Capitolo
II
Alexandros
ed Cassandra
-…e
Demetra a tutti mostrò i riti misterici,
a Trittolemo e a
Polisseno, e inoltre a Diocle,
I riti santi, che non si
possono trasgredire
né apprendere
né proferire:
difatti una grande
attonita atterrita reverenza per gli dei impedisce la voce.
Felice colui –
tra gli uomini viventi
sulla terra – che
ha visto queste cose:
chi invece non è stato
iniziato ai sacri riti, chi non ha avuto
questa sorte
non avrà mai un
uguale destino, da morto,
nelle umide
tenebre marcescenti di
laggiù-.
Declamò
il Gran Sacerdote di Demetra,
Agapios Kerthomas, levando le braccia al cielo appena stellato. Li, fra
le nubi
aranciate del crepuscolo, un’aquila si levò in
volo, lanciando il suo strillo
acuto sopra la teste dei fedeli. Quello, pensò Agapios, era
certo un segno di
Zeus che, con Demetra e tutti gli Olimpi, aveva accettato le offerte.
Lui, ormai ultra ottantenne, quasi non si
reggeva in piedi, schiacciato dal peso degli anni e dalla profonda
esperienza
accumulata. Dietro ogni sua ruga si celava un sorriso, un urlo
rabbioso, o un
gemito di pianto. Le dita ormai secche come rami, tremavano, vinte
dalla
malattia. Il suo tempo, lo sapeva, stava per concludersi. Ma prima che
le Moire
implacabili recidessero il filo della sua esistenza ed Ermete ctonio
giungesse
a prenderlo per condurlo all’Ade, nel suo cuore uno strano
presagio pian piano,
da qualche giorno, stava prendendo forma. Sentiva che presto sarebbe
accaduto
qualcosa di grande e che la sua vita, il suo consiglio, la sua
devozione, fossero
indispensabili affinché ciò che stava per
verifica giungesse a corretto
termine.
Volse uno sguardo alla piccola folla,
inchinata ai suoi piedi. Erano pochi, meno di un centinaio, gli ultimi
rimasti
e li conosceva tutti, molti di loro li aveva visti nascere, figli di
quelli che
con lui avevano operato l’ultima grande impresa, scalato il
Sacro Olimpo e reso
grazie agli Dei secondo il rito che da secoli, la comunità
dei Fedeli compiva.
Ma da allora eran già trascorsi settant’anni.
La comunità era diminuita drasticamente, e ora
restava solo lui a
serbare gelosamente le memorie, la conoscenza di una verità
oscurata da secoli d’ignoranza,
presunzione e paura.
Con gesto solenne, fissato
come ogni altro nella mente del vecchio sacerdote, afferrò
il coltello sacro,
posto sull’altare, si avvicinò alla pira ove
l’offerta abbrustoliva, un grosso
bove dal vello candido, e cominciò a tranciarne brandelli,
cotti e fumanti,
distribuendoli ai vari fedeli, a uno a uno finché le carni
non fossero state
tutte consumate e le ossa e il grasso e gli intestini, consumati dal
fuoco. Nel compiere
il rito, non poté
non pensare a chi quel dono sacro del fuoco aveva fatto, divenendo egli
steso
animale da sacrificio, subendo la collera del Cronide Padre. A lui con
tutto il
cuore fu enormemente grato.
Quando, alcune ore dopo, del
bue non rimasero che pochi brandelli e le ossa, avvinto tutto ormai
dalle
fiamme, Agapios terminò la preghiera di ringraziamento e
andò a cambiarsi le
candide vesti, macchiate del sangue del sacrificio.
Al suo fianco, per aiutarlo
v’era Daphne Galanaki, Melissa di Demetra presso le restanti
vestigia di
Eleusi. Con lei stava la figlia in apprendistato, Cassandra. Per lei,
lo
ierofante Agapios provava un grande amore, come quello di un nonno.
Egli
l’aveva vista nascere, insieme al fratello gemello
Alexandros, e da subito,
appena incrociatone l’infantile sguardo, aveva percepito che
in lei più che in
ogni altro membro della comunità brillava la fiamma della
divinazione. Lei un
giorno, ne era certo, avrebbe fatto rivivere nel cuore degli uomini
l’amore per
gli Dei Olimpici.
Adesso la bambina aveva sedici
anni. Quasi una donna nell’aspetto. I capelli biondi e
lunghi, le
incorniciavano il volto dai tratti gentili e delicati, la pelle era
scura,
tipicamente mediterranea, e il corpo già mostrava i segni di
un futuro di donna
florida e bella. E fra tutte queste belle caratteristiche ve ne era una
che le
superava: gli occhi, di uno strano colore grigio, dallo sguardo dolce e
vagamente malinconico, emanavano una luce unica, soave e bella. Lei era
nata
sicuramente sotto il favore di qualche santa dea.
Dentro la tenda, montata per
quell’occasione, Agapios si cambiò
d’abito, tornando a indossare i consueti
pantaloni e la sua amata camicia a quadri, immergendosi nuovamente in
quella
che definiva “la tediosa ma amata normalità
presente”.
Fuori dalla tenda, intanto,
Alexandros attendeva l’uscita della madre e della sorella.
Appoggiato a un
vecchio olmo, fumava di nascosto una sigaretta. Lentamente
gustò l’acre del
fumo nella bocca, sapore che di rado poteva saggiare dato il ferreo
proibizionismo
di sua madre. Da quando il padre dei gemelli era andato via,
divorziando dalla
moglie, Daphne era diventata sempre più rigida, imponendo ai
figli regole su
regole fin quasi a trincerarli dentro casa. Alek non sapeva spiegarne
il
motivo… Cassandra, che era fra i due la più
saggia e riflessiva, soleva dire
che un simile atteggiamento era dovuto all’assenza, quella
del padre, che
Daphne in tutti i modi, senza farlo notare, cercava di colmare. Alek,
non ne
era sicuro, e in fondo nemmeno gli importava. Era, dopo tutto, colpa di
Daphne
se suo padre era andato via. Era lei quella che mentiva sempre al
marito.
Rivolse uno sguardo distratto
al cielo, ormai oscurato dalla notte. La falce lunare splendeva quieta
lì
appesa, come un grande diadema. Sua madre certamente avrebbe detto che
la dea
Artemide quella sera era propizia, ma lui non sapeva se crederci. Gli
sembravano solo storielle da bambini e null’altro. Lo stesso
Agapios gli
appariva come un povero vecchietto, legato ai bei tempi che furono,
troppo
arretrato perché modernizzi. Nel nuovo millennio non
c’era posto per i
fantasmi.
-Alek- la voce delicata da
uccellino della sorella gli giunse alle spalle, prendendolo di
soppiatto. –Stai
fumando Alek? Sai che la mamma non vuole-.
-Tsk.. sai che mi frega…-
disse spezzante, ma spense comunque la sigaretta.
–Allora, ti sei divertita? Piaciuto il sacro
rito agli Olimpi?- fece sarcasticamente ieratico, scimmiottando Agapios.
Cassandra non rise. Non rideva
mai molto da quando il loro padre era andato via. –Non male.
Come sempre… è il
mio futuro del resto-.
Alek non poté frenare uno
scatto d’ira a quelle parole, non tanto per il senso, che
comunque lo
ripugnava, ma per il tono usato dalla sorella: freddo, distaccato,
quasi
disinteressato.
-Ti fai sottomettere così
Cassandra? Esegui senza battere ciglio gli ordini di nostra madre e di
quel
vecchiaccio idiota?-.
Cassandra non rispose subito.
Guardò prima un punto inesistente al suolo. –Io
faccio solo ciò che è giusto
Alek… dovresti provare a farlo anche tu… al
volere degli Dei non si scappa-.
-Me ne fotto!- quasi gridò
Alek. Era disgustato, arrabbiato, triste, spaventato. Lui, che amava la
libertà
come suo padre, che desiderava un futuro avventuroso, che forgiare
giorno per
giorno secondo il proprio volere, lui che desiderava più
d’ogni altra cosa
l’esser libero di decidere e, all’occorrenza, anche
cambiare idea, mal sopportava
un futuro già deciso, già programmato da altri. E
che questi altri fossero i
parenti, i capi della comunità o gli Dei, poco gli
importava. Nessuno aveva il
diritto di decidere per lui o per la sorella.
La mano delicata della sorella
gli accarezzò d’improvviso i capelli bruni. Quel
gesto materno lo fece calmare.
Sua sorella, l’unico essere sulla terra che lo conosceva
meglio di ogni altro,
l’unica persona cui mai avrebbe rinunciato. Erano nati lo
stesso giorno, segno
infausto secondo i più anziani della comunità. E
da quel momento, proprio come
nel ventre materno, mai si erano separati. Facevano tutto insieme. E
mai si
sognavano d’esser divisi il futuro, mai lo avrebbero voluto e
Alek in
particolare, mai avrebbe permesso che una cosa simile occorresse. Mai.
-Alek, non temere per me. Io
mi fido degli Dei… prova a fidarti anche tu per una volta-.
Alexandros sospirò esausto e
rassegnato. Non poteva fare altro. Se questo era il destino, qualunque
azione
avrebbe compiuto sarebbe valsa a nulla. Se era la volontà di
Cassandra, lui
doveva rispettarla.
-Alexandros, Cassandra,
sbrigatevi, dobbiamo andare- da lontano la voce della madre li
raggiunse e i
due gemelli, mano nella mano, si incamminarono verso l’auto,
pronti per tornare
a casa, ignari delle trame che il destino stava intessendo con le loro
e con le
vite di altri giovani.
Free
talk
Ecco il secondo capitolo, come
promesso. Ringrazio da subito quanti hanno letto o stano leggendo. Per
i
prossimi capitoli (due o tre), presenterò i vari personaggi.
Dunque questa
prima parte fungerà da premessa ed introduzione alla storia
vera e propria. Mi auguro,
come ogni buon “autore”, che il presente ed il
passato capitolo suscitino un
minimo di interesse o divertimento (questo è solo
divertimento, per me, e spero
anche per voi, nulla di impegnativo, ci tengo a ribadirlo).
Alla prossima, cari lettori e
lettrici.