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Autore: MiaStonk    05/05/2011    6 recensioni
Se con 'Corner of your Heart' vi avevo incuriosito, se adoravate il rapporto che legava James a Lisa e se avreste voluto sapere di più sull'amicizia di Rose, Albus e Scorpius... è qui che dovete fermarvi.
Dal quinto capitolo:'Quella fu una lunga notte, una notte fatta di segreti, passioni e amore. Di rimpianti, di ripicche e dolore. Una notte che forse avrebbe cambiato irrimediabilmente la vita di sei ragazzi. Fu così che le prime luci dell’alba arrivarono come un sollievo per molti di loro.
I tenui raggi del sole accarezzarono tre letti quella mattina. Illuminarono lenzuola in cui si erano consumati taciti peccati e sentimenti sopiti. Rischiararono il volto pallido di una ragazza dai lunghi capelli biondi e il volto arrossato, accanto a qualcuno i cui occhi verdi brillavano nella semi oscurità della stanza.
Incontrarono due corpi abbracciati, che dividevano un unico guanciale su cui si univano ciocche rosse a ciuffi biondi, chiari come i raggi di una luna che aveva appena lasciato il posto al suo rivale.
Scoprirono mani intrecciate e corpi semi nudi di due ragazzi che troppi anni prima avevano condiviso un sentimento che i loro cuori non riuscivano ad accantonare.
Quella fu una lunga notte e il giorno che ne seguì sarebbe stato probabilmente, ancora più lungo.'
Partecipa al contest 'Long fiction battle-sfida all'ultimo capitolo' di Marisol
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Albus Severus Potter, James Sirius Potter, Nuovo personaggio | Coppie: Rose/Scorpius
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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                                                                            15


 

Rose Weasley era furiosa. Aveva speso tutte le sue energie per guidare i compagni verso la vittoria, si era lei stessa impegnata fino allo stremo delle forze e quel decerebrato di suo cugino aveva reso vano ogni suo sforzo. Ripeteva sempre che le questioni personali dovevano esser lasciate fuori dal campo di Quidditch, lottare per la vittoria, solo questo contava.

 

Naturalmente è più semplice guardare le pecche degli altri piuttosto che le proprie, perché Rose non si era minimamente resa conto che forse aveva agito alla medesima maniera. Pur non inficiando a tal punto nelle sorti della partita.

 

Con pensieri di vendetta e omicidio nei confronti del primogenito dei Potter, camminava spedita verso gli spogliatoi: una doccia calda l’avrebbe senza dubbio tranquillizzata quel tanto per non schiantare chiunque si trovasse sul suo cammino.

 

Ma non fece in tempo ad entrarvi che una voce familiare la distrasse dal suo intento, facendola voltare nella direzione da cui essa proveniva. Strinse appena la mano sulla maniglia quando si accorse che a chiamarla era Scorpius. L’istinto di ignorarlo ed aprire quella porta era forte, ma non se ne lasciò sopraffare. Malfoy era simile ad una calamita, l’attirava a sé senza possibilità di sottrarsene.

 

“Puoi spiegarmi quello che è successo là fuori?”

 

“Ti ha colpito un bolide in testa Scorpius? Hai visto con i tuoi stessi occhi che la partita è stata annullata, così come ti sei accorto che entrambe le squadre hanno due cercatori assolutamente incompetenti ”

 

“Non mi riferivo a questo, ma ai tuoi tentativi di ammazzare mezza squadra Serpeverde! Quasi mi aspettavo che afferrassi la mazza di Fred per scagliarmi un bolide e disarcionarmi definitivamente!”

 

Scorpius osservava la ragazza con espressione severa, la voce era rotta dalla rabbia, il respiro affannato. Conosceva l’irruenza di Rose, il suo caratteraccio, ma non poteva evitare di pensare che altro ci fosse dietro il suo comportamento: rivalsa, probabilmente. Il desiderio di rifarsi, in qualche modo, di un danno subito.

 

“Mhh… non ci ho pensato, ma avrei potuto farlo visto che mio cugino badava più alla Jordan sugli spalti che a giocare!”

 

“Ascolti quello che dici? Sei completamente impazzita, Rose?”

 

“Mi conosci Scorpius… sai quanto sono competitiva e quanto desideri vincere contro voi Serp…”

 

“Non hai mai agito così, il che mi fa supporre che ci sia altro oltre al desiderio di vincere una partita. E’ il tuo modo di punirmi Rose? Spintonandomi, facendomi precipitare da trenta metri di altezza? Rompendomi qualche ossa?”

 

Rose spalancò gli occhi, mentre i primi di segni di nervosismo si palesavano sul suo viso. Aggrottò la fronte, mordendo il labbro inferiore fino a farsi male e tremava per la rabbia che iniziava ad infervorarla. Stringeva i pugni, conficcando le unghie nella carne e non curandosene minimamente.

 

“Come osi pensare ad una cosa del genere? Non sono tanto meschina!”

 

“Non c’entra l’essere meschini Rose, ma l’essere stupidi!”

 

Lo fissava, come si guarda un nemico, un rivale, qualcuno per cui si prova disprezzo. Erano giunti a questo? La loro amicizia era così sfociata nell’odio, per poi cadere definitivamente nell’indifferenza? Non era quello che voleva ed era certo che anche Rose la pensava alla medesima maniera. Eppure quegli occhi che avevano sempre avuto il potere di rassicurarlo, ora esprimevano tutto fuorchè sentimenti positivi.

 

E si sentiva oppresso da questa situazione, da lei. Lei che era cambiata, lei che non era più la sua Rose. Probabilmente lasciarla andare sarebbe stata la soluzione migliore, al fine di recuperare, un giorno, quell’affetto che li legava così profondamente. Ma ora, continuando a detestarsi, avrebbero distrutto tutto.

 

La guardò un’ultima volta, prima di darle le spalle e incamminarsi fuori dagli spogliatoi. E mentre lo faceva poteva ancora udire la sua voce arrivargli chiara all’orecchio.

 

“Non ti parlerò mai più Malfoy!”

 

Tante volte aveva sentito una simile frase uscire dalla sua bocca e tante volte ne aveva riso insieme ad Albus, dopo uno delle tante beffe rifilatele. Ma stavolta Scorpius non ebbe voglia di ridere perché per la prima volta, sapeva che Rose non mentiva.

 

                                                                                   ***

 

Lo studio della preside era un luogo spesso frequentato da James Potter, ma non si poteva dire lo stesso per una Lisa Baston che, sguardo basso e viso rosso, ascoltava appena i rimproveri della McGranitt, troppo presa a biasimare l’altro, ma soprattutto se stessa. Con la coda dell’occhio osservava il ragazzo, seduto accanto a lei. Era tranquillo, addirittura sembrava seccato più che costernato.

 

“… mai successa una cosa simile e mi auguro che voi vi rendiate conto della gravità della situazione”

 

“E’ colpa mia, preside…”

 

Lisa si voltò rapidamente verso il Grifondoro che, con sguardo deciso, fronteggiava la donna. Non gli era grata per essersi addossato la colpa dell’intera faccenda, al contrario la rabbia in lei cresceva maggiormente. Non aveva bisogno ancora della sua pietà, era qualcosa che riusciva a ferirla più di qualsiasi altro gesto.

 

“Lodevole il suo tentativo Sig. Potter, ma la signorina Baston c’entra in questa storia quanto lei.  Toglierò cinquanta punti ad entrambe le case e voi sconterete una punizione di cui saprete a breve i dettagli. E’ tutto, potete andare”

 

La preside si accasciò sulla poltrona dietro la propria scrivania, osservando col solito cipiglio severo i due ragazzi allontanarsi e considerando fortemente l’idea di andare in pensione.

 

Ritornati nel corridoio del quinto piano, accanto al bagno dei prefetti, i due ripresero a camminare, continuando ad ignorarsi finchè non fu Lisa a fermarsi e parlare.

 

“Per l’ennesima volta Potter, smettila di proteggermi o mostrarmi pietà. E’ l’ultima cosa di cui ho bisogno”

 

James arrestò anch’egli il passo, voltandosi a guardare la ragazza. Continuava a sembrare annoiato e desideroso di essere ovunque fuorchè in quel posto. L’unica  cosa che voleva era accertarsi di persona che Dean stesse davvero bene.

 

“Non è pietà, Baston. Sono io il responsabile di tutto quello che è accaduto, ammetto solo le mie colpe”

 

E ancora di più la collera l’attanagliava. La trattava con leggerezza e sufficienza, non le importava di lei. Ogni suo gesto, ogni parola era l’ennesimo graffio a quel cuore sempre più malandato. Quando aveva iniziato a soffrire così tanto solo guardandolo in quegli occhi ora spenti, privi di qualsiasi affetto?

 

C’è mai stato un istante in cui tu mi abbia amato?

 

Non c’era bisogno di porgli una simile domanda, poiché la risposta la leggeva bene nel suo sguardo. E ancora si ripeteva quanto stupida fosse stata ad abbandonarsi a quel sentimento che aveva accantonato, che aveva respinto con tutte le sue forze.

 

“Non fai altro… non fai altro che ferirmi”

 

Aveva spalancato gli occhi lui, perché quella verità gli era piombata addosso con la violenza di cento schiantesimi. Si, non faceva altro che farle del male.

 

“Mi dispiace di…”

 

“SMETTILA, MALEDIZIONE, SMETTILA!”

 

A cosa serviva urlare se la sua voce non riusciva a raggiungerlo? Niente di tutto quello che aveva fatto fino a quel momento li aveva avvicinati, al contrario sembrava che ogni loro azione non avesse fatto altro che spingerli l’uno lontano dall’altro.

 

“Da quando mi hai lasciata, tu… “

 

“Quando mai siamo stai insieme, Lisa…”

 

Ancora una volta aveva ragione. E quel corpo esile tremava a quella freddezza, a quell’affermazione. Sguardo basso e occhi brucianti di lacrime che non avrebbe mai versato dinanzi a lui.

 

Solo perché mi mostro forte, non vuol dire che posso accettare qualsiasi dolore, non vuol dire che posso restare qui, ferma a lasciarmi distruggere da te.

 

“Ti piace giocare James, ma non sai stare al gioco… non è forse così?”

 

“Già… e più di prima questo gioco mi ha stancato. Me ne tiro fuori Baston”

 

E si era voltato nell’istante in cui lei aveva rialzato lo sguardo. Avrebbe visto solo le sue spalle d’ora in poi? Era l’unica sciocca domanda che riusciva a ripetersi.

 

“Sei un vigliacco James ed io ti odio!”

 

Andava bene così pensò lui, se l’avesse detestato sarebbe stato tutto più semplice. Aveva ripreso a camminare con passo tranquillo, ignorando il tremore alle gambe e la voglia di perdersi un’ultima volta in quegli occhi chiari. Sentì i passi della ragazza allontanarsi sempre di più, fino a che non svoltò l’angolo.

 

Non avrebbe mai saputo che lei, ormai stremata, si era accasciata al freddo pavimento, versando quelle lacrime che sapevano di amarezza e dolore. James le aveva spezzato il cuore, ancora una volta.

 

                                                                                    ***

 

Angelica Nott non amava l’infermeria, l’odore acre che si respirava, le pareti bianche e la presenza di quella vecchia infermiera irritante. Ma c’era Dean là dentro e niente le avrebbe impedito di stare con lui. Si avvicinò ad uno dei letti, nascosto da un paravento. Sentì chiaramente uno stralcio di conversazione tra lui e Madame Chips.

 

“… e non dovrebbe nelle sue condizioni, lo sa bene”

 

“La prego… cosa mi rimane se non la normalità?”

 

Non seppe perché, ma sentì l’impulso di palesare la sua presenza e non ascoltare nient’altro. Avanzò di qualche passo, avvicinandosi verso i due che, sorpresi, volsero lo sguardo su di lei.

 

“Signorina Nott, cosa ci fa qui?”

 

“Vorrei restare qualche minuto con Finnigan, se lei me lo permette”

 

La vecchia infermiera aveva sospirato stancamente, lanciando un’occhiata al ragazzo e scuotendo il capo prima di annuire poco convinta.

 

“Le concedo cinque minuti, poi dovrà lasciare l’infermeria. Il Sig, Finnigan ha bisogno di riposo”

 

Ed era andata via con passo svelto, mentre Angelica si avvicinava a Dean, sorridendogli mestamente e prendendo una mano tra le sue. Non capiva perché dal momento in cui l’aveva visto cadere, altri momenti di debolezza del ragazzo le erano piombati alla mente con una prepotenza inaudita, senza la possibilità di scacciarli.

 

Aveva ricordato il suo volto stanco, i suoi tremori improvvisi e le mezze frasi a cui si era ormai abituata. Ad ogni domanda diretta, rispondeva con un sorriso e una giustificazione fin troppo sensata, quasi l’avesse studiata. E lo stesso fece allora.

 

“Sto bene…”

 

“Cosa intendeva Madame Chips riferendosi allle tue condizioni?”

 

“Oh, sai com’è fatta… si allarma per un non niente!”

 

E anche stavolta avrebbe dovuto farsi bastare quella risposta e la cosa la innervosiva. Ma in futuro, ripensando a quei momenti di ignoranza, avrebbe desiderato riviverli con tutta sé stessa. Momenti in cui ancora poteva dirsi felice, momenti in cui una terribile verità non gli era ancora piombata addosso con la violenza di una pugnalata diritta al cuore.

 

“Se non fosse così… me lo diresti, non è vero?”

 

“Naturalmente…”

 

Nessuna titubanza, nessuna incertezza nella sua voce. Dean non le avrebbe mai mentito  e si fidava. Dopotutto aveva lasciato ogni cosa per questa ragione: credeva in lui. Ignorava che tenendola tra le sue braccia, lo sguardo del ragazzo era divenuto improvvisamente vuoto. Ignorava i sentimenti che albergavano in quell’animo tormentato, ignorava che il ragazzo che amava le aveva detto l’ennesima bugia e che probabilmente avrebbe continuato a farlo per molto tempo.

 

                                                                                ***

 

Samaire aveva sempre trovato interessante il suo lavoro da caposcuola. Non le pesavano le responsabilità o gli incarichi annessi, al contrario ne era entusiasta. Metteva il massimo impegno in ogni cosa che faceva, Quidditch compreso. Ma nella sua novella relazione con Fred si sentiva ancora molto, ma molto incapace.

 

Era in un’aula vuota del settimo piano, a stilare le ronde del prossimo mese e cercare di mettere d’accordo diverse teste, una più capricciosa dell’altra. Chi non voleva farle per pigrizia, chi si rifiutava di essere accompagnato da qualcuno che detestava. Era un lavoraccio, dopotutto.

 

Fred era con lei, all’altro lato del banco, gomito sulla superficie legnosa e viso poggiato nel palmo di una mano. Osservava Sam con il solito sorriso ad increspargli le labbra. La ragazza rialzò lo sguardo in quell’istante, arrossendo come troppe volte le accadeva da lì a qualche giorno.

 

“Sicuro che non ti annoi a restartene qui? Ne ho ancora per molto e…”

 

“A dire il vero, trovo che restare a fissarti sia il modo migliore per impiegare il mio tempo”

 

“Oh…”

 

Sembrava che la giovane RavenClaw avesse perso tutta la sua aggressività in favore di una remissività fin troppo manifesta. Era impossibile per lei guardarlo negli occhi per più di tre secondi o non arrossire ad una sua occhiata adorante o commento sdolcinato. Ci era abituata, eppure ora che erano una coppia trovava difficile affrontare la situazione con naturalezza. Fred era la sua prima volta, in tutto.

 

Sentì il rumore della sedia del ragazzo strusciare sul pavimento di pietra e, rialzando lo sguardo, lo vide avvicinarsi e restare in piedi al suo fianco. Fred si accovacciò per essere più o meno alla sua altezza, prima di catturare le labbra di lei in un bacio.

 

La sua bocca era una tentazione a cui non riusciva a resistere. Aveva aspettato, dopotutto,  per troppo tempo, ma ora che Sam era finalmente sua, non voleva rinunciare nemmeno ad un singolo secondo lontano da lei. Ne aveva bisogno, come dell’ossigeno di cui i suoi polmoni si riempivano, ossigeno che sembrava lei stessa donargli, essendo la ragione per cui sentiva di vivere.

 

Sam rispose al bacio, seppur con iniziale titubanza e timidezza. Si sentiva insicura e impacciata, mentre sembrava che lui fosse assolutamente sicuro e controllato in ogni gesto che compiva. La sua bocca, la sua lingua, le sue mani sapevano esattamente cosa fare, al contrario del corpo di lei che rispondeva a malapena e goffamente a quelle attenzioni.

 

Quando una mano di Fred si posò su un suo fianco, un suo lieve sussulto lo indusse a fermarsi e allontanare le labbra da lei. La fissò per un secondo con aria interrogativa, prima che lei balzasse in piedi, rischiando quasi di farlo cadere.

 

“Scusami, ma ho davvero tanto da fare con questi e… “

 

Indicò le pergamene che aveva sul banco, iniziando a raccattarle insieme alla sua roba in modo frettoloso e confuso. Fred la fermò, posando delicatamente  le dita sul suo braccio e costringendola a voltarsi. Lo fece, seppur evitando di incrociarne lo sguardo. Sentiva il viso bollente e la consapevolezza che fosse arrossita vistosamente per l’ennesima volta, la atterriva.

 

“Ho fatto qualcosa che…”

 

“No!”

 

Inspirò, imponendosi stavolta, di guardarlo negli occhi. Glielo doveva perché il problema non era lui, bensì lei e le sue sciocche paure.

 

“E’ solo tutto nuovo per me e per certe cose credo di non essere così disinvolta come lo sei tu. Io non avevo mai… insomma è stata la prima volta che ho baciato qualcuno”

 

“Lo so e mentirei se ti dicessi che non ne sono felice. L’idea che qualcun altro abbia potuto sfiorarti mi disgusta. E allo stesso modo mentirei se ti dicessi che in questo non c’entro nulla”

 

“Che… che vuoi dire?”

 

“Bhè… diciamo che la ragione per cui nessuno osava invitarti ad uscire non riguardava il tuo non essere richiesta, piuttosto evitavano di farlo perché temevano qualche… mh… ripercussione, ecco!”

 

“FRED!”

 

“Va bene, va bene… avrò sbagliato, ma non potevo permetterlo, capisci? Ti amavo da molto prima che tu lo comprendessi e in qualche modo io…”

 

Non ebbe tempo di finire la frase che le labbra di Sam toccarono le sue in un bacio che di casto aveva ben poco. Poteva apparirgli imbranata e per niente esperta, ma non gliene importava, non più. Ogni cosa che Fred aveva fatto era per questo momento, era per lei.

 

Non si curava dei movimenti impacciati e delle dita tremanti che cercavano di sfiorare il suo petto, i suoi capelli. Era felice e sapeva che anche lui lo era. Cosa gliene importava del resto? L’amore l’avrebbe guidata, le avrebbe spianato la strada e indicato i gesti da fare, le avrebbe donato quella naturalezza di cui Fred sembrava essere padrone e ogni cosa sarebbe andata bene.

 

Aveva fiducia nei suoi sentimenti, fiducia in lui. Lui le avrebbe regalato infinite prime volte.

 

                                                                                   ***

 

Il forte rumore della porta che sbatteva, suggerì ad Angelica che Lisa era tornata. Uscì dal bagno, osservando l’amica fiondarsi sul letto, prendere a pugni qualche cuscino e tuffarvi  il viso dentro. Poggiò la spalla allo stipite, incrociando le braccia e assistendo alle fasi di follia della compagna di stanza.

 

La sentì borbottare qualcosa nel guanciale, tirare calci e finalmente voltarsi, forse accortasi della sua presenza. Balzò su, mettendosi seduta e rivolgendo ad Angelica un ‘occhiata tra il risentito e lo sbigottito. Poi un lampo di comprensione sembrò attraversarle gli occhi.

 

“Come sta Dean?”

 

“Bene, credo…”

 

Angelica ignorò l’occhiata confusa dell’altra, per sedersi accanto a lei e fissarla con un cipiglio interrogativo. E come spesso accadeva, Lisa abbassò lo sguardo poiché gli occhi della Nott sapevano metterla in soggezione e sempre aveva avuto il dubbio che fosse una legilimens.

 

“La MacGranitt via ha strigliati per bene…”

 

Aveva completamente dimenticato della visita alla preside così come della punizione che avrebbe dovuto scontare e i punti tolti alla propria casa. James assorbiva ogni suo pensiero, l’immagine di lui penetrava in lei cancellandone ogni altra. Era snervante.

 

“Ma non è questo che ti preoccupa, è successo qualcos’altro?”

 

“Era tanto che volevo chiedertelo… leggi nella mia mente tu?”

 

Angelica aveva inarcato un sopracciglio, mordendosi le labbra i cui angoli tendevano comunque verso l’alto. Stava trattenendosi dal riderle in faccia, era palese. Sospirò, portando indietro una ciocca dei suoi biondissimi capelli e accavallando le gambe con fare annoiato.

 

“Non sono una legilimens, stupida. Sei semplicemente trasparente…”

 

“Trasparente?”

 

“Non sei così misteriosa come vuoi far credere, né la stronza Serpeverde che per anni hai inscenato… sei solo una ragazzina cocciuta con delle orribili treccine!”

 

“Non lo sono!”

 

Si che lo era, e lei stessa l’aveva capito quando James era ripiombato nella sua vita. Poteva fingere quanto le pareva, ma in lei niente era cambiato. Si sentiva ancora la stessa bimbetta innamorata del suo migliore amico, ancora la ragazzetta che trascorreva il suo tempo nel giardino di Grimmuld, su un’altalena malridotta o un vecchio capanno.

 

Per quanto si sforzasse, il suo passato continuava a tenerla ferma, incapace di compiere un passo verso un futuro che ignorava, incapace di allontanarsi da lui. Per tutti questi anni non aveva fatto altro che vivere in una sorta di limbo, non era andata avanti, non lo aveva fatto per niente. Ma lui…

 

“Già… e più di prima questo gioco mi ha stancato. Me ne tiro fuori Baston”

 

Balzò in piedi, aveva bisogno di uscire da lì, di restare sola, ancora. Abbandonò la stanza, ignorando i richiami di Angelica, per ritrovarsi nei corridoi deserti di Hogwarts. Si fermò dinanzi ad un’enorme vetrata da cui visibile era una luna a metà. A metà, come lei stessa sentiva di essere.

 

Quando vide la porta dell’infermeria aprirsi e chiudersi senza che apparentemente ci fosse qualcuno, indietreggiò istintivamente, prima di sgranare gli occhi alla vista di James, apparso dinanzi a lei dopo che aveva sfilato uno strano mantello dal suo corpo.

 

Il Mantello dell’invisibilità.

 

Sussultò quando anche lui, sorpreso, si accorse di lei. Era decisa ad ignorarlo, per cui riprese a camminare, passandogli accanto e cercando di non dar peso al penetrante sguardo che egli le rivolgeva. Ma dovette bloccarsi all’improvviso quando udì un miagolio e dei passi avvicinarsi sempre di più. Si voltò istintivamente verso il ragazzo che ora fissava un punto poco distante da loro.

 

“E’ Gazza… “

 

Lisa non ebbe il tempo di assimilare l’informazione che sentì una mano afferrarle il braccio e l’attimo dopo si trovò coperta da una stoffa soffice, stretta tra le sue braccia. Chiuse gli occhi, fremendo al respiro caldo di James che stava solleticandole la tempia. Sussultò appena quando i passi si fecero più chiari e vide con la coda dell’occhio il vecchio custode passare accanto a loro.

 

“Shh…”

 

Le braccia del ragazzo la strinsero più forte e si ritrovò a desiderare che quel vecchiaccio sostasse più a lungo nei paraggi. Ma quello si era oramai allontanato, neppure il rumore della sua strascicata camminata avvertiva più. L’unica cose che continuava a rimbombarle nelle orecchie era il suono del suo cuore che all’impazzata batteva.

 

Ma quei battiti sembravano non essere soli, quelli di James si unirono ai suoi e chiaramente lo percepì. Martellavano  all’unisono, quasi volessero uscire da quei petti per avvicinarsi. Sorrise Lisa, pensando che quegli organi capricciosi sembravano saperne più dei diretti proprietari.

 

Non si accorse subito che James aveva tolto il mantello, scoprendoli. Se ne rese conto quando lo sentì irrigidirsi e abbandonare le braccia lungo i fianchi. Quelle braccia che non cingevano più il suo corpo esile. L’aveva lasciata, ancora una volta.

 

Si scostò da lui bruscamente, guardandolo un’ultima volta negli occhi prima di correre via. E James non poté fare altro che misurare con lo sguardo quella distanza che tra loro si creava, muovendosi non per azzerarla, ma per aumentarla ancora di più.

 

Si incamminò verso la Torre dei Grifondro, varcando il ritratto di un’annoiata Signora Grassa e accasciandosi sul divano, ancora occupato da Rose Weasley. Lì l’aveva lasciata e lì la trovava.

 

“Come sta Dean?”

 

“Bene…”

 

Rose non badò al tono amaro che suo cugino aveva usato, né allo sguardo perso in un punto poco precisato della stanza. Osservò comunque il suo viso stanco, così come si accorse dell’enorme nuvola nera che gli aleggiava sopra la testa. Non se la sentì di infierire ancora per quanto concerneva il risultato della partita, le urla del pomeriggio erano bastate.

 

Ma volle comunque parlargli, stargli accanto. James per lei l’aveva fatto, in passato. Ma si raccomandò di sembrare ottimista e di non intingere le sue parole con quella sfumatura di disillusione che oramai le accompagnavano.

 

“Tutto può sistemarsi tra voi, sai?”

 

“E’ complicato…”

 

“Cosa c’è di complicato?”

 

E lui aveva sospirato, voltandosi a guardarla con uno sguardo che mai Rose gli aveva visto.

 

“L’amore, probabilmente… tutto quello che ne deriva”

 

“Non lo è, James. L’amore è…”

 

“Non è una sciocchezza amare qualcuno, Rose. Richiede volontà ed è come saltare in un precipizio, se si riflette non lo si fa”

 

Si era alzato, riafferrando il mantello e posandole un bacio tra i suoi capelli, prima di risalire le scale del dormitorio. E Rose era rimasta immobile, incapace di seguire il suo esempio.

 

Ti sbagli, James. Io l’ho fatto, in quel precipizio mi sono buttata eppure è stata la stessa cocente delusione.

 

 

 

Rieccomi col quindicesimo capitolo! Poco da aggiungere se non lasciarvi con una sorpresina.

Un video realizzato da ‘BarbonaGirl’ per questa storia. Lei è eccezionale, una pimpante autrice che ‘perde’ il suo prezioso tempo per rendere ‘reali’ i miei personaggi! L’adoro! *-*

Dategli un’occhiata e lasciatemi la vostra opinione! ;)

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