Crossover
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Autore: macchese    08/06/2011    2 recensioni
"Superman è morto" annuncia un attonito giornalista dentro uno schermo. Ed il mondo vacilla. Le cause vengono insabbiate, ma un uomo sa. Brutal. Un uomo che ha perso tutto ciò che aveva di prezioso. In uno scenario corrotto, vile, che si vende al migliore offerente, un solo desiderio. Dimostrare perchè il mondo non ha bisogno di eroi.
Genere: Azione, Drammatico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Fumetti, Telefilm
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Il quarto giorno Basta una scintilla.


Il quarto giorno


Cenere, desolazione e resti di qualcosa che aveva un nome, si materializzano davanti al mio sguardo, sulla strada, calvacata a velocità costante. Il sole alle mie spalle proietta raggi ed ombre sull'asfalto sconnesso. Il cielo azzurro contrasta una magnificenza avvilita attraverso un paesaggio distrutto dall'incontrastato fine ultimo dell'umanità: la guerra. L'annientamento reciproco. L'estinzione. Tutto intorno è polvere combusta. I pochi edifici sopravvissuti sono diroccati, guasti, disossati in modo innaturale. Privati delle parti importanti, sembrano volersi lasciare andare da un momento all'altro, crollando inesorabilmente in un mucchio informe di calcinacci. Il sole illumina ancora di più il cemento cupo. Tutto qui è stato annerito e consumato dalle fiamme. Alte, roventi fiamme del più grande incendio che la storia ricordi. E tutto brucia.
Sono rimasti solo precari resti carbonizzati di abitazioni infestate da cumuli di sciacalli. Un bel posto dove nascondersi, ma bello per nient'altro. La città fantasma. Così la chiamano coloro che lambiscono la zona, e chi ha paura vedendo di aver sbagliato strada, mentre inserisce la retromarcia e cerca di aggirare il problema. Il pericolo è dietro ogni angolo, vero, ma il pericolo si nasconde sempre dietro gli angoli. E quello maggiore sono i "fantasmi". Piccoli gruppi di predatori nascosti tra le rovine, pronti a tutto. Rari da incontrare, ma nemici terribili una volta trovati sulla strada.
Ed ai confini di tutta quest'aria che sa ancora di fuoco e lamento, casa mia. Bunker di Stryker, ricavato dalle fondamenta di un villino superstite, sotto la superficie, inosservato. Davanti ad un complesso di edifici aggrappati fra loro, devastati e sostenuti dal loro stesso crollo, in attesa del colpo di grazia che ponga fine alla loro sofferenza. Accedo tramite un capiente montacarichi nascosto in un fabbricato accanto, finendo con l'imboccare un breve corridoio che mi porta all'ingresso di un ascensore. Appartemento, poligono/laboratorio, ed un terzo livello. Numero uno, appartamento. Mi svesto, depongo spada, pistole, pugnale. Una rinfrescata è tutto quello che desidero. Mi getto sotto la doccia, lavando via sudore e violenza, rilassando muscoli e pensiero. Mi guardo allo specchio. Nella testa rimbalzano folli ragionamenti, treni impazziti senza una destinazione, senza una stazione in cui riposare. Una barba spessa comincia a coprire il mio viso. Un rasoio elettrico mi permette di livellarla, una volta legati i capelli sopra la testa. Guardo in un paio di occhi stanchi, imploranti riposo. Sotto il mio mento brilla ancora la bruciatura provocata da Lois. La trovo fuori dal mio bagno. Sta in silenzio, mi osserva. Addosso ho solo un paio di pantaloni e quando mi giro, nota il tatuaggio sulla mia schiena.

    -Quelle sono...- chiede -...ali?- Mi sposto. Una lampada illumina la mia schiena. -Ali... strappate?-

    -Più o meno...- le rispondo. Lei si avvicina. -Non vorrai aggredirmi vero?-

    -Cosa significano?-

    -Tante cose. Ognuno finisce col vederci quello che vuole.-
La sua attenzione si sposta su un modesto assortimento di cicatrici che si azzuffano sul resto della mia schiena. Proiettili, scheggie, e quant'altro.

    -E questa?- chiede, riferendosi ad una piuttosto marcata sul mio fianco, a metà strada tra spalla e vita.

    -Una scheggia di metallo mi ha trapassato da parte a parte, durante un'esplosione. Grazioso ricordo di un inverno di tanti anni fa.- Lei ci passa sopra le dita, facendomi scorrere un brivido sul fianco. -Ah... ma, che fai?-

    -Scusa.- Ritorna nella realtà. Mi guarda un'ultima volta e scappa via. Non capisco questa donna. Ho solo voglia di dormire.



Quando mi sveglio è il quarto giorno. Ho dormito parecchio ed è quasi mattina, di nuovo. E' ora di prendere il mio drink al gusto "homo bellator". Quattro giorni sono passati, quattro ne restano. Al prossimo e conclusivo cocktail ed all'operazione "piano A". Tra quattro giorni celebreranno anche la dipartita di Clark Kent, ed è forse il caso di parlarne a Lois. Se non altro, è un buon motivo per levarsela di torno. Mi toccherà anche trovare un modo per non farle ritrovare la strada di casa, in questo caso la mia. Magari accompagnata ad un esercito. Non sarà difficile, questa città è un labirinto fatto di cenere. Ammesso che voglia tornare. Non ci si tuffa in piscina il giorno dopo essere quasi affogati.
La cerco nella sua prigione di legno e tessuto. Apro la porta e lei sobbalza, avvolta in un lenzuolo bianco che, lo ammetto, sta molto meglio a lei di quanto stesse al materasso. Devo parlarle, ma alla domanda di un po' di privacy per ricomporsi, mi fa cenno di entrare.

    -Devi sapere...- esordisco, seduto all'estremità del letto -che tra quattro giorni ci sarà il funerale... di Clark.- E mi accorgo di quanto suoni improbabile parlare del funerale di un uomo che ho spedito personalmente nella bara.

    -Ah...- dice. Solo questo. 

    -Ah... Dici. Solo questo?- Questa donna è un vero casino.

    -Cosa dovrei dire? Piuttosto, perché me lo dici?-

    -Perché è giusto che tu lo sappia.-

    -Detto da uno che non sa la differenza tra giusto e sbagliato...-

    -Ecco. Di nuovo. Come al solito, dimostri di non aver capito.- Lei sussulta, come offesa.

    -Io?-

    -Tipico. Qualcuno pensa che una cosa è sbagliata solo perché non coincide con la propria opinione. Facile.-

    -Tu giustifichi... un omicidio?-

    -Visto che ti piace rispondere alle domande con un'altra domanda, dimmi: quanta gente hai visto morire?-

    -Io...-

    -Quanta?!-
Lei sta in silenzio, con lo sguado basso, abbracciandosi avvolta in quel lenzuolo.

    -Già...- proseguo -Un sacco di gente rischia la vita e la maggior parte non ce la fa. Nessuno piange per loro.-

    -E questo cosa vuol dire?-

    -Nessuno merita di morire. Quasi nessuno.- mi correggo -Ma a nessuno importa.-

    -Non si può piangerli  tutti...- risponde. Ora mi segue. Poi, continua -Ma allora perché non mi hai ancora ucciso?-

    -Non voglio farti del male. Non mi hai dato motivi. Non ancora.- puntualizzo. Si volta, cambia radicalmente discorso.

    -Come sta il mento?-

    -Bene.- si avvicina per controllarmi la ferita.

    -Quello era un buon motivo. Eppure, niente.- si chiede.

    -E' solo un graffio...-

    -Si...?- ancora scrutando la ferita.
E qui, mi accorgo di quanto fosse sbagliata la mia concezione del termine "folle". In un istante. Con la mano mi spinge sul letto, sdraiandomi sulla schiena. Si libera del lenzuolo, facendolo scomparire dietro le spalle mentre si siede a cavalcioni su di me. Nuda. Completamente nuda, mi offre la sua prospettiva migliore. Mi appoggia le mani sui pettorali e si avvicina a me. Le sue dita scorrono fin sopra i miei addominali. Arriva a pochi centimetri dalle mie labbra. Che cazzo succede? 
Sento il suo respiro sulla faccia, e questo mi risveglia dall'assurdo. La afferro per le spalle e la ribalto sul letto. In un istante, si ricopre nuovamente sotto il lenzuolo. Folle.

    -Ma che stai facendo?!-

    -Perché sono ancora viva?!- 




 


  
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