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Autore: Scarlatta93    20/04/2011    1 recensioni
Salve :3 Premetto che mi sono ispirata a un libro che adoro, ovvero "Il principe della nebbia", di Carlos Ruiz Zafon. Adoro quell'uomo! *ò* è la prima fan fiction che ho scritto (di seria, diciamo .-.) e ho già pronti numerosi capitoli che ricorreggerò man mano che deciderò di pubblicare, dato che è piuttosto vecchiotta. Roxas è un ragazzo di diciassette anni, il quale, a causa della guerra, è stato costretto a trsferirsi assieme al fratello Riku e ai genitori in una villa situata nell'inoltrata campagna. Nel giro di poco tempo, scopre che quella non è una normale cittadina, infatti vi pende una misteriosa maledizione, che lo costringerà a completare da sé il quadro della situazione. Ad aiutarlo c'è Axel, un ragazzo per il quale nutrirà molto più di un'amicizia. Spero vi possa piacere la trama, è un pò scarna ma accontentatevi! ò.ò Buona lettura!
Genere: Avventura, Fantasy, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Axel, Marluxia, Naminè, Roxas
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 4. Una ragazza particolare.

Sulla mia fronte si posa il freddo metallo, ragni mi frugano nel cuore. C’è un lume che nella mia bocca si spegne.
(George Travi – De profundis)

Si voltò di scatto e si trovò faccia a faccia con una gracile ragazza bionda, di delicata bellezza, così vicina al suo viso che Roxas poteva distinguere il colore dei suoi occhi. Erano di un azzurro tenue e penetrante, dai quali gli era difficile distogliere lo sguardo. Dalle iridi si sprigionavano note di malinconia e tristezza che li solcavano da tempi sconosciuti.
I capelli biondi e sottili, fini come il portamento della padrona, ricadevano quasi tutti su una spalla, circondandole il viso assai pallido e magro.
Due labbra sottili risaltate grazie al colore rosso acceso del rossetto, spiccavano in quel pallore così irreale e si curvavano continuamente in un sorriso privo di malizia e furbizia.
Doveva avere pressappoco la sua età, ma il suo corpo, esile e snello, era ancora somigliante a quello di una bambina e sembrava inconsistente come l’aria al tatto, nonché sul punto di sciogliersi come neve.
In quella ragazza vi era raffigurato, come in un quadro, il ritratto dell’innocenza.
Forse fu per questo che Roxas non ebbe alcun sussulto quando la vide, benché fosse apparsa all’improvviso, come materializzatasi dal nulla.
Strabuzzò gli occhi quando si accorse però che era vestita solo con un leggerissimo vestitino bianco, il quale nascondeva a malapena le cosce quasi della medesima bianchezza.
-Perdonami, ti sto mettendo a disagio?- Domandò la misteriosa ragazza, intrecciando le mani dietro la schiena e ridendo debolmente, come se le costasse uno sforzo immenso.
-N-non preoccuparti- Balbettò lui, sollevando gli occhi al cielo e passandosi una mano sulla nuca, imbarazzato.
-Benissimo!- Esclamò, cercando di assumere un tono allegro. Con una mano, si mise a giocherellare distrattamente con una catenina che aveva al collo, mentre con l’altra estrasse uno specchietto da una borsa che teneva con sé, penzolante da un fianco.
Osservò la sua immagine, volgendo il viso in diverse direzioni. Tenendo sollevato lo specchietto davanti a sé, tirò poi fuori un piccolo tubetto di metallo e lo aprì: rossetto.
Si passò velocemente un spesso strato di colore rosso, nonostante le labbra fosse già esageratamente dipinte, e con un pennello ricoprì il viso con un’elevata dose di fard.
“Una ragazza così starebbe bene acqua e sapone. Perché tutto quel trucco? Non ce la vedo per niente!” Pensò Roxas, mentre la contemplava, sorpreso e leggermente disgustato da tutto quello spesso strato di trucco, che deteriorava la vera bellezza della ragazza.
-Scusami...ma non sopporto questa cera- Disse lei, quasi come se avesse letto nei suoi pensieri.
-Ehm, figurati. Mi chiamo Roxas!- Disse il ragazzo, tendendo una mano in avanti.
-Piacere mio. Namine.- Rispose lei, osservando la mano senza però stringerla.
Passarono pochi secondi di assoluto silenzio, durante i quali Roxas sprofondava sempre più nell’imbarazzo; ritirò timidamente la mano, infilandosela in una tasca dei pantaloni.
“Strana forte, la ragazza.”
-Sei nuovo di qui, vero?- Domandò dolcemente Namine, rompendo appena il silenzio.
Roxas si sentiva una specie di gigante sgraziato, di fronte a quella creatura leggera e delicata.
-Si, sono arrivato una settimana fa-
-Ti piace qui?-
-Oh, moltissimo!- Mentì spudoratamente il ragazzo, ma sperava che quella risposta allietasse la ragazza dal viso colmo di tristezza.
-Capisco- Rispose Namine, abbassando lo sguardo e sospirando, come delusa dalla risposta.
“Non ne faccio una giusta!”. Disse fra sé Roxas. “Deficiente che non sei altro!”
-A te qui piace, invece?-
-Beh... Sai, dipende molto dalle persone che ci vivono.-
-Sei qui da quando sei nata?-
-Mh, non proprio– Lentamente sollevò la testa, gettando un’occhiata oltre le spalle di Roxas, in direzione del giardino di statue.
Roxas se ne accorse e fece un passo verso di lei.
-Ti va di entrare? L’ho scoperto da poco e mi piacerebbe vedere cosa c’è dentro!-
Namine ebbe un leggero sussulto e indietreggiò.
-Perché non facciamo una passeggiata?- Domandò con un sorriso al quale Roxas non seppe dare una risposta negativa.
Si allontanò assieme a lei, camminando lungo il viottolo di pietra. Era così svelta che faticò a starle vicino e dopo qualche minuto, boccheggiava già come un pesce appena pescato.
-Sto andando troppo veloce per te?- Chiese, sentendo il respiro affannato dell’amico e rallentando leggermente.
-Figurati! È che... Ho corso prima e mi sento un po’ stanco!-
“in parte è vero!” Pensò Roxas. “Certo, non posso dirle che correvo dalla paura!”
-Ah, capisco- Rispose atona.
“è così strana...sembra quasi indifferente a tutto. Ma cosa ci faccio a spasso con questa? Eppure mi incuriosisce”
Camminarono per un tempo che gli parve infinito. Voleva sapere tutto di Namine: cosa le piaceva, cosa odiava, perché sembrava sempre così triste e tanto altro. Ma le parole si scioglievano come cera quando si perdeva in quelle iridi azzurre come il cielo, anche se spesso cosparso di nuvole.
Amore a prima vista? Macché. Pura curiosità e scarsissimo carisma, nonché un’esagerata timidezza.
-Perché volevi così tanto entrare nel giardino?- Chiese tutto ad un tratto, cogliendolo di sorpresa.
-A dirti il vero non lo so... era annoiato, tutto qui.- Rispose stringendosi nelle spalle.
-Ma ci sarà pure un motivo particolare.- Insistette.
Roxas rise. –Credimi se ti dico che a parte questo, non ce n’era proprio nessuno!-
Calò il silenzio per alcuni secondi.
Infine, Namine riprese la parola.
-Non entrarci mai- Sussurrò, osservandosi i sandali azzurri.
-Scusa, ma... Perché?-
Namine alzò lo sguardo e gli lanciò un’occhiata infastidita.
-è proprietà privata, non hai alcun diritto di entrarci, mi sembra un motivo più che sufficiente!-
-Sembrava disabitato da anni, così ho pensato che non avrebbe creato un fastidio a nessuno, se...-
-Lo creeresti, invece!- Scattò irritata la ragazza. Il labbro inferiore iniziò a tremarle mentre le mani si strinsero in due pugni e le braccia lungo i fianchi si irrigidirono.
Roxas la osservò sbalordito, incapace di aprir bocca.
-D’accordo, d’accordo... Se questo è quello che vuoi, non andrò oltre al cancello, te lo prometto-
Namine sembrò riacquistare il controllo che stava per perdere e gli donò un sorriso.
-Scusami, a volte non mi contengo proprio... Grazie di aver capito.- Estrasse dalla borsa un orologio da taschino e controllò l’ora.
-Oh, no! È tardissimo, devo proprio andare! Piacere di averti conosciuto, Roxas.-
-Piacere mio! Quando ci rivediamo?-
Non ricevette risposta. La ragazza stava già correndo in direzione del paese, saettando veloce come una lepre inseguita da un cacciatore, tra gli alberi.
“Mio dio...tutte a me devono capitare!”. Aveva molte domande nella mente, ma nessuna risposta che avesse un senso sembrava poterle soddisfare.
Non riusciva a spiegarsi in alcun modo la rabbia improvvisa che aveva colto la ragazza, così come non riusciva a spiegarsi perché provava un’indefinibile attrazione per lei, molto diverso dal dire che le piaceva o addirittura che ne era innamorato.
C’era qualcosa di misterioso in lei, qualcosa che la distingueva da qualunque altra ragazza.
“Ma che cosa?”.
Fece scorrere lo sguardo lungo il sentiero, quasi come se sperasse di poter giungere al giardino con la sola forza del pensiero.
Nonostante la curiosità si fosse fatta ancora più intensa, decise di tener fede alla sua promessa, da bravo ragazzo che era. Forse avrebbe fatto meglio ad incrociare le dita, mentre giurava di non metterci piede.
“Cosa mi vuoi nascondere, Namine?”
A fatica, distolse lo sguardo dal viottolo di pietra e riprese a camminare, affondando il mento nella giacca a collo alto e con lui, immerse la mente nei suoi pensieri.

 
***

Quando fu sicura che nessuno stesse seguendo i suoi movimenti, Namine tornò sui suoi passi, verso il giardino di statue.
Corse verso il cancello e incatenò di nuovo le sbarre, serrandole con un nuovo lucchetto che aveva conservato nella sua borsa, nel caso si fosse presentata l’occasione di doverlo utilizzare.
Sorrise soddisfatta e si incamminò verso la fitta vegetazione, abbandonando il viottolo di pietra e inoltrandosi nel fitto del bosco, verso una meta che conosceva bene.

Chiedo scusa se il capitolo è corto, ma l'altro è da rivisionare e adesso non ho voglia di farlo XD grazie per aver letto!
  
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