Capitolo 4. Una ragazza particolare.
Sulla mia
fronte si
posa il freddo metallo, ragni mi frugano nel cuore.
C’è un lume che nella mia
bocca si spegne.
(George Travi – De profundis)
Si
voltò
di scatto e si trovò faccia a faccia con una gracile ragazza
bionda, di delicata
bellezza, così vicina al suo viso che Roxas poteva
distinguere il colore dei
suoi occhi. Erano di un azzurro tenue e penetrante, dai quali gli era
difficile
distogliere lo sguardo. Dalle iridi si sprigionavano note di malinconia
e
tristezza che li solcavano da tempi sconosciuti.
I capelli
biondi e sottili, fini come il portamento della padrona, ricadevano
quasi tutti
su una spalla, circondandole il viso assai pallido e magro.
Due labbra
sottili risaltate grazie al colore rosso acceso del rossetto,
spiccavano in
quel pallore così irreale e si curvavano continuamente in un
sorriso privo di
malizia e furbizia.
Doveva
avere pressappoco la sua età, ma il suo corpo, esile e
snello, era ancora
somigliante a quello di una bambina e sembrava inconsistente come
l’aria al
tatto, nonché sul punto di sciogliersi come neve.
In quella
ragazza vi era raffigurato, come in un quadro, il ritratto
dell’innocenza.
Forse fu
per questo che Roxas non ebbe alcun sussulto quando la vide,
benché fosse
apparsa all’improvviso, come materializzatasi dal nulla.
Strabuzzò
gli occhi quando si accorse però che era vestita solo con un
leggerissimo
vestitino bianco, il quale nascondeva a malapena le cosce quasi della
medesima
bianchezza.
-Perdonami,
ti sto mettendo a disagio?- Domandò la misteriosa ragazza,
intrecciando le mani
dietro la schiena e ridendo debolmente, come se le costasse uno sforzo
immenso.
-N-non
preoccuparti- Balbettò lui, sollevando gli occhi al cielo e
passandosi una mano
sulla nuca, imbarazzato.
-Benissimo!-
Esclamò, cercando di assumere un tono allegro. Con una mano,
si mise a
giocherellare distrattamente con una catenina che aveva al collo,
mentre con
l’altra estrasse uno specchietto da una borsa che teneva con
sé, penzolante da
un fianco.
Osservò la
sua immagine, volgendo il viso in diverse direzioni. Tenendo sollevato
lo
specchietto davanti a sé, tirò poi fuori un
piccolo tubetto di metallo e lo
aprì: rossetto.
Si passò
velocemente un spesso strato di colore rosso, nonostante le labbra
fosse già esageratamente
dipinte, e con un pennello ricoprì il viso con
un’elevata dose di fard.
“Una
ragazza così starebbe bene acqua e sapone. Perché
tutto quel trucco? Non ce la
vedo per niente!” Pensò Roxas, mentre la
contemplava, sorpreso e leggermente
disgustato da tutto quello spesso strato di trucco, che deteriorava la
vera
bellezza della ragazza.
-Scusami...ma
non sopporto questa cera- Disse lei, quasi come se avesse letto nei
suoi
pensieri.
-Ehm,
figurati. Mi chiamo Roxas!- Disse il ragazzo, tendendo una mano in
avanti.
-Piacere
mio. Namine.- Rispose lei, osservando la mano senza però
stringerla.
Passarono
pochi secondi di assoluto silenzio, durante i quali Roxas sprofondava
sempre
più nell’imbarazzo; ritirò timidamente
la mano, infilandosela in una tasca dei
pantaloni.
“Strana
forte, la ragazza.”
-Sei nuovo
di qui, vero?- Domandò dolcemente Namine, rompendo appena il
silenzio.
Roxas si
sentiva una specie di gigante sgraziato, di fronte a quella creatura
leggera e
delicata.
-Si, sono
arrivato una settimana fa-
-Ti piace
qui?-
-Oh,
moltissimo!- Mentì spudoratamente il ragazzo, ma sperava che
quella risposta
allietasse la ragazza dal viso colmo di tristezza.
-Capisco-
Rispose Namine, abbassando lo sguardo e sospirando, come delusa dalla
risposta.
“Non ne
faccio una giusta!”. Disse fra sé Roxas.
“Deficiente che non sei altro!”
-A te qui
piace, invece?-
-Beh... Sai,
dipende molto dalle persone che ci vivono.-
-Sei qui
da quando sei nata?-
-Mh, non
proprio– Lentamente sollevò la testa, gettando
un’occhiata oltre le spalle di
Roxas, in direzione del giardino di statue.
Roxas se
ne accorse e fece un passo verso di lei.
-Ti va di
entrare? L’ho scoperto da poco e mi piacerebbe vedere cosa
c’è dentro!-
Namine
ebbe un leggero sussulto e indietreggiò.
-Perché
non facciamo una passeggiata?- Domandò con un sorriso al
quale Roxas non seppe dare
una risposta negativa.
Si
allontanò assieme a lei, camminando lungo il viottolo di
pietra. Era così
svelta che faticò a starle vicino e dopo qualche minuto,
boccheggiava già come
un pesce appena pescato.
-Sto
andando troppo veloce per te?- Chiese, sentendo il respiro affannato
dell’amico
e rallentando leggermente.
-Figurati!
È che... Ho corso prima e mi sento un po’ stanco!-
“in parte
è vero!” Pensò Roxas. “Certo,
non posso dirle che correvo dalla paura!”
-Ah,
capisco- Rispose atona.
“è così
strana...sembra quasi indifferente a tutto. Ma cosa ci faccio a spasso
con questa?
Eppure mi incuriosisce”
Camminarono
per un tempo che gli parve infinito. Voleva sapere tutto di Namine:
cosa le
piaceva, cosa odiava, perché sembrava sempre così
triste e tanto altro. Ma le
parole si scioglievano come cera quando si perdeva in quelle iridi
azzurre come
il cielo, anche se spesso cosparso di nuvole.
Amore a
prima vista? Macché. Pura curiosità e scarsissimo
carisma, nonché un’esagerata
timidezza.
-Perché
volevi così tanto entrare nel giardino?- Chiese tutto ad un
tratto, cogliendolo
di sorpresa.
-A dirti
il vero non lo so... era annoiato, tutto qui.- Rispose stringendosi
nelle
spalle.
-Ma ci
sarà pure un motivo particolare.- Insistette.
Roxas
rise. –Credimi se ti dico che a parte questo, non ce
n’era proprio nessuno!-
Calò il
silenzio per alcuni secondi.
Infine, Namine
riprese la parola.
-Non
entrarci mai- Sussurrò, osservandosi i sandali azzurri.
-Scusa,
ma... Perché?-
Namine
alzò lo sguardo e gli lanciò
un’occhiata infastidita.
-è
proprietà privata, non hai alcun diritto di entrarci, mi
sembra un motivo più che
sufficiente!-
-Sembrava
disabitato da anni, così ho pensato che non avrebbe creato
un fastidio a
nessuno, se...-
-Lo
creeresti, invece!- Scattò irritata la ragazza. Il labbro
inferiore iniziò a
tremarle mentre le mani si strinsero in due pugni e le braccia lungo i
fianchi
si irrigidirono.
Roxas la
osservò sbalordito, incapace di aprir bocca.
-D’accordo,
d’accordo... Se questo è quello che vuoi, non
andrò oltre al cancello, te lo
prometto-
Namine
sembrò riacquistare il controllo che stava per perdere e gli
donò un sorriso.
-Scusami,
a volte non mi contengo proprio... Grazie di aver capito.- Estrasse
dalla borsa
un orologio da taschino e controllò l’ora.
-Oh, no! È
tardissimo, devo proprio andare! Piacere di averti conosciuto, Roxas.-
-Piacere
mio! Quando ci rivediamo?-
Non
ricevette risposta. La ragazza stava già correndo in
direzione del paese,
saettando veloce come una lepre inseguita da un cacciatore, tra gli
alberi.
“Mio
dio...tutte a me devono capitare!”. Aveva molte domande nella
mente, ma nessuna
risposta che avesse un senso sembrava poterle soddisfare.
Non
riusciva a spiegarsi in alcun modo la rabbia improvvisa che aveva colto
la
ragazza, così come non riusciva a spiegarsi
perché provava un’indefinibile attrazione
per lei, molto diverso dal dire che le piaceva o addirittura che ne era
innamorato.
C’era
qualcosa di misterioso in lei, qualcosa che la distingueva da qualunque
altra
ragazza.
“Ma che
cosa?”.
Fece
scorrere lo sguardo lungo il sentiero, quasi come se sperasse di poter
giungere
al giardino con la sola forza del pensiero.
Nonostante
la curiosità si fosse fatta ancora più intensa,
decise di tener fede alla sua
promessa, da bravo ragazzo che era. Forse avrebbe fatto meglio ad
incrociare le
dita, mentre giurava di non metterci piede.
“Cosa mi
vuoi nascondere, Namine?”
A fatica,
distolse lo sguardo dal viottolo di pietra e riprese a camminare,
affondando il
mento nella giacca a collo alto e con lui, immerse la mente nei suoi
pensieri.
***
Quando
fu
sicura che nessuno stesse seguendo i suoi movimenti, Namine
tornò sui suoi
passi, verso il giardino di statue.
Corse
verso il cancello e incatenò di nuovo le sbarre, serrandole
con un nuovo
lucchetto che aveva conservato nella sua borsa, nel caso si fosse
presentata
l’occasione di doverlo utilizzare.
Sorrise
soddisfatta e si incamminò verso la fitta vegetazione,
abbandonando il viottolo
di pietra e inoltrandosi nel fitto del bosco, verso una meta che
conosceva
bene.