Videogiochi > Silent Hill
Segui la storia  |       
Autore: Leonhard    03/06/2011    5 recensioni
Alessa Gillespie. La strega. Considerata la figlia del demonio da tutti...da tutti? Un episodio segreto della triste infanzia della bambina sta per sorgere...
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Alessa Gillespie, Nuovo Personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

 11.
 
 
 
Ustioni di terzo grado? Quello non descriveva neanche lontanamente le condizioni di Alessa. Perfino Leon, quando aveva saputo e l’aveva vista, aveva dovuto controllare la cartella clinica per convincersi che era proprio lei. Lì per lì rimase sconvolto, poi tentò di parlare con lei. La bambina poteva solo guardarlo, con quegli occhi rossi e spalancati, tentando di descrivergli la sua situazione. Lui stava accanto a lei, le parlava e le sorrideva, cercando costantemente di frenare le lacrime e di sopprimere l’odio che provava per quelle persone.
 
Dahlia era in cura da uno psichiatra, anche se si vedeva lontano un miglio che c’era ben poco da fare: lo shock le aveva dato il colpo di grazia e lei ormai diceva frasi che avevano un che di mistico, di trascendentale. La sua voce si era arrochita e raffreddata. I primi giorni non fece che chiedere di Alessa, delle sue condizioni e se si sarebbe salvata.
 
Ma sapeva perfettamente che non si poteva fare nulla se non imbottirla di antidolorifici per evitarle un inferno. I medici già trovavano strano il fatto che a distanza di una settimana quel lettino coperto emetteva ancora rochi respiri e rantoli.
 
Alessa stava sdraiata su quel lettino tutto il tempo. Non poteva muoversi, non poteva parlare e vedeva molto poco. Sapeva. Si ricordava cos’era successo: era stata purificata. Adesso lei non era più la figlia del demonio: era una bambina perfettamente normale. Se si eccettuava il corpo nero e rosa della carne bruciata e che se si fosse specchiata molto probabilmente neanche lei si sarebbe riconosciuta, era andata alla grande. Ah, e poi bisognava anche escludere la sua incapacità di fare anche il più piccolo, elementare movimento come muovere la lingua per dire anche solo “Fa un male cane”. Giusto, è vero: anche lasciare da parte il fatto che non sarebbe sopravvissuta per molto tempo con il corpo ridotto in quello stato.
 
In effetti, dopo un’attenta analisi, non era andata esattamente come se l’era immaginata.
 
Alessa, distesa in quel mondo bianco poco più grande di lei, non poteva fare altro che pensare; l’unica finestra sul mondo esterno era uno spioncino alla sua sinistra, ma si vedeva solo una parete grigia e beige: uno panorama che annoiava dopo cinque secondi. Pensava, e le voci sparivano. Pensava e la vista le tornava. Pensava e, se avesse potuto, sarebbe riuscita forse a sorridere. Quel bigliettino ce l’aveva ancora sua madre: chissà se Leon l’aveva ricevuto.
 
La prima volta che pensò a Cristabella, sentì lo stomaco contrarsi, uno strano prurito agli occhi ed una rabbia sempre più forte. Non le era mai capitato di odiare qualcuno e non sarebbe mai arrivata a pensare che la prima persona sarebbe stata proprio sua zia. Tuttavia, era strano: odiando sua zia, sembrava che persino il dolore diminuisse. Allora cominciò a pensare solo alla zia: man mano che sentiva l’odio crescere, il dolore al corpo diminuiva. Smetteva di pensarla solo in compagnia di Leon: lui le parlava, anche se sapeva che lei non poteva rispondergli.
 
“A proposito, ho una cosa da darti” disse improvvisamente. “Avrei dovuto dartelo prima, ma a quanto sembra, l’importante è che ti arrivi, no? E non te la prendere se ci ho messo tanto: ci ho messo parecchio anche a riceverlo”. Leon si alzò e fece una cosa che mai nessuno aveva mai osato fare: scostò la tendina e si affacciò. Alessa lo guardò: non c’era nessuna barriera tra i due. Dalla piccola fessura aperta dal corpo di Leon entrò una sottile aria fresca, che le accarezzò le piaghe. Chiuse gli occhi e si godette quel breve istante, in cui le sembrò di essere ancora fuori da quella tendina bianca, con il sole che le accarezzava la faccia ed il vento che giocava con i suoi capelli.
 
Quando Leon si ritrasse e la richiuse, la bambina si ricordò che non aveva più una faccia, men che mai dei capelli. Il sole non l’avrebbe mai più raggiunta e neanche il vento. Il vecchio mondo, con tutto ciò che amava, era chiuso fuori: ormai, il suo mondo era lo sterile, piccolo, vuoto e freddo interno bianco di un letto coperto da una tendina. Alzò lo sguardo e notò che Leon aveva messo qualcosa sulla tenda alta. Strizzò gli occhi e riuscì a metterlo a fuoco.
 
 
 
Vuoi essere il mio fidanzato?
[√] SI
[_] NO
 
 

Alla vista di quel bigliettino rimase colpita. Si sarebbe volentieri voltata verso di lui, ma non poteva muoversi.
 
“Certo che ce ne hai messo di tempo” borbottò la voce di Leon da fuori. Sembrava imbarazzato. “Comunque nessun problema; se ti servisse qualcosa…qualunque cosa…conta pure su di me”.
 
 
 
Era stata felice di vedere quel bigliettino. Leon, per i due giorni successivi, venne presto e si fermò fino a tardi. Parlava, sorrideva, le raccontava, senza stancarsi mai. Non riceveva risposta, ma era normale. Il bigliettino sembrò funzionare per i primi giorni, poi il ricordo di Cristabella tornò e la sua gioia si trasformò in un odio sempre più grande: per colpa sua, adesso che era fidanzata con un ragazzo, era costretta a letto, incapace di muoversi e parlare per il resto della sua vita.
 
Quel giorno sembrava uno dei soliti: lei chiusa lì dentro, ad ascoltare Leon parlare ed a pensare a sua zia, coltivando l’odio e sentendolo crescere ogni secondo di più. All’improvviso Leon cacciò un urlo e lo sgabello cadde. Alessa vide una piccola ombra stagliata sulla tenda. Guardando il profilo pensò che doveva essere una bambina. Il pensiero che le somigliasse arrivò successivamente. Quando tuttavia si affacciò dallo spioncino cambiò immediatamente opinione. Quella non somigliava a lei: quella ERA lei.
 
“Povera bambina…” cominciò. Aveva la sua voce, solo molto più fredda. “Sei messa veramente male. Chi ti ha fatto una cosa simile?”. Alessa rantolò. “Non c’è bisogno che ti sforzi di rispondermi: so tutto. La mia era solo una domanda retorica. La vera domanda è: adesso cosa vuoi fare?
 
“So che è frustrante dover stare tutto il tempo sdraiata dentro un affare del genere. Ti viene da pensare. E se pensi le cose giuste, finisce che scopri delle verità che prima avresti negato, ad esempio il fatto che tu sei in grado di odiare qualcuno. Sono qui per vedere fino a che punto odi tua zia”. In quel momento, Alessa pensò che qualcosa non quadrava: tanto per cominciare, perché quella bambina era identica a lei quando era…beh…diciamo quando era la figlia del demonio? Perché le stava dicendo quelle cose e con quella voce? E poi, come sapeva che era stata sua zia e come sapeva quello che provava lei in quel momento? Leon non parlava: guardava la scena con occhi sbigottiti, ma sapeva che si stava chiedendo le stesse cose.
 
“Mettiamola così: ti sto proponendo una scelta” continuò la bambina. “Preferisci restare qui inerme a vegetare per i pochi giorni che ti restano, pensando e odiando il mondo esterno? In questo caso, io qui non ho nulla da fare: così come sono venuto me ne vado.
 
“Ma puoi rendere loro pan per focaccia; con il mio aiuto, possiamo far capire loro cos’hanno fatto e farli pentire. Tu hai sofferto abbastanza: adesso tocca a loro, non credi?”. Appoggiò una mano sulla tenda. “Ti prometto che tutti sprofonderanno nel tuo incubo”.
 
“Alessa” esclamò Leon. La bambina si riscosse e lo guardò. Anche l’altra bambina si volse verso di lui.
 
“Volevi dirle qualcosa?” chiese, gelida. Lui annuì.
 
“Non ho ben capito da dove sei sbucata fuori, ma se puoi farla star meglio ti lascio carta bianca. Alessa, ricordati cosa ti ho detto: per qualunque cosa, conta pure su di me”.
 
 
 
Quando Leon si svegliò non era più in ospedale le pareti attorno a lui era scrostate e sporche ed una densa nebbia aleggiava nell’aria. Si alzò e si affacciò alla finestra. Davanti a lui, Silent Hill, tranquilla come sempre. Beh, dire tranquilla era un eufemismo: la città era avvolta da un innaturale silenzio. Per quanto tendesse l’orecchio, non sentì macchine, voci, neanche qualche corvo gracchiare. Sembrava che il tempo si fosse fermato. Lo sguardo inespressivo del giovane continuò a vagare per la città, poi si ritirò nella stanza: l’attimo di riposo era finito. Per prima cosa, doveva andare a scuola, la sera in chiesa ed infine tornare all’ospedale. Il suo corpo era martoriato e coperto di chiazze di sangue rappresso: non se lo ricordava così. Faceva un po’ male, ma era stato lui a dirle che poteva contare su di lui: se lei voleva questo, glielo avrebbe dato, come ogni buon fidanzato. Allungò le mani nodose e grezze verso il comodino e, presa la grossa mannaia, si coprì la testa con quell’elmo arrugginito. Si chiese il perché di quella forma, ma non gli interessava particolarmente: ormai lui si era abituato.
 
Ed era conosciuto come Testa a Piramide, il Macellaio di Silent Hill.
 
 
 
 
 
ED ECCOCI QUA, ALLA PARTE DEI SALUTI.
FRANCAMENTE NON ERO MOLTO CONVINTO DEL FINALE, MA E’ QUELLO CHE, A MIO AVVISO, AVREBBE AVUTO PIU’ IMPATTO. DITEMI CHE NE PENSATE.
E SIAMO GIUNTI ALLA FINE DI UN’ALTRA STORIA. UN PO’ MI DISPIACE, MA NE COMINCERO’ UN’ALTRA, MAGARI IN UN ALTRO CONTESTO.
RINGRAZIO TUTTE LE PERSONE CHE HANNO RECENSITO E CHE RECENSIRANNO, CHE HANNO SEGUITO LA STORIA FINO ALLA FINE ED ANCHE COLORO CHE HANNO SOLO DATO UN’OCCHIATA.
SPERO CHE LA STORIA VI SIA PIACIUTA E CHE MI SEGUIRETE ANCHE FUORI DA SILENT HILL
CIAO A TUTTI E A PRESTO.
LEONHARD
 

   
 
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Silent Hill / Vai alla pagina dell'autore: Leonhard