengono dalle regioni
più estreme del Nord e dell’Est Europa, una babele in cui è difficile
orientarsi. La lingua franca è l’inglese, ma tra gli studenti è più comune l’uso
del russo.
Florian è cresciuto a Lübeck, mastica un po’ di lituano e
prega silenzioso che tanto gli basti.
Il ragazzino al suo fianco non fiata, ma piange. Un piccolo
cocco di casa spedito all’inferno.
“Smettila. Vuoi essere punito subito?”
Nel dubbio, usa l’inglese privo di accento di Hamburg: scelta
azzeccata, perché il suo vicino pare rianimarsi e si asciuga le palpebre. Ha
occhi chiarissimi, di un grigio smorto; la sua pelle è candida e percorsa da
vene azzurrine; i capelli sembrano lino.
“Sei inglese?” gli chiede con una buffa inflessione.
“No.”
L’altro sospira e si strofina le guance. “Io sono un
Purosangue,” aggiunge dopo un po’, quasi quel dettaglio possa colpirlo davvero.
“Anch’io,” replica a mezza bocca.
Il biondino piagnone tira su con il naso, poi gli porge la
mano. “Io sono Draco Malfoy e mio padre ha un Manor.”
Florian socchiude le palpebre: per la prima volta da che quel
viaggio è cominciato ha quasi voglia di ridere. “Florian Von Kessel,” scandisce
altezzoso. “Tutta la mia famiglia ha studiato a Durmstrang. Siamo Czar da
generazioni.”
Draco si morde le labbra. “Io sono il primo della mia. E non
so perché.”
***
No, non è pioggia: sono lacrime.
È dolore, fatica, incredulità. Sono quindici anni di agonia
nel folto di un bosco impenetrabile, mentre il tuo migliore amico va a morire –
nella migliore delle ipotesi. Nella peggiore, moriranno tutti.
Quindici anni: a quindici anni t’innamori e costruisci sogni
che sono nuvole di zucchero.
È successo a entrambi, anche se Draco non l’ha ancora
ammesso.
Forse non avrà mai il tempo né il modo di farlo.
Forse morire gli sta bene, perché una sanguesporco sarebbe
una caduta irrimediabile per uno come lui.
Esiste forse un pozzo più profondo di quello in cui sono
finiti?
No, non c’è.
Stupido Malfoy.
Florian scivola sul fianco, per rubare un respiro e un altro
ancora.
Ha freddo, ma sa che non dipende dalla notte, né dal vento
che profuma di pioggia.
Ha già visto morire qualcuno.
La Morte non ha calore.
***
Vengono assegnati a Beltane, il dormitorio degli Alchimisti.
Durmstrang è tanto fredda da piangere. Oltre la fitta nebbia
che circonda il castello di nuda pietra, s’intravedono lampi rossastri.
Florian sa di cosa si tratta, perché i gemelli l’hanno
erudito con sadico compiacimento.
“Viverne. Se vuoi diventare Czar, devi imparare a cavalcarne
una.”
Io voglio vivere e andarmene da qui, pensa Florian. Lo
pensa anche Draco – tant’è che passano l’intero primo anno a piangere e a
leccarsi le ferite insieme.
Un Von Kessel può ancora sperare di cavarsela, perché quando
il tuo nome intride la pietra che deve educarti, il cozzo fa meno male.
Malfoy non è nessuno, se non lo zimbello di tutti.
È gracile, è debole, si ammala troppo spesso. Si lamenta per
il freddo, per il vitto, per gli arredi spartani della scuola. Inorridisce per
le prove di forza e di carattere che sono richieste di continuo.
Florian tace: non ha il coraggio di confessargli che si sente
come lui – spezzato come lui – ma che non ha neppure la forza di dirlo.
Forse è questo che cementa il loro rapporto: la solidarietà
delle vittime.
“Perché mio padre mi ha mandato qui? Perché non a Hogwarts?”
E c’è un altro elemento che li avvicina: l’odio per il padre
– se non l’odio, almeno il rancore.
Draco adorava Lucius, e com’è stato ripagato? Spedito a
forgiarsi il carattere in un buco in culo al mondo, che lo massacra ogni giorno.
Doveva affrancarsi da mammina, pensa lui.
Gli occhi di Draco brillano come lame, quando affrontano il
discorso.
Axel Von Kessel, invece, padre non è mai stato, neppure per
un giorno. O forse non gli perdona il fatto che abbia ucciso sua madre solo per
nascere.
Entrambi amano e odiano, dunque, con l’intensità dei bambini
traditi. La linea sottile che separa i due sentimenti stringe il nodo scorsoio
di un Destino che li soffocherà tutti.
***
Florian sorride: quanto manca alla fine?
È per i loro padri che si sono venduti. È per i loro padri
che si sono fatti marchiare.
Chissà cosa pensa un padre, quando scopre che ha condannato a
morte un figlio?
Niente.
L’ha detto loro Barty.
I padri ti vendono. Se non sei quello che vogliono, ti
condannano. Se non fai quello che si aspettano, ti buttano via.
Barty è pazzo, ma a volte i pazzi sono i più saggi di tutti.
Ha il fiato corto dell’agonia; gli occhi umidi per
l’umiliazione e il rimorso.
***
Sono diventati Mangiamorte nel Samhain dell’anno cristiano
millenovecentonovantatre, a tredici anni. I sicari più giovani e più stupidi di
un folle sanguinario.
I loro padri non ne sono stati informati. I loro padri lo
scopriranno troppo tardi – e solo per maledirsi.
A muovere la ruota verso l’inevitabile collasso è il suicidio
di Jürgen Stein, matricola di Imbolc. Non è durato due mesi, quel gracile
sassone che Draco e Florian ricordano appena, impegnati come sono a
sopravvivere.
Per loro è appena cominciato il terzo anno e non possono
permettersi distrazioni sentimentali.
Draco si è rivelato un eccellente occlumante, almeno quanto
Florian un pozionista di rango. Anche se non hanno il talento atletico che fa di
Krum la bandiera della scuola, Beltane li rispetta e si è rivelato un guscio
sicuro.
Gli alchimisti sono competitivi nell’ingegno, non sul filo di
incantesimi spregevoli: le vessazioni che rendono tanto temibili i ‘cacciatori’
sono loro risparmiate.
A Imbolc, invece, ogni alito è una guerra; la prevaricazione,
la regola.
Jürgen Stein viene costretto – sotto la Maledizione
Imperius – a mangiare i propri escrementi.
Si uccide due ore più tardi, lanciandosi dalle guglie
falconiere – là dove riposano i rapaci che consentono a Durmstrang di
comunicare con l’esterno.
Florian e Draco si raccolgono assieme agli altri studenti
attorno a quel corpo disarticolato. Il cranio, sgranato come un melograno,
erutta barbagli rossastri sul candore immacolato della neve.
Florian sente la nausea stringergli lo stomaco, storna lo
sguardo e si concentra sull’espressione di Draco – il terrore profondo dei suoi
occhi mercuriali. Il tremito della sua bocca.
“Non voglio finire come lui. Non voglio finire come lui.”
È un mantra: Malfoy ha perso la testa – se mai ce l’ha avuta.
Il Ministero indaga, ma senza successo, perché Karkaroff ha
lingua di miele e maniere untuose e convincenti.
Povero ragazzo… Gli animi fragili non si adattano mai alle
grandi solitudini del Nord.
Lucius Malfoy vuole condannare a morte il suo sangue?
Draco ne è convinto, come è sempre più convinto di dover fare
qualcosa.
Essere degno del nome che porta.
Essere più grande del nome che porta.
Raggiungere un punto tanto alto della catena alimentare da
non doversi più specchiare nel cranio sgranato di una vittima.
Non sanno che Voldemort, tra Albania e Carpazi, ruggisce
frustrazione e vendetta.
Accade a Umba, mentre approfittano del sabato pomeriggio per
bere il the fortissimo, speziato e aromatico che sanno fare solo da queste
parti.
Li avvicina il preside in persona, che pure conferisce di
rado con gli studenti – e solo, poi, se Czar o almeno Knjaz.
Karkaroff ha occhi affamati e lo sguardo penetrante
dell’inquisitore. Più che invitarli a parlare ascolta il silenzio in cui gridano
le loro insicurezze.
Li ha notati, loro due, accanto al corpo di Stein. Vuole
sapere cosa ne pensano.
Nessuno, però, parla.
“È il destino dei deboli,” osserva senza calore il preside.
“L’hanno capito anche i Babbani.”
Deglutiscono entrambi – un moto dalla comica sincronia.
“L’ha capito soprattutto un mago che pochi hanno compreso.”
L’offerta arriva così, quasi con noncuranza. La verità è che
non c’è quasi nulla, nella vita, che non nasca da un’offerta apparentemente
banale.
È la virtù a chiederti di camminare scalzo sui rovi, in fin
dei conti: la rovina è una discesa di piume.
Li marchia Bogdan Tomulescu, un transfuga romeno con gli
occhi da pazzo – dovrebbe essere il Signore Oscuro a scegliere i suoi soldati,
ma chi ha fretta di rientrare nelle sue grazie, di saltare sul carro dei
promessi vincitori, non si fa scrupoli a preparare un piccolo drappello
personale.
Igor Karkaroff ha già pronto un obolo – Viktor, no, non viene
sacrificato, ma Viktor vale qualcosa, oltre il potere di un nome.
La contropartita è allettante: accogliete l’Idea e io farò
di voi due intoccabili. Farò di voi due Czar.
Florian esita ancora, Draco no, perché nella sua famiglia non
ci sono mai stati conigli, dice.
È il primo, però, e lo sa benissimo.
***
Florian non vede più niente oltre il velo lattiginoso delle
lacrime e dell’agonia.
Hanno vissuto in un lunghissimo sogno, loro due, solo per
svegliarsi nel modo peggiore.
Florian ha conosciuto Severus Piton, la storia di un errore
troppo simile al loro, e di un rimorso senza tempo.
Draco ha incontrato Hermione Granger, il simbolo di un mondo
che dovrebbe cancellare.
Hanno perso. Hanno già perso tutto.
Lontano si ode uno schianto – odore di zolfo e di polvere e
di pioggia.
Il leopardo delle nevi è un ragazzino dalla pelle candida e
dagli occhi di ghiaccio.
Occhi chiusi nel silenzio della Foresta Proibita.
***
La traccia è fresca, l’odore intenso – com’è sempre quello
del sangue.
Il grosso cane ringhia e tartufa l’aria, volgendo poi le
fauci al cielo per liberare un tonante latrato.
L’uomo che lo segue fatica a tenere il passo, incespica e
mugugna a mezza bocca un’imprecazione da Babbano.
Il cane si arresta, torna indietro, raspa nella terra grassa
e trattiene l’odore.
“Non ti fermare, Sirius.”
La voce di Severus Piton è bassa e monocorde.
Florian ha completato su di sé l’opus nigrum, dunque
ha tradito.
La purificazione della materia passa per il rimorso, e il
rimorso si paga con la vita.
Severus spera che non sia così, perché nessuno deve più
pagare il prezzo delle colpe dei padri.
Silente sa della loro missione – ne è demiurgo e mandante.
Sa che il prezzo è la vita e il sangue di un altro ragazzo.
Silente può salvare Draco Malfoy?
Severus fida ciecamente nelle risorse del preside di Hogwarts,
come fida in un cane dal manto tenebroso ch’è stato anche il suo peggior nemico.
“L’ho trovato!”
È di nuovo la voce di Sirius Black quella che sente, come
suoi sono gli occhi lucidi e febbrili che il debole lumos della bacchetta
gli consente infine di spiare.
Tra le sue braccia, Florian Von Kessel sembra uno straccio
sgualcito.
“È morto?”
Sirius gli sostiene il capo con cura. “È ancora caldo, ma
sento appena i suoi battiti.”
Severus stringe le labbra e punta la bacchetta. “Vulnera
sanentur,” bisbiglia con accanimento rabbioso. E poi: “Ferula.”
Black non si muove; il suo sguardo non smette mai di
seguirlo.
“Avrà bisogno di cure migliori, ma per il momento resisterà.”
Il timbro di Severus è gelido come il vento che si è levato.
“Chi è stato a fargli questo?”
La terza prova entrerà a breve nel vivo e la sua acme
potrebbe essere un eccidio.
“Chi non è importante quanto il perché. E
quello, purtroppo, già lo conosciamo.”
Socchiude le palpebre. “Dammi il ragazzo.”
Black esita – stupido mulo testardo e malfidato. “Posso
occuparmene io.”
Severus libera un profondo sospiro e indurisce la mascella.
“Tu mi sei più utile come cane,” scandisce senza la minima simpatia. “Silente si
aspetta che arrestiamo questa farsa prima che sia troppo tardi.”
Sirius lo fissa pieno d’odio. “Ebbene?”
“I Centauri rispondono sempre alle creature della terra. Un
nobile Black si abbasserebbe dunque a farmi da richiamo?”
Sirius leva lo sguardo al cielo, ma Sopdet non si vede. Il
cielo è muto e sordo quanto più ci aspettiamo una parola di conforto.
“Forse non lo ricordi, ma Narcissa è tua cugina.”
“Ho rinunciato al mio sangue qualche vita fa.”
Piton si concede una smorfia amara. “Al sangue non si sfugge
mai: è un odore che ti resta addosso.”
Nota: visto che gli avvertimenti disponibili nel form del
sito sono un po' vaghi, specifico in nota. Questa storia è una fanfiction
what if che si sviluppa a partire dal quarto libro e che muove dal seguente
interrogativo: cosa sarebbe mai capitato se Lucius Malfoy avesse inviato
Draco a Durmstrang anziché a Hogwarts? Cullo questa idea da una quantità
vergognosa di anni - da quando, più o meno, ho cominciato ad arrovellarmi su
come fosse possibile appaiare questi due senza violentare i caratteri originali
e, al contempo, costruire una storia che suonasse abbastanza nuova da
valere il disturbo della lettura. Su quest'ultimo punto, ovviamente, non posso
garantire, ma, se non altro, ho cominciato :-)
A chi passa di qui, un ringraziamento anticipato e l'augurio
di una buona lettura.