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Autore: velocity girl    28/07/2011    4 recensioni
In un mondo tutto suo, dove le parole non possono turbarlo. E se adesso non vede i mille difetti che questa caratteristica può portare - e porterà sicuramente - è solo perché infatuato.
Tanto vale approfittare di questa predisposizione, si dice, mentre negli occhi dell'altro passa un pensiero - gli scurisce le iridi, le illumina di un sentimento - ed accetta ugualmente. Come se niente fosse.
Genere: Generale, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Ottavo capitolo:
Being.



Il Fish and Chips sfoggia finalmente una nuova vetrata, della quale Jimmy si vanta come se fosse sua o creata da lui stesso e, nonostante questo, i clienti continuano ad essere pochi. Jude è ancora fra questi - anche se in genere non paga - cosa che permette a Robert di parlargli di argomenti che, per qualche motivo non molto chiaro, non hanno saputo affrontare la sera prima.

«Credi che sia stato un fallimento?»
«Non ho detto questo,» risponde, alzando un po' la voce, «è che non capisc-»
«Non ci credo!»
«Va bene, non fidarti mai più, resta che tu sei ancora vergine. Ed anch'io sono vergine in quel senso e...»

Robert non sa cosa rispondere: è ancora lì, in piedi di fronte al suo tavolino, mentre strofina ossessivamente una macchia immaginaria con il doppio scopo di - uno - far credere a Jimmy che esiste un motivo se sosta lì da dieci minuti e - due - per poter pensare di star strofinando la sua testa.
 
«Stai dicendo che non è stato importante?» Sbotta dopo un paio di secondi, senza neanche ascoltare la fine di ciò che Jude gli stava dicendo.
«No.»
«E allora cosa?»
«Che... che non si può considerare come prima volta! Non lo abbiamo fatto!»
«Sì, la possiamo considerare,» risponde, chiuso ad ogni visuale, «ed abbassa la voce.»
«Robert.»
«Non capisci. Lo so. Basta che ci pensi: è stata la cosa più romant-»
«Non lo è stata.»
«Sei una capra.»
«Tu sei un verginello!»

Ridacchiano per la svolta infantile del loro discorso, dopodiché si guardano negli occhi, e lì riesce ad aprire un po' il suo cuore - ma a bassa voce, che non vuole essere ascoltato da chiunque: «Non ti è piaciuto?»
«Mi è piaciuto, lo sai, mai fatto niente di simile prima. Mio padre ha ragione: sono cose strane.»
«Ti ammazzerei.» Fa con tono sereno: dentro di sé non accusa Jude se preferisce seguire ed assecondare così tanto le idee della sua famiglia. O, in generale, di chi parla per parlare senza avere nessuna prova ma comunque la presunzione di essere nel giusto - perché lo pensano tutti.
Non fa la stessa cosa, ma lo comprende.

«So che lo faresti. Dico solo che dobbiamo provarci di più.»

«Hai ragione,» ammette, arrendendosi e perdendosi per qualche secondo nei suoi stessi pensieri, «possiamo avere tante Prime volte. Una per ogni cosa.» E prima che l'altro possa interromperlo con una qualsiasi frecciatina aggiunge: «Non è un problema vero.»

«Meno male che lo hai capito,» mormora Jude sottovoce, poi cambia persino sguardo mentre invita: «questa sera? Appena stacchi? Vieni da me. Stiamo insieme.»
«Devo tornare a casa ma...»
«Oh.»
«Ma... puoi, insomma...»
«Cosa?»
«Vuoi venire anche tu? Così conosci mia mamma. Ti rendi conto di che tipo è.»
«Suona spaventoso.»
«Già.»

E lo è, almeno per lui. Lo è davvero.
Si fermerebbe qualche secondo per riflettere anche su questo, su quanti vantaggi e svantaggi ci sono nel presentare Jude alla sua famiglia - o quel che ne rimane - quando si accorge della presenza di qualcuno di fronte la vetrata.
Ma non una persona a caso.

Il tempo di riconoscerlo ed è già diretto verso di lui, un sorriso stampato sulle labbra.

«Val!» Esclama una volta fuori, verso il trombettista appena arrivato.
«Robert.» Risponde pacato quello, senza neanche voltarsi, preferendo sistemare per bene la propria tromba.
«Che ci fai qui fuori?»
«Oh, io vengo sempre qui, sai.»
«Lo so, ho avuto tempo per rendermene conto. Ma che ci fai qui fuori ora
«Al solito orario?»
«Sì, ma che c-»
Il trombettista scoppia finalmente a ridere, del resto ha sempre trovato esageratamente divertente il prendersi gioco di quel cameriere - ma più inserviente - e neanche questa volta ha saputo trattenersi. Alza la testa per guardarlo in faccia, dopodiché sorride: «Sono tornato. Festeggiami pure.»

Robert lo farebbe, certamente, non può negare che gli sia mancato, ma al momento nella sua testa c'è un'altra priorità: «E dove sei stato?»
«Cercavo ispirazione. O meglio, cercavo di liberarmi dalle idee che mi venivano. Non puoi immaginare quanti pezzi ho composto chiamati "Cuore infranto", "Ballata del cuore spezzato" o "Jazz del povero scemo". Volevo anche suonarle, poi ho preferito rinominarle.»
«Fortunatamente.» Ridacchia, cogliendo il sarcasmo che ha sempre delineato un po' del suo umorismo.
«Vuoi sentire qualcosa?»
«Mh, che proponi?»
«Questa qui ora si chiama "Vittoria", non chiedermi quale fosse il nome precedente, ed è un pezzo sulla rabbia,» presenta, per poi suonare qualche nota distratto, senza trovarci pace, «te lo devo proprio chiedere,» dice quando si ferma, osservandogli la base destra del collo che spunta fuori dalla maglia, «hai un livido buffo.»
«Jimmy mi ha picchiato.»
«Ha fatto bene.» E riprende, questa volta tranquillo, con uno stile un po' diverso, forse più suo di quanto non lo sia mai stato prima.

Robert lo ascolta rapito e al tempo stesso disinteressato, come nei primi tempi, osserva e si rende conto di quanto tempo sia passato e di quante cose siano cambiate da quando si sono presentati la prima volta. Fra i cambiamenti principali, sicuramente il fatto che adesso c'è qualcuno ad aspettarlo dentro il locale.
Dove il locale ha inquietamente il sapore di casa, perché non ha mai smesso - così come lui non ha mai smesso di farci caso.

«Devo rientrare,» mormora interrompendolo, «vuoi qualcosa?»
«Sai che non sono bravo a rifiutare.»
«Allora vieni, jazzista.»

Val lo segue, chiaramente, si prende solo qualche secondo per riporre la tromba nella solita custodia; nessuno dei suoi gesti tradisce la probabile malinconia che - forse - porta dentro.

Entra tranquillamente ed azzarda qualche passo, prima di notare Jude seduto al solito tavolo - ed immediatamente si chiede che cosa stesse facendo lì da solo.
Si volta verso Robert, tentando di trattenere un qualsiasi ghigno ammiccante che potrebbe rovinare ciò che vuole chiedere, «Senti,» annuncia fingendosi serissimo, «prendimi pure per pazzo ma voi du-»
«Sì.»
«Sì? Bene, mi pareva,» annuisce compiaciuto, senza abbandonare il tono che si è costruito, «un livido, eh? Mi ringrazierai dopo.»
«Ma non sei stato tu a farmelo...» Tenta di ribattere, mentre l'altro è già scappato ridacchiando.

Pericolo.

Si avvicina frettolosamente ai due, quasi temendo una loro accoppiata, preoccupazione dovuta anche all'occhiolino decisamente sinistro di Val, «Jude,» dice nel tentativo di fermare qualsiasi possibile iniziativa, «vai a prendere qualcosa per lui. Anche solo le patatine, se vuoi.»
«Guarda che sei tu il cameriere.»
Ah, già, «Sì. Ma tu ordina comunque, poi ve lo porto.»
«Robert-» inizia, probabilmente perché vuole fargli notare che sono solo in tre per tutto il locale, esclusi gli altri due dietro il bancone
«Io non posso.»
«Ma se lo hai sempre fatto!»
«Jude!»
«Che spettacolo che siete...» li prende in giro Val.
«Jude!»
«Oh, va bene.»

Il tempo di alzarsi per andare a fare le ordinazioni ed il suo posto è già occupato da Robert, deciso a fare un bel discorso - il più esauriente possibile - nel poco tempo a disposizione.
«Ehi,» inizia con tono carico di disappunto, «non so che hai intenzione di f-»
«Guarda che sei stato tu ad invitarmi.» Risponde il suo amico, rilassatissimo.
«Lo so. Ultimamente ogni iniziativa pensabile tende a ritorcersi contro di me.»
«Non direi, sai? A proposito: tu dovresti ringraziarmi.»
«Lo so.»
«Lo sai, perfetto. Dunque fallo.»
«Grazie per aver scommesso con me Val.»
«Figurati, Robert. Chi se lo sarebbe mai aspettato, eh?»
«Tu, Val.»
«Bravo,» commenta, fingendo un tono seccato, «tienilo sempre in mente: io ti ho aiutato nell'impresa difficilissima di trovarti un fidanzato, quindi ora posso prenderti in giro per questo.»
«Si tratta di una qualche regola non scritta che ho sempre ignorato?»
«Una cosa del genere, s-» e si ferma, notando che Jude sta per tornare indietro. Ne approfitta per abbandonare il registro che ha usato fino ad ora e riprendere quello più scherzoso di sempre.
Rimonta anche il sorriso ammiccante: «Jude, hai mica qualcosa da raccontarmi?»

Jude si siede fra loro due, tranquillamente, raduna un po' delle cose che aveva sparpagliato quando era ancora solo. «Come?» Si limita a chiedere, evidentemente più concentrato su ciò che sta facendo.
«Insomma,» occhiolino patetico, «lo capisci.»
«Ma è serio?» Domanda invece lui, che più volte ha dimostrato di capire davvero poco quando si parla di queste cose; nella sua confusione si volta persino verso Robert, forse convinto che lui abbia la risposta. Chissà perché, è sempre convinto che Robert abbia la risposta.
«Purtroppo sì.»
«Ah,» torna a guardare il trombettista, «non so. Che cosa vuoi sapere?»
«Com'è Robert?»
«Molto carino. Molto acido. A volte è sim-»
«Sì, certo, fai il finto tonto. Ma so che hai capito.»
«È carino anche lì.»

Ed il suddetto - che fino a tre secondi prima si stava beando per i lievi complimenti appena ricevuti, nei quali Jude raramente si prodiga - perde ogni colore. L'unica cosa che riesce a dire è un misero quanto ridicolo: «Eh?»

«A che domanda hai risposto?!» Esclama invece Val, apparentemente indeciso fra l'essere sconvolto o l'essere divertito.
«Jude!»
«Non era quello che volevi sapere?»
«No!» Risponde ancora il trombettista, alzando la voce, quasi più isterico di Robert, «Ero solo interessato al sesso!»
«Ti interessa Robert che fa sesso?»
«Con te, non certo con me.»
«Nel senso che vuoi guardare? Non so, non credo mi sentirei particolarmente a mio agio. Inoltre non è che lo abbiamo prop-»
«Oh, ti prego!» lo ferma Val, per voltarsi praticamente sconvolto verso il proprio amico, oramai sprofondato nella sedia per il troppo imbarazzo.

Maledetto Jude.
Lui ed il suo essere così perversamente ingenuo.

«Che c'è?»
«Niente. Dalle parole del tuo ammirevole nuovo ragazzo, qui, deduco che qualcuno è ancora...»
«Zitto!»
«Come vuoi. Jude, parla al posto suo.»
«Jude, stai zitto pure tu! Non rispondere per nessun motivo!»
«Ok.» Annuisce lui distratto e se non fa spallucce è solo perché non è mai stato un tipo troppo teatrale.

Val non si da' peso del gesto, continua a scherzare. Decisamente pericoloso - pensa Robert - questi due vanno fin troppo d'accordo perché credo si capiscano. Eppure il musicista non continua: è di nuovo preso dai suoi racconti, da ciò che ha fatto, parla delle sue canzoni e dei significati che ha deciso di dare ad ognuna di loro. Dice di aver trovato una conclusione ed è felice che lo abbiano fatto anche loro, nonostante non sia così certa come la sua, nonostante sia diversa. «Avevate bisogno di trovarvi.» Chiude il discorso, enigmatico.  
«Non capisco di che parli.» Sminuisce Jude mentre le loro voci si perdono, Robert smette di ascoltarli per abbandonarsi ad un sorriso - si rende conto che non importa se lo prenderanno in giro per sempre, che queste cose non possono intaccare ciò che ha ottenuto: c'è un vero equilibrio adesso, lo vede dentro i suoi amici. Nelle loro parole apparentemente spensierate.

Pesano meno quando sono coperte di risate.

*


Gira la chiave, apre la porta di casa.
Sa che sua madre non è ancora tornata ma il gesto esce comunque lento, tanto che Jude - alle sue spalle - riesce ad interpretarlo come una sorta di azione solenne.
Non lo spiega, anche perché non saprebbe che cosa dire, si limita ad attraversare casa senza dire niente per arrivare in camera sua. Sembra quasi una sorta di imitazione della solita camminata che fanno nell'appartamento di Jude.

Ed in effetti è la prima volta che lo porta a casa sua, rendendosi conto solo superficialmente che - magari, forse, probabilmente - deve mostrargli la casa, descrivergli le stanze e cose del genere. La sola idea basta per renderlo ancora più nervoso, quindi la scarta.

«Eccoci.» Dice, sorridendo lievemente.
Jude non si preoccupa, deve essersi abituato ai suoi sbalzi di umore, e si limita a curiosare con lo guardo. È curioso della sua stanza, probabilmente si domanda quante altre cose può scoprire solo osservandola - e rimarrebbe sorpreso della risposta.

«Vado a vedere se c'è mia sorella...» Ed in effetti ha bisogno di sapere se è in casa, non può rilassarsi senza scoprirlo.
Non attende risposta, quindi, e sguscia via frettolosamente.

La chiama per il corridoio, sbircia nella sua stanza, realizza che non c'è; esultare in silenzio è il minimo: casa sua è vuota, non c'è proprio nessuno. E questo non sarebbe neanche strano, se non fosse che non si aspettava una simile fortuna.
Non quando Jude è lì per la prima volta.
Torna in camera con il cuore più tranquillo, il resto di sé continua a restare teso.

«I used to wake up in the morning,» viene accolto, «I used to feel so baaaad-»
«Non la cantavi da una vita.» Si limita a commentare, sedendosi poi per terra - e Jude sul letto, come se non fosse cambiato nulla e la stanza fosse sempre la stessa che occupano tutti i giorni.
«No, infatti,» risponde dalla sua postazione, ancora intento a guardarsi intorno, «ti ricordi della mia ex fidanzata?»
«Non potrei dimenticarla neanche volendolo. Parli sempre di lei.»
«Non sempre. E cosa diresti se me la fossi inventata?»
«Direi che volevi tirare fuori il discorso e poi te ne sei pentito ed hai preso a mentire. Ti conosco: non scendi nel dettaglio quando devi nascondere qualcosa e lei è tutto un dettaglio.»
«Oh, ok. Hai capito. Lascia stare.»

Ma Robert non è mai stato in grado di lasciare stare.
«Mi preoccupa.» Ammette.
«Cosa?»
«Il tuo amore per lei. L'amavi tantissimo, eppure l'hai lasciata. Sei andato via da Londra per sfuggire da lei.»
«Ma no...»
«Lo so. Non ha senso. Sì, vero. Solo... cerca di capire, mi sono affezionato ai nostri trascorsi ed ai nostri possibili futuri. Il nostro futuro. Vedi? Parlo persino sdoppiandoci, quasi do per scontato che mi lascerai - quasi do per scontato che mi amerai così tanto.»
«Sulla base di uno sbaglio, però.»
«L'hai lasciata per sbaglio? Oh, bene, sono fortunatissimo allora!»
«Mi ha lasciato lei. Te l'ho anche detto, sai?»
«Non lo avevi fatto.»
«Ero convinto di sì. Ma il punto è che sbagli.»

Robert non risponde, non sa che cosa dire. In realtà avrebbe mille pensieri, mille teorie, mille sensazioni diverse ma non riesce a decidere fra nessuna di queste: rimane lì, fermo, bocca lievemente aperte ed occhi pieni di stupore.
Ok, non se lo aspettava.
Da una parte si sente persino felice, da un'altra ha voglia di abbracciarlo e stringerlo più forte che può, da una terza sente che deve dirgli qualcosa. Tipo rassicurarlo. Smetterla con le sue angosce, giusto per un secondo, che Jude deve averne mille di più nella testa.

«Perché?» Domanda, sapendo che a questo modo può suonare crudele. Ma la curiosità ha sempre la meglio, deve scoprire, capire che cos'è che non funzionava.
«Questo te l'ho detto.» Arriccia il naso l'inglese, per poi aggiungere mestamente: «A lei non andava bene che fossi menefreghista. Manco fossi stato distratto.»
«Se fossi stato distratto sarebbe andata meglio? O diversamente?»
«No.»
«Sai... mi dispiace.»
«Non è vero!»
«Ovvio, ora stai co-»
«Sei un bel po' egoista, Rob.»

Ma sta ridacchiando mentre lo dice. Il segno che questo era un argomento che lo feriva, lo faceva davvero soffrire, ma che con lui può affrontarlo quasi divertendosi - che si sta rimarginando piano piano. Jude parla spesso di lei, è vero, ma non dice mai il suo nome. Non parla del suo carattere. Non parla della sua personalità ma solo di cosa adorava di lei.
Per dire che Robert è diverso.
C'è da sperare in questa differenza.

«Ma sai... devi considerare che le scuse non sono mai vere: nessuno si scusa sul serio. Lo facciamo solo per sentirci meglio, ma a nessuno dispiace davvero per la persona alla quale si è fatto un torto.»
«Bugia.»
«Jude...»
«Bugia, bugia, bugia. Stai filosofeggiando perché non sai che cosa dire. E quando mi scuso lo faccio con il cuore in mano! Mi segno che non è così per te, però.»
«Juuude. Non mettere il broncio, non fa per te,» e in effetti l'altro sta già sorridendo, «è che abbiamo deciso di essere sinceri - no?»
«Sì.»
«Appunto. Sinceramente sono contento che tu sia qui.»
«Sinceramente ho paura che sia tu a lasciarmi, Robert.»
«Ti pare possibile?»
«Sì! Quando ti passerà l'immensa cotta che hai per me. Ti stuferai e nel frattempo io sarò tutto convertito.»
«Impossibile.»
«Scommetti? Su questo, dai, anziché sui nostri futuri insieme.»

Per risposta Robert si sposta, si mette in ginocchio, si pone verso di lui per avere le sue labbra. E Jude lo capisce, forse perché questa volta ne ha quasi bisogno, si avvicina a sua volta. Sono terribilmente scomodi nella strana posizione assunta, ma non possono curarsi anche di questo - hanno più bisogno di sfogare le ansie in un bacio quasi casto.

«Non preoccupiamoci, allora, niente scommesse.» Dice infine, sorprendendosi persino che sia stato proprio lui a dire una frase del genere.
Lo ribacia per sigillare la decisione presa, mentre tentano di avvicinarsi ancora di più, le mani di entrambi già pronte per esplorarsi.

La porta di casa di apre. Si chiude. Rumori, qualcuno che chiama, forse annuncia il proprio ritorno.

«Mia madre è appena tornata.» Spiega Robert, allontanandosi senza fretta dalle sue labbra. Lo guarda negli occhi, constata che raramente si è sentito così preso e così rilassato, che al momento non è neanche preoccupato per come li potrebbe trovare.
Va tutto bene, si dice.

E la donna entra.
Si voltano entrambi verso di lei, sorridenti. Lei sulla soglia li fissa, poi guarda solo Jude  e per un secondo pare credere che sia un alieno.

«Ciao mamma, lui è Jude.» Presenta sbrigativo. Gliene ha parlato talmente tanto che - almeno di nome - lo conosce: del resto negli ultimi mesi è stato sempre a casa sua. Strano che già non sospetti qualcosa, da lui che è sempre stato chiuso ed ambiguo.
Ma sa che cosa sta pensando - "Ah, ecco il famoso Jude, allora esiste sul serio!" - e non crede di doversi preoccupare.

Non ora comunque.
Non per questo.

«Ciao.» Saluta tranquillamente lui.
«Ciao!» Risponde lei ma, per qualche motivo, pare agitata, «Sono appena tornata... comunque... non vi preoccupate: starò di là.»
«D'accordo.»
«Voi fate come volete, vi porto qualcosa?»
«No, non serve.»
«Ma...»
«Forse dopo.»
«Va bene.» Sorride lei, per poi voltarsi ed andarsene. Robert la conosce, sa che tornerà per farsi notare e fare bella impressione con Jude - o anche solo per presentarsi, cosa che ha stranamente dimenticato di fare.
Quasi come se non fosse abituata ad avere persone in casa o amici suoi - cosa che comunque è vera, non si può dire che sia un tipo socievole - o come se lo credesse un disadattato tale da non conoscere davvero nessuno.
Se non altro le ha provato di non avere amici immaginari.

«Non farci caso.» Si limita a spiegare, girandosi finalmente verso l'altro ragazzo.
«A cosa?»
«A lei. Tornerà, ecco.»
«Non importa... sembra gentile.»
«Lo è.» Anche se viverci insieme è un vero inferno.

Ed è buffo come al momento siano spariti tutti i problemi che sentiva di avere quando ha aperto la porta. L'unico suo bisogno al momento è quello di stringersi a lui, dimenticare il posto dove si trovano ed abbracciarsi fino a sembrare una cosa sola. Magari diventarlo davvero, poi.
Del resto glielo deve, quando invece riesce solo a dire: «Non è semplice.»

«Cosa?»
«Far funzionare i rapporti. C'è sempre troppa storia dietro.»
«Lo so, almeno nel mio caso. Tu mi stupisci però... non me ne avevi mai parlato! Non sapevo che tu avessi delle storie!»

Ne ho mille sullo stare da solo.

Non risponde, di nuovo non dice quello che sta pensando, questa volta perché non ne sente il bisogno. Si limita a salire vicino a lui sul letto, per poi stringerlo finalmente fra le sue braccia, ridacchiando contento per quei gesti così naturali.
Lo bacia nella solita maniera, rendendosi conto che è il primo ad imporsi certi pensieri negativi.
Lo stringe e si fa stringere, nel mentre ripensa al loro discorso, alle sensazioni provate, alla gioia che sente nel cuore. Si rende conto che non l'ha ancora esplorato del tutto e che ha tempo per farlo.

Questa sua felicità lo riporta a Val. Inevitabilmente, lo sa. Lo riporta a lui ed alle sue canzoni, le stesse che ha sentito poco prima, dove il musicista ha cercato di nascondere un significato sotto un altro significato - avendo comunque un pubblico che non recepirà nessuno dei due. Si domanda se il musicista si renda conto che nessuno dei suoi soliti ascoltatori coglierà qualche tipo di spirito nella sua arte.
Ma con questi pensieri, che un tempo avrebbero caratterizzato la sua malinconia, si aggiunge la gioia - forse spinta dalla situazione nella quale si trova, forse dal lieve profumo di Jude ancora aggrappato a lui - e la volontà di essere un po' più superficiale. Pensare di conseguenza, ad esempio sul fatto che quelle stesse canzoni potrebbero essere un sottofondo musicale perfetto per loro due come coppia.

Perché quelle canzoni parlano di solitudine, dolore, fallimento ed infine di liberazione. Quello che erano prima di conoscersi, quello che sono diventati conoscendosi.

Ed accompagnerebbero benissimo, con quelle melodie amare, i silenzi ed i respiri dei pomeriggi come questo.
Accompagnerebbero i sospiri degli amanti, i sussurri dei vincitori, nel mentre che Jude è lì tangibile ed insicuro, forse impaurito, e Robert lo stringe godendosi per una volta il torpore della compagnia.
Il calore dello stare bene.

Forse - poi, tra qualche secondo, minuto od ora - arriverà sua madre, li troverà così, si sconvolgerà perché non ci saranno spiegazioni. Forse.
Ma non c'è più spazio per le paranoie o i problemi, non importa adesso. Può solo limitarsi a considerare che la fine è un loro inizio. O un inizio consiste in una fine.





Note:
Ci sono dei motivi molto profondi per questo ritardo, tipo questo. Quindi, tra una valigia fatta virtualmente con Vane e il cavoleggimento al massimo delle mie possibilità per concerti/serate, ho avuto persino il tempo di scrivere tutto questo e poi avere una reazione del genere. Il capitolo lo dedico alla mia icona di Jude su Twitter (che dovevo mostrarvi per forza): non avete idea di quanti minuti abbiamo passato a fissarci negli occhi. ♥
Sì, questo è delirio, ora la smetto e passo alle cose "serie".

In teoria questo capitolo è l'ultimo.
In teoria.
Perché ne mancano altri due - che sono più epiloghi che altro - in quanto la trama si è un po' allungata in fase di stesura e un solo epilogo non mi basta per concludere tutto. Ve lo dirò meglio nel prossimo capitolo, per ora vi basti sapere che siamo quasi alla fine e già sono triste é_e
A consolarmi c'è il fatto che tra meno di una settimana farò 20 anni! Non sarò più una teen, certo, ma almeno gioirò per un motivo più sensato di Sight.

Notizia: i titoli dei capitoli - e qualcuno se n'è accorto - compongono una frase:
Sometimes I Almost Feel Just Like A Human Being.
Viene da Lipstick Vogue di Elvis Costello, in fase originale doveva essere (anzi: era) il titolo della fic, poi ho deciso di arrangiarla in altro modo. Ed ora l'ho composta del tutto, che emozione!

Detto questo, vi saluto. Un bacione enorme a chiunque sia qui a leggere questa fic (e queste note), a chi preferisce, chi segue, chi commenta, chi passa solamente, chi non mi ha ancora presa a sassate come dovrebbe. Siete tutti carinissimi ed io vi adoro per la pazienza ♥
  
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