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Autore: Sophie Hatter    13/03/2011    3 recensioni
Devo ammettere che un po’ è strano, comportarci in modo cordiale.
Implica una rivoluzione dei nostri rapporti interpersonali su scala mondiale.
Un po’ di tempo fa io ero quella con cui litigava, ora sono quella con cui trascorre diversi minuti del suo tempo libero a parlare di bagni intasati, di Pix a piede libero, di quadri che si rifiutano di fare il loro dovere, di insegnanti che non hanno mai tempo per ascoltare le nostre esigenze e di Silente che, tutte le volte che ci vede, ci offre da bere una bibita al caramello.
Insomma, chi se l’aspettava?

*
“Sai, in certi momenti riesci perfino a farmi dimenticare quanto tu riesca ad essere insopportabile”, mi dice, nel momento in cui io ho appena finito di imbottirmi dappertutto. All’inizio rimango a fissarla sbalordito, poi ritorno in me e scrollo la testa, esasperato.
“Suppongo che questi momenti in genere corrispondano alle mie pause di silenzio”, borbotto, e sento che lei scoppia a ridere di gusto. Ispiro proprio ilarità, non c’è che dire.
“Oh, no, per una volta ti giuro che non volevo essere cattiva …”
Io sbarro gli occhi senza ritegno, stupefatto. Non riesco a credere alle mie orecchie, è impossibile che abbia davvero detto una cosa del genere. Una frase simile non può realmente essere uscita dalla sua bocca.
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: I Malandrini, Lily Evans, Nuovo personaggio | Coppie: James/Lily
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Love is... (the only weapon which I got to fight)' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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Capitolo 3 - Mani nel sacco




“Sa qual è il bello dei cuori infranti?” domandò la bibliotecaria.
Scossi la testa.
“Che possono rompersi davvero soltanto una volta. Il resto sono graffi”.

(Carlos Ruis Zafòn, Il gioco dell’angelo)

 



25 maggio 1977

Abbiamo calcolato tutto, ogni minimo dettaglio è stato curato con una precisione che supera perfino le pergamene stese da Remus con la sua calligrafia impeccabile.
E ora, il nostro piano diabolico sta per andare a segno. I Serpeverde non riusciranno nemmeno ad alzarsi dal gabinetto per poter correre in infermeria, quando avranno terminato di scolarsi queste bottiglie.
Ne sto trasportando un paio al proprio posto giusto in questo momento. Facciamo a turno portandone due alla volta, perché altrimenti infilarci tutti sotto il Mantello dell’Invisibilità, con il pericolo di cozzare l’uno contro l’altro e di mandarle in frantumi, sarebbe troppo rischioso. Ora tocca a me, e ad ogni passo che faccio mi sento pervadere da un’esaltazione estatica.
Mi sono intrufolato con Peter nelle cantine dei Tre Manici di Scopa ieri sera prima di cena, dopo gli allenamenti di Quidditch. Ci sono state delle piccole complicazioni perché io a un certo punto mi sono lasciato prendere dalla mia vena umoristica e, terminata la mia fantastica barzelletta su una coppia di Goblin, Wormtail si stava talmente sforzando di non ridere che ha quasi rischiato di fracassare una cassa di Burrobirre facendoci scoprire seduta stante, ma per fortuna alla fine è andato tutto per il meglio. Il problema è che ci è necessario agire separati, perché Sirius è entrato in totale paranoia: è convinto che la Evans o qualcun altro di non ben precisato abbia intenzione di sabotarci il piano, pertanto ci obbliga a muoverci senza destare sospetti. Motivo per cui ha mandato Peter con me, invece di venirci lui. Se fossimo spariti insieme, sarebbe stato come gridare a gran voce che stiamo architettando qualcosa di losco. A dire la verità, Sirius ha cercato di mandare Remus con me, cosa che mi avrebbe reso praticamente inattaccabile; ma lui si è rifiutato categoricamente, opponendosi con una calma lievemente stizzosa alla furia di Sirius, e facendogli notare che gridando in quel modo tutte le sue precauzioni avrebbero finito per risultare inutili. Io stavo per scoppiare a ridere sonoramente mentre assistevo all’intera scena, ma per fortuna sono stato in grado di trattenermi, o il mio migliore amico mi avrebbe fatto a pezzi senza alcuna pietà.
Ad ogni modo, a dispetto delle sue preoccupazioni maniacali, sembra stia andando tutto secondo i piani. Io ho messo in atto le mie capacità recitative con un successo strabiliante: nel luogo e nel momento studiato, con un tono di voce perfettamente calibrato e la certezza che in quel momento i Serpeverde stessero tendendo le orecchie pur facendo di tutto per non farsi notare, ho rivelato casualmente a Ernest Larsen, il Battitore della mia squadra, che per festeggiare la vittoria nella finale ci saremmo impossessati degli alcolici e li avremmo nascosti nel ripostiglio delle scope del terzo piano. Sirius mi ha poi riferito che, mentre io parlavo con il mio compagno di Quidditch, alle mie spalle Mulciber aveva gli occhi fuori dalle orbite e stava per scoppiare in una colossale sghignazzata, convinto di avermi fregato per bene. Ci sono cascati in pieno, e possiamo star certi che il giorno della finale vedremo sparire le nostre scorte di ‘Idromele’.
Siamo perfidi, ma il divertimento sta proprio in questo.
La pozione è riuscita magnificamente. Sirius aveva paura che non funzionasse, così l’ha fatta provare a Peter, anche se lui non era molto d’accordo con questa sua imposizione. Solo che poi Sirius ha deciso che non si fidava perché c’era il rischio che il sapore fosse cambiato e che Wormtail non se ne fosse accorto con un solo assaggio, così ne ha bevuta un po’ anche lui. A lezione aveva i crampi allo stomaco e il viso di una leggera tinta verdastra, e io sono stato accusato dalla McGranitt di aver passato un’intera ora a ridere sguaiatamente senza motivo.
Poco importa, è un piccolo prezzo da pagare in confronto a quanto ci aspetta.
Facendo attenzione a dove metto i piedi, attraverso il corridoio deserto, diretto verso il ripostiglio. Abbiamo deciso di rendere reperibili le bottiglie solo il giorno della finale, così quelle che abbiamo rubato e cammuffato nel frattempo le trasfiguriamo in scope. Tutti questi dettagli maniacali sono stati ovviamente messi a punto da Sirius: incredibile come in certe occasioni si dimostri di una pignoleria assurda.
Tutto quello che devo fare ora è compiere l’incantesimo e nascondere le ‘scope’ nell’angolo più remoto del ripostiglio, in modo che Gazza non pensi di appropriarsene nel caso decidesse di piombare proprio qui dentro. Sono sicuro che nessun Serpeverde mi abbia seguito, perché in questo momento sono tutti a cena e Sirius li sta tenendo d’occhio peggio di un cane da guardia, pronto ad avvisarmi tramite lo specchio se qualcuno di loro si alza da tavola, con o senza un pretesto per farlo.
Potrei compiere queste operazioni in totale tranquillità, sono più protetto della Pietra Filosofale.
Mi chino e appoggio a terra le bottiglie, togliendomi il mantello. Tiro fuori la bacchetta e mi preparo ad eseguire l’incantesimo, con un senso di potenza infinita che mi rende un tantino megalomane in questo momento.
“Potter, che diavolo …”
Faccio un salto all’indietro che mi fa quasi rovesciare per terra, la bacchetta che mi vola via di mano. Mi volto, sulla porta del ripostiglio c’è la Evans in persona. Per Godric, non è possibile. Sempre nel posto sbagliato al momento sbagliato.
“Evans, accidenti … che ci fai qui?! Non costringermi a farti del male”, balbetto, preso dal panico, mentre cerco di recuperare la bacchetta in mezzo a tutti questi stracci polverosi. Lei sbuffa sarcasticamente.
“Non oseresti”, mi dice, evidentemente per nulla intimorita dalla mia debole minaccia. Solo che io devo assolutamente sforzarmi di risultare minaccioso.
“Beh …” inizio, spazzandomi via la polvere da una manica del maglione, “credo che tu non ci tenga a scoprirlo, perciò … se tu potessi …”
“… cosa, lasciarti in pace? Lo pensi seriamente?”
Già, immaginavo che avrei preteso un tantino troppo.
“Non vorrei dover ricorrere a rimedi estremi, sai com’è …” sbotto, sentendomi alle strette. Lei non accenna minimamente a cancellarsi quel ghigno di sardonica soddisfazione dalla faccia.
“Potter, non mi fai paura. Avanti, dimmi che diavolo stavi combinando con quelle bottiglie di oscura provenienza e forse sarò clemente e ti darò io stessa una punizione, evitando di dover passare per la McGranitt”.
Pensandoci bene, è lei che fa paura a me.
Perfetto, e ora che faccio? Che accidenti mi invento per farla stare buona? Questo è il miglior piano di tutta la mia carriera scolastica, per quanto la adori non posso permettere che me lo mandi in fumo …
“E se facessimo finta che tu non abbia visto niente?” ipotizzo, alzandomi in piedi e sfoggiando uno dei miei migliori sorrisi. “Andiamo, non stavo facendo nulla di male …”
La osservo esibire un’espressione perplessa mentre ancora mi sto sforzando di tirar fuori tutta la mia proverbiale sicurezza, e la cosa ha su di me più o meno lo stesso effetto di un ago che buca un palloncino.
“Benissimo, allora spiegami che cosa stavi facendo, per la precisione. Se davvero non è nulla di male, non hai di che temere”.
Oh, fantastico. Si sta proprio divertendo, a torturarmi così. Donna senza cuore.
“Non posso dirtelo”, rispondo, esibendo tutta la mia più stupefacente e accattivante ingenuità. Lei mi guarda con un’espressione sconcertata, i suoi bellissimi occhi verdi completamente spalancati per lo stupore.
“Potter, se non me lo puoi dire allora la strada che hai di fronte è una sola: mi segui, ascolti la mia punizione e poi sconti la tua condanna! Non vedo perché tu debba farla tanto difficile”.
No, no, Lily, così non va bene, non va bene per niente. Non vuoi proprio farmela passare liscia, eh?
Decido che la cosa migliore da fare è cercare di svignarmela. Non ho intenzione di lanciarle contro un incantesimo, per quanto le circostanze siano complicate, non ne avrei davvero la forza. Ma anche i miei tentativi di schivarla vanno a vuoto. Del resto, l’entrata del ripostiglio non è così enorme.
“Qual è il tuo problema, accidenti?” le chiedo, dichiarandomi implicitamente vinto. Lei non mostra il minimo segno di compassione nei miei confronti.
“Il mio problema è che tu stai architettando qualcosa che io non posso lasciarti portare a termine, e mi duole se questo non ti va a genio, ma la spilla da Prefetto ce l’ho io, non tu”.
Mi sento invadere dallo sconforto. Non ne uscirò mai indenne, è impossibile che decida di usarmi clemenza. Ma perché, accidenti?
“Senti, Evans, fammi il favore di togliermi una curiosità: che diamine ti ho fatto di male per guadagnarmi una tale persecuzione da parte tua? Non credevo di poter meritare una punizione perché per sei anni sono stato …”
Mi blocco prima di finire la frase, è più forte di me. Avevo fatto un sospiro profondo prima di esordire, e avevo deciso che le avrei detto tutto, ma proprio tutto. Non per una ragione precisa, ma perché semplicemente ne avrei avuta l’occasione, una volta tanto. Però poi, tentando di tirar fuori le parole, mi sono accorto di non esserne in grado. Ha cominciato a riemergere quella parte timorosa di me che tende a schermarsi dietro le frasi non dette, le espressioni lasciate a metà. Eppure, so di non avere niente di cui vergognarmi a riguardo. Sono innamorato di lei, già, e lo sono fin da quando non ero altro che un moccioso alto un metro e uno sputo, da quando ho messo piede a Hogwarts per la prima volta, da quando non sapevo nemmeno da che parte girare per arrivare in Sala Grande, e me lo sono tenuto dentro, ho iniziato a reagire al suo disprezzo iniziale trasformandomi sempre di più in quello che lei odiava maggiormente fino ad arrivare al momento in cui mi sono sentito descrivere con i peggiori aggettivi che siano mai stati inventati, cosa che ha avuto su di me un impatto depressivo non indifferente.
Ho fallito in modo clamoroso con lei, e nemmeno ho il coraggio di dirglielo.
“Non sono una perfida aguzzina, sai benissimo che come Prefetto ho il dovere di tenere d'occhio i soggetti come te”, mi risponde, in tono glaciale. Io la guardo negli occhi, risoluto a non abbassare più lo sguardo.
“Come Prefetto non ti accanisci così nei confronti di nessun altro. L’unico motivo per cui lo fai è perché l’hai resa una questione personale”.
Per un effimero secondo lei mi fissa con uno sguardo attonito, come se avesse capito esattamente dove volevo andare a parare. Subito dopo però recupera la padronanza di sé e mi sfida con un sorriso irridente.
“Perché devi far ricadere la responsabilità su di me? Sei tu quello che si crede il migliore in tutto quello che fa, che deve ottenere il primato in qualsiasi campo”.
Come, prego?
La confusione si fa strada dentro di me, mentre scavo alla ricerca di una spiegazione per questa sua criptica risposta. Ma mi ci vuole poco per arrendermi, perché in questo momento pare proprio che mi si sia annebbiato il cervello.
“E questo cosa vorrebbe dire?” le chiedo, correndo il grosso rischio di sembrarle un perfetto idiota. Ma lei, inspiegabilmente, diventa reticente e si morde il labbro, abbassando lo sguardo, piombando in un imbarazzo che mi lascia ancora più confuso.
“Lo sai benissimo”, mi risponde, con forzata sfacciataggine. Io increspo le labbra. Eh no, così non funziona; non vale affatto giocare su queste implicite consapevolezze.
“No, non lo so, quindi se vuoi che ti lasci andare devi spiegarmelo”, rispondo, avanzando e mettendola improvvisamente con le spalle al muro, con un tono provocatorio che forse va oltre quello che mi posso permettere. Rischio grosso in questo momento, perché lei potrebbe reagire con ira e rifilarmi una delle sue rispostacce del tipo "Io non ti devo nessuna spiegazione, razza di stupido borioso arrogante" e via su questo tono, anzi, sono praticamente certo che ormai finirà così. I suoi occhi già lampeggiano per l’odio che le sta crescendo dentro. Ho almeno la consolazione di averci provato, il resto imparerò a superarlo.
“Hai sul serio la faccia tosta di far finta di niente”, mi dice, stringendo le labbra, “o forse per te è così scontato che nemmeno te ne preoccupi. Sei riuscito a far cadere ai tuoi piedi l’intera scuola, ti trovano tutti simpatico e divertente, ti adorano tutti, tutti non fanno che dire quanto sei bravo a Quidditch e quanto sei brillante e carino e tutto il resto. E ora, l’unica che ti manca da aggiungere alla collezione sono io. È ovvio dove vuoi arrivare”.
Mentre pronuncia queste parole sento la sua voce incrinarsi lievemente, e io la fisso con aria ancora più sbalordita di prima. Allora è questo che pensa di me? Che per sei anni le abbia sbavato dietro solo per poterla ottenere come trofeo? Che sia veramente così assorbito dal fine di gonfiare a dismisura il mio ego da non considerarla nemmeno una persona, ma un obiettivo a cui puntare per accrescere la mia reputazione? Okay, tempo fa davo costantemente prova di una vanità che non aveva limiti quando lei si trovava nei paraggi, ma tutto quello che facevo lo facevo per impressionarla, per tentare vanamente di conquistarmi uno sguardo d’ammirazione da parte sua …
Sento la rabbia montarmi dentro, e non so davvero se sarò in grado di arginarla con efficacia. Ma non voglio accanirmi su di lei, per quanto io possa dimostrarmi per l’ennesima volta stupido e privo di dignità non ce la faccio a ferirla consapevolmente, per cui mi faccio indietro e distolgo lo sguardo da lei, distrutto.
“Va bene, senti … vai. Vai pure a dirlo alla McGranitt. Non mi importa”.
La sento rimanere immobile davanti a me, vergognandomi di tutta la triste delusione che mi sta invadendo, senza che io riesca a mascherarla in alcun modo. Mi sento più infantile di un bambino a cui hanno rubato le caramelle e l’attimo dopo vacillo, non mi sento più le gambe, sono costretto ad appoggiarmi al muro.
Sono semplicemente sconvolto, ecco la verità.
Non mi credevo capace di poter crollare di nuovo come mi è successo alla fine del quinto anno. Allora ero certo di aver toccato il fondo. E invece, mi ritrovo a scoprire che un fondo non esiste, e che evidentemente io sono destinato a sperimentarlo sulla mia pelle.
Ma lei non accenna ad andarsene.
Sollevo lo sguardo per osservarla, nonostante mi faccia male. Sembra davvero avere l’aria di non sapere cosa dire. Mi fissa come se le avessi appena detto che mia madre è stata ricoverata al San Mungo. Ma fino a un attimo fa era così convinta del giudizio che ha espresso, che non riesco a trovare nemmeno la forza per difendere la mia causa.
“Quindi è questo il motivo per cui ce l’hai con me, eh?” le domando, senza aspettarmi una risposta. E d’improvviso vengo assalito dai ricordi di tutte quelle volte che Sirius mi ha fatto notare quanto lei se la prendesse sempre e solo con me, e che sicuramente quello doveva essere un segnale positivo, perché se mi avesse odiato davvero avrebbe fatto di tutto per evitarmi o mi avrebbe semplicemente ignorato senza perdere tempo ad instaurare un dialogo con me, reagendo ad ogni minima provocazione. E io non riuscivo a dargli credito per la colossale paura di montarmi di nuovo la testa, ma in un certo senso, anche se a parole lo negavo, mi crogiolavo in quel punto di vista, non riuscendo comunque ad escluderlo come possibilità … Sono stato davvero un perfetto idiota. Dove finisce tutta la mia decantata intelligenza quando si tratta di lei? Sinceramente, non lo so proprio.
Avevo lavorato tanto per imparare ad essere forte di fronte a lei, a reagire con abilità ad ogni colpo basso, e adesso tutta la mia fatica va in fumo lasciandomi in preda alla debolezza più meschina. Davanti a me ho solo il suo visetto mortificato. Sembra quasi dispiaciuta di avermi appena pugnalato così violentemente, e questo mi getta in una confusione che sommandosi al dolore genera uno sconvolgimento un po’ troppo forte da sopportare.
Se anche sono riuscito a farle pena, in ogni caso non è quello che volevo.
Devo andarmene da lì. Ho una faccenda da sbrigare. Non mi importa più niente ormai di quello che lei potrebbe fare per sabotarmi, non mi importa più niente dei Serpeverde né del Quidditch, ho solo bisogno di stare da solo e di trovare il modo migliore per digerire anche questa batosta. Bei regali di fine anno ricevo, ultimamente. Il prossimo mi arriva uno schiaffo, poco ma sicuro.
L’imbarazzo pesa su di noi come una cappa di nebbia, ma alla fine lei prende l’iniziativa, e si allontana senza aggiungere altro. Io decido di non preoccuparmi più di lei, perché sfortunatamente in questo momento ho la forte necessità di concentrarmi su me stesso, da bravo egocentrico che sono.

***

Una tattica. Una stupida, odiosa, prevedibile tattica.
Mi viene voglia di gridare.
Perché Potter deve essere così congenitamente idiota, falso, perfido, e soprattutto, perché dev’essere un così bravo attore? Perché? È colpa di sua madre o di suo padre? Dannazione, non mi interessa se non l’avevano previsto. Hanno generato un essere esecrabile, non ci sono scuse.
Mi passo le mani fra i capelli, coprendomi il viso.
L’istinto di gridare è ancora forte, ma sto riuscendo a dominarlo. Ormai sono giorni che sto così. Vorrei sfogarmi e prenderlo a calci, ma ragionandoci sopra in modo lucido e razionale riconosco che non è la tattica più corretta ed efficace da adottare, perciò ho deciso di fargliela pagare in un modo più perfido e calcolato, cosa che riscuoterà sicuramente più successo di una pubblica scenata.
Non mi interessa un fico secco se quelli di Serpeverde sono dei gonfiati boriosi invischiati fino al collo nelle Arti Oscure, farò in modo che Potter non torca loro un capello.
Non perché ci tenga a difenderli – anzi, io per prima ho smesso di farlo ormai diverso tempo fa –, ma perché far fallire Potter in una delle sue bravate è sicuramente la punizione peggiore che io possa affibbiargli.
Non può permettersi di tentare di prendermi in giro così subdolamente e poi passarla liscia, questo è poco ma sicuro.
Per questo lo sto tenendo d’occhio.
Mangio distrattamente, alle volte finisco per sbattere la forchetta contro il piatto nel vano tentativo di infilzare il cibo. Ogni tanto Margaret mi guarda in modo strano e mi chiede se ho bisogno di essere imboccata, ma non ho tempo di spiegare niente a nessuno, quindi mi limito ad imporle di tacere con un gesto secco. Devo concentrarmi. Se adesso iniziassi a parlarne con lei, partirebbe immediatamente l’ennesima campagna in difesa di Potter il Magnifico.
Poco dopo Potter si alza da tavola, con un’aria da Innocentino che fa quasi venire il vomito. Rivolge un inchino ai suoi amici e si allontana con una disinvoltura che non ho mai capito da dove tragga. Cosa faccio, ora, lo seguo o non lo seguo? Non posso alzarmi subito da tavola, darei troppo nell’occhio, e sarebbe come sbandierare ai quattro venti che mi sto apprestando a pedinarlo. Ma così rischio di perderlo di vista …
“Se ti può essere utile, credo di sapere dove stia andando”, mi dice Mary, all’improvviso. Io mi volto verso di lei, invitandola a proseguire con un cenno incuriosito.
“Oggi a Difesa li ho sentiti parlare del loro prossimo piano, e di un ripostiglio per le scope – credo quello del terzo piano, sai, di solito è poco frequentato. Non sono sicurissima di aver capito bene, e non ti so dire a cosa gli serva, ma spero ti possa essere utile”.
“Grazie”.
Mary è esattamente il tipo di persona che si rivela utile in circostanze del genere: di solito, standosene sempre in silenzio immersa nel suo libro della settimana, la gente non fa particolarmente caso ad abbassare il tono della voce nelle sue vicinanze.
Attendo qualche minuto, reprimendo con forza quel sorriso di soddisfazione che cerca di farsi strada sulla mia faccia mentre l’euforia mi pervade. L’ho praticamente incastrato, non mi resta altro che beccarlo con le mani nel sacco.
Mi alzo da tavola insieme a Mary, che si è offerta di accompagnarmi in dormitorio, perché non ha più fame e deve assolutamente finire di leggere Il Signore Delle Mosche, dato che oggi i suoi genitori le hanno inviato via gufo Siddharta, e lei non si sente fisicamente bene se non ha ancora finito un libro e ne ha già un altro che la aspetta.
Ci allontaniamo dai tavoli della Sala Grande facendo finta di niente, conversando in modo normale. Solo Mary sa che cosa sto andando a fare in realtà. Alle altre non l’ho detto, tanto conosco già i commenti che accompagnerebbero il mio ennesimo atto di cattiveria nei confronti di Potter. Lei è l’unica che per principio non si intromette e, anzi, mi dà anche una mano, sebbene magari non capisca esattamente il perché lo faccio.
In questo caso, però, credo che non comprenderebbe nessuno.
Tutta Hogwarts ama Potter e i suoi amici, e io sono la pecora nera della situazione; ormai ci ho fatto l’abitudine, e per me non è più un problema.
“Ci vediamo dopo”, dico a Mary al momento di separarci, e con un sorriso mi avvio verso il corridoio del terzo piano. Cerco di camminare nel modo più silenzioso possibile, procedendo a passi lenti e misurati. Questa è la volta buona che becco Potter con le mani nel sacco, poco ma sicuro. La mia impazienza cresce in modo spropositato nel momento in cui sento un rumore provenire da un punto lontano del corridoio, ma mordendomi il labbro mi impongo di fare piano. Ancora poco e ci sei, Lily.
Sono davanti alla porta del ripostiglio. Trattengo il fiato e salto fuori, trovandomi di fronte proprio l’idiota che stavo cercando. È chino a terra di fronte a un paio di bottiglie, e tiene in mano una bacchetta, con l’aria di uno che sta per pronunciare un incantesimo.
“Potter, che diavolo …”
Lui fa un balzo all’indietro voltandosi con un’espressione terrorizzata e facendosi scappare la bacchetta di mano.
“Evans, accidenti … che ci fai qui?! Non costringermi a farti del male”, mi dice, cercando di riprenderla.
“Non oseresti”, lo sfido, a testa alta.
“Beh … credo che tu non ci tenga a scoprirlo, perciò, se tu potessi …”
“… cosa, lasciarti in pace? Lo pensi seriamente?”
“Non vorrei dover ricorrere a rimedi estremi, sai com’è …”
“Potter, non mi fai paura. Avanti, dimmi che diavolo stavi combinando con quelle bottiglie di oscura provenienza e forse sarò clemente e ti darò io stessa una punizione, evitando di dover passare per la McGranitt”.
Ci guardiamo in silenzio per qualche secondo, io con la soddisfacente sensazione di averlo in pugno, lui con l’aria di chi non sa che pesci pigliare. Dopo un po’ di tempo sprecato in questo modo, si alza in piedi e mi si avvicina con aria accattivante.
“E se facessimo finta che tu non abbia visto niente? Andiamo, non stavo facendo nulla di male …”
Inarco un sopracciglio, assumendo un’espressione profondamente scettica. Forse non ha ancora capito che le sue tattiche per catturarsi la simpatia altrui con me non hanno alcuna efficacia.
“Benissimo, allora spiegami che cosa stavi facendo, per la precisione. Se davvero non è nulla di male, non hai di che temere”.
Cala un altro silenzio appesantito dal suo evidente disagio, dato che ancora non è riuscito a trovare una scusa che regga.
“Non posso dirtelo”, mi spiega, con candore, alzando le spalle e appoggiandosi con teatralità allo stipite della porta. Io sgrano gli occhi, allibita. Chi crede di prendere in giro?
“Potter, se non me lo puoi dire allora la strada che hai di fronte è una sola: mi segui, ascolti la mia punizione e poi sconti la tua condanna! Non vedo perché tu debba farla tanto difficile”.
Lui scuote la testa, alzando gli occhi al soffitto. Comincia ad essere un tantino esasperato. Fantastico. Tra poco si stancherà di provare a farla franca.
Tenta di schivarmi un paio di volte per sfuggirmi, ma i miei riflessi sono sufficientemente buoni da sbarrargli la strada. Dopo un po’ desiste, e mette via la bacchetta.
“Qual è il tuo problema, accidenti?” mi dice, in tono lamentoso. Come se potesse riuscire a farmi pena. Ma andiamo.
“Il mio problema è che tu stai architettando qualcosa che io non posso lasciarti portare a termine, e mi duole se questo non ti va a genio, ma la spilla da Prefetto ce l’ho io, non tu”.
Di solito non ne faccio un vanto, anzi. Non mi aspettavo che Silente scegliesse proprio me. Mary, ad esempio ha più pazienza, Helen ha più carisma. E in genere non approfitto del mio potere, tranne quando si tratta di Potter.
“Senti, Evans, fammi il favore di togliermi una curiosità: che diamine ti ho fatto di male per guadagnarmi una tale persecuzione da parte tua? Non credevo di poter meritare una punizione perché per sei anni sono stato …”
Si blocca a metà frase, e io lo osservo con aria apparentemente perplessa. Intanto, ad un livello più profondo del mio subconscio, sento esplodere una serie di domande e di dubbi confusi. Insomma, voglio dire, le sue manie di persecuzione sono semplicemente ridicole. Non passo tutto il mio tempo a dargli la caccia, per me non ha tutta questa importanza. Questo è un caso eccezionale, e potrà anche darsi che io mi stia dando così da fare perché sotto sotto voglio fargliela pagare per la recita calcolatrice che ha messo in atto durante tutto quest’anno nel tentativo di vincere una specie di trofeo incarnato nella mia persona, ma comunque sia questo è il mio dovere. Silente non mi ha affidato un incarico di una simile portata perché mi beassi degli sguardi di chi occhieggia la mia spilla con invidia o ammirazione e poi mi adagiassi sugli allori lasciando che Hogwarts andasse alla deriva.
E poi, sono stato cosa? Un casinista? Una persona assillante? Un insopportabile sbruffone?
“Non sono una perfida aguzzina, sai benissimo che come Prefetto ho il dovere di tenere d'occhio i soggetti come te”, gli rispondo, in tono freddo e asciutto. Non ho la benché minima intenzione di farmi impietosire da uno che, per presunzione e congenita incapacità di accettare una sconfitta, ha messo in piedi un simile teatrino per poi cantare vittoria alle mie spalle una volta che avessi ceduto.
Se avessi ceduto.
“Come Prefetto non ti accanisci così nei confronti di nessun altro. L'unico motivo per cui lo fai è perché l'hai resa una questione personale”.
Che diavolo va blaterando, si può sapere? È impossibile che abbia scoperto quello che so, perciò mi piacerebbe molto capire da che cosa ha dedotto che si tratta di una questione personale.
“Perché devi far ricadere la responsabilità su di me? Sei tu quello che si crede il migliore in tutto quello che fa, che deve ottenere il primato in qualsiasi campo”, replico freddamente, con un sorriso beffardo, sperando che colga l’evidente allusione. Ma la sua espressione confusa e spiazzata fornisce una prova più che evidente del fatto che non è in grado di arrivarci. Oppure fa finta di non capire. Idiota.
“E questo cosa vorrebbe dire?” mi chiede, con un’incertezza che sembra quanto mai sincera. È davvero un bravissimo attore, non c’è che dire. Io non riuscirei mai a fare come lui.
Poco importa, se vuole davvero fingere di non arrivarci glielo dico io.
Anche se mi sembra così presuntuoso. Non ho idea del perché debba esserci proprio io, invischiata in questa situazione. Mi sembra assurdo.
“Lo sai benissimo”, ribatto, ostentando un’aria di sufficienza che in realtà non ho. Avanti, non è così difficile arrivarci. Nemmeno per uno dotato di così scarse capacità cerebrali.
“No, non lo so, quindi se vuoi che ti lasci andare devi spiegarmelo”, risponde lui, in tono di sfida, mettendomi con le spalle al muro. Si permette anche di fare lo sbruffone pretenzioso, guardatelo. E va bene, se proprio vuole sentirlo uscire dalle mie labbra per essere soddisfatto, gli darò questa soddisfazione. Almeno capirà che ho compreso il suo gioco, e la farà finita con questa buffonata.
“Hai sul serio la faccia tosta di far finta di niente”, gli dico, con ira, “o forse per te è così scontato che nemmeno te ne preoccupi. Sei riuscito a far cadere ai tuoi piedi l’intera scuola, ti trovano tutti simpatico e divertente, ti adorano tutti, tutti non fanno che dire quanto sei bravo a Quidditch e quanto sei brillante e carino e tutto il resto. E ora, l’unica che ti manca da aggiungere alla collezione sono io. È ovvio dove vuoi arrivare”.
Non riesco a pronunciare tutto questo brillante discorso con la forza che avrei dovuto metterci realmente, e la mia voce finisce per spegnersi quasi in un sussurro una volta arrivata alla fine. Non so cosa mi stia succedendo, non so perché ho perso tutta la convinzione che avevo all’inizio.
È che … la sua faccia.
Ha una faccia sconvolta.
Rimango immobile a fissarlo impudentemente senza riuscire a togliergli gli occhi di dosso, perché davvero non riesco a crederci.
Non dice niente, ha soltanto quell’espressione indefinibile.
Peggio di quando Grifondoro ha perso il campionato di Quidditch al terzo anno.
È … terribile. Mi fa star male. Gli sono perfino venuti gli occhi lucidi.
Non posso crederci, mi sembra assurdo. Che diavolo gli succede, per Merlino?
Dopo un po’, abbassa lo sguardo e incassa la testa fra le spalle, indietreggiando.
“Va bene, senti … vai. Vai pure a dirlo alla McGranitt. Non mi importa”.
Io non riesco a muovere un muscolo.
So benissimo che, per questioni di dignità e di decoro, dovrei troncare immediatamente questa conversazione e andarmene, fiera del risultato ottenuto.
Ma non riesco a capire.
Perché ha quella faccia?
Perché non tenta nemmeno di difendersi?
Dopo aver organizzato tutta questa meticolosa messa in scena durata un intero anno scolastico, per quale motivo ora che l’ho smascherato mi volta le spalle e mi dice di andarmene?
È lui che ha qualche rotella fuori posto, o è colpa mia?
Nemmeno una parola. Nemmeno una stupida scusa. Nemmeno un pallido tentativo di farmi credere che non è come penso.
Continuo a fissarlo ad occhi spalancati mentre si appoggia al muro con un braccio, nascondendovi dietro il viso. Sono sconvolta. Sono semplicemente sconvolta. Lui, il bamboccio, quello che prende tutto sul ridere e niente sul serio, che non getta mai la spugna nemmeno di fronte al ‘no’ più secco e glaciale. Non è possibile. Solo una volta, in tutti questi anni, sono riuscita a ferirlo, ed è stato un anno fa. Ma poi gli è passata, come avevo previsto, ed è tornato ad essere quello di sempre. Beh, non esattamente. È cambiato. È diventato più maturo, più ragionevole, più acuto. No, no, un momento. C’è qualcosa che non va. Doveva essere tutta una recita.
Possibile che io abbia frainteso?
Possibile che quella in torto sia io?
Solleva di nuovo la testa per guardarmi ancora con quella faccia, e io non riesco a sostenere il suo sguardo. Fisso una crepa nel pavimento con ostinazione, costringendomi a pensare a quanto ero convinta, fino a pochi minuti fa, che la sua fosse tutta una farsa.
Non credo di farcela. È troppo.
“Quindi è questo il motivo per cui ce l’hai con me, eh?” mi domanda, in tono retorico e amaramente disincantato. Sento l’impellente bisogno di rispondere qualcosa, ma le parole mi sfuggono e i secondi passano, e mi rendo conto che ho perso l’occasione. Non saprei nemmeno che dire, in effetti. Non ho idea di come reagire. Dovrei essere inflessibile, e fregarmene, ma è troppo. È veramente troppo.
Non ho altro da fare, lì. Non c’è nient’altro che io possa fare.
Forse è davvero il caso che me ne vada.
È evidente che ha bisogno di stare da solo. E se anche potesse desiderare che ci sia qualcuno a confortarlo, quel qualcuno non sono certo io.
Basta. Me ne vado.
Lentamente, mi stacco dallo stipite della porta e arretro, cercando di non far rumore, mentre lui continua a darmi le spalle. Dopo essere finalmente riuscita ad uscire dal suo campo visivo, a passi lenti e misurati mi incammino per andarmene il più lontano possibile da lì, percorrendo il corridoio deserto fino alla fine, continuando a non capire un fico secco di quello che è successo.
È piuttosto ironico che fino a cinque minuti fa fossi così convinta di saperlo.
 
 


Do you always have to tell him everything on your mind?
You know that too much honesty can be so unkind?
And every time you throw him to the floor,
Why are you surprised to see he’s breakable?

(Fisher, Breakable)
   
 
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