Dinanzi ad un
camino spento, sprofondando in una rossa e
comoda poltrona, James Sirius Potter sfogliava distrattamente il libro
di
Incantesimi. Sotto di esso, sulle sue ginocchia, ben nascosta la Mappa
del
Malandrino a cui, di tanto in tanto, dava un’occhiata.
“Cosa
fa di bello Lisuccia?”
“Credo
studi, è in biblioteca…”
James
spalancò gli occhi, sobbalzando e voltandosi a fissare
suo cugino Fred con un cipiglio seccato e indispettito.
L’altro, dal canto suo,
scoppiò giustamente in una sonora risata. Non era la prima
volta che riusciva
ad incastrarlo in un simile tranello, sicuro che il primo pensiero
dell’altro
fosse proprio l’amichetta d’infanzia, la giovane
Serpeverde.
“E’
indubbio caro cuginetto, l’unico sano di mente nella
nostra famiglia, sono io!”
Alla smorfia di
James, l’altro gonfiò il petto, continuando
a parlargli con malcelata supponenza, forte delle assurde condizioni in
cui
tutti gli altri erano precipitati.
“Miseriaccia,
siete Grifondoro o sbaglio? Siete Weasley o
sbaglio? Rose si crogiola nella sua apatia, tu rifiuti di tirar fuori
le palle,
persino Dominique si è rammollita!”
“La
mia situazione è completamente div…”
“Diversa?
Davvero? Qui si parla di sentimenti Jamie, di
amore. E tu te la fai sotto, è questa la verità!
Merlino, sei stato tirato su a
pane e coraggio e ti tiri indietro alla prima tremarella?”
“Non
si tratta di paura!”
“Di
cosa, sentiamo… “
Era raro che i
due cugini, sempre ligi alle burle e al
divertimento, si impelagassero in simili discorsi. Il più
delle volte si
dilettavano in argomenti frivoli per il solo piacere di parlare e stare
l’uno
accanto all’altro. Ma come la vita vuole, si cresce e arriva
il momento di
appendere i giocattoli al chiodo per affrontare tutt’altro,
che di divertente
aveva ben poco.
James si
rialzò, avvicinandosi al camino e compiendo qualche
passo avanti e indietro, portò una mano a scompigliare quei
capelli neri, già
indomabili e sospirò pesantemente. Fred lo fissava con
sguardo deciso, l’idea
di far cadere il discorso non gli sfiorava neppure.
“Vedi,
il fatto è che… “
Non
terminò la frase, un’agitata Lisa Baston
attraversò il
ritratto della Signora Grassa, e in pochi passi fu davanti a James che,
per
puro spirito di sopravvivenza, indietreggiò. A suo dire, gli
occhi della
ragazza mandavano lampi che avrebbero potuto incenerirlo da un momento
all’altro.
“Cosa
cazzo significava quella domanda?”
“Perché
tutta l’armata Serpeverde ha la nostra parola
d’ordine?”
“Rispondi
per la miseria!”
Il giovane
Grifondoro si voltò lentamente verso il cugino
che, lungi dall’aiutarlo, sghignazzava allegramente,
rialzandosi poi e strizzando
l’occhio ai due.
“Io me
ne vado a dormire! Lisuccia non me lo ammazzare, ho
idea che potrebbe mancarmi!”
E
trottò gioviale fino al dormitorio maschile, sotto lo
sguardo esasperato e deluso di James. A che serviva avere quella
caterva di
cugini se, quando ne aveva bisogno, non erano mai nei paraggi a dargli
manforte? Sospirò, affondando le mani nelle tasche e
riportando lo sguardo su
Lisa che , braccia incrociate, sembrava non volersi muovere di un
millimetro.
“Cosa
credi significasse?”
“Perché
non me lo dici tu?”
“Magari
perché non ne ho voglia?”
“Potremmo
smetterla di rispondere ad una domanda con
un’altra domanda?”
“Hai
iniziato tu!”
“AHHHHH!”
Lisa
portò le mani alla testa, accasciandosi sul divano
vicino, dondolando il corpo avanti e indietro e infine avvicinando il
capo alle
ginocchia. James, che era sobbalzato per l’urlo disumano,
puntò lo sguardo
oltre le scale del dormitorio maschile dove gli era sembrato di sentire
qualcosa. Fu distratto nuovamente dai movimenti della ragazza e dai
suoi
borbottii. Le si avvicinò cauto, indietreggiando ancora
quando lei rialzò il
capo.
“Sono
stanca James, sono davvero stanca. Decidi quando
entrare nella mia vita e quando andare via, ma io non sono una bambola.
Non
puoi giocare con me e poi rimettermi nella scatola. E non hai idea di
quanto
sia difficile amare qualcuno che continua a deluderti.”
Si
rialzò, avvicinandogli e puntandogli quegli
occhi chiari e lucidi nei suoi, pretendendo
almeno un contatto visivo. James la osservava, restando immobile
dinanzi a lei,
non accennando a replicare.
“La
risposta alla tua domanda è si, ti amo ancora. Ti ho
amato quel giorno di tanti anni fa, quando trovai quel quadrifoglio. Ti
ho
amato quando ti chiamai per la prima volta Potter e quando abbiamo
iniziato a
non rivolgerci più la parola. Ti ho amato
quest’estate quando mi hai baciato
per la prima volta e in questi mesi che hai afferrato il mio cuore solo
per
giocarci quasi fosse un boccino d’oro.”
Un altro passo
verso di lui, nemmeno un metro li divideva.
La voce di Lisa era calma, lei stessa sembrava tranquilla, o come aveva
affermato, semplicemente stanca.
“La
verità James è che ho dato il mio cuore, tanti
anni fa,
ad un ragazzino cocciuto e brontolone e non me lo sono più
ripreso.”
“Lisa
io…”
“Dimmelo
James, dì che hai paura così come ne ho io.
Ammetti
che un Grifondoro se la sta facendo sotto e non solo per me, ma per
Dean, per
tutto. Quando riuscirai ad accettare che anche tu sei fatto di carne e
ossa, sarà
tutto più chiaro”
E si
voltò, avanzando di qualche passo lontano da lui,
voltandosi un’ultima volta prima di attraversare il ritratto
e andare via.
“Ma
non metterci troppo, ti ho già dato metà della
mia vita,
non so se valga la pena dartene ancora.”
E James la
osservò sparire dietro il dipinto, portando le
braccia lungo i fianchi e boccheggiando, confuso, stordito. Si
voltò solo
quando Fred, sgranocchiando una mela, scese gli ultimi gradini,
rivelando la
sua presenza.
“Cazzo
Jim Jim, sei sicuro di non averle date a lei le tue
palle?”
***
Stesa accanto a
lui, su un letto apparso nella stanza delle
Necessità, dove entrambi avrebbero passato la notte,
Angelica ascoltava rapita
ogni parola che dalle labbra di Dean usciva. Quella sera le aveva
raccontato la
sua storia, attimo dopo attimo,
dolore dopo dolore. Le aveva parlato di quel giorno in cui
scoprì di essere
malato, del momento in cui l’aveva rivelato a James, e ai
suoi migliori amici.
Di quando, coraggioso o semplicemente rassegnato, aveva accettato la
sua
condizione.
E di come aveva
sentito ogni convinzione crollare, una volta
che lei era entrata nella sua vita. Di come aveva cercato di impedirlo
e di
come avesse fallito. Di come si fosse innamorato di lei, guardando ben
oltre
l’apparenza e della prima volta che aveva desiderato con
tutto sé stesso essere
diverso, esserlo per lei.
Stringeva la sua
mano Angelica, con forza, senza nemmeno
rendersene conto. Ogni parola era un graffio in più al suo
cuore, una crepa che
contribuiva a lacerarlo completamente. Si era imposta di essere
coraggiosa, di
esserlo per lui, ma il dolore che provava iniziava ad essere
insopportabile,
ogni giorno di più. L’idea che da un momento
all’altro avrebbe potuto perderlo,
la paralizzava. E andava avanti, aggrappandosi ad ogni istante, ad ogni
sguardo,
ad ogni gesto, con terrore.
“ Sei
tutto ciò per cui vivo, Dean. Non so cosa sarà di
me,
quando tu non ci sari più”
Il ragazzo
l’abbracciò, lasciando che posasse la testa sul
suo petto, ascoltando i battiti di quel cuore meschino, malato. La sua
mano
carezzava con delicatezza ciocche dei suoi biondi capelli, sfiorandone
con dita
tremanti il viso.
“Vivrai
per te stessa, Angelica. Per la persona meravigliosa
che sei, per la straordinaria strega che diventerai”
Le
posò una mano sul mento, rialzandole il viso così
da
poterla guardare negli occhi.
“Promettimelo,
Angelica. Promettimi che vivrai”
E lei
annuì, avvertendo quel groppo in gola che minacciava
di sciogliersi. Non pianse nemmeno quella volta, non poteva. Sentiva il
respiro
irregolare di Dean solleticarle il volto e chiuse gli occhi,
baciandolo.
Sfiorando la sua bocca con una dolcezza che nemmeno sapeva le
appartenesse,
guidata da un sentimento che avvolgeva ogni parte del suo essere, che
la
infettava con un’intensità tale da stordirla.
Fecero
l’amore quella notte, con passione e ingordigia, lo
fecero più e più volte senza mai stancarsi del
sapore dell’altro. Lo fecero
come se quella fosse stata la loro ultima volta, ignari che il loro
presentimento si sarebbe rivelato corretto.
Angelica non
dormì molto quella notte. Rimase accanto a lui,
sfiorando la sua pelle, guardando ogni piega del suo volto per
imprimere nella
memoria ogni dettaglio dell’uomo che amava. E pianse,
finalmente riuscì a
versare quelle lacrime che aveva trattenuto con tanta
volontà. Lacrime che
bagnarono il suo volto e quello di Dean, unendo ancora di
più due corpi che da
lì a poco tempo, sarebbero stati divisi per sempre.
***
La sala Comune
dei Serpeverde era semivuota quella sera. Il
solito divano nero, di fronte ad un camino spento, era occupato da un
Albus
sonnecchiante, una Rose immersa nella lettura di un libro decisamente
enorme e
uno Scorpius che, più che prestare attenzione al suo tema,
continuava ad
osservare la sua migliore amica.
Ma
l’apparente quiete fu interrotta dall’arrivo di
un’agitata
Lisa Baston che, dando un calcio al divano, fece sobbalzare il povero
Al e
rialzare il capo degli altri due.
“L’ho
fatto!”
“Fatto
cosa?”
“Ho
detto a James che sono da sempre innamorata di lui e…
“
Al sorrisino
malizioso dei due Serpeverde e all’aria
sbigottita e insieme soddisfatta di Rose, Lisa tentennò
prima di continuare.
Sospirò, irrigidendosi agli sguardi che la osservavano
curiosi e maledisse la
sua idea di metterli al corrente di quanto accaduto solo pochi minuti
prima. Ma
sentiva il bisogno di parlare con qualcuno e non voleva infastidire
Angelica,
occupata in qualcosa di molto più importante che ascoltare i
suoi
vaneggiamenti.
“…
e gli ho anche ordinato
di darsi una mossa perché non lo avrei aspettato
per tutta la vita”
Bugiarda, sapeva
bene che non avrebbe amato mai nessun
altro, non a quel modo.
“Ben
detto! Persino zio Ron si è deciso dopo soli
sette anni!”
Rose
lanciò un’occhiataccia risentita al cugino,
spintonandolo con una gomitata, per poi riportare
l’attenzione su Lisa. Quest’ultima
sapeva quanto la Grifondoro la
conoscesse, e quanto poco potesse convincere lei del fatto che prima o
poi si
sarebbe arresa. Entrambe sapevano che quel giorno non sarebbe mai
arrivato e
con uno sguardo, riuscirono a comunicarselo.
“In
fondo… tutti prima o poi gettano la spugna in
amore”
Alle parole di
Scorpius, tutti presero a fissarlo perplessi.
Era raro che il ragazzo si lanciasse in simili disquisizioni,
solitamente ne
fuggiva come se quei discorsi sull’amore potessero
infettarlo. Evidentemente,
pensò Lisa, qualcosa in lui era cambiato.
Rose aveva
sgranato gli occhi, guardandolo con un’espressione
sia esasperata che stupita. Visti i precedenti tra loro, quelle parole,
uscite
dalle sue labbra, risultavano
quanto
meno bizzarre e non poté non scorgervi, allo stesso modo,
una sfumatura di
accusa e rimpianto.
“Non
tutti… mia madre non l’ha fatto, zia Ginny
nemmeno,
senza contare Fred e la qui presente Serpe bugiarda”
Lisa
roteò gli occhi, sospirando. Lanciò
un’occhiata
eloquente ad Al che tuttavia non sembrava intenzionato a perdersi
quella
conversazione che si prospettava decisamente interessante.
Cercò di richiamare
la sua attenzione, senza ottenerla. Fin quando, esasperata, non lo
afferrò per
un braccio, trascinandolo fuori dalla Sala Comune, ignorando bellamente
le sue
proteste.
Naturalmente
né Scorpius, né Rose si accorsero della
dipartita dei due, troppo impegnati a fronteggiarsi e perdersi nello
sguardo
deciso dell’altro.
“E
tu?”
Rose
sussultò, deglutendo amarezza mischiata alla saliva.
Sentiva le labbra secche e la gola ardere e pensò,
scioccamente, che avrebbe
desiderato bere dell’acqua. Fissava l’espressione
del ragazzo, un misto di
attesa e rassegnazione. Com’era possibile che due emozioni
così diverse
albergassero sullo stesso volto pallido?
Non rispose,
distogliendo lo sguardo per puntarlo su un
punto imprecisato della stanza, fin quando non ricadde,
inconsapevolmente, sul
libro di fiabe che tante volte gli aveva letto. Ripensò alla
favola babbana che
Scorpius tanto amava, alla storia di quel ranocchio che
riuscì a riprendere le
sue sembianze solo dopo aver trovato il vero amore.
Un amore che
l’avrebbe reso libero. Il
suo di amore invece, l’aveva resa schiava del dolore,
incatenandola ad un’insana illusione. Il ragazzo
seguì il suo sguardo,
soffermandosi anch’egli ad osservare il libro. Lo prese,
aprendolo e leggendo
lui stesso quella fiaba tanto amata e odiata al contempo. Le pagine
erano
consumate, le parole quasi illeggibili, ma non fu difficile per lui
continuare.
Ogni frase era marchiata nella sua mente.
“Nei tempi
antichi, quando desiderare serviva ancora a qualcosa, c'era un re, le
cui
figlie erano tutte belle, ma la più giovane era
così bella che perfino il
sole, che pure ha visto tante cose, sempre si meravigliava, quando le
brillava
in volto…”
E lesse, lesse
fino all’ultima parola, rialzando lo sguardo su Rose, il cui
viso iniziava a
bagnarsi di lacrime che, timide, sgorgavano da quegli occhi di un
azzurro
meraviglioso. Scorpius chiuse il libro, avvicinando la mano al suo
volto,
carezzandolo lievemente e cancellando, col pollice, il suo dolore.
“ Tu sei la
mia
principessa Rose. Sei tu che hai sciolto l’incantesimo in cui
il mio animo era
intrappolato. Tu mi hai risvegliato, dandomi speranza, affetto. Hai
visto in me
ciò a cui gli altri non volevano badare, sei andata al di
là del mio nome e del
mio passato. Tu che più di tutti, avresti dovuto odiarmi, mi
sei stata vicina,
sempre, offrendomi la tua mano e il tuo cuore. Ed io, povero stolto,
non avevo
capito che tu sei sempre stata l’unica, la sola persona che
avrei potuto
amare.”
La voce era
roca, bassa. Rotta dal terrore di un rifiuto, di un addio. Senza
riflettere,
aveva deciso di aprirle il suo cuore perché quel peso era
diventato troppo
grande perché lui solo lo sopportasse. Voleva condividerlo
con lei, avrebbe
voluto condividere tutto con lei, con la sua
migliore amica, con la
donna che amava.
Si sorprese a
ridere di sé stesso, a pensare a quanto trovasse giusto
starle lontano e a
quanto in realtà fosse sbagliato.
Non puoi sapere
quando e con chi accadrà,
ma se l’amore ti trova, non puoi respingerlo, cazzo!
“Ti amo
Rose,
dimmi che il tuo cuore è ancora mio.”
E lei rimase
immobile, cercando di obbligare il proprio cuore a decelerare i
battiti,
costringendo il suo corpo a calmarsi e smettere di tremare.
Dimmi che il tuo
cuore è ancora mio
Lo è, lo
sarà sempre, maledizione!
E lo
baciò, con
violenza e passione, con desiderio e paura. Scorpius la strinse tra le
sue
braccia con possessione, avvicinandola a sé per tenersela
stretta ed impedirle
di allontanarsi ancora. Avevano giocato abbastanza, per un anno intero.
Ora era
arrivato il momento di affrontare la verità e una
realtà che li voleva insieme,
per il resto della loro vita.
E mentre due
anime si plasmavano, altre due, poco distanti, si allontanavano.
***
Si guardò
intorno Angelica, spesata e
terrorizzata. Riconobbe quel luogo come la strada che aveva percorso
quella notte,
la notte in cui era fuggita dalla sua famiglia, dalla sua vita. Indosso
aveva
gli stessi abiti, più stropicciati e consunti. Assottigliò le
palpebre quando una figura le
si avvicinò: era Dean.
Angelica lo
osservò attentamente, era diverso.
Sorrideva come aveva sempre fatto, ma nessuna sfumatura di tristezza
impregnava
la sua espressione, sembrava sereno come mai lo aveva visto. Gli si
avvicinò,
prendendogli una mano e sorridendo spontaneamente.
“Dove
siamo?”
Chiese, e lui si guardò intorno,
aggrottando la fronte.
“Non ne
sono sicuro, ma non è qui che devi
rimanere tu”
“Non
capisco”
“Sei in
ritardo, devi andare”
“Andare
dove? “
“Non sono
sicuro nemmeno di questo, Amore mio”
Angelica
sbatté più volte le palpebre,
avvicinandosi a lui e afferrando convulsamente il suo braccio. Un senso
di
terrore stava assalendola.
“Vieni con
me”
Lui
inclinò la testa, e questa volta
sorrise mestamente. Scosse appena il capo, prima di donarle un bacio
sulla
fronte e voltarsi, incamminandosi lontano da lei. Angelica
cercò di muovere un
passo, voleva raggiungerlo, ma non ne ebbe la forza. Tentò
di urlare, ma
nemmeno quello le riuscì.
E poi si
voltò, quando il pianto di un
bambino richiamò la sua attenzione, ma da nessuna parte
riusciva a scorgerlo.
Pensò di averlo immaginato e restò lì
impalata ad osservare la schiena di Dean,
a guardarlo andare via, via da lei.
Quella mattina
Angelica si era svegliata di soprassalto, guardandosi intorno e
calmandosi solo
quando, riabbassando lo sguardo, vide Dean al suo fianco.
Avvicinò l’orecchio
alle sue labbra e fu sollevata nel sentirlo respirare, seppur
irregolarmente.
Si rialzò cauta, riafferrando la divisa e indossandola
svogliatamente.
Avrebbe voluto
restare lì fino alla fine dei suoi giorni, ma Dean non
avrebbe mai permesso che
non si presentasse ai suoi M.A.G.O, che disertasse a quel modo il suo
futuro perché
lei, al contrario di lui, un futuro l’avrebbe avuto.
Già, ma a che prezzo,
pensò. Non voleva vivere senza di lui, non voleva
sopravvivere a lui.
Si
abbandonò
sul letto, sfiorando con le dita quel volto tranquillo, passando una
mano tra
le ciocche castane e sorridendo quando il ragazzo emise un mugolio di
piacere.
L’attimo dopo aveva riaperto gli occhi e la fissava ancora un
po’ stordito e
assonnato. L’attirò a sé, baciandola
con impeto e adagiandola poi sul suo
petto. Restarono stretti l’uno all’altro ancora per
molto tempo, fin a che l’orologio
non segnò l’ora di andare via, di lasciare la
stanza.
Sulla porta si
baciarono e Angelica ebbe bisogno di abbracciarlo ancora, di affondare
il viso
nell’incavo del suo collo e respirare a fondo il suo profumo.
Rialzò il capo,
ricambiando il suo sorriso, accettando il piccolo buffetto sul naso che
il
ragazzo le donò in segno di affetto.
“Sei in
ritardo, devi andare”
Angelica
sgranò
lievemente gli occhi, un senso di deja vù la colse, ma lo
ignorò, scuotendo il
capo e annuendo. Gli strinse la mano, prima di dargli le spalle e
incamminarsi
nel corridoio del settimo piano, voltandosi un’ultima volta.
“Ti amo, ci
vediamo più tardi”
Angelica
sentì
il bisogno di dirlo e di soffermarsi a guardarlo ancora. Quella fu
l’ultima
volta che lo vide, l’ultima volta che riuscì a
perdersi nel verde dei suoi
occhi e sentirsi felice.
Quando ella
ebbe svoltato l’angolo, la smorfia di dolore sul volto del
ragazzo si
intensificò e quel sorriso che l’aveva sempre
illuminato, si spense per non
comparire mai più. Si accasciò, reggendosi al
muro, e ritrovandosi sulla pietra
fredda del pavimento.
Era arrivato il
momento, pensò.
Ognuno di noi va per
la propria strada: io
a morire, voi a vivere.
Socchiuse gli
occhi, mentre una lacrima gli carezzava il viso stanco. Il suo ultimo
pensiero
andò ai suoi genitori, a James, a Fred e Frank, a lei.
Avrebbe voluto
rivederli un’ultima volta.
Avrebbe voluto
abbracciare i suoi e ringraziarli di quanto avevano fatto per lui,
questo non
era mai riuscito a dirlo. Ridere ancora insieme ai suoi compagni di
stanza,
burlarsi di James e dirgli quanto fosse stato orgoglioso di essergli
amico. Stringere
lei e dirle quanta vita era riuscita a dargli in quei mesi.
Lei che pensava
fosse stato lui a salvarla, quando a conti fatti era stato il contrario.
Ma non ne
avrebbe avuto il tempo. Dean Finnigan morì quella mattina di
maggio. Nella
mente e nel cuore ancora l’immagine di coloro che avevano
reso la sua breve
vita degna di essere vissuta.
Non voglio
aggiungere altro a questo capitolo,
eccetto che sono tremendamente depressa! :’(
Mi scuso
per non aver risposto alle recensioni
precedenti, le ho lette tutte e vi ringrazio di cuore. Ma ho poco tempo
in
questo periodo e ho preferito aggiornare! :)
A presto!