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Autore: Shichan    11/05/2011    3 recensioni
Odiava quelle parole pronunciate, che lo avevano incatenato e trascinato più in profondità delle catene di Vindice o di qualsiasi altra prigione, obbligandolo ad una fedeltà che stonava addosso ad uno come lui.
[Ambientazione AU e non, note nel capitolo]
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Mukuro Rokudo, Tsunayoshi Sawada
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: i personaggi sono copyright di Amano Akira.
Prompt: La tua esistenza è solo ansia (SyllablesOfTime)
Note: non che io, in fondo al cuore, mi aspettassi qualcosa di diverso forse, ma… perché mai il Mukuro e lo Tsuna dell’AU, che hanno molti meno problemi – no Mafia, sì party! – ci mettono molto più tempo ad interagire? @_@ *considerazioni assolutamente randomiche e prive di utilità*
Voglio piangere su cosa mi sono dovuta inventare per l’appellativo Juudaime. Voglio veramente piangere, non ha senso X°°°°°D


II.
E’ solo ansia


L’ennesimo sospiro fu troppo per l’istinto di protezione di Gokudera nei confronti di Tsunayoshi.
Erano sul tetto per il pranzo, idiota del baseball compreso – non per sua scelta, naturalmente! – e il castano non aveva detto molto, ma aveva sospirato continuamente ascoltando (almeno apparentemente) i battibecchi degli altri due o il racconto di Yamamoto riguardo una scorrettezza della squadra avversaria nella sua ultima partita.
Tuttavia Gokudera non era mai stato esattamente l’emblema della pazienza quando si trattava di Tsunayoshi: «Juudaime, va tutto bene?» chiese, riscuotendo il castano dal suo stato di torpore. Abbozzò un sorriso leggero per tranquillizzarlo, annuendo.
«Scusate, ma sto bene, davvero.» assicurò, senza stupirsi troppo dell’appellativo con cui lo aveva chiamato Gokudera, dal momento che era da quando si conoscevano che lo usava. Era nato per una sciocchezza a dire il vero: avevano fatto delle prove di atletica durante una lezione di Educazione Fisica, e neanche a dirlo Tsuna si era classificato ultimo nel proprio gruppo da dieci corridori.
Ma Gokudera e la sua abitudine di esaltare – a volte anche in maniera un pochino imbarazzante, per com’era fatto Tsuna – le sue gesta sia che fossero davvero degne di nota (ed era ben raro), sia che fosse per tirarlo su da un risultato catastrofico, avevano fatto di tutto per far apparire quell’ultimo posto una gran cosa.
Tsuna non ricordava con precisione quale assurdo ragionamento Gokudera avesse fatto in proposito, sapeva solo che da allora “Juudaime” era diventato una specie di soprannome – ad esclusivo uso dell’altro ragazzo – al pari di “Tsuna” o “ImbranaTsuna”.
Non aveva nemmeno provato a farlo desistere.
«Sicuro Tsuna? Anche a me non sembri in forma.» ammise Yamamoto, osservandolo.
Tsuna tacque per qualche secondo, indeciso, dopodiché con un ennesimo sospiro rispose un: «Mh, è solo il lavoro.» un po’ abbattuto.
Yamamoto e Gokudera si scambiarono un’occhiata fugace, prima che l’italiano prorompesse in un agitato: «Qualcuno ti maltratta, Juudaime?! Se sì devi solo dirmelo, e…»
«N-Non è nulla di simile, Gokudera-kun!» negò subito, non volendo scatenare un putiferio. Perché ad analizzare la cosa con precisione, non è che Mukuro lo maltrattasse in realtà. Era severo, e lo riprendeva in continuazione, ma era pur vero che Tsuna aveva sempre fatto qualche guaio quando il più grande lo aveva sgridato.
Certo, i suoi modi erano discutibili e cambiavano in maniera a dir poco evidente in base alla persona a cui si rivolgeva; Mukuro era duro con tutti, ma con Uni aveva notato che manteneva comunque un tono garbato, e lo stesso con altri camerieri. Solo con lui sembrava dare fondo al suo miglior repertorio di frasi per far sentire il prossimo un povero inetto. E, suvvia, non che Tsuna non lo pensasse già a sufficienza di se stesso.
All’inizio non ci aveva badato particolarmente, ma con il tempo era diventato così evidente che non notarlo sarebbe stato impossibile persino per uno tonto come lui. Tanto più che una volta era anche capitato che Dino-san lo palesasse rimproverando Mukuro per quel modo di fare – e guadagnandosi una rispostaccia, visto che Mukuro non sopportava granché Dino da quanto aveva capito – e a quel punto ignorare la cosa era diventato fuori questione.
Ma nonostante tutto ciò, non è che Mukuro lo maltrattasse nel senso più stretto del termine; era solo che lavorare, sapere di averlo nella stanza e che quindi avrebbe sicuramente osservato ogni sua mossa, gli metteva addosso un’ansia terribile.
«Sono solo un po’ in agitazione, perché faccio errori di continuo e vengo rimproverato. Ma non è che sia sbagliato, dal punto di vista del mio collega…» borbottò, a metà fra il tentativo – involontario e dato più che altro dalla sua indole fin troppo buona e gentile – di scusare Mukuro e l’istinto di lamentarsene comunque. Dopotutto, aveva pensato spesso, anche se era un cameriere così disastroso poteva esserci modo e modo di dire qualcosa, no?
Senza demolire qualcuno emotivamente, tanto per fare un esempio.
Gokudera ne fu istantaneamente stizzito: «Tch, chi sarebbe il bastardo?» sbottò, l’aria seccata. Era più che sicuro che il Juudaime facesse del proprio meglio, quindi quello lì (Mukuro) avrebbe dovuto ringraziare tutta la schiera dei suoi antenati anche solo per questo, altro che lamentarsi!
«Calma, Gokudera, facciamoci spiegare per bene da Tsuna, mh?» intervenne Yamamoto con la sua solita tranquillità, conscio che se avesse lasciato fare Gokudera come minimo si sarebbe presentato fuori dal ristorante di Tsuna per dirne quattro al tipo in questione, ottenendo niente più che creare problemi al castano stesso. Disperandosi poi per questo.
«Quindi se ho capito c’è questo senpai che ti riprende spesso, e ti senti sotto pressione.» riassunse, trovando conferma nell’annuire di Tsuna.
«Forse non è abituato a riprendere i colleghi più giovani, e magari è un po’ brusco. Non penso sia una persona cattiva, da come ne parli.» azzardò, osservando l’amico pensieroso.
Tsuna tacque per un attimo, pensandoci. No, non credeva che Mukuro fosse una cattiva persona, ma faticava non poco a credere che il problema fosse solo comunicativo. Non gli era proprio sembrato che Mukuro avesse dei problemi a dire quello che pensava – anzi, per com’era fatto Tsuna, Rokudou era persino troppo brutale forse.
Probabilmente la difficoltà del loro rapporto sul lavoro era dovuto al fatto che fossero molto diversi; ma benché Tsuna avesse provato a fare del suo meglio, la sensazione era sempre la stessa.
Anche il suo meglio, non era mai sufficiente per Mukuro.
«Fammi qualche esempio: recentemente ti ha rimproverato?» domandò Yamamoto, mentre Gokudera stava seriamente iniziando a ringhiare in sottofondo.
Con un’espressione di chi sta ricordando il peggior momento della sua esistenza, Tsuna si ritrovò ad elencare gli ultimi rimproveri neanche avesse imparato a memoria una lista della spesa.
«Ieri mi ha rimproverato perché non so mettere la divisa decentemente, la volta prima perché porto male i piatti e rischio di rovesciarli sui clienti. Quella prima ancora si è arrabbiato perché avevo preso confusamente gli ordini e dalla cucina non si capiva cosa dovessero fare, e la settimana prima ha dovuto coprire un errore mentre portavo i piatti al tavolo sbagliato.» elencò tristemente.
…C’era da chiedersi se fosse Tsuna troppo imbranato per un lavoro simile e se quindi fosse normale perdere la pazienza con lui, o se fosse Mukuro troppo nevrotico per errori tutto sommato leggeri e facilmente recuperabili.
Probabilmente la verità stava nel mezzo.
«Se si arrabbia solo per gli errori, basterà fare più attenzione e andrà bene, vedrai.» lo incoraggiò Yamamoto, dandogli un paio di pacche sulla spalla e sorridendogli.
Tsuna annuì, abbozzando un sorriso leggero: non voleva che si preoccupassero ulteriormente né voleva essere pessimista, ma non credeva che sarebbe stato così facile.


«Oh, Tsunayoshi-kun, eccoti!» sentì pronunciare appena varcò la soglia del ristorante, riconoscendo la voce di Dino. Gli fece un cenno mentre si avvicinava alla cassa dietro la quale era il biondo.
«Scusa l’improvvisata, Haru era venuta ma aveva la febbre, e Fong ha preferito non farla lavorare con l’influenza. Grazie di essere venuto al suo posto.» aggiunse, portando una mano a scompigliargli i capelli castani. Tsuna lo lasciò fare, con quei modi da fratello maggiore che Dino aveva sempre avuto da che lo conosceva.
«Non c’è problema, e poi non avevo da fare nel pomeriggio.» assicurò il più giovane, dirigendosi quindi nello spogliatoio per cambiarsi velocemente. Tornò quindi in sala, una volta pronto, iniziando a prendere le ordinazioni – miracolosamente giuste.
Non fu un pomeriggio particolarmente affollato: aveva attaccato ad un orario un po’ di transito, in cui al massimo qualcuno entrava a prendere un caffè o un dessert, ma nulla di più. Molto tranquillo rispetto all’ora di punta del pranzo o della cena, era stato abbastanza facile servire senza fare danni.
Il vero caos era arrivato però la sera: il locale si era letteralmente riempito, creando un affollamento che poche volte Tsuna aveva visto da quando ci lavorava.
Fortunatamente per quell’ora si erano uniti anche altri colleghi, come Uni, ma tutti erano finiti a fare febbrilmente avanti e indietro. Tsuna compreso, con tanto di stato ansioso quando Mukuro gli aveva detto: «Si sta riempiendo… vediamo di evitare ulteriore caos, Tsunayoshi-kun.» con tono piuttosto eloquente.
Tsuna aveva taciuto, sentendosi in un certo senso attaccato – Mukuro lo chiamava per nome quasi esclusivamente per i rimproveri, mentre per il resto del tempo c’era sempre stato un distaccato e formale utilizzo del cognome.
Aveva lavorato bene, ma più lentamente, nel timore di fare veramente qualche danno. Anche se nella mente si era ripetuto le parole di Yamamoto per darsi fiducia, alla fin fine la cosa non aveva fatto che agitarlo di più per la consapevolezza che sbagliando avrebbe ottenuto l’effetto opposto.
E Sawada Tsunayoshi non era esattamente la persona adatta a lavorare sotto pressione.
Fortunatamente per lui, comunque, era andata bene e aveva tirato un evidente sospiro di sollievo quando avevano chiuso il locale per iniziare le pulizie, i conti e per potersene poi andare mettendo fine a quella giornata piena.
Aveva sparecchiato i tavoli con Uni, dividendoli con la ragazza; aveva visto sparire Mukuro ad un certo punto e questo lo aveva aiutato a rilassarsi un po’ e a scambiare qualche parola con la collega. Dino, che aveva finito i conti per primo, aveva insistito per dare una mano – ma per forza di cose avevano dovuto tenerlo lontano da piatti e affini.
Uni era andata a cambiarsi per prima, mentre Tsuna aveva assicurato che avrebbe fatto lo stesso non appena avesse riportato i vassoi in plastica che usavano per fare avanti e indietro con le ordinazioni in cucina.
Ma non poteva davvero sperare di concludere una serata in tutta tranquillità, no.
Era nei pressi della cucina, quando Dino lo richiamò – più tardi avrebbe capito che stava cercando di avvisarlo del pericolo incombente; si voltò, e fu l’errore peggiore della serata.
Slittò in maniera degna di un manga comico-demenziale sul pavimento bagnato ed ebbe il privilegio di incontrare da vicino il pavimento.
E, siccome Sawada Tsunayoshi era fondamentalmente una persona sfigata, non cozzò solo contro il pavimento, ma anche contro Rokudou Mukuro che cercava di fare il tragitto spogliatoio-uscita del locale senza incidenti. Invano.
Il rumore che attirò l’attenzione non fu tanto il tonfo causato dai due, ma il rumore dei vassoi che caddero di mano al castano; Dino era comicamente con una mano protesa in avanti – probabilmente nell’atto di prendere Tsuna per una qualche parte del corpo, in un tentativo fallito – l’espressione di chi non voleva credere che di tante persone contro cui finire Tsuna avesse avuto una sfortuna simile.
Il castano era preso dal massaggiarsi la testa, battuta contro qualcosa dietro di lui (verosimilmente, la testa di Mukuro).
Dal bancone della cucina fece capolino la testa di Ryohei: «Ohi, Sawada» lo richiamò «hai fatto un casino così estremo che s’è sentito dalla cucina!» disse, come se fosse qualcosa per cui complimentarsi poi.
«Stavo cercando di dirti che il pavimento era bagnato…» pronunciò – anche se era ormai inutile – Dino, portando la mano nuovamente lungo il fianco.
Tsuna passò  lo sguardo da Ryohei a Dino: «Mi dispiace, non l’ho visto…» borbottò, ancora dolorante.
«Hai intenzione di alzarti o devo arrendermi all’idea di farti da materasso e dormire qui, Sawada?» sentì pronunciare alle sue spalle e gli si gelò il sangue quando, voltandosi, si rese conto che la cosa contro cui aveva cozzato era proprio Mukuro. E che gli era anche – più o meno – finito addosso col resto del corpo.
«Iiiih!» esclamò nel panico completo, alzandosi goffamente: «M-Mi dispiace, non l’ho fatto di proposito!» prese a bofonchiare in maniera difficilmente comprensibile.
«Non ho visto il pavimento bagnato, e non ho visto chi avevo dietro, e—» si interruppe, fissandolo: «la fronte si sta arrossando…»
«Vorrei ben vedere dopo la testata che mi hai dato!» sbraitò Mukuro cogliendolo di sorpresa. Lo aveva sempre ripreso severamente, ma mai gridandogli contro: «Quindi se non ti dispiace, e se non hai in mente di mutilarmi entro fine serata, gradirei alzarmi dal pavimento bagnato e andarmene a casa, Sawada!» aggiunse, innervosito dalla stupidità intrinseca di quello lì.
Lui ci aveva provato ad avere pazienza, ma Sawada l’avrebbe tolta anche ad un santo.
Lo vide spostarsi (finalmente) e si alzò a sua volta, l’espressione palesemente seccata; stava per allontanarsi e andarsene con un altrettanto seccato “a domani”, quando si sentì tirare per la manica.
…Cosa diamine aveva fatto nella sua vita precedente per meritarsi una piaga simile, cosa?!
«Sawada, lascia la manica.» ordinò voltandosi quanto bastava a fissarlo eloquentemente da sopra la propria spalla – uno sguardo che sembrava significare più che altro “se non la togli altro che mutilare”.
Tsuna tuttavia, gli occhi concentrati sul braccio del più grande senza azzardare a portarli all’altezza dei suoi, scosse la testa: «Non l’ho fatto apposta, ma è comunque colpa mia. Sia il colpo in testa che il taglio.» bofonchiò mortificato.
Mukuro andò ad osservarsi la mano perplesso: c’era un taglio, piccolissimo e insignificante, che sanguinava poco e per il semplice fatto di essere su una mano, un punto che tendeva a sanguinare tanto anche quando la ferita era minima. Sarebbe stata solo una seccatura lasciare che l’altro se ne occupasse.
«Lascia perdere, è un taglietto insignificante, e l’idea che al posto di un semplice cerotto tu possa fasciarmi completamente nemmeno fossi una mummia mi preoccupa molto di più. Lo sistemerò a casa.» blandì la questione, sperando di potersene finalmente andare.
«Dai, Mukuro-kun, l’hai detto anche tu che basta solo un cerotto, giusto? Ci vorrà un attimo, e Tsuna si sentirà meno in colpa.» osservò Dino – che tanto per cambiare era sempre dalla parte del castano.
Mukuro soffocò un’imprecazione appena in tempo perché non gli scivolasse fra le labbra al posto del: «Facciamo una cosa veloce.» che invece pronunciò.
Tsuna annuì e sparì nello spogliatoio; al più grande non rimase che sedersi sulla prima sedia disponibile del locale, dove solitamente si sistemava qualche cliente.

Tsuna fu fuori in breve, e poggiata la scatola del pronto soccorso sul tavolo – si chiese seriamente perché non avesse semplicemente portato un cerotto e tanti saluti – prese posto di fronte a Mukuro. Questi dovette trattenersi dallo sbraitare che non c’era alcun bisogno di disinfettare nulla, e lasciò che il castano facesse un po’ quello che voleva: se farlo sentire meno in colpa avrebbe significato sbrigarsela in breve, allora a conti fatti era meglio per entrambi.
Dovette dargli atto di essere almeno in grado di non far danni con il disinfettante.
«…Sei sicuramente più portato per disinfettare un taglio che per fare il cameriere.» osservò – forse fin troppo infame? – lo sguardo su di lui, il volto poggiato alla mano libera, il gomito sul tavolo.
Forse Tsuna pensava di non incontrare gli occhi dell’altro, perché aveva alzato i propri con un’espressione offesa e li aveva riabbassati repentinamente, colto di sorpresa, quando aveva notato che l’attenzione di Mukuro era su di lui.
Si mise ad armeggiare con la scatola dei cerotti, cercandone uno di una misura media. Trovatolo, tolse la pellicola e fece per applicarlo sul taglio.
Mukuro lo studiò, notando che sembrava concentratissimo persino per una sciocchezza simile; sospirò quasi rassegnato, sentendo l’irritazione di prima scemare. Era veramente impossibile accusarlo quando faceva quella faccia, come se mettergli uno stupido cerotto fosse una specie di questione di Stato.
«Ecco.» pronunciò Tsuna distogliendolo da quelle considerazioni: «Mi dispiace. Farò più attenzione.» mormorò afflitto. Mukuro ritirò la mano.
«Non è che tu abbia ucciso qualcuno.» blandì la questione, anche se il primo (e unico) ad essersi irritato era lui: «Ma devi metterti in testa di badare a quello che fai. Ci vediamo.» concluse, alzandosi e dirigendosi finalmente verso l’uscita, varcando la soglia e lasciando poi che la porta del locale si richiudesse alle sue spalle.
Tsuna tacque, senza alzarsi subito dalla sedia, lo sguardo sulla scatola del pronto soccorso senza un reale motivo. Forse Mukuro non aveva tutti i torti: non era questione di ansia, semplicemente non era portato per quello.
Come per tutte le altre cose in cui si cimentava; d’altra parte, non era certo un caso quel “ImbranaTsuna” affibbiatogli da tanti anni, no?

 

«Mi rifiuto di andare di nuovo in missione con Mukuro per il tuo divertimen—» iniziò, interrompendosi inquietato quando si ritrovò una pistola puntata alla testa senza la minima esitazione. Non aveva mai voluto sapere se Reborn avrebbe mai davvero premuto il grilletto di fronte ad un suo rifiuto.
«O-Ohi, Reborn…!» esclamò nel panico, fissando con la coda dell’occhio sia l’arma che il suo padrone, che neanche a dirlo sghignazzava divertito dalla reazione prevedibile e sempre uguale alle altre.
«Mi sembrava di averti sentito blaterare un rifiuto, ImbanaTsuna.» ironizzò, osservandolo eloquente, quasi ad insinuare che era meglio per lui se non ripeteva la frase né confermava che stesse effettivamente tentando di dissentire.
Tsuna non osò farlo, infatti, ma si limitò a sospirare rassegnato: non voleva andare ancora una volta in missione solo con Mukuro. L’ultima volta lo aveva confuso più con l’unico gesto gentile dimostrato – quel suo prendergli la mano in macchina, non visto dal conducente che li accompagnava – che da tutte le prese in giro sottilmente sarcastiche che gli propinava praticamente sempre.
Non aveva saputo come prendere quel gesto, né come interpretare il silenzio che si era creato a seguito tra loro; l’unico risultato era stato essere ancora più nervoso in sua presenza, nonostante dopo quell’isolato caso Mukuro non avesse avuto altri atteggiamenti “fuori dall’ordinario”, per così dire.
Non voleva sfidare la sorte giocando su quel barlume di gentilezza che il Guardiano della Nebbia aveva dimostrato – e che Tsuna era abbastanza convinto che non potesse ripetersi troppo a breve distanza nel tempo dal precedente.
Ci sarebbe stato solo ancora più disagio del solito, niente di più. E per motivi che voleva continuare ad ignorare, la cosa sembrava essere esattamente ciò che voleva Reborn con la sua vena a dir poco sadica nei suoi confronti.
Il tutor allontanò la pistola dalla tempia del castano, e la rinfoderò con un: «Bene, sembra che abbiamo raggiunto un accordo. Ora vai a prepararti per domani mattina.» consigliò, con un ghigno piuttosto evidente.
Tsuna fece per ribattere, ma il massimo del suo disappunto fu alzarsi facendo grattare la sedia sul pavimento e recuperare alla meno peggio i fascicoli che ancora doveva finire di controllare per la missione del giorno seguente.
Certo non si aspettava che quella fosse una giornata “no” al punto da fargli incrociare proprio Mukuro dopo il colloquio con Reborn; cos’era, il karma lo aveva preso sott’occhio?!

Aveva cercato di ignorare con un certo impegno lo sguardo di Mukuro che non lo aveva abbandonato un istante da quando, nella sua stanza – dove il Guardiano lo aveva tranquillamente seguito come se Tsuna lo avesse invitato a prendere un tea insieme – Tsuna si era seduto a controllare quei fascicoli rimasti.
L’intento sarebbe stato anche di sbrigarsela con quelli e andare a dormire in tempi abbastanza brevi: d’altra parte Mukuro non era esattamente uno che si faceva scappare l’occasione di un tuo ritardo ad una missione per fartelo pesare. Anche se poi, a lui, non interessava poi molto la sorte della suddetta. Era solo un principio per provocarlo – o tormentarlo.
Tsuna almeno ne era abbastanza convinto.
Nonostante i buoni propositi però, non era mai stato il suo forte riuscire ad ignorare una specie di sguardo famelico che ti punta la nuca per mezz’ora di seguito.
Sbirciò l’altro di sottecchi, cercando di non voltarsi per non farsi notare; anche se Mukuro lo aveva notato eccome. Non che Sawada Tsunayoshi fosse di molto migliorato nel dissimulare, rispetto a quando era un ragazzino.
Lo vide voltarsi verso di lui e lo sguardo a dir poco annoiato e seccato per l’attesa che aveva mostrato fino a quel momento fu scosso da una leggera sorpresa: si era ormai convinto che il castano si sarebbe addormentato sulla scrivania della stanza pur di non guardarlo.
Tsunayoshi incurvò le labbra in un sorriso lieve, appena nervoso: «Mukuro, c’è qualcosa che devi chiedermi?» domandò un po’ incerto. Il Guardiano della Nebbia si lasciò sfuggire un sorrisetto sardonico: l’altro doveva essersi convinto che fosse lì in attesa che finisse per dirgli qualcosa, come la sua domanda aveva appena confermato.
In realtà, Mukuro non era affatto lì per un motivo preciso: non doveva comunicargli nulla, né chiedergli niente. Non era lì nemmeno per lanciare una delle sue solite frecciatine senza scopo alcuno se non provocarlo per il proprio divertimento.
Mukuro era lì per quelle reazioni, per quella tensione unilaterale che andava formandosi: Tsunayoshi si agitava per un nonnulla, sempre.
Reazioni di cui aveva compreso la natura, la causa scatenante principale, che – con tutto il rispetto per la super intuizione dei Vongola – il castano non sembrava aver compreso affatto.
E Mukuro aspettava divertito, come qualcuno che aveva già previsto tutto, ma pazientemente attendeva che il protagonista delle sue previsioni se ne rendesse conto, soddisfacendo la sua curiosità nei suoi confronti.
«Nulla di particolare, Tsunayoshi-kun. Osservo e basta-» replicò quindi: «O la mia presenza ti infastidisce?» lo incalzò.
Colpo basso, il suo.
«N-Non ho detto questo…» bofonchiò Tsuna, riportando lo sguardo sui fascicoli.
Mukuro si impegnò a dissimulare lo sbuffo divertito che ne seguì; non gli ci volle molto, tuttavia, a farsi distrarre da quello sforzo a dir poco sovrumano quando – una decina di minuti dopo – il castano si stiracchiò, segno che doveva aver finito con quei documenti.
Il Guardiano si alzò – dopotutto era già strano che se ne fosse stato buono fino a quel momento – muovendosi senza fretta visto che non li separava chissà quale distanza. Osservò il castano intento a riordinare diligentemente quei fogli che lo avevano tenuto tanto occupato, e gli si avvicinò fin quasi a sfiorare il suo corpo con il proprio.
Tuttavia non fece nulla più che chinarsi appena su di lui, allungare la mano fino ad allontanare leggermente il colletto della camicia, ed infine posare le proprie labbra sul suo collo.
Lo sentì sobbalzare istintivamente a quel contatto che di certo non si era aspettato, e Mukuro si lasciò sfuggire un sorriso proprio mentre allontanava il viso dalla pelle del castano.
Tsuna – i fogli finiti a terra sparpagliandosi al sobbalzo di poco prima – si voltò senza apparente esitazione; peccato solo per il rossore che, impietoso, lo stava rendendo ben poco credibile nel suo tentativo di sembrare irritato o addirittura arrabbiato.
L’illusionista esibì una delle sue migliori espressioni da faccia da schiaffi, quasi rimanendo in attesa.
«T-Ti ho detto mille volte di non apparirmi alle spalle!» fu l’esclamazione a cui diede voce Tsuna, stupendo Mukuro. Si era aspettato più un “Cos’era quello?” o qualcosa sul genere.
Sbatté un paio di volte le palpebre mentre il più giovane si chinava a raccogliere confusamente i fascicoli, con una fretta piuttosto evidente. Con un sospiro leggero, il Guardiano si chinò a sua volta sulle ginocchia per recuperare quelli scivolati più vicini a lui, e una volta tornati entrambi in posizione eretta glieli porse.
Tsuna allungò una mano per prenderli, ma se li vide allontanare di nuovo; tra l’esasperato e il rassegnato, alzò lo sguardo sull’altro come un genitore che sta per intimare al figlio di restituirgli quei documenti importanti, che di certo non sono un giocattolo.
«Un Boss non dovrebbe avere una certa compostezza ed evitare che dei rapporti gli cadano di mano così facilmente come se fosse uno studente imbranato?» lo prese in giro palesemente, l’attenzione su di lui; Tsuna si accigliò appena: «E tu non dovresti entrare come le persone normali dalla porta anziché da una finestra, da dietro una tenda e simili? Però non lo fai, anche se te lo dico.» rimbeccò, con una certa vena polemica solitamente estranea al suo tono di voce.
«Finché qualcuno continuerà a non accorgersi della mia presenza dimostrandomi che anche un gatto potrebbe attentare alla sua vita, continuerò. Lo faccio per allenarla, Decimo.» pronunciò, e non ci voleva davvero impegno a capire la nota derisoria in tutto quello. D’altronde, in nessun’altra occasione Mukuro usava l’appellativo “Decimo” fingendo un rispetto che non c’era mai stato, o almeno non verso quei loro ruoli.
Tsuna non ribatté, perché sapeva che sarebbe stato inutile. E in realtà, in quel momento nemmeno lui era particolarmente sincero: il problema non era affatto da dove Mukuro entrasse – certo, non avrebbe disdegnato un “toc toc” sulla porta – ma la sua presenza.
Quella di Mukuro che nelle missioni sembrava non guardare che lui, costantemente, instancabilmente. Quello sguardo che non lo abbandonava mai, che lo faceva sentire sotto esame e in colpa nello stesso momento: sembrava fargli notare senza tregua la sua inettitudine rispetto al ruolo che ricopriva, e nel farlo lo accusava di averlo incatenato a quel mondo con il quale nemmeno lui – il Boss – sapeva rapportarsi.
La presenza di Mukuro incarnava tutto ciò che Tsuna aveva sempre cercato di rifuggire anche inconsciamente: cercava da sempre di allontanarsi dal giudizio negativo degli altri che non lo aveva mai risparmiato e al quale lui stesso, alla fine, aveva ceduto. Tentava quasi disperatamente di allontanarsi anche solo dalla remota possibilità di divenire un giorno la causa della sofferenza di un’altra persona.
Non voleva mai più deludere le aspettative di qualcuno, doversi impegnare fino al massimo delle sue possibilità e capire che… non era stato abbastanza, e che non lo sarebbe mai stato.
Ma Mukuro, incessantemente, glielo ricordava.
Sembrava sussurrargli che era un Boss quasi per errore, che non avrebbe fatto altro che condurre chi lo circondava alla rovina, perché non importava quanto ci tenesse o si sforzasse: nella Mafia ci nasci, non ci entri per noia o per caso.
Non uno come lui almeno.
E l’illusionista, quando Tsuna a malapena stava in piedi sotto quello sguardo che sembrava appesantirgli le spalle più di quanto il suo ruolo e i suoi doveri non facessero già, pareva aggiungere a quell’inumano carico di tensione una postilla, che diventava il macigno di troppo che finiva col farti crollare.
Cosa? Mi hai trascinato in quello che odio ed è tutto qui?
Tu, sei tutto qui?
«Considerando quanto sei agitato, ce la farai davvero a sostenere una missione domani?» insinuò Mukuro – perché nel tono non c’era preoccupazione (non intuibile per Tsuna almeno). Solo il solito, brutto vizio di ridere di lui.
Tsuna strinse appena i pugni sulla scrivania; poi, inaspettatamente, uno di essi si alzò appena per battere l’attimo seguente di nuovo sulla stessa superficie, in un gesto frustrato.
«E con chi credi che dovrei prendermela per la mia agitazione?» lo incalzò, puntando lo sguardo su di lui, cosa assai rara e solitamente riservata solo a quei momenti in cui prendeva una decisione irrevocabile come Boss dei Vongola, e non come singolo individuo, come Sawada Tsunayoshi.
«Chi pensi che sia la maggiore causa di ansia, qui? La sola idea di andare di nuovo in missione con te mi rende nervoso, e prima che tu lo dica» aggiunse immediatamente per batterlo sul tempo: «non è questione di odio, o di non aver perdonato gli scontri del passato, e lo sai bene che per me sei un importante membro della Famiglia. Ma sei sempre lì, mi fissi come se ti aspettassi da me chissà cosa e non sopporto che ti aspetti qualcosa da me. Sembra come se… se aspettassi il mio passo falso. Sempre, sempre, in continuazione, e io finisco per andare in panico.» sciorinò, un fiume in piena tipico di chi accumulava, accumulava, e non si confidava mai.
«Perché devi sempre guardarmi a quel modo? Andiamo in missione e sembra che tu sia stato mandato al patibolo. Sembra come se ti aspettassi di meglio, che volessi di meglio e che anziché cercarlo altrove ti sia intestardito a volerlo qui, subito, come… come un bambino. Mi mette ansia, tutto di te lo fa. Come ti comporti, come parli, come osservi, persino pensare a cosa stai pensando in quel momento, e alla fine—»
Fu costretto a tacere, mentre Mukuro lo baciava.
Un contatto casto, non un bacio passionale; un braccio che era scivolato attorno alla sua vita, e niente più che labbra posate sulle proprie.
E nonostante fosse il gesto più semplice del mondo, gli sembrò di aver concesso qualcosa di estremamente intimo e che Mukuro avesse fatto lo stesso con lui. Quando l’altro si allontanò – ben poco, considerando che la sua fronte rimase poggiata a quella del castano – sentì il viso accalorarsi immediatamente e abbassò lo sguardo consapevole di aver acquisito un colorito veramente poco virile.
Bofonchiò qualcosa, ma nulla di sensato.
Mukuro, quel sorriso arrogante e sarcastico che non lo abbandonava mai, finse un sospiro esasperato: «E dire che le persone normali non dovrebbero lamentarsi, quando qualcuno che gli piace guarda solo loro. » esordì, facendo scivolare fra le labbra quell’ammissione come se fosse nulla.
Come se dire che si era palesemente accorto dei sentimenti del castano, e che questi erano altrettanto palesemente ricambiati – o che c’era quantomeno un interesse reciproco – non fosse né più né meno che affermare che il giorno dopo sarebbe stato bel tempo.
«I-Io… non ho mai detto che…»
«Come se non fosse chiaro anche senza sentirtelo dire.» lo interruppe di nuovo.

 

Note finali
E anche il secondo è andato, olé
Visto che non ci sono note particolari inerenti al capitolo, passo a rispondere alle recensioni :3

Mellorine: Juudaimeeeee *citazione doverosa*
Sono stata un buon braccio destro, ad aggiornare mentre un esame di sei libri pende sulla mia testa? *w* *scodinzola, tanto per perdere credibilità come autrice*
L’accostamento Mukuro-Chrome come fratello e sorella è stato automatico, anche io li trovo troppo carini <3
Spero che anche questo capitolo sia stato di tuo gradimento – e suvvia, detto da te che Mukuro è IC ha un suo peso XD
E grazie per i complimenti >///<

Eiko_chin: ma X°°°D In realtà a me frega – cioè, mi spiace mandarti in tachicardia ovviamente :° - e lo prendo assolutamente per un complimento u_ù <3
Tu devi capire che leggere: “Credo che sia uno dei personaggi che ti riescono meglio
riferito a Mukuro quando muovere quell’uomo per me è più faticoso di un parto plurigemellare – non che io lo abbia provato, ma immagino renda l’idea – è a metà fra l’esilarante, il lusinghiero e il “ma io che accidenti di percezione ho di quello che scrivo?!” XD Ma d’altra parte, se lo dice il lettore, allora è così u_u *acquista punti autostima sul personaggio di Mukuro*
Concludo con il dire che sono d’accordo, Fong merita assolutamente più amore! ;_; *ama*




 

   
 
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