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Autore: Heine     28/06/2011    5 recensioni
Una storia che parte dal passato semi-sconosciuto di Hiruma Yoichi, quarterback dei Deimon Devil Bats, con come protagonista un nuovo personaggio.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Cribbio quant’era scomodo quel divano.
Stretto, caldo, duro, e ogni volta che mi muovevo, strideva in una maniera particolarmente fastidiosa. La sera precedente non ci avevo fatto molto caso a causa della stanchezza accumulata durante il viaggio di andata, ma solo alla seconda notte mi resi conto di quanto fosse impossibile dormire su quell’affare. Un davanzale di marmo sarebbe stato meglio, almeno non faceva quegli strani rumori. All’una di notte, mi appuntai mentalmente di non comprare mai un divano di pelle. Giallo, verde, rosso, non aveva importanza. Bastava che non fosse in pelle.
Restai due ore buone a fissare il soffitto basso della sala, incapace di chiudere occhio, ascoltando il respiro leggero di Yoichi dall’altra parte della stanza; fortunatamente, non russava.
Mi riaddormentai alle tre, per poi svegliarmi di soprassalto una mezz’ora dopo perché stavo per cadere dal divano. Sbuffai e, osservando i minuti che si susseguivano sull’orologio sopra il televisore, caddi in uno stato di dormiveglia forzato. Dovevo pur dormire un minimo, quella notte.
Circa verso le sei, socchiusi gli occhi e mi resi conto che la luce della cucina era accesa. Sbadigliando, scalciai le coperte al fondo del divano e mi alzai, ciabattando fin da Yoichi, seduto al tavolo parzialmente sgombro, lo sguardo assonnato fisso sullo schermo del computer e con in mano una tazza di caffè ormai freddo.
- ‘Giorno.- grugnii io, aprendo il frigo e prendendo del latte, - Stasera dormo sul pavimento, ho come la sensazione che sia più morbido del tuo divano.
- Te l’ho detto, mio padre fa sempre dei regali molto utili. – mugugnò lui ticchettando con le lunghe e magre dita sulla tastiera del computer, passandosi una mano tra le ciocche di capelli ribelli.
Versandomi il latte nella tazza, mi venne da pensare che dovevo avere davvero un aspetto tremendo. La maglietta larga  che indossavo come pigiama era tutta spiegazzata a causa dei miei continui tentativi di cambiare posizione per dormire meglio, e avevo come l’impressione che le mie occhiaie fossero immense e scavate nel viso; per non parlare dei capelli, totalmente pettinati per conto loro. Tutta colpa di quel maledettissimo divano. Ma il padre di Hiruma l’aveva mai provato quel divano prima di acquistarlo?
La vita giù in strada si stava animando. Essendo al primo piano, si sentiva tutto il rumore del quartiere circostante, comprese le macchine e i primi buongiorno dei negozianti. Non mi ricordavo di queste piccole cose, in campagna erano totalmente assenti. Il mio unico ricordo relativo ai rumori fuori casa la mattina era il canto delle cinque e mezza del gallo dei vicini.
Mi sedetti di fronte al mio coinquilino, notando di sfuggita che le tende di camera sua non erano state scostate e che il suo letto era ancora completamente sfatto.
- Running back di merda, la spesa di ieri l’hai pagata con i tuoi soldi, vero? – mi domandò minacciosamente il biondo quarterback, fissandomi con rabbia da sopra lo schermo del computer.
- Ovvio, biondo. – risposi io, vagamente perplessa.
- Ti ho fatto recentemente presente  che non voglio che le cose per questa casa siano pagate con i tuoi soldi, ovvero con quelli del tuo vecchio. – ringhiò, allungandomi la precisa somma che avevo speso la sera precedente. La rifiutai con un gesto, scuotendo la testa.
- Yoichi, ma fammi il favore, già mi dai l’alloggio, è il minimo.
- Non se ne parla, Chizuru. Io di soldi ne ho a palate e non ci faccio praticamente niente se non usarli per il club, quindi i tuoi tienili per le tue cose personali. Ma per la casa ci penso io. – sottolineò in tono intransigente – Non darmi noie. Ho già altro a cui pensare.
- Appunto per quello io …
- Non ci pensare neanche.  Non ripeterò due volte quello che ho detto. – ruggii lui, continuando a scrivere.
- Come vuoi. – sospirai io, troppo stanca per mettermi a discutere.
Le sue dita si muovevano veloci sulla tastiera, fermandosi ogni tanto forse in cerca di ispirazione.
- A proposito, che ci fai a quest’ora davanti al pc? – gli chiesi sorseggiando il latte.
- Fatti miei, running back di merda. – disse in tono sprezzante lui, ignorandomi.
Era mattina anche per lui, dopotutto.
- Se comprassi un futon con i miei soldi non ti arrabbieresti? Quel divano proprio non lo sopporto.
- Non ci starebbe nella stanza, idiota. L’alternativa sarebbe dormire in piedi contro la libreria o – mi sorrise diabolicamente, ridacchiando – condividere il mio letto con te, ma mi sembrerebbe troppo inconveniente.
- Pervertito del cavolo, non risvegliare i miei istinti omicidi. – sibilai, alzandomi di scatto e mettendo nel lavabo la mia tazza. Simpatico e affabile come al solito. Addio futon. Mi toccava il divano.
- Sbrigati a cambiarti, dobbiamo prepararci in vista del prossimo incontro e non abbiamo molto tempo. – disse, alzandosi a sua volta chiudendo il computer con un gesto secco e raccogliendo un paio di fogli sparsi, - Domani andiamo a vedere la partita che deciderà quale delle due squadre si scontrerà con noi.
- Mh, e chi sarebbero?
- Deers contro Poseidons. – rispose, consultando con un’occhiata ad un foglietto sul tavolo.
- I Deers so chi sono, c’è Onihei, ma i Poseidons non li ho mai sentiti prima d’ora. Ne sai qualcosa?
- No, sono assolutamente nuovi. Circolano poche informazioni su quella squadra, ed è appunto per quello che domani andremo a vedere di chi si tratta e a valutare se effettivamente sono una minaccia, kekeke. Se capitiamo contro i Deers ci sarà da sudare parecchio, e, chi lo sa, magari domani osservandoli potrei scoprire qualche altro punto debole. – sghignazzò dirigendosi verso la libreria.
- Significa che conosci già qualche punto debole di Onihei? – domandai, stupita.
- Non di lui in particolare, ma della squadra sì. Ognuno ha i propri lati deboli, il difficile è scoprirli. Un lavoretto da quattro soldi, insomma, almeno per me. – ghignò diabolico, infilandosi nella tasca della giacca l’agendina dei ricatti con un movimento distratto.
Alzai gli occhi al cielo, sbuffando. Pieno di sé, maligno come al solito. Raccolsi la mia roba e andai in bagno a cambiarmi, lasciandolo ai suoi piani diabolici.
 
Seguivo con lo sguardo le pieghe perfette della giacca di Mamori, totalmente disattenta alla lezione. Mi chiedevo se sarei mai riuscita a stirare le cose con la stessa precisione e dedizione. No, era decisamente impossibile. E poi, chi mi diceva che a stirarsi l’uniforme scolastica fosse proprio lei e non sua madre? Oh, la madre di Anezaki. Chissà che tipo era. Provai ad immaginarla, il viso poggiato pigramente sulla mano destra: alta, bella, gentile, un clone della figlia formato più alto e con i capelli raccolti uno chignon ordinato.
Scossi la testa, pensando che doveva essere davvero inquietante vedersi aprire la porta di casa Anezaki da due perfette cloni.
Mamori aveva dei riflessi incredibili quando si trattava di dover alzare la mano per rispondere al professore o di incominciare a prendere appunti; la matita ben temperata si muoveva veloce sul foglio, tracciando schemi di studio e disegni riassuntivi. Il ragazzo davanti a lei doveva avere un morso su un braccio, perché continuava a grattarselo con insistenza. Yoichi, dietro di me, apriva e chiudeva la penna senza stancarsi del clic clac, clic clac estenuante e particolarmente irritante. Contrassi le spalle, infastidita da quel rumore continuo. Mi passai una mano sul viso, tentando di seguire la lezione. Un minuto dopo, pensai che i collant erano davvero scomodi. Due minuti dopo, ripresi a fissare i giochi di luce tra i lisci capelli castani di Mamori, perdendo nuovamente la concentrazione.
Non ero decisamente fatta per lo studio, ma questo me lo dicevano già ai tempi delle medie. Avevo una memoria visiva portentosa, ma il solo pensiero di mettermi seduta ad una scrivania con dei libri davanti era improponibile. Finivo sempre per stancarmi, alzarmi dalla scrivania e andare in negozio da mio padre, a chiedere se c’era qualcosa da riparare. Mi piacevano i lavori manuali, e sapevo riparare parecchie cose elettroniche pur non capendone un granché.
Datemi una chiave inglese e un bullone e sarò felice, ripetevo sempre. Fin quando c’era stata mia madre, in casa mi aiutava lei a studiare per gli esami. Mancavo solo di concentrazione, diceva lei sorridendomi, scompigliandomi i capelli. Quando poi era stata ricoverata, mi ero messa sui libri forzatamente, promettendole che avrei avuto dei risultati strepitosi e che sarebbe andata fiera di me. Così fu per un po’, anche se gli allenamenti di football non mi aiutavano di certo. Quando lasciò me e mio padre per andarsene per sempre, studiare diventò più difficile. Per fortuna, la determinazione non mi mancava, e in breve tempo tornai alla mia solita media.
Restava comunque il fatto che in classe concentrarsi era davvero un’impresa.
Clic, clac. Clic, clac. Clic, clac.
Yoichi interruppe  il suo continuo ticchettio, e pochi istanti dopo una pallina di carta venne scagliata con precisione nel mio portapenne. Sospirando, la presi e la aprii.
“ Fissi la manager di merda come se dovessi trapassarla con lo sguardo. “
Un messaggio di Yoichi, il quale probabilmente si stava annoiando a morte quanto me.
“ E tu non hai un cazzo da fare se non mandarmi bigliettini con frasi inutili, eh? Che vuoi, Yoichi? “
Lo sentii sghignazzare dietro di me, divertito.
“ La noia è una brutta bestia. Hai qualcosa in mente per Eyeshield? “
“ No. Ti ho già detto che ci vorrebbe una strada sterrata o qualcosa di simile. O un ritiro in montagna. Qui in campo posso fare ben poco se non seguirlo e consigliargli qualche trucchetto. La maggioranza degli esercizi specifici glieli fai già fare tu, e poi ha alle spalle la Death March, non è un novellino. “, gli risposi, rimandandogli il pezzetto di carta indietro.
“ Hai lo stile di corsa di Panther, running back di merda. Quel tipo ci ha fatto sudare parecchio durante la partita, stando vicino al marmocchio puoi benissimo insegnargli qualcosa. Apprende nel giro di poco, e quasi senza che se ne accorga. Al diavolo i ritiri in montagna, non ne abbiamo il tempo. Stagli vicino e imparerà la corsa a 0 gravità, faticando infinitamente meno di quello che fa adesso. Almeno non dovremo temere eventuali incidenti durante la partita, visto che ci è già svenuto durante quella contro gli Aliens. “
La sua scrittura era fitta e le parole erano scribacchiate malamente l’una vicina all’altra, e feci un po’ di fatica a leggere quel messaggio. Quando finii di decifrarlo, rimasi sorpresa. Presi la matita e gli scrissi la risposta rapidamente, controllando che il professore non guardasse dalla mia parte.
“ Idiota, ma non ho mai allenato nessuno. Non so dire neanche a me stessa cosa faccio per correre in quel modo. Non saprei come dirglielo in termini tecnici.”
Sbuffò, e sentii la sua penna segnare il foglio con più forza.
“ Chizuru, imbecille, non è necessario che tu glielo dica a parole. Quel branco di idioti a malapena sa i nomi dei percorsi e delle tecniche, figurati se riuscirebbero a capire un discorso tecnico. L’osservazione è la miglior tecnica. Prendilo un’ora al giorno e fagli vedere come corri. Imparerà senza che tu gli dica niente. Non devi farne un atleta professionista. A me basta che non crolli la prossima partita. E poi sei utile alla squadra in generale. Che si rendano conto che prima o poi incontreranno un altro Eyeshield 21; si alleneranno a fermare le tue corse, preparandosi per un’eventualità del genere.”
Ero ancora più stupita dal suo discorso. Aveva valutato tutto, probabilmente prima ancora che io arrivassi a Tokyo.
“ Non temere. Farò di quel marmocchio il running back che vorrei diventare io. Dopotutto, sapevi anche questo, no, quando mi hai chiamata, quarterback del cavolo? Sei un demone, Yoichi. “
Ghignò, rispondendomi con un “ Ne sono consapevole, kekeke ”, che valeva una piena conferma dei miei sospetti.
 
Quel pomeriggio, dopo le lezioni, presi da parte Sena e gli dissi che saremmo andati a correre lungo il canale, lasciando perdere il campo da football e i vari passaggi di personalità Eyeshield – Sena necessari per non destare dubbi nella manager. Hiruma e gli altri avrebbero continuato sotto le direttive di Doburoku, senza alcun bisogno di noi due.
Nonostante fosse il timido per eccellenza,  stare con Sena era rilassante: non faceva domande inutili, e sorrideva quasi sempre. Correvamo fianco a fianco lungo il canale, osservando il tramonto, aumentando o diminuendo la velocità di corsa a seconda di come decidevo io.
- Abiti tanto lontano da scuola? – mi chiese timidamente ad un certo punto, interrompendo il silenzio.
- No, appena dieci minuti di cammino, non ci vuole davvero niente. – risposi, sorridendogli.
- Beata tu! Hai affittato un appartamento, venendo qui a Tokyo?
Decisi che Sena era una persona affidabile, e che per instaurare un buon rapporto con lui non avrei mentito.
- No, sto da Hiruma. – dissi semplicemente, alzando un sopracciglio.
Per poco non inciampò nei suoi stessi piedi; mi fissava terrorizzato, gli occhi spalancati.
- Tu vivi nella stessa casa di Hiruma-kun? – mormorò con voce gracchiante, sconvolto.
- Sì, non ho abbastanza soldi per prendermi un appartamento qui a Tokyo. Ehi, non fissarmi così, altrimenti non mantieni il ritmo di corsa!
- Dovete essere davvero in buoni rapporti tu e il senpai. – commentò, riportando la sua attenzione sulla corsa.
- Bah, non ne sono così convinta, ma direi di sì. Ci conosciamo da almeno – feci un rapido conto – dodici anni...?
Per poco non cadde a terra dallo stupore.
- Fukuda-san, conosci Hiruma da quando aveva cinque anni?
Per lui probabilmente era inconcepibile che uno come Yoichi fosse stato bambino.
- Chizuru, Sena, Chizuru. Mi da fastidio essere chiamata per cognome. Comunque sì, ci siamo conosciuti alle elementari, eravamo compagni. – spiegai blandamente. Poi lo fissai con sguardo severo, incontrando i suoi occhi spalancati.
 – Ovviamente tutto questo deve rimanere tra noi due, Sena. Se queste informazioni casualmente si spargessero, sono capace di raggiungere lo stesso livello di malvagità di quel cavolo di quarterback.
- Ovvio! Ovvio! Nessuno saprà niente! – si affrettò a confermare, impaurito.
Corremmo ancora un po’, guardando in silenzio il sole che scompariva all’orizzonte, lasciando il cielo tinto di un azzurro scuro.
- Quindi anche lui abitava nell’Hokkaido con te? – domandò timoroso dopo un po’ di tempo.
- Siamo entrambi nati nello stesso paese di campagna, sì.
Pausa.
- Com’era Hiruma da bambino?
- Esattamente come è adesso, con la differenza che allora era ancora moro. – sospirai io, rallentando.
Rabbrividì visibilmente. Chissà che immagine si era fatta del mio coinquilino. Ridacchiai tra me e me, pensando che quel ragazzo incuteva davvero un terrore tremendo a chi non lo conosceva bene come me o Musashi.
- Ma quindi hai conosciuto anche il padre e la madre di Hiruma-kun?
No, quello era un discorso delicato e personale di Yoichi. Non avevo intenzione di rispondere.
- Hei hei, troppe domande. Per oggi basta, ragazzo. Torniamo indietro, staranno già smontando il tutto. Hai corso bene, oggi. Non smettere, continua così. – dissi sbrigativamente, dandogli una pacca affettuosa su una spalla.
Sena mi sorrise, capendo che non doveva insistere. Tornammo al campo in silenzio, con la vaga sensazione che se fossimo arrivati in ritardo un certo individuo non si sarebbe di certo risparmiato una scarica di mitra.
 
Aspettai che Hiruma finisse di parlare con Doburoku, appoggiata alla parete della sede del club, le mani in tasca, osservando il cielo scuro e privo di stelle. Non avevo niente da fare a casa, e non me la sentivo di andare in giro per Tokyo da sola, quindi avevo deciso di aspettarlo. A lui la cosa non faceva né caldo né freddo, per cui non avevo problemi. Incominciava a soffiare un venticello fresco, era piacevole sentirlo tra i capelli corti e sul collo. Mi sedetti per terra, poggiando a fianco a me la borsa. Lontano, si sentivano le macchine percorrere le larghe strade, e uno degli ultimi treni partire dalla stazione. Non era bella come una sera in campagna, ma dovevo ammettere che la città a quell’ora possedeva un certo fascino malinconico.
La porta del club si aprì di botto e Hiruma ne uscì a grandi falcate, caricandosi in spalla la borsa. Mi staccai mollemente dal muro e lo seguii, le mani sempre nella tasche della grossa felpa nera.
- Stanco?
- Neanche un po’. – sbuffò lui, svoltando in una via più affollata.
Camminammo in silenzio fianco a fianco a passo tranquillo per un bel po’, osservando distrattamente i negozi della via e le loro insegne luminose. La gente passeggiava per le strade ridendo e chiacchierando animatamente, indicando qui e là dei diversi locali; gruppi di liceali erano raggruppati nei parchi e parlavano ad alta voce, scoppiando di tanto in tanto in sonore risate.
- Com’è andata con Sena? – mi domandò di punto in bianco, lo sguardo vuoto fisso davanti a sé.
- Non male, ma non abbiamo fatto niente di speciale. – risposi io fermandomi a guardare meglio l’interno di una vetrina. Mi si avvicinò incuriosito, allungando il collo per sbirciare anche lui.
- Ti interessi di questa roba, running back di merda? – mi chiese, indicando con un gesto il servizio di piatti che stavo osservando.
- E’ per il mio vecchio, mi aveva chiesto di vedere se qui a Tokyo vendevano qualcosa di economico per casa.
- Ah. Muoviti, ho fame. Tanto a quest’ora è chiuso. – borbottò, riferendosi al negozio.
- Domani penso che passerò a fare un giro. – mormorai sorridendo, seguendolo. – Yoichi, forse te l’ho già detto, ma almeno una volta al mese dovrò tornare su nell’Hokkaido a dare una mano a mio padre.
- Tsk. No, non me l’avevi detto. Vai pure, basta che non sia prima di qualche partita.
- Vedrò di non partire in quei momenti. Ma bastano anche solo due giorni, eh. E’ solo che da quando è mancata mia madre ha un po’ di difficoltà a mandare avanti il tutto con la serenità di una volta. – raccontai, alzando le spalle. – Vado a tirargli un po’ su il morale, insomma.
Rimase in silenzio qualche istante, con un’espressione indecifrabile sul volto.
- Verrò anche io, qualche volta. – disse infine, corrugando leggermente la fronte.
- Non parlerai seriamente, spero! Sei il capitano della squadra, Yoichi! Fossero anche due giorni, loro hanno bisogno di uno come te. – esclamai io guardandolo.
- Se anche per due giorni non gli riduco il sedere a un colabrodo non penso moriranno. – ridacchiò, schioccando la lingua. – E poi è da un po’ che non vado alla base militare, kekeke.
- Come se quei poveri diavoli siano contenti di rivederti.
- Hanno delle sorprendenti tattiche offensive, running back di merda. Un po’ di spunto per quella che potrebbe essere una nuova tecnica di attacco per i Devil Bats.
Scrollai le spalle e borbottai che non aveva tutti i torti. Lui ghignò tra sé, soddisfatto.
- Hai avuto modo di osservare sommariamente la squadra in questi due giorni, ma forse è meglio se a casa ti passo qualche scheda più specifica su ognuno di quei gagni del cavolo. – continuò, chiudendosi con un gesto secco la zip della giacca.
- Non sarebbe una cattiva idea, in effetti. Ho inquadrato Sena e qualcun altro, ma ovviamente non li conosco bene come te. – sospirai in tutta risposta, guardandolo. Poi sorrisi maliziosa e gli rifilai una veloce gomitata tra le costole, ridacchiando. – Cheerleader americane, eh? Tra Anezaki e quelle ragazze, te la spassi alla grande, biondo.
Lui imprecò sonoramente e tossì, non preparato al mio colpo. Senza che io me ne accorgessi, nel giro di un secondo riuscì a farmi lo sgambetto; mantenni per miracolo l’equilibrio, mandandolo a quel paese a mia volta.
- Te l’ho detto, cretina, servono a mantenere il morale alto a quei pervertiti dei sostituti. – grugnì, facendo una smorfia disgustata.
- Seeeeh, a chi la vuoi contare. Come diamine le hai convinte a venire qui in Giappone, eh, biondo?
- Viaggio studio, appartamento in condivisione e colazione e cena compresi, completamente gratis. Per un anno. – sghignazzò, fissandomi con aria di sfida. – Con quei pochi neuroni che si ritrovano, hanno accettato immediatamente.
- Mh, ti piacciono le occidentali, eh. – commentai io ignorando la sua spiegazione, cercando le chiavi di casa nella borsa.
Sentii punta fredda della canna di un fucile premere contro la mia tempia, e sbuffai.
- Yoichi, sei così patetico. Lo so benissimo che non mi spareresti, smettila, idiota. – dissi con voce atona, infilando le chiavi nella toppa ed entrando nell’appartamento.
- Ma sai benissimo che sarei capace di sbatterti fuori di casa nel giro di un minuto. – ringhiò lui diabolico, chiudendo la porta dietro di sé facendo un gran rumore.
- No, perché io ti servo. – ghignai, usando le sue stesse armi e lanciando la borsa sul divano.
Lui sbuffò, scostandomi di lato in malo modo e dirigendosi in cucina, imprecando.
- Dimmi, Yoichi – cinguettai io sedendomi sulla sedia e fissandolo insistentemente – per caso sei dell’altra sponda?
Dio, quando adoravo stuzzicarlo. Soprattutto su argomenti che lui odiava.
Si girò di scatto, furibondo, scattando verso di me come se dovesse placcarmi. Spalancai gli occhi e scattai a mia volta di lato per evitarlo, ma fui scaraventata con violenza al di là del muretto che separava lo spazio della cucina da quello del salotto, finendo dritta con la schiena sul mio adorato divano di pelle. Aprii gli occhi, arrabbiandomi con me stessa per essermi dimenticata che Hiruma era nettamente più forte di me. La botta era stata talmente forte che mi mancava il fiato. Voltai la testa e mi ritrovai a una spanna di distanza dal viso del ragazzo, l’ira diventata persona, ansimante e con le narici dilatate dalla rabbia. I suoi occhi azzurrissimi mi fissavano rabbiosi, e i ciuffi di capelli gi ricadevano sul viso rendendolo ancora più spaventoso.
Per un attimo, ebbi seriamente paura di lui.
Eravamo in una posizione decisamente scomoda e imbarazzante: io ero spalmata sul divano, le gambe all’aria contro lo schienale e la testa al di fuori del divano; Yoichi si puntellava con le braccia a pochi centimetri dai miei fianchi, le ginocchia sullo schienale del divano, le quali limitavano i movimenti delle mie gambe. Vedevo chiaramente i muscoli del suo collo contratti per la rabbia, e i suoi denti appuntiti digrignare a poca distanza dal mio viso. Incominciava a farmi male il collo a causa dello sforzo di tenerlo dritto per non farmi perdere il precario equilibrio in cui ero, e le mie orecchie stavano decisamente iniziando a scaldarsi a causa dell’imbarazzo.
O mi aggrappavo alla sua schiena e lo trascinavo sul pavimento con me, facendogli prendere un brutto colpo contro il tavolino, o me ne rimanevo lì, a fissarlo sconvolta e a cercare di non cadere all’indietro.
- Yoichi, ma che cazzo ti prende?! Dai, spostati, o cado! – riuscii a ringhiare tra i denti, riprendendo finalmente fiato.
In passato avevamo spesso fatto la lotta, ma eravamo dei bambini e lui era ancora abbastanza gracile di corporatura. Ora avevo davanti a me un alto diciassettenne indemoniato, con le spalle almeno il doppio di quello che lo erano state l’ultima volta che l’avevo visto. E quegli occhi mi mandavano abbastanza in tilt il cervello, soprattutto se mi fissavano in quel modo.
- Per una buona e civile convivenza – ruggii lui col fiato corto, - ti chiederei cortesemente di evitare domande del genere. Ci siamo intesi abbastanza?
E io trillai, dato che ero un’idiota :- Quindi sei dell’altra sponda, Yoichi!
- NO, FUCK. E’ ABBASTANZA CHIARO IL CONCETTO, RUNNING BACK DI MERDA?
- Limpido e cristallino. Yoichi, cazzo, cado… Spostati!
- Ci siamo intesi? – tuonò lui avvicinando il suo viso al mio.
Merda, avevo le orecchie in fiamme.
- Intesi come non mai, Yoichi! Ora spostati, cribbio! O ti trascino con me! – gridai, sudando freddo.
Sul suo volto si dipinse un ghigno beffardo, segno che si stava ampiamente godendo la vittoria. Mise un braccio indietro, afferrando il bordo del muretto e tirandosi su in ginocchio. Afferrai l’altro suo braccio all’altezza del polso, e mi feci tirare su con un gemito di dolore. In qualche modo, riuscii a rialzarmi in piedi, e mi sedetti pesantemente sul tavolino del salotto, passandomi le mani tra i capelli e tentando di coprire le mie orecchie ormai color porpora. Gli scoccai uno sguardo furibondo, ma lui era intendo a ridere a crepapelle, in piedi di fronte al tavolo, le mani sui fianchi e le lacrime agli occhi per le risate.
- Che diavolo hai da ridere, eh, quarterback del cavolo? – borbottai io distogliendo lo sguardo.
- IHIHIH, non hai idea di quanto sei ridicola quando arrossisci! – sghignazzò lui senza ritegno, appoggiandosi al tavolo. – “Yoichi, cado, spostati”! Dio, sei veramente patetica, running back di merda!
- Yoichi, la vuoi la cena? Bene, ti conviene chiudere quella bocca. – grugnii, marciando verso la cucina e aprendo con un gesto secco il cassetto delle pentole.
- Oooh, sono un ottimo cuoco anche senza di te, Chizuru. Se sono sopravvissuto fino ad adesso, lo devo alle mie doti culinarie.
- OTTIMO, Yoichi, stasera cucini tu, dai, dimostrami le tue qualità, bastardo! – gridai, ficcandogli in mano una padella. – Sai, non è proprio un reato parlare anche di cose che non riguardino il football!
- Sono affari miei chi rimorchio.
- Oh, abbiamo un Casanova, qui!
- Dubiti di ciò? – domandò lui spavaldo, accendendo i fornelli.
- OH, io ci rinuncio! Io vado a dormire, diamine, cucinati tu quello che cavolo vuoi, ma non mi stressare! Buona notte, biondo!
Mi fissò con la padella a mezz’aria, sbalordito dal mio comportamento.
Lo ero anche io, sinceramente, e mi chiesi perché, alle dieci e mezza di sera, mi stavo ficcando sotto le coperte vestita con la tuta che usavo per gli allenamenti, irritata come non mai, cercando una posizione decente per addormentarmi.
Diamine di occhi azzurri.
Non riuscivo a togliermeli dalla testa.
 
La mattina seguente, evitai di parlargli. Continuava a tornarmi in mente la scena della sera precedente, e le mie orecchie avvampavano ogni santa volta. Ero un misto tra l’irritato, il furibondo e un miscuglio di altre emozioni che non riuscivo a classificare.
Yoichi sembrava essersi totalmente dimenticato di tutto e, dato che era molto più interessato alla partita a cui stavamo andando ad assistere, non fece nessuna domanda e nemmeno tentò di stuzzicarmi come suo solito.
Uscimmo di casa camminando di fretta, in silenzio, e raggiungemmo lo stadio insieme agli altri. Individuai Sena in lontananza e mi aggregai a lui, salutandolo con una sonora pacca sulla spalla e simulando una finta risata. Scherzai con i tre ex teppisti, chiacchierai con Kurita e salutai Mamori con un sorriso. Evitai tutti i possibili contatti con Hiruma, anche se poteva sembrare un comportamento eccessivamente infantile.
Tuttavia, mentre prendevamo posizione nelle tribune, mi chiamò a sé con un gesto della mano. Sbuffando, lo raggiunsi, le mani ficcate a fondo nelle tasche della felpa, come al solito.
- Che c’è?
- Fai il ruolo dello scout, oggi. Posizionati in alto e segui la partita secondo per secondo. Fatti prestare un taccuino, appuntati tutto quello che noti di strano o di particolare. Non mi interessano i Deers, segnati le tattiche dei Poseidons. – disse in modo frettoloso, dando di tanto in tanto un’occhiata al campo. – Compreso?
- A pieno. – grugnii. Dovevo mettere una pezza al mio comportamento della sera prima, in qualche modo. Ero divorata dai sensi di colpa.
- Senti, Yoichi…
- Ah, e vedi di sottolineare le caratteristiche di ogni giocatore, running back di merda.
- Yoichi, io dovrei dirti che…
- E non dimenticarti di guardare anche la panchina, in modo da individuare i segnali che si mandano per le tattiche di attacco. – continuò lui imperterrito, interrompendomi nuovamente.
- Yoichi, cazzo, mi vuoi ascoltare?! – esclamai irritata, riuscendo finalmente a guardarlo negli occhi. Lui inarcò perplesso un sopracciglio, zittendosi.
- Che devi dirmi?
Sospirai, passandomi una mano sul collo.
- Mi dispiace per ieri sera, ho esagerato. Scusami. – mormorai, abbassando nuovamente lo sguardo. Sul suo volto si dipinse il solito ghigno diabolico, e ridacchiò.
- Che ti ridi, idiota, io dico sul serio. – borbottai scocciata.
Momento di silenzio.
- I piatti di ieri sera sono ancora da lavare. Lascio a te il lavoro. – disse fissandomi con fare derisorio, passandomi a fianco e dirigendosi verso la squadra.
Lo seguii con lo sguardo, sospirando e abbozzando un mezzo sorriso.
Mi aveva scusata, a modo suo.
Feci per avviarmi verso le tribune più alte, ma intravidi la chioma di Mamori. Istintivamente mi voltai, e la vidi fissare Hiruma in trance, con una strana luce negli occhi celesti. Aggrottai la fronte, incuriosita, guardandola con la testa leggermente inclinata. Lei si accorse che la stavo osservando, e scosse la testa, arrossendo e tornando ai suoi doveri di manager, facendo cadere una pila di fogli.
La guardai ancora per qualche secondo, poi scrollai le spalle e salii i gradini che portavano più in su, dimenticandomi di quegli attimi.
 
I Deers furono letteralmente sconfitti su tutti i fronti. Persino Onihei, il loro asso, fu schiacciato da Mizumachi, un altissimo giocatore dei Poseidons, nel giro di pochi secondi.
Ero decisamente stupita. Appuntavo le cose sul taccuino scrivendo freneticamente tutto quello che notavo, agguantando di tanto in tanto il binocolo e sgranocchiando degli snack alle alghe che avevo fregato quella mattina dalla dispensa di Hiruma.
Quest’ultimo era qualche scalinata più in basso di me, chino a fissare il campo, seduto a gambe larghe e con i gomiti sulle ginocchia, al fianco di Kurita e di Mamori, a cui ogni tanto urlava di segnarsi delle tattiche. Il sole che colpiva i suoi capelli lo faceva sembrare ancora più biondo del solito, e si intravedevano chiaramente le scapole e la spina dorsale sotto alla maglia bianca che indossava.
Di tanto in tanto mi scoprivo a fissarlo, poi scuotevo la testa e ritornavo a guardare le azioni in corso.
Al termine della partita, gli consegnai tutto quello che avevo appuntato e gli sussurrai velocemente ciò che non ero riuscita a segnare. Lui annuì e camminò verso la squadra, sconvolta dall’esito della partita, lanciando il mio taccuino ad Anezaki.
- Squadra di merda, vi siete resi conto voi stessi di quanto siano potenti i Poseidons. – disse, serio, le mani nelle tasche. – Sarà una partita impegnativa, non lo nego. Ma noi siamo i Devil Bats, e non ci facciamo sconfiggere così facilmente, giusto, SQUADRA DI MERDA?!
Gli altri, rianimati un po’ dal discorso del quarterback, gli risposero in coro urlando “YA-HA!”, accennando qualche sorriso.
- Per ora, non pensate a quei bastardi. Dobbiamo concentrarci sulla prossima partita contro gli Scorpions. - continuò Yoichi, ritornando serio. – Chi domani arriva in ritardo agli allenamenti mattutini, sarà impallinato dal sottoscritto in modo che non potrà sedersi per il prossimo mese. E’ CHIARO?
- CHIARISSIMO! – urlarono loro all’uninsono, improvvisamente terrorizzati all’idea di essere soggetti ad una delle sue scariche di mitra.
 
 
 
 
 
 
{Sarà un anno che non posto! Mi scuso per ciò e vi ringrazio caldamente per i bellissimi commenti! Spero di poter postare il prossimo capitolo al più presto.
Come sempre, spero che Hiruma (che mi fa sudare sette camicie ogni volta che scrivo di lui) sia nel personaggio, e che ovviamente il capitolo sia di vostro gradimento, anche se di questo non vado particolarmente fiera … Se non fosse così, fatemelo sapere, accetto le critiche molto volentieri!
Alla prossima!}
  
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