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Autore: Exentia_dream    04/05/2011    11 recensioni
Tutto nasce da una scommessa, anzi, per meglio dire, da una sfida.
Dalla storia:
-Non
lo so. E’ iniziato con il solito battibecco
Sfregiato-Malferret, poi, quell’idiota,
mi ha detto “Senti, Potter. Invece di farmi perdere tempo a
sfotterti, ti sfido
a duello. Sul campo di Quidditch.”- disse Harry scimmiottando
il Serpeverde.
-E
poi?
-Poi
ha detto che se avesse vinto lui, il premio sarebbe stato una serata
con
Hermione.
-Hermione?
-Sì.
-Ma
lui è Malfoy e lei è…
Genere: Erotico, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Draco Malfoy, Hermione Granger, Un po' tutti | Coppie: Draco/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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Ritorno al quel dormitorio
 

 
 
Erano appena le quattro del pomeriggio, quando decise che, forse, la cosa giusta sarebbe stato affrontarlo: faccia a faccia, occhi negli occhi.
Si chiedeva a cosa sarebbe servito e cosa volesse ancora da lei: non gli era bastato renderle la vita più difficile all’interno della scuola? Cos’altro voleva?
Si sentiva divisa in due: una parte di lei desiderava che lui l’amasse e che la baciasse ancora, come aveva fatto in quel dormitorio.
L’altra metà aveva solo voglia di scappare via e di rendersi conto che tutta la confusione che provava dipendeva dalla curiosità di sapere cosa provasse lui. Sì, doveva essere per forza così, per questo lo avrebbe affrontato: per capire quali fossero i suoi sentimenti verso di lei e tornare alla vita di sempre.
Sistemò i capelli, portandoli dietro alle spalle: erano cresciuti davvero tanto da quando era entrata a far parte di Hogwarts ed era cresciuta anche lei sia in altezza che nelle forme fisiche ma, soprattutto, nel cuore, perché quel minuscolo spazio si era triplicato o, magari, moltiplicato all’infinito ed aveva permesso a chiunque lei avesse incontrato in quegli anni di entrarne ed occuparne un posto.
Forse, un angolo era riservato anche a Draco.
 
Impossibile.
 
Si ritrovò ad immaginare la Stanza delle Necessità, proprio come aveva fatto la prima volta che lui le aveva inviato un gufo per dirle dell’incontro e ricordò quanto le erano parse piacevoli le lezioni in sua compagnia e quanto aveva desiderato accarezzarlo quando lo aveva visto dormire.
Scosse il capo per cacciare via quell’immagine che le aveva bloccato per un po’ il respiro, poi uscì dal dormitorio.
Probabilmente, a quell’ora, tutti gli alunni erano a lezione, per questo i corridoi erano vuoti e silenziosi e sembravano più lunghi di quanto in realtà non fossero.
O, forse, era lei che da un po’ di tempo tendeva ad esagerare in tutto e non notava più le sfumature che la vita le aveva sempre regalato: tutto intorno era diventato grigio, senza nero e senza bianco. La sua vita era diventata grigia, nessun colore al di fuori del colore degli occhi del Serpeverde.
 
…maledetto furetto borioso e viziato!
Maledetta serpe ingannatrice.
Maledetta la sua bocca!
 
Si colpì la fronte con il palmo della mano, maledicendo la sua memoria troppo allenata a ricordare i momenti più belli della sua vita e, allora, l’immagine di quelle labbra perfette e consumate dal freddo non spariva da lì.
Si rese conto, quasi a malincuore, che gli attimi vissuti con Ron non c’erano più e più li cercava, più trovava solo granelli di polvere che svolazzavano mettendo in evidenza il vuoto di quei luoghi che appartenevano solo a lei.
Si fermò per un po’ ad osservare il panorama alla finestra e, improvvisamente, ricordò che l’indomani l’intera scuola sarebbe dovuta andare a Hogsmeade, dove anni prima aveva acquistato la sua bacchetta e dove aveva bevuto la sua prima burrobirra. Sorrise, sospirando al pensiero che poche ore più tardi sarebbe stata fuori da quelle mura e avrebbe potuto lasciare i ricordi chiusi da qualche parte, perché a Diagon Alley, ai Tre Manici Di Scopa non c’era nulla che le potesse ricordare di lui.
La neve ricopriva già l’intero prato del cortile e presto sarebbe arrivato il Natale: avrebbe rivisto i suoi genitori, li avrebbe riabbracciati e avrebbe avuto tempo per sé stessa.
Si avviò nuovamente lungo il corridoio, battendo forte i piedi sul pavimento di pietra, come a voler mandar via la tensione che le permetteva di camminare a passo veloce, di pensare con tanta fretta e voglia di voler ricordare, di farle scattare la lingua al palato per contare i secondi che la dividevano da quella porta.
Quando fu di fronte alla porta della Stanza delle Necessità, si meravigliò che di tempo ne fosse trascorso così poco. Eppure, a lei sembrava che fossero passate ore.
Trattenne per un po’ il fiato nei polmoni, poi lo rilasciò lentamente e varcò la soglia.
 
 
 
 
 
Sapeva che Harry aveva qualcosa da mostrarle, eppure costrinse la sua curiosità a tacere e lo seguì sul campo di Quidditch per l’allenamento: la neve aveva smesso di scendere ed anche il vento si era calmato, per questo, non sarebbe stato né difficile né impossibile volare sulle scope ed allenarsi.
Si fermò al centro del campo e guardò gli spalti, sentendo l’emozione crescere: anche vuote, quelle sedute le davano le stesse emozioni di quando erano occupate dagli alunni di tutta la scuola che sventolavano le loro sciarpe con i colori delle rispettive case di appartenenza. Sentire gridare il proprio nome, abbracciare i propri compagni dopo aver segnato, sentire il giubilo del cronista erano avvenimenti che avevano un senso tutto loro, che permetteva ad ogni giocatore di avere un momento di gloria, di sentirsi importante.
Magari, per qualcun altro, tutto quel volteggiare sulle scope, andare avanti e indietro per il campo ad inseguire uno stupido boccino era inutile e noioso, ma per lei tutto quello era importante quanto Harry, quanto la sua amicizia con Hermione: quello sport era la sua vita.
Cavalcò la scopa e si levò, arrivando all’altezza delle porte. Fece segno ad Harry di lanciare un bolide e cominciò a librarsi nell’aria come se fosse stata una farfalla con la forza di una leonessa.
Sentiva gli occhi del Ragazzo Sopravvissuto dietro la schiena bruciarle e lenirle le ferite che aveva ancora dentro allo stesso modo.
Harry aveva uno strano effetto su di lei: la tranquillizzava e le calmava il dolore, lo faceva diventare piacevole anche se fino ad un minuto prima lei si sentiva soffocare.
La sua famiglia le mancava tremendamente; più di tutti le mancava Ron che era diventato irriconoscibile, non era più lui: non mangiava più fino ad ingozzarsi, non aveva più una domanda stupida da porre nei momenti più seri, né un’altra di riserva quando si rendeva conto che la prima non avrebbe ricevuto risposta.
Tornò a terra e, finché i  suoi piedi non toccarono il suolo, il capogiro che l’aveva colpita aveva continuato ad imperversarle anche nello stomaco.
-Ginny, cos’hai?- le chiese Harry, con la voce preoccupata e amichevole.
-Non è niente, credo.
-Dai, vieni qui.- le cinse le spalle con un braccio e l’accompagnò negli spogliatoi.
-Sto bene, Harry, davvero.
-Guardami negli occhi, ti prego.- lei alzò lo sguardo e si ritrovò persa in quel lago smeraldino in cui avrebbe viaggiato e nuotato per ore, senza fermarsi, senza provare alcuna stanchezza nei muscoli, senza staccare mai i suoi occhi da quelli del giovane.
-Ti sto guardando.- lo osservò mentre si sedeva sulla panchina che c’era negli spogliatoi.
-Dimmi la verità.
Sbuffò. –Mi manca Ron, mi manca Hermione…
-Cos’hanno che non va?
-Non sono più loro: Ron è la copia venuta male di Malfoy e…
-Hermione ha la testa altrove.
-Magari fosse solo la testa, Harry: è interamente da un’altra parte.
-Sai dove?
-Lo immagino.
-Ti amo, Ginny.
-Ti amo anche io, Harry.
-Pensiamo un po’ a noi: Hermione e Ron capiranno da soli. Non è giusto che… ci mettiamo in mezzo.
-Hai ragione: pensiamo a noi.- gli si aggrappò al collo, attirando a lei le sue labbra e le baciò con passione.
Si sedette sulle sue gambe, accogliendo tra le ginocchia il bacino di lui e avvicinandosi alla sua eccitazione che aumentava ad ogni suo movimento.
Sorrise, interrompendo per un attimo il bacio che li stava unendo. –Mi stai provocando.- disse lui con voce roca.
-E ti dispiace?
-No… mi piace. Tanto.
Si avvicinò ancora di più, attirò le labbra e le strinse in un morso delicato e tentatore.
Quando Harry le sollevò la maglia della divisa, la sua eccitazione crebbe e la pelle di entrambi fu percorsa da illimitati brividi che richiedevano di essere vissuti ed entrambi avevano il desiderio di non lasciarsi sfuggire quell’attimo e, d’altra parte, il silenzio intorno non gli suggeriva di fare diversamente.
Si staccarono per riprendere fiato e si guardarono negli occhi, in cui ognuno vide riflesso la voglia e il bisogno dell’altro, poi, un rumore metallico- come quello che avrebbe provocato un anta di un armadietto che veniva richiuso- li fece allontanare.
Ginny si levò dalle gambe di Harry, sedendosi immediatamente al suo fianco e, ancora una volta, fecero incrociare i loro sguardi.
 
 
 
 
 
-Non ti senti come se fossi in dovere di dire qualcosa?
 
Cos’avrebbe potuto dirle? Non guardarla da vicino impediva a chiunque la osservasse di cogliere le bellezze più nascoste del suo viso, come il piccolo neo sulla narice sinistra o il numero infinito delle sue ciglia curve e morbide.
L’aveva guardata mentre varcava la soglia con il suo sguardo curioso e spaventato; l’aveva guardata mentre camminava a testa bassa e l’aveva guardata mentre lei guardava lui: i suoi occhi si erano riempiti di stupore e sulle labbra si era formato un sorriso.
L’angolo destro della bocca era ancora più alto rispetto al sinistro e i suoi occhi erano ancora fissi sulla sua figura.
Sentiva le mani sudare e tremare, allora le nascose nelle tasche dei pantaloni, per impedire allo sguardo indagatore di Hermione di notare quei movimenti piccoli, invisibili ma che sarebbero stati capaci di tradire il suo stato d’animo, il suo imbarazzo.
 
-…come se fossi l’ultimo granello di sabbia in una clessidra…
 
Si era seduta accanto a lui e gli aveva sfiorato un braccio.
I brividi che avevano percorso quel lembo di pelle gli avevano portato il gelo nelle vene, prima e il fuoco in tutto il corpo, poi.
Forse, vederla non era stato una buona idea.
-Volevi parlarmi?- gli chiese, spezzando il filo dei suoi pensieri.
-Sì.
Abbassò leggermente la testa, come ad invogliarlo a parlare e gli sorrise.
Draco sentiva il bisogno di studiarla, di osservare quei movimenti che ancora non le aveva visto fare e trattenne l’istinto di toccarla.
Era impossibile che l’attraesse tanto: non era possibile che la Mezzosangue gli facesse
quell’effetto.
Continuò a tenere le mani nelle tasche dei pantaloni per nascondere l’eccitazione, poi, si alzò dal divano, si avvicinò alla finestrella che dava sul Lago Nero e sulla Foresta Proibita e l’aprì per permettere al vento gelido di far sbollire il suo sangue.
Aspirò a fondo il profumo dei pini e chiuse gli occhi, quando una folata del profumo di Hermione gli colpì le narici.
Lei gli poggiò le mani dietro alle spalle e gli carezzò la schiena, risalendo lungo la
colonna vertebrale.
I nervi si tesero e strinse i pugni con forza, perché provare quel piacere gli faceva paura. La paura era un sentimento che non aveva mai provato in tutta la vita, mai di fronte ad una donna, eppure il suo corpo ne era saturo, come se il suo cuore avesse finito di battere e di pompare il sangue nelle vene.
Gli mancò semplicemente il fiato.
Quando lei allontanò le mani dal suo corpo, Draco si voltò e la guardò dritta negli occhi.
-Allora?- gli chiese ancora lei.
-Sei un tappo, Granger.- aveva dovuto calare la testa mentre lei aveva il mento e lo sguardo alto e fiero su di lui.
La vide sorridere e sentì il suo solito ghigno dare una forma diversa alla linea retta che da un po’ disegnavano le sue labbra.
Era lei a dargli la voglia di sorridere?
-Ho una conoscenza e un’intelligenza molto più elevata rispetto a te, quindi, la statura non è mio problema.
Di nuovo le sue risposte impertinenti. –Essere alti ha i suoi vantaggi, Mezzosangue.
-Non mi interessano. Piuttosto, dimmi cosa vuoi.
-Aspetta.
-Non ho tempo da perdere.
No, decisamente. Ma il tempo stava correndo davvero troppo e lui voleva far di tutto per tenerla quanto più tempo possibile accanto.
I suoi occhi erano velati-  forse dal desiderio che aveva di tornare a quei giorni di esilio, forse, erano ancora coperti dal fumo della sigaretta che aveva fumato prima del suo arrivo- e lambivano il suo viso come se fosse stato un miraggio, come se fosse stato necessario guardarla per far brillare i suoi occhi e sentirli pieni di qualcosa di meraviglioso.
Scosse il capo e lei, ancora una volta, poggiò le sua mani su di lui, sul suo petto.
Il cuore batteva forte e non c’erano tasche dove nasconderlo, né altri suoni a coprire il suo battere frenetico ed incessante.
La mano di Hermione scivolò giù, fino alle costole e le accarezzò con le punta delle dita, poi risalì a sfiorare il collo.
Disegnò con i polpastrelli il passaggio di ogni vena, il disegno delle ossa e si soffermò sul pomo d’Adamo.
-Ci saranno i M.A.G.O. tra un po’ e ho bisogno di ripetizioni.
-Oh…- disse, boccheggiando.
Le aveva fatto un brutto tiro, un colpo basso, ma quella era stata l’unica frase sensata che aveva attraversato la sua mente: era sempre tutto così confuso, così difficile quando lei era nei paraggi ma, soprattutto, quando gli era accanto.
Forse, evitarla era stata la mossa migliore da fare, visto che, in sua presenza, lui non riusciva a controllare il desiderio di toccarla.
Voleva sentire la sua bocca premuta su quella morbida e perfetta di lei, sentire il calore del suo corpo sul suo petto, sentire il suo respiro addosso, le sue carezze su ogni strato di pelle e voleva stringerle le mani.
I pensieri per un attimo lo avevano allontanato dal suo essere freddo e con indosso la maschera del menefreghista ed aveva tirato fuori le mani dalle tasche, ma si era fermato in tempo, prima di toccarla: i palmi erano rivolti verso la pelle di Hermione, all’altezza dei gomiti e lei le guardava con il respiro sospeso tra la voglia di attirare a sé quelle mani e la voglia di scappare lontano.
Aveva rovinato tutto con una stupida frase ed ora la sabbia nella clessidra stava correndo per riempire l’altra metà del vetro sottostante: non avrebbe potuto più incastrarsi nel piccolo passaggio di vetro che divideva le due metà della clessidra, lui che era il penultimo granello di sabbia, perché di tutti i pensieri che aveva in mente, aveva esposto l’unico che neanche era passato tra i suoi pensieri e aveva lasciato che l’ultimo granello di sabbia andasse via, insieme agli altri, senza tenerlo per mano.
Leggeva tutto questo negli occhi castani di lei, colmi di delusione, di incanti spezzati, di speranze andate via.
-Io volevo dirti…
-Va bene. Allora, ci vediamo alle dieci. Questa sera.
Era andata via, togliendo le mani, gli occhi da lui e portando con sé il suo profumo.
Draco si sistemò sul divano, spostando i capelli dalla fronte: era sudato, nonostante fosse inverno.
C’era davvero qualcosa che non andava in lui, qualcosa che gli faceva male anche fisicamente e bruciava più di come aveva bruciato il Marchio Nero ai tempi in cui era al servizio di Voldemort.
 
-Non ti senti come se fossi in dovere di dire qualcosa?
 
-Ma come mi è venuto in mente? Le ripetizioni… Oh, per Salazar…
La sua mente continuava ad elaborare quel momento appena vissuto che lui avrebbe evitato o dimenticato nel tempo inferiore ad un battito di ciglia, ma non riusciva a mandare via quel maledetto replay.
Nulla era più lo stesso. Nulla, neanche lui e le ideologie con cui era cresciuto, ma non era felice di tutto quello che gli altri supponevano che gli stesse succedendo.
Si sentiva stupido: per la prima volta in vita sua, non aveva trovato le parole giuste.
 
 
 
 
 
La sua immagine, riflessa nello specchio, lo innervosiva più di quanto si aspettasse, ma aveva bisogno di mettere da parte sé stesso, il suo essere ciò che era e, magari, anche  i suoi desideri, perché non tutti si sarebbero avverati.
I capelli non riuscivano a stare fermi, neanche con il gel riusciva a modellarli nella forma che voleva.
Decise di lasciarli così, come gli erano venuti, anche se alcuni ciuffi ricadevano ancora sulla fronte e gli pungevano gli occhi. Non sarebbe mai riuscito ad essere come avrebbe voluto, ma non si sarebbe arreso alle prime difficoltà: se il gel non funzionava con i suoi capelli, avrebbe giocato le altre carte.
Era un brutto gioco quello che aveva cominciato e non sapeva quanto sarebbe stato bravo a barare nei momenti in cui avrebbe dovuto nascondere le sue emozioni.
E quando e se sarebbero arrivati i sensi di colpa, lui cosa avrebbe fatto?
Forse, stava sbagliando, ma avrebbe fatto di tutto per riaverla: se Draco Malfoy l’aveva conquistata con i suoi modi da stronzo, lui avrebbe fatto lo stesso.
Si stese sul letto e chiuse gli occhi, perché la stanchezza di quella giornata gli pesava sulle spalle, nelle gambe e soprattutto nel cuore: lì c’erano solo macerie, solo polvere e solo frammenti dei ricordi che Ron aveva di lei.
Perché non gli era bastato rimanere amici? Perché le aveva mentito quando lei gli aveva chiesto perché fosse cambiato tanto?
La storia con una ragazza del terzo anno di cui neanche ricordava il nome era andata avanti per pochi mesi, prima della Guerra Magica, gli aveva fatto perdere l’amore della sua vita. Ma era stata colpa di Hermione, perché lei non era stata capace di accettare le sue scuse e di non ascoltare le sue ragione: era normale che avesse dubbi e che si sentisse schiacciato da tanti mesi di stress e di vicinanza forzata- perché era così che definiva il rapporto tra lui e la riccia-.
Il sonno scese leggero e ben accolto sulle sue palpebre e lui si lasciò andare.
 
 
 
 
 
-Ma come ho potuto, io, Hermione Granger, credere in qualcosa di illogico? Era tutto così chiaro e io credevo il contrario: ho combattuto contro Voldemort, sono stata torturata e credevo che lui fosse cambiato… ma come mi sono permessa di pensa…
-Parli da sola?- le chiese una voce che non riusciva a riconoscere, perché non apparteneva a nessuno dei suoi migliori amici, perciò, mise da parte la voce e la buona educazione che i suoi genitori le avevano insegnato e si stese sul suo letto.
Il silenzio sarebbe stata la cosa migliore da vivere: il miglior tempo, il miglior luogo.
Si stese sul letto, coprendosi il viso con le lenzuola e con i capelli che profumavano incredibilmente di shampoo, poi chiuse gli occhi per evitare che le lacrime solcassero sul suo viso qualche altro sentiero che da lì a poche ore sarebbe stato invisibile.
E poi, piangere per qualcosa di cui lei non conosceva né i sintomi né le conseguenze sarebbe stato da stupidi e poco produttivo: non sarebbe cambiato nulla, almeno in bene, perché, molto probabilmente quelle lacrime le avrebbero dato la certezza dei sentimenti che lei si rifiutava di provare.
Scosse il capo, scostando i capelli dalla bocca e dal viso, poi trasse un profondo respiro.
Mancava ancora qualche ora alle dieci e il sole stava lasciando il cielo, colorando di arancione e viola, con meravigliose nuvole di ogni forma e grandezza.
Lo osservava dal letto, dove ormai si era stesa più comodamente.
La compagnia che precedentemente aveva disturbato la ramanzina che teneva con sé stessa l’aveva lasciata di nuovo sola, ma Hermione non voleva saperne di rimettersi a parlare e ad imprecare contro la sua intelligenza che, di fronte a lui, faceva i bagagli per una piacevole gita ai piedi di una collina fiorita e l’abbandonava all’alta marea di quegli occhi grigi e meravigliosi.
Le erano sempre sembrati piatti, poco profondi.
Poi, guardandoli da vicino, si era resa conto che quegli occhi non avevano fine, che la leggera sfumatura più scura delle iridi non era altro che una profondità infinita da cui non riusciva più a risalire da quando si era tuffata in quel lago sconosciuto e incantatore. E, anche se le acque erano gelide, il suo corpo si stava lentamente abituando a quel freddo, quel tanto che sarebbe stato necessario per evitare di morire assiderata.
Ancora una volta, un gufo ticchettò alla sua finestra e, allora, Hermione si levò dal letto ed aprì la finestra, accogliendo il biglietto che l’animale teneva tra gli artigli.
Malfoy l’aveva avvisata che era già nella Stanza delle Necessità e che lei avrebbe dovuto raggiungerlo di lì a pochi minuti.
Non erano neanche le dieci di sera. Anzi, probabilmente, era poco più tardi delle sette.
Legò i capelli in una coda laterale, giusto per non tenerli indomabili e pesanti sul capo, poi, arrabbiata e poco vogliosa, uscì dal suo dormitorio.
Avvertiva il bisogno di passare un po’ di tempo lontano da tutti e dal suo inconscio, però, quel tempo non aveva intenzione di arrivare né di farsi vivere, perciò, la riccia sbuffò e strinse i pugni al pensiero che, anche durante le vacanze di Natale, si sarebbe sentita in doveva di passare qualche ora china sui libri.
A quel proposito, le mancava la libreria.
E, inoltre, aveva fame perché non aveva pranzato e il Furetto la stava privando anche della cena: non era possibile che si prendesse il lusso di comandarla come se fosse stata la sua schiava. Ma chi credeva di essere?
Quando arrivò di fronte alla porta della Stanza delle Necessità, respirò a fondo e rumorosamente e l’aprì, varcandola con passo marziale.
L’ambiente era diverso da come lo aveva visto poche era prima: la stanza era divisa in due da un pesante tendaggio chiaro e la metà che riusciva a vedere somigliava terribilmente ad una piccola libreria: un immenso tavolo era circondato da comode sedie rivestite e, accanto al camino acceso, era sistemato un divano dello stesso colore dell’enorme tenda.
Non c’erano i colori di Grifondoro, né quelli di Serpeverde, a parte la cravatta di Draco.
Le sembrò tutto terribilmente strano, ma decise di nascondere la sua meraviglia e la sua curiosità, quindi, rivolse il suo sguardo al biondo che era seduto sul pavimento, con il viso rivolto al camino. Forse, non l’aveva sentita arrivare, perché non si era voltato neanche per insultarla.
Si avvicinò, con passo felpato: se Malfoy era intento a pensare a chissà cosa, lei non avrebbe voluto disturbarlo: né si sentiva in diritto di farlo, né voleva subire una sfuriata del biondo, quindi, si accomodò sul divano.
La stoffa era calda e morbido e lei si lasciò cullare da quel piacere vellutato, con gli occhi sempre rivolti al giovane che gli dava le spalle: vedeva il fumo allontanarsi da lui e dedusse che stava fumando, mentre portava i capelli all’indietro con un gesto secco della mano.
Visto da lì, Draco Malfoy sembrava tutto ciò che non era e mai sarebbe stato: un ragazzo che non aveva pretese assurde dalla vita, che non era in cerca della perfezione di sé stesso e che non aveva pregiudizi imposti dagli altri.
Eppure, non era stupido, anzi, era anche abbastanza intelligente. Per questo, Hermione non riusciva a spiegarsi come provasse ancora tanto astio verso quelli che non erano come lui, che non vivevano nell’agio e nelle comodità di una famiglia ricca.
Forse, quelle sarebbero state domande a cui non avrebbe mai trovato risposte, perché non avrebbe mai saputo leggere quali parole fossero scritte nei suoi occhi, nei silenzi che si ostinava di portare avanti e nel suo cuore.
Sbuffò, attirando l’attenzione del biondo che, finalmente, voltò il capo per guardarla: i muscoli del collo di tesero fino a disegnare le ossa. –Ti sto aspettando da una vita.
-Sono qui da una vita, Malfoy.
Stettero in silenzio, perché ognuno si sentiva in dovere di pesare l’interpretazione a quelle parole: avrebbero potuto significare di tutto, avere significati differenti o avere lo stesso significato per entrambi, ma, al momento, l’interpretazione delle frasi non era di loro competenza.
-Dovremmo cominciare a studiare.
-Ti avevo detto alle dieci.
-Ho molto da recuperare. Stare in quel dormitorio mi ha fatto perdere una settimana di lezioni.
Si guardarono negli occhi, quasi spaventati: nessuno dei due, ad un mese di distanza, aveva mai osato neanche nominare quella settimana di esilio ed ora, era venuta fuori da sola, come se non riuscisse più a stare chiusa in qualche scatolone della memoria e pretendesse di essere ricordata.
Draco lasciò il pavimento e si recò al grande tavolo su cui aveva poggiato i libri delle materie che più lo annoiavano: era strano come quella noia che caratterizzava quello studio quando era da solo, insieme a lei lo entusiasmasse tanto da passare ore a studiarlo.
Non era possibile che tutto fosse diverso in sua compagnia, che fosse bello.
Hermione lo raggiunse percorrendo quei pochi metri che dividevano il divano dal tavolo con l’ansia che cercava di impossessarsi di lei: l’aveva costretta a rimanere a suo posto, lottando con le solite due metà di sé stessa.
Si sedette e guardò il titolo del libro che il biondo teneva tra le mani e ne prese il doppione, sfogliando le pagine lentamente, per non rovinarle.
Quando arrivò alla pagina che le interessava, lasciò che l’angolo ingiallito che teneva tra le dita si posasse, aderendo perfettamente alla forma del libro. –Cominciamo da qui.- disse, alzando il capo.
Si sentì mancare il fiato quando si rese conto che Draco la stava fissando.
-Perfetto.- gli occhi grigi sempre su di lei.
-Smettila di guardarmi così.
-Non lo faccio di mia volontà, Mezzosangue.
-E perché allora?
-Non lo so.
Hermione posò di nuovo lo sguardo sulle parole del libro, per evitare quello sguardo che la inquietava e la eccitava allo stesso momento, ma richiamare i ricordi di quell’esilio, in sua presenza, sarebbe stato sicuramente più doloroso e meno proficuo.
Non era stata affatto una buona idea dargli di nuovo ripetizioni, dopo tutto quello che c’era stato tra di loro in quel dormitorio, dopo che, in ogni giorno fuori da lì, si erano evitati e si erano comportarti come se l’altro non fosse esistito, come se quei baci e quell’intimità e quelle carezze notturne non fossero esistite.
Non era stata una buona idea e non sarebbe stato giusto nei confronti di ciò che provava, della confusione che sentiva battere nel cuore.
-Devo andare.- disse, alzandosi di fretta dalla sedia, tanto da farla cadere sul pavimento.
-Dove?- le aveva stretto un polso ed era rimasto lì a fissarla: aveva visto in lei, ancora una volta, quello sguardo spaventato.
 
-Sei…carina, quando non parli.
 
-Lontano da qui.
-Non andare via.- però, le aveva lasciato il polso ed aveva calato lo sguardo, come a voler nascondere la sua muta richiesta di non fare ciò che i suoi gesti gli avevano appena suggerito.
Invece, Hermione chiuse il libro. –Studia queste dieci pagine.
L’aveva vista allontanarsi ed uscire dalla Stanza delle Necessità e il ricordo della prima sera in cui gli aveva dato ripetizioni lo colpì in pieno petto, con un tonfo e un dolore atroce: non l’aveva lasciata andar via allora e non lo avrebbe fatto neanche adesso che sentiva crescere il vuoto fuori e dentro.
Uscì anche lui dalla Stanza delle Necessità e corse verso di lei.
Sentiva l’adrenalina riempirgli le vene, pompare forte nel cuore e dargli l’energia necessaria a respirare normalmente, nonostante la corsa.
Quando la raggiunse, le prese il polso e l’attirò a sé. –Cosa vuoi?- gli aveva chiesto Hermione con gli occhi grandi e lucidi.
-Voglio che mi aiuti a ripetere.
-Non posso. Ho altro da fare.
-Lo farai dopo.
Lei gli aveva rivolto uno sguardo furioso, poi gli aveva puntato un dito a pochi centimetri dal viso. –Io non sono la tua serva. Che sia l’ultima volta, Furetto: da domani in poi, studierai da solo.
Lo seguì di nuovo nel solito in cui erano stati soliti incontrarsi durante le ripetizioni di tanto tempo prima, con il polso ancora stretto nella sua mano.
Il cuore le batteva forte, ma non aveva paura. Si chiese cosa fossero quelle emozioni e quel vuoto allo stomaco, ma decise di non pensarci perché, comunque, non avrebbe trovato alcuna risposta: erano cose che non ave va mai provato e cercare una risposta, una soluzione sarebbe stato inutile.
Quando si richiusero la porta alle spalle, Draco la lasciò andare, sentendo immediatamente il freddo riempirgli il palmo della mano in cui fino a pochi secondi prima aveva tenuto il polso di lei.
Si erano seduti nei posti che avevano occupato prima ed avevano riaperto i propri libri: lei teneva lo sguardo basso, le pupille immobili su una parola che Draco non riusciva ad identificare, ma gli premeva studiare i movimenti del suo viso per carpirne le sensazioni, le emozioni.
La osservava e si rendeva conto che, poco alla volta, la sua mente si riempiva di domande che avrebbe voluto porle. Rinunciò a farlo, per paura che lei scappasse ancora, per questo chinò la testa sui libri e cominciò a leggere.
Pozioni era la materia che aveva deciso di studiare, soffermandosi sugli incantesimi a cui non aveva mai dato importanza e che neanche gli interessavano, ma Piton avrebbe preteso persino gli incantesimi più inutili ai M.A.G.O. : era pretenzioso, come tutti gli altri professori che li avrebbero esaminati e giudicati. D’altra parte, da quegli esami sarebbe dipesa la vita loro e le sorti del Mondo Magico.
 
-So a quello che stai pensando, Mezzosangue… ma, credimi, non arriverei mai al livello di desiderarti.
 
I momenti vissuti con lei gli attraversavano la mente come avrebbero fatto i flashback di uomo che era prossimo alla morte e si rese conto di aver mentito per tanto tempo: al suo migliore amico.
 
-Ti piace la Mezzosangue?
-Sicuro di star bene?

A lei.
 
-Perché mi hai baciata?
-Sarà stata l’atmosfera: il buio, il restare chiusi qui dentro.
 
A sé stesso.
 
-No, io non la voglio nella mia vita.
 
Eppure, tante volte la verità si era palesata ai suoi occhi.
 

-Obbligo.
-Baciami.
 
-Volevo qualcosa che lui non potesse avere…
 
Gli occhi erano fissi su quei ricordi e lui non riusciva a mandarli via. –Di cosa hai paura?
La osservò mentre alzava lo sguardo dal libro che stava leggendo e i suoi occhi si riempirono di lacrime, di terrore e di verità mal celate. –Di niente.
-No?
-No.
Allora si levò dalla sedia e si avvicinò a lei, senza spostare lo sguardo dal suo.
La sovrastò con la sua ombra, finchè anche l’ultimo brandello di luce non aveva abbandonato il viso di Hermione, poi sorrise.
Sorrise di un sorriso diverso dal solito: di un sorriso innocente, bambino.
Si chinò lentamente su di lei, fino a che le sue labbra non toccarono quelle di Hermione.




 
 
 
 
Angolo Autrice:

Eccomi tornata ^^
Questa volta avete dovuto davvero aspettare pochissimo e sono fiera di me °A°
Questo capitolo, come quello precedente, è leggermente più corposo e spero che vi piaccia!
In queste poche righe succede qualcosa di bello, ma non sono molto convinta: mi pare di correre troppo con i tempi… voi cosa ne pensate?
Su, fatemi sapere mie care e fidate lettrici.
 
Ora, vi lascio ^^

Ringrazio le 195 seguite, le 55 preferite e le 35 ricordate.
Ringrazio chi mi ha inserito tra gli autori preferiti e chi mi regala un po’ del suo tempo, leggendo la mia storia e restando in silenzio!
Grazie a tutti.
 
Alla prossima, la vostra Exentia_dream 

   
 
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