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Autore: Leonhard    28/02/2011    2 recensioni
Alessa Gillespie. La strega. Considerata la figlia del demonio da tutti...da tutti? Un episodio segreto della triste infanzia della bambina sta per sorgere...
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Alessa Gillespie, Nuovo Personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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 7.
 
 
Era strana l’intesa che si venne a creare tra Alessa e Leon dopo quel pomeriggio all’ospedale. Per sapere le cose, i due non dovevano neanche parlare: bastava che si guardassero. Un’ammiccata, un sorrisetto, anche solo uno sguardo bastava per comunicare con una precisione tale che neanche le parola avrebbero potuto avere. Quella mattina, sotto il banco, Leon trovò una matita spezzata e degli scarabocchi sul quaderno. Alessa, a quella vista, si sentì presa da un moto di panico: era sicura che sarebbe finita così.
 
(Anche Leon!) pensò. (Adesso maltrattano anche lui! Lo considerano malvagio?). Pensandoci un attimo, capì che era stato preso di mira perché la frequentava e non cercava di scacciare da sé il male che diffondeva, anzi: le parlava gentilmente, le sorrideva sempre, le prestava matite e libri, era arrivato addirittura ad invitarla a casa. Per i bambini della classe non c’era bisogno di aspettare ulteriori sviluppi: erano entrambi malvagi, entrambi figli del demonio e andavano trattati come tali.
 
Ma se Leon era stato preso di mira, su Alessa si riversò tutta la cattiveria che non veniva scagliata contro il bambino. Gli accerchiamenti si fecero più frequenti ed i libri che le scagliavano addosso molto più pesanti e numerosi. Lei non se la prendeva e faceva l’indifferente, ma quando tornava a casa, nella tranquillità della sua stanza, piangeva per molte ore: per lei, per il trattamento che le riservavano e per Leon, che era la vittima innocente, accusato solo di averle donato quel poco di calore e affetto di cui aveva sempre avuto bisogno.
 
Anche lui era bersagliato dalle angherie dei compagni, ma non come lei: riceveva solo insulti e prese in giro. Non si lamentava mai e continuava a sorriderle, incurante di ciò che dicevano o pensavano gli altri: questo provocò ad Alessa una gioia mista a tristezza. Non era giusto che lui si trovasse in quella situazione; insomma, gli aveva chiesto lei di essere suo amico.
 
Quindi la colpa era sua.
 
Quando glielo disse, lui scoppiò a ridere e le fece notare che lui avrebbe potuto anche risponderle di no, che non voleva aver nulla a che fare con lei ed Alessa gli fu infinitamente grata per non averlo fatto. Forse fu per quel motivo che si svegliò con uno strano presentimento quella mattina.
 
Si lavò, si vestì, prese la cartella ed uscì. Da casa sua all’ospedale c’erano poche fermate, una decina di minuti: pochi, ma che diventavano eterni quando, alla fermata successiva, salivano i suoi compagni. Come ogni mattina la insultarono e la tormentarono finché non arrivarono all’ospedale. Quando Leon salì sullo scuolabus, le rivolse come sempre un sorriso e si sedette accanto a lei, ignorando gli sguardi truci e le occhiate ostili del gruppetto, che tuttavia smise si parlare male di lei.
 
“Ciao Alessa” salutò. Lei, come ogni giorno, arrossì e ricambiò il saluto con una vocetta timida. Fino a quel momento tutto normale: e allora perché quella strana sensazione non accennava a sparire?
 
La risposta le arrivò durante l’intervallo. La campanella suonò e lei e Leon, come ogni giorni, andarono in cortile, sedendosi sulla panchina sotto l’acero, la stessa di sempre. Il bambino prese parola.
 
“Senti, se ti dico che mi assenterò per qualche giorno, mi prometti che quando tornerò ti troverò ancora intera?” chiese. Colpita ed affondata.
 
“Vai via?” chiese affannata. Lui annuì.
 
“Papà ha un’operazione urgente da fare a Brahams” spiegò. “E non mi lascia qui da solo. Alla fine sarà per cinque giorni, una settimana al massimo”.
 
“Ed io come faccio?” chiese Alessa, cercando disperatamente una soluzione.
 
“In che senso?”.
 
“Io…cioè…ecco…”. La bambina non riuscì ad esprimersi: non voleva che Leon se ne andasse, anche solo per un giorno. Ma il motivo per cui non voleva, proprio non le usciva dalla bocca. Con lui si sentiva bene, si sentiva…normale, ecco.
 
“Facciamo così” disse lui. Si frugò nella tasca ed estrasse un rotolo di spago. “Per ogni giorno in cui non parleremo, farai un nodo al filo e per ogni giorno in cui ci parleremo ne scioglierai uno”. La bambina guardò prima il filo poi lui.
 
“E perché?” chiese. Lui sorrise.
 
“Per ogni nodo che farai, ci attaccheremo qualcosa e per le vacanze estive la metteremo dentro una cassetta e la seppelliremo: non hai mai pensato di fare un tesoro?” chiese.
 
“Un tesoro?”.
 
“Sai, no?”. Si alzò. “Qualcosa da tenere caro. Un segreto che solo tu custodisci e che sei libera di dividere con chi vuoi, senza che nessuno ti venga a prendere in giro”. Alessa ci rifletté un attimo, guardando lo spago.
 
Se ci aveva pensato? Onestamente no, non aveva mai pensato di tenere un tesoro: cosa poteva considerare un tesoro? Dove l’avrebbe seppellito? E con chi avrebbe condiviso il segreto? Gli unici suoi tesori erano i disegni e quelli non poteva seppellirli.
 
Tuttavia, l’idea di condividere con Leon una cosa del genere la rese felice: avrebbero avuto qualcosa da custodire gelosamente e questo, ne era sicura, li avrebbe resi più amici, più affiatati. E se fosse successo, non sarebbe partito più, nemmeno per un giorno. Annuì
 
“Ok: quando torni, vedremo cosa fare e ne faremo il nostro tesoro” disse, sorridendo.
 
“Adesso rientriamo” disse lui. “È suonata la campanella”.
 
 
 
Ogni volta che pensò che l’indomani Leon sarebbe partito, le prendeva una sorda paura. Non riuscì ad immaginarsi lo scuolabus che non si fermava davanti all’ospedale, nessuna chioma bianca che faceva capolino dalle porte, nessuno che si sedesse accanto a lei durante la scuola. Non si sentiva pronta a tornare alla sua vecchia vita e, si rese conto, non ne sarebbe mai più stata capace. Non seguì neanche una parola della lezione: preferì pensare ad un modo per fare in modo che non partisse, ma tutto ciò che le venne in mente furono soluzioni affrettate e sconclusionate. Arrivò alla fine della campanella che stava per scoppiare a piangere. Leon, come sempre, se ne accorse.
 
“Dai, non essere triste” disse, fuori dalla scuola. “Te l’ho detto: sarà per pochi giorni”. Lei annuì e provò a sorridere. Sembrò funzionare: il viso del bambino si distese e non parlò più. Alessa si mise la mani in tasca e toccò il foglietto che aveva fatto durante la lezione di storia.
 
 
 
Tornata a casa, mise al corrente la madre della notizia.
 
“Mi dispiace” disse Dahlia. “Ma stai tranquilla: sarà per pochi giorni, no? Vedrai, passeranno presto e quando lo vedrai, sarà come se questa settimana non ci sia mai stata”. Il sorriso di sua madre aveva sempre avuto il dono di farla sentire meglio e di convincerla che ciò che diceva si sarebbe avverato.
 
Solo che quella volta non funzionò.
 
Salita in camera, guardò la sua scrivania: era stata una stupida a lasciare a casa le sue cartoline ed il disegno. Ci si era messa d’impegno e non avrebbe potuto darglielo prima di una settimana; normalmente avrebbe pensato che avrebbe avuto più tempo per rivederlo, magari per correggerlo, ma anche quel pensiero non servì a nulla. Sapeva il perché: non ci voleva un genio.
 
Si sdraiò sul letto e rimase a fissare il soffitto: di fare i compiti, in quel momento, non ne aveva proprio voglia. Si cavò dalla tasca lo spago e lo guardò. Quel giorno avevano parlato, quindi non doveva fare nessun nodo. Ma li avrebbe fatti, non ne avrebbe saltato uno.
 
Estrasse anche il foglietto che aveva fatto durante la scuola e rise di sé stessa: era un’idea semplicemente assurda quella che aveva scritto. Eppure sentiva che era importante. Almeno per lei. Si alzò e, prima di scendere da sua madre, posò il pezzo di carta sulla scrivania, aperto, con la scritta rivolta verso l’alto.
 
 

Vuoi essere il mio fidanzato?
[_] SI
[_] NO
 
 
 
 
 
 
 
NON SO DI PRECISO COME MI E’ VENUTA IN MENTE L’IDEA DEL BIGLIETTINO…FORSE E’ UN SEGNO CHE DEVO DORMIRE DI PIU’…
EHEH :-)
MI SECCA AMMETTERLO, MA ORMAI CI SIAMO: UN’ALTRA STORIA CHE STA VOLGENDO AL TERMINE. ACCIDENTI, OGNI VOLTA CHE SCRIVO QUALCOSA POI MI DISPIACE CHE FINISCA…
PROSSIMAMENTE (più presto possibile) IL NUOVO AGGIORNAMENTO.
RECENSITE IN TANTI!!
CIAO!
   
 
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