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Autore: Akiko chan    19/02/2011    1 recensioni
Indugiò ancora un attimo, perso in quel mare glauco, assaporando quell’emozione sconosciuta che lei sola sapeva trasmettergli… Un attimo ancora prima di entrare in lei. E fu in quell’attimo che lo percepì per la prima volta.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kei Hiwatari
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO III. I SENTIMENTI DI LEI
 
Pat si guardò allo specchio, stentando a credere che quel volto spettrale su cui spiccavano due occhi rossi e gonfi appartenesse a lei. Eppure era così. Si era addormentata dopo molto tempo, stremata dalle sue stesse lacrime.
 
-Kei…Kei…Kei…-
 
Basta! Perché doveva disperarsi per i capricci di quell’incomprensibile ragazzo, sempre arrabbiato con il mondo, in lotta con tutto e tutti? Che c’entrava lei se lui non era in grado di amare nessuno, neanche se stesso?
 
Basta! Non voleva più essere la vittima involontaria della sua cattiveria, non voleva più pensare a lui…almeno per quel giorno…
 
Si concesse una lunga doccia, che cancellò in parte i segni delle lacrime, ridonandole una timida parvenza di serenità anche se non riuscì a cancellare del tutto l’espressione desolata annidata nelle sue iridi chiare. Si vestì ed uscì dal dormitorio femminile, dirigendosi verso la sezione del college che ospitava le aule di lezione, determinata a tenere la sua mente ben lontana da quel demonio dallo sguardo d’acciaio che le aveva rubato il cuore.
 
La mattina passò lenta e monotona e nel pomeriggio Pat era indaffarata ad apporre gli ultimi ritocchi ai preparativi per la festa che si sarebbe svolta quella sera. Le ragazze del club delle majorette, le ruotavano tutte attorno, ancora più del solito, chiamandola e cercandola per ogni minima sciocchezza, come se solo lei fosse in grado di risolvere i problemi.
 
Pat era al limite della sopportazione, aveva i nervi a fior di pelle ed il suo umore peggiorava di minuto in minuto. La desolazione, che aveva provato appena sveglia e che nel corso della mattinata era stata costretta a nascondere a tutti, rincominciò prepotentemente a farsi strada.
 
Con la coda dell’occhio sbirciò per l’ennesima volta l’ora, le quattro meno dieci, sospirò sconsolata mentre gettava su una sedia gli stupidi addobbi di fiori intrecciati che stava sistemando in un angolo della sala. Era inutile lottare contro se stessa, era una battaglia persa in partenza. Maledizione! Pat si morse con rabbia il labbro, cercando di soffocare la frustrazione che la stava sopraffacendo…e come volevasi dimostrare, tutta la sua determinazione a togliersi Kei dalla testa era crollata nel nulla, come un’inconsistente bolla di sapone. Non ci poteva fare niente, desiderava solo raggiungere il più in fretta possibile il loro luogo segreto, il suo cuore se ne fregava della sua dignità e del suo orgoglio, voleva solo andare da lui. Non c’era verso di convincere la sua anima disubbidiente che quello stupido non meritava la sua resa. Eppure, constatò con un sospiro rassegnato, nessuna razionale riflessione era in grado di contrastare il primordiale richiamo a cui ogni cellula del suo corpo sembrava soggiogata.
 
Senza essere neppure accorta, aveva già raggiunto la porta d’uscita, pronta a sgattaiolare fuori inosservata, quando la voce squillante di Marion la bloccò.
 
-Marion…che c’è?- chiese celando a fatica il suo disappunto.
-Abbiamo un problema con l’impianto audio, puoi dare un’occhiata nella cabina del DJ?-
-Io? Ma che posso fare io? Chiama un tecnico…-
-Dai Pat, magari è una stupidaggine e la puoi risolvere da sola, sei così brava, hai sempre occhio per tutto…-
-Veramente avrei da fare…-
-Cosa?-
-Uhm….- che cosa poteva inventare? Forse si trattava di un contrattempo che poteva risolvere in pochi minuti -Ok vado a vedere, ma non potete fare affidamento su di me per ogni cosa, sono umana anch’io…-
-Eh via Pat! Lo sai che sei la nostra leader, tutto ciò che fai è ben fatto.,.-
-Basta Marion, mi fai arrossire- si schermì la ragazza accennando un sorriso di circostanza e avviandosi in fretta verso la scaletta di ferro, ben celata dietro a dei pannelli scuri, che portava alla piccola stanzetta del DJ.
 
Nella saletta, chino sul pannello di controllo dei compact disc, vi era Peter Sanders che armeggiava distrattamente con delle levette colorate.
 
-Allora che c’è?- chiese sbrigativamente Pat nascondendo la sorpresa di trovare Peter lì.
-Ah ciao... Non lo so, questo coso non vuole saperne di funzionare- protestò il ragazzo con un tono affettato che insospettì Pat.
-Hai controllato che le spine siano inserite?-
-Sì ma non si accende-
-Fai vedere- disse lei aspettandosi che Peter si facesse da parte.
 
Con la sua robusta stazza di rugbista e l’imponente altezza che superava il metro novanta, Peter faceva sembrare quel luogo ancora più angusto, impedendole di vedere qualsiasi cosa oltre all’ampio petto del ragazzo e alle sue spalle poderose che lo avevano reso uno dei più temuti avanti*del college.
 
-Peter ti vuoi spostare?- chiese esplicitamente, lanciando un’occhiata furtiva al suo orologio che segnava già le quattro e cinque.
-Senti Pat, visto che sei qui ti devo chiedere una cosa….- iniziò il ragazzo con il suo affascinante sorriso, tanto apprezzato dalle ragazze.
 
Anche Pat, una volta, era stata aggirata da quel sorriso che credeva spontaneo, ma le ci erano voluti pochissimi giorni, per rendersi conto che il ragazzo non era l’aitante sportivo di cui si era invaghita, ma un pallone gonfiato, borioso, superficiale ed egocentrico.
 
-Dimmi- concesse esasperata, osservando il volto angelico del capitano contornato da una folta chioma di capelli biondissimi.
-Stasera ti va di venire alla festa con me?-
-Ci sarò senz’altro alla festa come capo del comitato organizzativo…-
-Ma io non ti ho chiesto se sarai alla festa, ma se ci vieni assieme a me…-
-Credevo di essere stata chiara! La nostra è una storia vecchia e per me è finita da un pezzo. Mi spiace Peter, tu per me sei solo un amico, come tutti gli altri. Non verrò alla festa come la tua ragazza- tagliò corto Pat tentando di mantenere un tono cordiale, nonostante ormai le fosse chiaro che il guasto all’impianto non era altro che un meschino inganno ordito dal ragazzo -L’impianto funziona benissimo vero?- chiese bruciapelo, fulminando il giovane uomo con un’occhiata carica di rimprovero.
-Sì, scusami, è un piccolo favore che avanzavo da Marion…-
-Non me ne importa niente dei pasticci che combinate tu e Marion, ma lasciatemi fuori. Se non lo avessi capito la mia unica e definitiva risposta è no, non verrò alla festa con te- sbottò furiosa, maledicendo quella che sino a quel momento aveva considerato una sua amica. Al diavolo la diplomazia e le buone maniere! Al diavolo l’amicizia fasulla ed i sotterfugi! Accidenti ma perché era circondata da gente così insulsa?
 
-Kei… Kei… Kei…amore tu sei così diverso da tutti loro…amore mio aspettami ti prego…-
 
-Non essere così dura- piagnucolò il ragazzo credendo di intenerirla con quel tono remissivo, tentando di accarezzarle una guancia arrossata dall’ira.
 
-Non ci provare Peter, è inutile- disse categorica, arretrando di un passo ed allontanando la mano del ragazzo con un gesto stizzito, come se si trattasse di un insetto molesto.
-C’é un altro?- chiese lui insospettito da quella reazione così insolita per l’indole docile della ragazza e, soprattutto, non capacitandosi di tanta insensibilità per le sue innate doti di seduttore.
-Non sono affari tuoi-
-Allora è così. Lo sospettavo…dimmi chi è!-
 
Pat si limitò a scuotere la testa con una smorfia sprezzante dipinta in volto. Ma come aveva potuto prendersi una cotta per quell’essere insignificante?
 
Girò sui tacchi ed uscì velocemente, precipitandosi all’uscita secondaria. Un attimo dopo attraversava, correndo, il prato verde… erano le quattro e venticinque…forse Kei la stava ancora aspettando…
 
*Una squadra di rugby è costituita da un gruppo di “avanti” che si azzuffano per conquistare la palla e passarla al “ mediano di mischia” che la raccoglie e lancia ai “trequarti”, i quali corrono passandosela l’un l’altro nella speranza di fare meta. Dietro a tutti vi è “l’estremo” che ha l’ingrato compito di correggere gli errori dei compagni 
  
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