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Autore: silencio    02/06/2011    2 recensioni
Solita storia immagino, di quelle raccontate per rendere lievi le ore di svago o di lettura, nulla di impegnativo nè per il lettore nè per l'autore. Un semplice esercizio di creatività.
C'è tutto ciò che in un racconto fantastico e mitologico può starci, eroi, divinità greche, guerre, poteri divini, profezie. Temi usati e stra usati. Ma altro non posso dire, la storia è da se che si scrive, non sono io che ne determino le linee, quindi, se la si vuol conoscere, occorre leggere e nemmeno io, autore, posso dire quali saranno le conclusioni.
Utile per riscoprire e, perchè no, immaginare il mito in maniera differente, lontano da quelle che sono le corruzioni hollywoodiane, più vicine forse al pensiero più antico visto dai moderni uomini del 2000.
Genere: Avventura, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo II

Alexandros ed Cassandra

 

 

 

 

-…e Demetra a tutti mostrò i riti misterici,
a Trittolemo e a Polisseno, e inoltre a Diocle,
I riti santi, che non si possono trasgredire né apprendere
né proferire: difatti una grande attonita atterrita reverenza per gli dei impedisce la voce.
Felice colui – tra gli uomini viventi sulla terra – che
ha visto queste cose:
chi invece non è stato iniziato ai sacri riti, chi non ha avuto questa sorte
non avrà mai un uguale destino, da morto, nelle umide
tenebre marcescenti di laggiù-.

Declamò il Gran Sacerdote di Demetra, Agapios Kerthomas, levando le braccia al cielo appena stellato. Li, fra le nubi aranciate del crepuscolo, un’aquila si levò in volo, lanciando il suo strillo acuto sopra la teste dei fedeli. Quello, pensò Agapios, era certo un segno di Zeus che, con Demetra e tutti gli Olimpi, aveva accettato le offerte.
Lui, ormai ultra ottantenne, quasi non si reggeva in piedi, schiacciato dal peso degli anni e dalla profonda esperienza accumulata. Dietro ogni sua ruga si celava un sorriso, un urlo rabbioso, o un gemito di pianto. Le dita ormai secche come rami, tremavano, vinte dalla malattia. Il suo tempo, lo sapeva, stava per concludersi. Ma prima che le Moire implacabili recidessero il filo della sua esistenza ed Ermete ctonio giungesse a prenderlo per condurlo all’Ade, nel suo cuore uno strano presagio pian piano, da qualche giorno, stava prendendo forma. Sentiva che presto sarebbe accaduto qualcosa di grande e che la sua vita, il suo consiglio, la sua devozione, fossero indispensabili affinché ciò che stava per verifica giungesse a corretto termine.
Volse uno sguardo alla piccola folla, inchinata ai suoi piedi. Erano pochi, meno di un centinaio, gli ultimi rimasti e li conosceva tutti, molti di loro li aveva visti nascere, figli di quelli che con lui avevano operato l’ultima grande impresa, scalato il Sacro Olimpo e reso grazie agli Dei secondo il rito che da secoli, la comunità dei Fedeli compiva. Ma da allora eran già trascorsi settant’anni.  La comunità era diminuita drasticamente, e ora restava solo lui a serbare gelosamente le memorie, la conoscenza di una verità oscurata da secoli d’ignoranza, presunzione e paura.

Con gesto solenne, fissato come ogni altro nella mente del vecchio sacerdote, afferrò il coltello sacro, posto sull’altare, si avvicinò alla pira ove l’offerta abbrustoliva, un grosso bove dal vello candido, e cominciò a tranciarne brandelli, cotti e fumanti, distribuendoli ai vari fedeli, a uno a uno finché le carni non fossero state tutte consumate e le ossa e il grasso e gli intestini, consumati dal fuoco.  Nel compiere il rito, non poté non pensare a chi quel dono sacro del fuoco aveva fatto, divenendo egli steso animale da sacrificio, subendo la collera del Cronide Padre. A lui con tutto il cuore fu enormemente grato.
Quando, alcune ore dopo, del bue non rimasero che pochi brandelli e le ossa, avvinto tutto ormai dalle fiamme, Agapios terminò la preghiera di ringraziamento e andò a cambiarsi le candide vesti, macchiate del sangue del sacrificio.
Al suo fianco, per aiutarlo v’era Daphne Galanaki, Melissa di Demetra presso le restanti vestigia di Eleusi. Con lei stava la figlia in apprendistato, Cassandra. Per lei, lo ierofante Agapios provava un grande amore, come quello di un nonno. Egli l’aveva vista nascere, insieme al fratello gemello Alexandros, e da subito, appena incrociatone l’infantile sguardo, aveva percepito che in lei più che in ogni altro membro della comunità brillava la fiamma della divinazione. Lei un giorno, ne era certo, avrebbe fatto rivivere nel cuore degli uomini l’amore per gli Dei Olimpici.
Adesso la bambina aveva sedici anni. Quasi una donna nell’aspetto. I capelli biondi e lunghi, le incorniciavano il volto dai tratti gentili e delicati, la pelle era scura, tipicamente mediterranea, e il corpo già mostrava i segni di un futuro di donna florida e bella. E fra tutte queste belle caratteristiche ve ne era una che le superava: gli occhi, di uno strano colore grigio, dallo sguardo dolce e vagamente malinconico, emanavano una luce unica, soave e bella. Lei era nata sicuramente sotto il favore di qualche santa dea.
Dentro la tenda, montata per quell’occasione, Agapios si cambiò d’abito, tornando a indossare i consueti pantaloni e la sua amata camicia a quadri, immergendosi nuovamente in quella che definiva “la tediosa ma amata normalità presente”.
Fuori dalla tenda, intanto, Alexandros attendeva l’uscita della madre e della sorella. Appoggiato a un vecchio olmo, fumava di nascosto una sigaretta. Lentamente gustò l’acre del fumo nella bocca, sapore che di rado poteva saggiare dato il ferreo proibizionismo di sua madre. Da quando il padre dei gemelli era andato via, divorziando dalla moglie, Daphne era diventata sempre più rigida, imponendo ai figli regole su regole fin quasi a trincerarli dentro casa. Alek non sapeva spiegarne il motivo… Cassandra, che era fra i due la più saggia e riflessiva, soleva dire che un simile atteggiamento era dovuto all’assenza, quella del padre, che Daphne in tutti i modi, senza farlo notare, cercava di colmare. Alek, non ne era sicuro, e in fondo nemmeno gli importava. Era, dopo tutto, colpa di Daphne se suo padre era andato via. Era lei quella che mentiva sempre al marito.
Rivolse uno sguardo distratto al cielo, ormai oscurato dalla notte. La falce lunare splendeva quieta lì appesa, come un grande diadema. Sua madre certamente avrebbe detto che la dea Artemide quella sera era propizia, ma lui non sapeva se crederci. Gli sembravano solo storielle da bambini e null’altro. Lo stesso Agapios gli appariva come un povero vecchietto, legato ai bei tempi che furono, troppo arretrato perché modernizzi. Nel nuovo millennio non c’era posto per i fantasmi.
-Alek- la voce delicata da uccellino della sorella gli giunse alle spalle, prendendolo di soppiatto. –Stai fumando Alek? Sai che la mamma non vuole-.
-Tsk.. sai che mi frega…- disse spezzante, ma spense comunque la sigaretta.  –Allora, ti sei divertita? Piaciuto il sacro rito agli Olimpi?- fece sarcasticamente ieratico, scimmiottando Agapios.
Cassandra non rise. Non rideva mai molto da quando il loro padre era andato via. –Non male. Come sempre… è il mio futuro del resto-.
Alek non poté frenare uno scatto d’ira a quelle parole, non tanto per il senso, che comunque lo ripugnava, ma per il tono usato dalla sorella: freddo, distaccato, quasi disinteressato.
-Ti fai sottomettere così Cassandra? Esegui senza battere ciglio gli ordini di nostra madre e di quel vecchiaccio idiota?-.
Cassandra non rispose subito. Guardò prima un punto inesistente al suolo. –Io faccio solo ciò che è giusto Alek… dovresti provare a farlo anche tu… al volere degli Dei non si scappa-.
-Me ne fotto!- quasi gridò Alek. Era disgustato, arrabbiato, triste, spaventato. Lui, che amava la libertà come suo padre, che desiderava un futuro avventuroso, che forgiare giorno per giorno secondo il proprio volere, lui che desiderava più d’ogni altra cosa l’esser libero di decidere e, all’occorrenza, anche cambiare idea, mal sopportava un futuro già deciso, già programmato da altri. E che questi altri fossero i parenti, i capi della comunità o gli Dei, poco gli importava. Nessuno aveva il diritto di decidere per lui o per la sorella.
La mano delicata della sorella gli accarezzò d’improvviso i capelli bruni. Quel gesto materno lo fece calmare. Sua sorella, l’unico essere sulla terra che lo conosceva meglio di ogni altro, l’unica persona cui mai avrebbe rinunciato. Erano nati lo stesso giorno, segno infausto secondo i più anziani della comunità. E da quel momento, proprio come nel ventre materno, mai si erano separati. Facevano tutto insieme. E mai si sognavano d’esser divisi il futuro, mai lo avrebbero voluto e Alek in particolare, mai avrebbe permesso che una cosa simile occorresse. Mai.
-Alek, non temere per me. Io mi fido degli Dei… prova a fidarti anche tu per una volta-.
Alexandros sospirò esausto e rassegnato. Non poteva fare altro. Se questo era il destino, qualunque azione avrebbe compiuto sarebbe valsa a nulla. Se era la volontà di Cassandra, lui doveva rispettarla.
-Alexandros, Cassandra, sbrigatevi, dobbiamo andare- da lontano la voce della madre li raggiunse e i due gemelli, mano nella mano, si incamminarono verso l’auto, pronti per tornare a casa, ignari delle trame che il destino stava intessendo con le loro e con le vite di altri giovani.    

 

 

 

 

 

Free talk

 
Ecco il secondo capitolo, come promesso. Ringrazio da subito quanti hanno letto o stano leggendo. Per i prossimi capitoli (due o tre), presenterò i vari personaggi. Dunque questa prima parte fungerà da premessa ed introduzione alla storia vera e propria. Mi auguro, come ogni buon “autore”, che il presente ed il passato capitolo suscitino un minimo di interesse o divertimento (questo è solo divertimento, per me, e spero anche per voi, nulla di impegnativo, ci tengo a ribadirlo).
Alla prossima, cari lettori e lettrici.

 Silencio

   
 
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