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Autore: Emily Kingston    05/06/2011    6 recensioni
Tratto dall'omonimo film: Ricatto d'Amore.
- E’…è una pazzia, Hermione, mi meraviglio che proprio a te sia venuta un’ide del genere –
- Dovresti solo fingere di essere il mio ragazzo, non mi sembra così terribile – sbuffò.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Ginny Weasley, Harry Potter, Hermione Granger, Ron Weasley | Coppie: Ron/Hermione
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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Capitolo otto
(Ricatto d’amore)

 
Hermione inspirò profondamente, incontrando gli occhi beffardi di Sophia che la stava fissando, in attesa.
- Su, cara, non tenerci sulle spine – disse, impaziente, la zia.
Hermione abbandonò il volto della cugina e puntò gli occhi in quelli della zia.
- Io e Ron non stiamo insieme – disse, tutto d’un fiato e, per poco, il signor Granger non si strozzò con il sorso di vino che aveva appena preso.
- Cosa significa che non state insieme? – chiese la zia.
Hermione sentì gli occhi pungerle mentre una lacrima le inumidiva le palpebre e le ciglia.
- Significa – deglutì – significa che abbiamo fatto finta –
Ron abbassò lo sguardo, fissandosi i jeans scoloriti.
- E perché mai? – chiese, lievemente irritato, il signor Granger mentre sul volto si Sophia si apriva un sorriso soddisfatto.
- Perché non volevo deludervi. Voi eravate così felici…eri così felice – disse, rivolta alla madre, la quale teneva lo sguardo fisso sul suo piatto. – Eri ansiosa di conoscere questo fantomatico ragazzo, non vedevi l’ora, non sono riuscita a dirti che non esisteva, che l’avevi solo immaginato. Non prendetevela con Ron – si affrettò ad aggiungere – ha accettato di aiutarmi solo perché gli ho promesso una cosa in cambio –
- Perché l’hai fatto, Hermione? – domandò, atona, la signora Granger, mantenendo ancora lo sguardo fisso sul tavolo.
- Tu…tu credevi che fossi…fossi –
- Innamorata, Hermione, ecco cosa credevo che fossi! – gridò, alzando lo sguardo su di lei.
Aveva gli occhi lucidi ma il suo sguardo era fermo e austero; a Ron ricordò lo sguardo che gli rivolgeva Hermione alla fine dei loro litigi, ferito ma sempre e comunque forte e fiero.
- Hermione – sussurrò, cercando di prenderle la mano.
La ragazza fuggì la sua stretta e si allontanò dal tavolo.
- Ho bisogno di fare due passi, se volete scusarmi – sussurrò, affrettandosi verso la porta.
- Hermione! – Ron si era alzato in piedi ma il suo richiamo fu sovrastato dallo sbattere della porta d’ingresso.
Il silenzio si dilungò per diversi minuti, interrotto solo dal respiro sommesso di Ron e da quello tremante della signora Granger.
- Io l’avevo detto che fingevano – disse, Sophia, mordicchiando un’albicocca.
La madre la guardò in cagnesco e la ragazzina alzò le spalle in segno di scusa.
- Vai – la voce della signora Granger rimbombò nel silenzio. La donna alzò gli occhi su Ron e lo guardò decisa. – Vai! – l’incitò.
- Io…io…- balbettò, arrossendo sulle orecchie.
Jane sorrise.
- Non farla scappare di nuovo, so che è successo tante volte – disse.
Ron inarcò un sopracciglio e la guardò, sorpreso.
- Lei come…? – chiese, imbarazzato.
- I tuoi occhi – rispose, semplicemente, la donna. – La guardi come se fosse la cosa più bella di tutta la terra. E adesso vai o ti seminerà – sorrise e Ron annuì, correndo verso la porta che, per la seconda volta in pochi minuti, sbatté rumorosamente.
 
Hermione corse a perdifiato tra la folla, urtando i passanti ed inciampando sulla sporcizia che abbondava sul marciapiede scuro.
Soho era affollato anche a quell’ora di sera.
Alzò gli occhi al cielo, notando le piccole lanterne rosse che illuminavano le strade e non poté fare a meno di ricordare quella frase che aveva letto pochi anni prima su un libro che aveva trovato in casa “Soho non dorme mai, è a Soho che risiede l’anima di Londra”.
Un buon odore di kebab si diffuse nell’aria quando passò accanto ad una bancarella sul ciglio della strada gestita da un grasso uomo indiano che, sorridente, offriva un pasto ai passanti.
La sorpassò, incontrandone un’altra gestita da un’orientale che smerciava involtini primavera e poi un’altra gestita da un uomo dai lunghi capelli neri e la folta barba brizzolata, il quale le offrì un semplice hot dog con ketchup e maionese.
Rifiutò e riprese a correre, intravide anche una bancarella che vendeva magliette e capellini per i turisti ed un’altra, appena all’incrocio con Charing Cross Road che offriva souvenir.
Le sorpassò entrambe e continuò a camminare a passo svelto, cercando di mettere più distanza possibile tra lei e casa sua.
Si fermò soltanto quando sentì lontano il vociare di Soho e vide una panchina solitaria, celata da un cespuglio, in una silenziosa e deserta Leicester Square.
Si lasciò andare sulla panca, appoggiando la schiena al duro schienale di pietra e sospirò, reclinando il collo all’indietro ed osservando il cielo che, quella notte, quasi brillava di luce propria per quanto era limpido e ricco di piccole stelle argentee.
- Sei una stupida – si disse, notando come un gruppetto di stelle formasse la parola che più in quel momento la rappresentava: liar.
Sentì le lacrime pungerle gli occhi quando una grande mano si posò sulla sua spalla, delicata, ed un sorriso più brillante delle stelle apparve davanti ai suoi occhi.
- Ti ho cercata ovunque –
 
Ron era uscito di corsa da casa Granger e si era ritrovato nella confusione che, anche a quell’ora insolita, affollava le strade di quel quartiere della Londra babbana.
Si guardò intorno, freneticamente, cercando di individuare qualsiasi cosa potesse dirgli da che parte era andata Hermione quando, mentre osservava un banchetto che vendeva kebab caldi, vide una ribelle chioma castana saettare tra i passanti.
Si affrettò, scansando le persone e cercando di non inciampare sui suoi stessi piedi e, arrivato al banchetto del kebab, la vide ferma a guardarsi intorno.
Riprese a correre, diretta verso l’incrocio, e lui tentò di seguirla, ma la perse presto di vista in mezzo alla calca che lo costringeva sul marciapiede impedendogli di attraversare la strada e raggiungerla.
Da lontano, al fianco di una bancarella che vendeva souvenir, la vide correre verso una piazza poco illuminata e deserta e poi sparire dietro ad un cespuglio.
Riuscì, spintonando qualche passante, ad arrivare alla strada e corse verso la piazza, ma non c’era nessuno. La statua troneggiava solitaria al centro, vegliando su essa nel silenzio della sera, quando, all’improvviso, notò un movimento dietro ad un cespuglio.
Si avvicinò e la vide, seduta sulla panchina che guardava il cielo.
Sorrise e camminò fino a lei, appoggiandole una mano sulla spalla; lei sussultò e si voltò, incontrando il suo volto.
- Ti ho cercata ovunque –
 
Ron si sedette al fianco di Hermione, osservando silenziosamente le piccole lanterne rosse che illuminavano le strade in mezzo alle quali era rimasto bloccato alcuni minuti prima.
- Come mai sei venuto? – chiese la ragazza, guardando ostinatamente il banchetto dell’indiano che vendeva kebab e che, in quel momento, stava porgendo ad un uomo sui quaranta un caldo panino.
Ron alzò le spalle e si rilassò contro lo schienale della panchina.
- Non volevo lasciarti andare, di nuovo – disse, ignorando il rossore che aveva colpito le sue orecchie. – Tua madre non è arrabbiata con te, comunque, e dovresti fregartene di ciò che pensa Sophia – disse, incrociando le mani dietro la testa e perdendo le sguardo tra le stelle.
Hermione deglutì.
- Scusami – disse.
- Per cosa? –
- Non avrei dovuto trascinarti in mezzo a tutta questa cosa, io…io sono una stupida – si coprì il volto con le mani e sospirò.
- Ero d’accordo. Me l’hai chiesto e ti ho detto che andava bene –
Hermione annuì, rilasciando il volto e volgendo lo sguardo verso il cielo con un sospiro.
Sentì la mano di Ron scivolare lungo la panchina e posarsi delicatamente sulla sua, ricoprendola.
- Come fai Ron? – gli chiese, senza smettere di fissare il cielo stellato.
- A fare cosa? – domandò, guardandola confuso.
- Ad esserci sempre quando ho bisogno di te –
Ron arrossì, imbarazzato, ed abbassò lo sguardo sulle loro mani.
- Beh, suppongo che sia esattamente ciò che l’amore dovrebbe fare – disse, prendendo un lungo e profondo respiro.
Non aveva più senso aspettare; da quando aveva provato cosa voleva dire averla tutta per sé non aveva pensato ad altro e non avrebbe più avuto alcun senso rimanere indifferenti alla voglia che aveva di poter assaggiare nuovamente le sue morbide labbra.
Hermione si voltò verso di lui, sgranando gli occhi, sorpresa.
- Cosa vuoi dire? – balbettò, il cuore che martellava forte nel petto, sconquassandolo.
Ron inspirò, poi, alzando gli occhi al cielo, iniziò a parlare.
- Voglio dire che mi piaci, Hermione. Mi piaci da…da sempre. Mi sei piaciuta sempre, non ricordo un giorno della mia vita in cui non mi sia piaciuta tu – le parole uscivano dalle sue labbra lente, calcolate, scelte; alle sue orecchie sembrava quasi che stesse parlando qualcun altro al posto suo.
- Voglio dire che voglio stare con te, per davvero, se tu mi vuoi –
Hermione annuì.
- Certo – pigolò – certo che ti voglio –
Il volto di Ron si voltò lentamente verso il suo, un sorriso allegro a deformargli le labbra, mentre la stretta della mano del ragazzo sulla sua si faceva più sicura.
Allungò una mano e, con la punta delle dita, le sfiorò una gota, poi il profilo delle labbra, poi la mascella, poi la linea del collo.
Infilò le dita tra i suoi ricci, appoggiandole alla base del suo collo mentre Hermione chiudeva gli occhi, beandosi della consapevolezza che, pochi istanti, e le labbra di Ron sarebbero nuovamente state sulle sue e non sarebbe stato per finta, sarebbe stato vero, sarebbe stato giusto.
Le attese trepidante finché non le sentì su di sé che, desiderose, lambivano le sue, assaggiandole piano, mordicchiandole, deliziandole con fuggevoli carezze.
Si aggrappò alle spalle di Ron, spingendo il suo volto più contro quello del ragazzo, muovendo arrendevole le labbra sotto le attenzioni di quelle di lui che, esperte, la torturavano deliziosamente.
Si allontanò da lui quando l’aria iniziò a mancarle, un po’ per la cessata respirazione un po’ per l’emozione stessa.
- Oddio – disse, tastandosi le gote umide e febbricitanti – mi dispiace – balbettò, arrossendo.
Ron le sorrise dolcemente, avvicinandosi di nuovo a lei.
- E di cosa? Ti dispiace essere così bella? – le disse, baciandola dolcemente, piano, assaporando attimo per attimo le sue labbra.
Hermione socchiuse gli occhi, abbandonandosi al contatto con le labbra di Ron.
Sorrise sulle sue labbra, stringendosi a lui.
- Quindi stiamo insieme – disse Ron, quando Hermione si allontanò da lui ed appoggiò il capo sulla sua spalla.
Hermione rise, riempiendo l’aria della sua risata cristallina.
- Mi pare che in questi casi ci voglia una proposta – ridacchiò.
- Attenta che lo prendo come un sì – rispose, alzandole il mento con le dita.
Hermione osservò i suoi occhi azzurri che la guardavano beffardi.
- Va bene – mugolò quando, nuovamente, le labbra di Ron cercarono le sue.
Rimasero a baciarsi su quella solitaria panchina sotto lo stellato cielo di Soho per tutta la sera, desiderosi di ritagliarsi un momento solo loro.
Quando tornarono a casa, qualche ora più tardi, Hermione non riuscì a prendere sonno, ancora elettrizzata a causa degli eventi accaduti appena poco prima.
Si rigirò nel letto, attenta a non svegliare il ragazzo che le dormiva accanto, ed osservò il cielo stellato fuori dalla finestra.
Sorrise, ripensando a tutto ciò che era accaduto nelle ultime due settimane. La lettera di sua madre, il patto con Ron, l’arrivo a Londra, l’incontro con la zia, quella sua confessione, forse, un po’ troppo teatralmente drammatica ed, infine, la panchina di Leicester Square.
Le venne quasi da ridere all’idea che fosse nato tutto da uno stupido ricatto.
Sì, perché il suo era stato un ricatto; uno sporco ricatto d’amore.
  

   
 
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