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Autore: Leonhard    24/03/2011    2 recensioni
Alessa Gillespie. La strega. Considerata la figlia del demonio da tutti...da tutti? Un episodio segreto della triste infanzia della bambina sta per sorgere...
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Alessa Gillespie, Nuovo Personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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 8.
 
 
 
Sapeva che sarebbe stato per poco, ma vedere la fermata dell’ospedale sfrecciare via dal pullman della scuola la smarrì. Il banco accanto a lei vuoto la riempì di tristezza e persino l’intervallo passato, quando andava bene, in solitudine la opprimeva. Gli assedi dei suoi compagni ripresero a pieno regime e con rinnovato impeto già il giorno dopo la partenza di Leon.
 
Credeva di essere abituata a quel genere di cose: tutto ciò che doveva fare era coprirsi la testa con le mani e premere la fronte contro il legno freddo del banco, aspettando che finissero. Ma quella volta, in classe, non riuscì a non pensare a nulla. Pensò a Leon, immaginò come avrebbe reagito a quelle cose e scoprì che le mancava già; non perché, in quel momento, l’avrebbe difesa, ma anche perché dopo l’avrebbe consolata. L’avrebbe guardata con il suo sorriso gentile, dicendole che era finita, che andava tutto bene, e l’avrebbe consolata, magari durante l’intervallo, seduti sulla loro panchina isolata, dividendosi il pasto.
 
Piccole cose, non particolarmente importanti, ma pensieri che avevano il dono di farle tornare la voglia di sorridere. Durante l’intervallo, sedendosi sulla panchina, da sola, si sentì infinitamente triste: per qualche strano motivo, i suoi compagni la lasciarono stare, non le rivolsero la parola né un cenno, come se lei fosse trasparente. Rientrando a scuola, fu nuovamente circondata dai suoi compagni e questa volta venne scagliato anche qualche libro. Arrivò in classe con il corpo pieno di lividi, ma non proferì parola e si sedette al suo banco. Una delle poche cose che aveva il potere di calmarla era la sensazione del banco liscio sotto le mani; una cosa normale, ma che produceva un effetto strano. Sentire il legno senza un’imperfezione sotto la mano, le dava la sensazione che, almeno quello, non poteva ferirla. E poi era una bella sensazione.
 
Dopo l’ora di scienze si allontanò dalla classe per andare in bagno. Trovò il bidello che, come al solito, le diede una ‘accidentale’ botta sullo stinco con la scopa. Le scuse furono strascicate e forzate, ma Alessa le apprezzò ugualmente: era l’unico che, anche se di malavoglia, le chiedeva scusa. Avrebbe potuto picchiarla a sangue e nessuno gli avrebbe detto nulla. Eppure si limitava a darle solo una botta sulle gambe. Riflettendoci, pensò che il bidello poteva definirla una sorta di amico: una persona che, pur avendo la possibilità di farle veramente male, si limitava a cose piccole, che non la facevano soffrire più di tanto. Era solo un altro livido che si aggiungeva alla ormai vastissima collezione. Non ci fece caso: anche quando c’era Leon le arrivava la scopa sulle gambe. Uscendo, si guardò attorno, in cerca di Leon. Poi si ricordò che per tutta la settimana non ci sarebbe stato e si diede della stupida.
 
Il terzo giorno, tornata a casa, la madre la portò in bagno, a passare dell’acqua fredda sui lividi.
 
“Alessa, vuoi restare a casa?” chiese improvvisamente. La bambina non capì il senso di quella domanda. “Finché non tornerà Leon vuoi stare a casa? Da quando non c’è più lui, i tuoi compagni hanno cominciato a maltrattarti: tornerai a scuola con Leon, ok?”. Rifletté. Certo, tornare a scuola con lui avrebbe ridotto i lividi, ma non voleva fare la figura della bambina indifesa, che scappa davanti alle difficoltà.
 
E poi, chi avrebbe dato gli appunti a Leon, quando sarebbe tornato? Scosse la testa.
 
“No, voglio andare a scuola” rispose. “Anche prima che arrivasse lui mi picchiavano e mi facevano male”.
 
“Ma non così” replicò Dahlia. “Insomma, sei coperta di lividi: non voglio vederti in questo stato”. Ma nonostante le preghiere, Alessa fu irremovibile.
 
Il bigliettino era ancora nel cassetto della sua scrivania, al sicuro; avrebbe preso gli appunti per lui e lo avrebbe messo in mezzo ai fogli. Quando glielo aveva raccontato, la madre aveva sorriso e le aveva passato una mano tra i capelli, dicendole di essere contenta per lei.
 
“Cosa devo fare per darglielo?” aveva chiesto. Dahlia le aveva spiegato che il modo per darglielo l’avrebbe scoperto da sola, che lei non poteva suggerirle come chiedere a Leon di essere il suo fidanzato. In quel momento, si concesse un pensiero egoistico: al diavolo cosa avrebbero pensato di lui. L’importante per lei era rimanere insieme.
 
Salì zoppicando in camera e, una volta chiusa dentro, prese lo spago e fece un nodo. Rimase a guardare quella piccola cordicella con occhi sognanti.
 
(Qui vorrei mettere la cartina di una caramella…qui magari una monetina…qui…ecco, una penna!) pensò, guardando i nodi. Volse lo sguardo verso i suoi disegni. (E quando lo nasconderemo, cercheremo un posto che sia sicuro).
 
Protetto dal pallore del suo viso e dai capelli di Leon.
 
Protetto da nebbia e neve.
 
 
 
Andando a scuola, il quarto giorno, pensò ad un posto sicuro: un posto in cui la nebbia ci fosse spesso e che, d’inverno, si riempiva di neve. Nel campo dietro casa sua era perfetto, ma non voleva metterlo lì: era una cosa loro, di entrambi, e doveva stare in terreno neutro, che non fosse di nessuno dei due. Optò alla fine per il boschetto che circondava il lago Toluca: era perfetto!
 
Ci era andata tante volte: d’inverno, il paesaggio diventava completamente candido e quando saliva la nebbia non si vedeva più nulla, tanto che, una volta, si era dovuta sedere sotto un albero ed aspettare che la nebbia si diradasse per scoprire di essere sempre rimasta a ridosso della strada, a pochi minuti da casa sua. L’idea le piacque e decise che avrebbe messo al corrente Leon di questa sua pensata. Di sicuro le avrebbe sorriso, dicendole che era un’idea magnifica, e nel weekend sarebbero andato insieme a scegliere un posto per nasconderlo. Magari, il bigliettino glielo avrebbe dato lì. O forse era meglio darglielo subito?
 
E che ne sapeva? Lei non era pratica di quelle cose. Non aveva mai avuto neanche un amico, eppure eccola lì, a chiedersi quando dare a Leon un biglietto in cui gli chiedeva se voleva essere il suo fidanzato. Una cosa surreale, al limite del comico, ma per lei era una cosa fondamentale.
 
Prese il bigliettino dalla tasca e lo guardò per l’ennesima volta: ancora non riusciva a capacitarsi di voler fare una cosa del genere. Non sapeva nemmeno se c’era un modo particolare di darglielo, se doveva fare una particolare espressione, che risposta aspettarsi. Eppure eccola lì, a chiedersi dove e come poteva farlo.
 
Tornando verso casa si volse verso l’ospedale e prese la sua decisione. Quando sarebbe tornato gliel’avrebbe dato in quella stanza in cui loro due avevano chiacchierato, la stessa in cui aveva sentito quel calore nuovo, in mezzo a tutto l’odio ed il freddo che viveva a scuola.
 
Nella camera B151.
 
 
 
SONTUOSAMENTE IN RITARDO, MA FEDELE ALLA SUA STORIA, CONTINUO A RECENSIRE INSTANCABILE. NON E’ VERO NULLA: LA SCUOLA ED IL LAVORO MI STANNO SFINENDO, MA ALMENO ADESSO HO PRESO UN ATTIMO DI RESPIRO, TRA UN LINGUAGGIO DI PROGRAMMAZIONE E L’ALTRO.
PROSSIMAMENTE IL PROSSIMO AGGIORNAMENTO. RIMANETE IN ATTESA, SPERO DI NON DELUDERVI.
A PRESTO.
LEONHARD.
   
 
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