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Autore: mamogirl    30/07/2011    2 recensioni
"Se lo ami come dici, sai che questa é la cosa migliore da fare. Vuoi avere sulla coscienza la sua morte? Riusciresti a vivere sapendo che potevi prevenire tutto solamente facendoti da parte?"
A volte, proteggere la persona che ami significa anche allontanarla da te, lasciarla andare anche se, così, se ne va anche un pezzo del tuo cuore.
Ma é davvero la scelta migliore?
"Ho sbagliato. Ho creduto alle sue parole, ho creduto che fosse davvero l'unica soluzione possibile per proteggerti. Ma ho sbagliato. Perché, divisi, é come già essere morti. Ti prego, dammi una seconda possibilità."
"Non posso. Per quanto ti ami, non posso dimenticare così tutto il dolore che mi hai causato."

Non é la solita storia di tradimenti e riconciliamenti. E' una storia contro il tempo, cogliere indizi per scovare chi lo vuole morto e cercare di fermarlo prima che sia troppo tardi.
Genere: Drammatico, Romantico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Primo Capitolo

Falling Down

 

 

 

 

 

And this pain’s so insane 
I’m still haunted by the stupid things I’ve said 
All the things
I said 
I don’t wanna li
ve my life without you 
The hardest thing I ever do 
Is try to pick myself up off the ground 



 

 

La pioggia scendeva battente, scontrandosi contro il parabrezza in un ticchettio che, al chiuso ed al caldo conforto di una camera, poteva essere anche conciliante ma in una macchina che cercava di farsi strada nella tempesta, non era di certo confortante.
Grossi nubi nere si erano agglomerate all’orizzonte, rendendo il cielo una tavolozza dove nero e grigio si mescolavano insieme e l’unica luce era quella alternante dei lampi che annunciavano l’arrivo di un tuono.
Sembrava una tipica giornata invernale invece era estate, solo il giorno prima il sole aveva accarezzato sornione la terra ed un cielo completamente celeste aveva brillato grazie a quei raggi.
Quel giorno, invece, era come se ogni forza della natura si fosse alleata una con l’altra per impedire a quel ragazzo di raggiungere la sua meta: le mani erano strette fortemente attorno al volante, non solo per assicurarsi una stabile presa, ma anche per controllare il turbinio di emozioni che, come la tempesta che si stava abbattendo sul litorale, lo scuoteva dentro, spingendolo ad accelerare nonostante la strada non fosse sicura.
Dio, perché aveva dato ascolto a Kevin?
Avrebbe dovuto seguire ciò che il suo istinto gli diceva di fare e che andava totalmente all’opposto di ciò che gli era stato caldamente consigliato.
Beh, più che un consiglio, era stata una minaccia, nemmeno troppo velata ma quella era solamente una sottigliezza. Perché lui era abbastanza onesto da ammettere che il maggiore non gli aveva detto di sputtanare tutto con il suo comportamento codardo.
Già, vigliaccamente aveva scelto di... no, non riusciva nemmeno a pronunciarlo.
Non poteva, o meglio non voleva, pensare a quello che aveva fatto, a come aveva strappato il cuore dell’unica persona che avesse veramente mai amato e lo avesse gettato via come se fosse un semplice oggetto.
Ogni qualvolta che chiudeva gli occhi, lo rivedeva lì davanti a lui, la bocca bloccata nell’urlo che di sicuro stava per uscire ma che era rimasto lì, in bilico tra l’essere ricacciato indietro o, semplicemente, lasciato libero. Ciò che lo faceva sempre star male, di più di quanto già lo fosse, era l’espressione negli occhi, in quelle iridi azzurre che improvvisamente avevano perso qualsiasi luce e colore. Non erano più del colore del mare in una giornata estiva, era come se qualcuno – lui, più precisamente – avesse risucchiato via tutta la vita e l’allegria, lasciando solamente un’ombra.
Vuoti, vitrei.
Morti come l’anima che li aveva sempre illuminati.
Già, quegli occhi che avevano sempre dato spazio a mille parole, in quel momento erano rimasti in silenzio, incidendo in segni indelebili quelle immagini, le sue patetiche scuse che si erano perse nell’aria dopo che lui se n’era andato.
Quattro giorni.
Quattro lunghissimi ed agonizzanti giorni di assenza in cui nessuno aveva avuto più sue notizie.
I media erano impazziti e si erano fiondati sulla notizia come squali su una preda che perde sangue: speculazioni sul perché uno dei membri della band avesse abbandonato uno dei più importanti tour senza lasciare detto niente e, infine, illazioni su liti o misteriose malattie.

E lui...

Lui, per i primi giorni, era rimasto in camera, chiuso nel suo silenzio e crogiolandosi in sensi di colpa che lo colpivano ad ondate. Ripetersi che lo aveva fatto per una buona causa, convincersi che era per il meglio di tutti, non lo faceva stare meglio.
Ricordarsi che lo aveva fatto per poter vedere ancora vivo l’uomo che amava non sembrava più una nobile giustificazione per ciò che aveva fatto.
No, anzi, peggiorava solamente la situazione.
Perché quando fai del male a qualcuno che ti ama, in modo così deliberale e volontario, nessuna ragione, nemmeno la più nobile, può essere sufficientemente buona per spiegare il dolore causato, per giustificare qualcosa che non può essere giudicato come “atto commesso in buona fede”.
Non aveva parlato con nessuno, anzi, aveva evitato accuratamente di rispondere a telefonate, continui colpi alla porta nel vano tentativo di farsi aprire. L’unico contatto con il mondo esterno era stato solo un messaggio, un lapidario “spero che tu ora sia soddisfatto” alla persona che lo aveva indirizzato su quel sentiero.
Era stato Aj ad irrompere nel suo nascondiglio e scuoterlo fin quando non era crollato e gli aveva confessato tutto, dal momento in cui Kevin era entrato con espressione imperturbabile e gli aveva detto di rompere il fidanzamento, fino a quando la spirale degli eventi lo aveva sospinto in un luogo in cui realtà ed incubo si mischiavano così profondamente da rendere i confini labili e dissolvibili con un solo battito di ciglia.
Si era aspettato urla, insulti, prediche moraliste ma non si era aspettato il conforto di un abbraccio che aveva distrutto ogni difese: le lacrime avevano raccolto la sua agonia e disperazione ed avevano cercato di riportare una parvenza di totale anestesia ma, per ogni goccia che lasciava il suo rifugio e scorreva lungo le sue guance, un’altra era pronta a prenderne il posto. Non c’era fine, come potevi chiedere ad un’anima di smettere di piangere per la perdita della propria gemella, avvenuta proprio per mano sua?

Solo tu sai dove può essere andato.

 Quella frase era stata la molla che lo aveva spinto ad alzarsi ed uscire dall’albergo, ed era la stessa che, ora, lo stava spingendo in mezzo alla tempesta a raggiungere quel luogo che solo loro due conoscevano. Nessun altro era a conoscenza di quel posto, il loro rifugio quando ancora la loro storia era agli inizi e non erano ancora sicuri quanto potessero resistere una volta che tutto fosse stato alla luce del sole.

“Mi odia, Aj. Come posso andare da lui sapendo che non mi vorrà nemmeno vedere? L’ho ferito più di quanto sia umanamente possibile perdonare.”
“Non sto dicendo che sarà semplice o che ti accoglierà a braccia aperte. Ma se c’è una cosa di cui sono sicuro è che ti ama.”
“Non più.”

Aveva mentito.
Lui era ancora sicuro che lo amava, era l’unico appiglio di speranza a cui poteva aggrapparsi se voleva, per lo meno, tentare di rimettere a posto le cose.
Che cosa poteva dirgli?
Scusami per aver gettato via la cosa più bella perché avevo paura?
Paura di essere lasciato quando lui si sarebbe reso conto che poteva trovare qualcuno di meglio, qualcuno che sapeva come prendersi cura e come comportarsi da persona matura?
Paura perché poteva essere lui la rovina di tutto?
No, non poteva fare quei pensieri.
A che cosa erano servite ore ed ore, quasi notti, a parlare e discutere di come non esistesse la perfezione ma solamente l’esser fatto l’uno per l’altro? 

La perfezione non esiste, amore mio. I difetti sono ciò che ci spingono a crescere ed a provare ad essere migliori, non solo per noi stessi ma, soprattutto, per la persona che ci sta accanto. Ogni giorno, al tuo fianco, imparo qualcosa di nuovo.     

Il suo gnomo saggio.
Era il suo nomignolo per quei momenti in cui il suo ragazzo diventava serio, arricciava il naso, e tirava fuori quelle perle di saggezza.
E lui... lui rimaneva sempre senza parole, non sapeva nemmeno se aveva compreso a fondo quello che gli stava dicendo e quindi gli rispondeva sempre con l’unico modo che conosceva: un bacio.
Ma tanto era saggio tanto era anche fragile.
Non come quei vasi che il solo osservarlo potrebbe rischiare di creare una frattura ma il suo cuore era talmente grande, talmente colmo di amore e compassione, che, a volte, era così facile fargli del male senza nemmeno rendersene conto.
Si era ripromesso di proteggerlo, di far sì che nessuno potesse fargli del male... e poi? E poi era lui colui che lo distruggeva senza secondi pensieri. 
I fari della macchina illuminarono un cartello, annunciandogli che era giunto a Cape Neddick, un piccolo paesino nel Maine affacciato direttamente sulla costa. Paesino era un eufemismo per descrivere quel posto, era meglio dire che era un insieme di casette e cottage sparsi sulla costa.
Ma era proprio per quello che lo avevano scelto come loro rifugio, così isolato e protetto dalle scogliere, solo chi sapeva come muoversi in quell’intricato e solitario dedalo di stradine poteva accedere alle zone abitate.
La prima volta che vi erano venuti, anche loro si erano persi ed erano giunti all’unica attrazione che potesse attirare un po’ di turisti, ovvero il faro. Ricordava ancora come lui aveva pregato, scongiurato ed infine riuscito ad ottenere, di entrare a dare un’occhiata per poi finire a fare l’amore al chiaro di luna, circondati solamente dal rumore delle onde che si infrangevano sulla parete rocciosa ed il vento che rinfrescava l’aria.
Il loro cottage si trovava verso la fine del paese – letteralmente visto che, oltre di essa, c’era solo l’oceano – ed era fornito del minimo indispensabile: una cucina/sala da pranzo, salotto, un bagno ed una camera da letto. Ma il dettaglio che li aveva conquistati era stata la veranda, con la sua vista a strapiombo sul mare: quante notti avevano trascorso abbracciati, avvolti da una coperta, ed ascoltato il rumore delle onde alternato al battito dei loro cuori mentre si scambiavano progetti sul futuro o, più semplicemente, assaporavano il fatto di essere insieme?
Ancor prima di notare la sua macchina parcheggiata davanti al cancello, il ragazzo seppe di aver visto giusto. Non c’era altro posto dove sarebbe potuto fuggire e potersi nascondere se non quello. 
Parcheggiò quindi dietro la sua auto e corse più velocemente che poté per non inzupparsi completamente.
Ma la casa, una volta entrato, era completamente silenziosa, privata di quei suoni, come il semplice respiro, che avvisavano della presenza di qualcuno.
Giusto per scrupolo, controllò ogni stanza e, a parte un borsone lasciato per terra in camera ed ancora completamente intatto, niente lasciava supporre che lui fosse stato, anche per un solo secondo, in quella casa.
Ma lui era stato lì, l’aria era impregnata del suo profumo e bastò solo quello, quel leggero effluvio, a riportare galla tutti i ricordi che aveva tentato, invano a quel punto, di tener custoditi dentro di lui: immagini si confondevano tra loro, promesse sussurrate di un amore che non avrebbe mai avuto fine, corpi che si incontravano e si parlavano in quel loro linguaggio così speciale.
Le lacrime ricominciarono a bruciare negli occhi, cercando una liberazione, mentre un groppo incominciò a salirgli in gola.
Non poteva essere quella la loro fine.
No, non lo avrebbe permesso.
Anche se era stato lui a dare inizio a quella spirale, anche se era lui che aveva causato quella tempesta... lo avrebbe trovato e gli avrebbe spiegato tutto, fin nei minimi particolari. E poi avrebbe semplicemente chiesto perdono, scongiurato e pregato di avere una seconda possibilità, un’opportunità per riparare i danni e ricostruire la loro favola.
Determinatezza e risoluzione presero il posto della disperazione e dell’agonia, un fuoco che lo accendeva e che iniettava nuova linfa: con passo deciso, si diresse verso l’armadio e recuperò qualche coperta.
Se la sua intuizione era giusta, ovvero che il ragazzo fosse uscito nonostante quel tempo, ne avrebbe avuto bisogno.
Uno pensava che, essendo il più grande fra i due, fosse anche più responsabile ma... pochi erano a conoscenza di quanto poco si prendesse cura di se stesso quando aveva troppo per la testa.
Ritornò fuori e rimise in moto la macchina in modo da poter scendere fino alla spiaggia: solitamente percorrevano quel sentiero a piedi, rincorrendosi a vicenda e facendo a gara per chi arrivasse per primo. Parcheggiò in un piccolo spazio e, per qualche secondo, rimase assorto ad osservare il nero davanti a lui: il mare era di un blu scuro, onde spaventosamente alte si infrangevano sulla battigia, inondando delle piccole barchette dimenticate lì chissà da quanto tempo; il cielo ormai era una coltre grigia, di una tonalità simile al nero, e le gocce di pioggia scendevano sempre più fitte.
Il finestrino si era ormai appannato a causa del suo respiro, più veloce rispetto al normale mentre continuava a domandarsi perché il suo ragazzo – no, non riusciva ad utilizzare quella particella che avrebbe portato tutto al passato – non si fosse reso conto che si stava scatenando l’apocalisse e che doveva trovare un rifugio.
Provò a mettersi nei suoi panni. Con tutto quello che era successo, con tutto quello che aveva dovuto subire, anche lui non sarebbe stato nella perfetta sanità mentale per pensare a qualcosa di così futile come qualche goccia di pioggia ed un lampo qua e là.
Nella sua mente, avrebbero continuato a rivedere le immagini che lo avevano costretto a scappare via, a nascondersi da tutti e da tutto e nemmeno la pioggia più gelida avrebbe potuto confrontarsi con le dita ghiacciate che stringevano il suo cuore in una morsa d’acciaio.    
Doveva trovarlo.
Con quel pensiero, il ragazzo uscì dalla macchina, tirandosi sopra i capelli biondi il cappuccio della felpa, ed incominciando a correre sulla spiaggia.
Il vento gli soffiava contro, la pioggia gli entrava negli occhi, impedendogli di tenerli aperti per più di un secondo, giusto il tempo necessario per assicurarsi di non andare contro qualche scoglio o, peggio, essere risucchiato dalle onde del mare.
Ma le sue gambe continuavano ad affondare nella sabbia bagnata, spinti da una consapevolezza quasi inconscia, come se sapevano esattamente dove dirigersi. 

“Se un giorno ci dovesse succedere qualcosa, se un giorno dovessimo essere separati, ci ritroveremo qui, fra queste rocce. Questo è il nostro posto.” 

Le parole gli ritornarono in mente come un’illuminazione.
Sapeva dove trovarlo, sapeva dove si era rifugiato ad aspettarlo.
E, infatti, fu lì che lo vide e, rannicchiato vicino a degli scogli, sembrava più piccolo di quanto già non lo fosse. 
Si avvicinò, il cuore che martellava così forte che lo sentiva al di sopra dei tuoni, del vento che sibilava ed il rumore delle onde.
Solo la differenza di altezza, ora, metteva una separazione fisica tra loro due. Ma il ragazzo seduto sulla spiaggia sembrava ancora non essersi accorto della sua presenza, quasi fosse segregato in un’altra dimensione senza appigli alla realtà.
Lui provò a richiamare la sua attenzione ma dalle sue labbra non uscì nulla, neppure il più flebile dei sussurri, nemmeno un gemito per indicare che lui, effettivamente, era lì. La voce gli si era intrappolata in gola, come se avesse paura che, una volta richiamata l’attenzione, tutto si trasformasse in un incubo.
Ma vi era un incubo peggiore di quello che già stava vivendo?
Sul viso su cui vi era sempre stato un sorriso, ora c’erano solo tracce di lacrime miste a pioggia.
Il sussurro arrivò flebile, accarezzato dal vento e trasportato sulle onde.
Il ragazzo abbassò lo sguardo mentre un altro si alzava, cercando di mettere a fuoco la figura che si stanziava davanti a lui.
Una sola parola, due sillabe che risuonarono oltre il rombo del mare, il tuono ed il vento.
“Nick?”

 

 

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The hardest thing I ever do 
Is try to pick myself up off the ground 

Trying to outrun all the memories 
But I keep falling down 
I keep falling down 
And it’s like you still got a hold on me 
Cause I keep falling down 
I keep falling down 

 

 

La spiaggia era completamente deserta, come era del resto prevedibile in una giornata del genere, dove vento ed acqua avevano dato inizio alla loro danza più sfrenata.
Sì, sul bagnasciuga non c’era nessuno salvo per una figura umana che, non importandosene se fosse controvento o se era bastato un solo minuto affinché i suoi vestiti diventassero completamente inzuppati, camminava con lo sguardo abbassato.
Neppure lui sapeva da quanto tempo stesse camminando, non sapeva nemmeno in che direzione stesse andando e quanto si fosse allontanato da casa sua.
Anche se non era quello il luogo da cui il ragazzo stava fuggendo via.
No, stava scappando da un albergo e, più precisamente, una stanza.
Una camera che doveva essere un nido d’amore per qualche notte e, invece, si era trasformato nel peggiore degli incubi.
Aumentò il passo, per quanto possibile con la sabbia pesante quanto cemento, come se quel mero atto fisico potesse allontanare quel pensiero.  
Ma, per quanta distanza avesse frapposto fra lui e ciò da cui stava scappando, continuava a rivedere quelle immagini e a chiedersi il perché di quello che era successo.
Non s’era mai aspettato quel colpo basso.
No, peggio... un colpo basso sarebbe stata una bugia, un litigio, rammentargli quanto miserabili fossero stati i primi tempi, quando dovevano nascondere i propri sentimenti e lui aveva paura di che cosa significava quella sempre più crescente attrazione verso il suo migliore amico.
Un colpo basso sarebbe stato minacciarlo di rompere perché non voleva, o meglio, aveva paura a raccontarlo alla sua famiglia. 
Tutto poteva essere classificato come colpo basso tranne quello.
Quella era una pugnalata dritta al cuore quando meno te l’aspettavi.
Sei mesi.
Come poteva essersi illuso per sei lunghissimi mesi?
Perché quella era stata, una semplice e meravigliosa illusione di aver finalmente trovato la sua anima gemella, l’unica persona che lo avesse fatto sentire completo.
Che illuso!
Era stato tutto un gioco, forse un divertimento... non avrebbe mai potuto immaginare quanta cattiveria risiedesse in quel ragazzo che aveva amato già dal primo giorno che lo aveva incontrato.
O meglio... non era nemmeno vero ciò.
Almeno in parte.
Aveva solo diciotto anni e dell’amore sapeva ancora poco. Qualche timido bacio negli spogliatoi, qualche tentativo di esplorare quel crescente desiderio ed attrazione verso il suo stesso sesso.
Poi, si erano conosciuti.
Qualcosa era scattato, dentro di lui. Qualcosa di così potente che lo aveva immediatamente spaventato e che lo aveva spinto a nascondersi dietro la maschera di fratello maggiore e miglior amico.
Maschera che era caduta qualche anno prima ma, con quelle circostanze, non c’era stato il tempo per approfondire il discorso o, semplicemente, fare un semplice passo in avanti.
La paura che fosse solamente frutto della sua immaginazione lo aveva tenuto prigioniero.
D’altronde, come poteva lui interessargli?
Come poteva anche solo pensare di poter essere minimamente all’altezza per un ragazzo come Nick Carter?
Soprattutto, era sempre stato convinto che cercassero due cose completamente diversi in una relazione: lui si sentiva pronto per qualcosa di stabile, un rapporto che non si sarebbe basato solamente sull’attrazione fisica o sul mero sesso, tutto l’opposto di Nick.
Si era sbagliato, quindi?
Avrebbe dovuto già da subito capire che il sesso era tutto quello che interessava Nick.
Ma come poteva credere ciò dopo quei meravigliosi sei mesi trascorsi insieme?
Come poteva, dopo tutti quei discorsi e tutti quei progetti di un futuro anche al di fuori del gruppo?
Eppure... tutto si era dissolto come neve al sole aprendo una semplice porta.
Lui era stato fuori tutto il giorno, impegnato in un’intervista ma aveva contato i minuti che lo separavano dal momento in cui sarebbe tornato in albergo.
Ad aspettarlo ci sarebbe stata una sorpresa, così Nick gli aveva detto quella mattina.
Di certo, lui non si era aspettato ciò che aveva trovato una volta entrato nella loro camera.
Era rimasto pietrificato, immobile ancora sulla soglia della porta: il suo cervello non riusciva a processare le immagini che i suoi occhi, attraverso le ramificazioni nervose, gli stava mandando.
Perché...
Ci doveva essere uno sbaglio, sicuramente aveva confuso un sei con un nove e si era ritrovato nella camera di qualcuno che assomigliava perfettamente al suo ragazzo ma che non poteva essere lui.
Era impossibile che fosse lui.
Non aveva mosso un dito, non aveva né urlato né pianto né lanciato oggetti alla coppia nuda nel letto.
Si era focalizzato solamente sull’atto semplice di respirare, qualcosa che in quel momento sembrava un’operazione simile ad una missione impossibile, nonostante il respiro dovesse essere assolutamente naturale.
Ma quell’immagine continuava ad interromperlo, come anche le patetiche scuse di colui che gli aveva promesso che non gli avrebbe mai fatto del male.
E lui ci aveva anche creduto!
Che idiota!
Si era voltato ed aveva incominciato a camminare; sapeva di essere uscito dall’albergo ma quella era l’unica certezza su quello che era successo in quelle ore. Strade, quartieri, vicoli e viuzze avevano incominciato a confondersi tra loro fin quando non erano diventate tutte uguali, fin quando non si era completamente scordato in quale città si trovasse.
Aveva importanza?
No, niente aveva più importanza se non quel senso di totale vuoto che lo stava divorando, una lenta agonia che sapeva che non avrebbe mai avuto fine.
Razionalmente, si rendeva conto che un giorno sarebbe riuscito a riguardarsi indietro e non provare la sensazione di cadere in un buco nero ma ora, con le ferite ancora così fresche e sanguinanti, il suo mondo sembrava essersi distrutto e ridotto in cumuli di pezzettini troppo piccoli e frammentati per essere rimessi insieme.
Così camminava e non pensava.
In realtà, non provava niente. Ogni qualvolta la sua mente ritornava a pensare a ciò che aveva assistito, lui aumentava la sua andatura, forzando i suoi muscoli a collaborare anche se ormai allo stremo delle forze.
Camminando, non s’era reso conto che la notte aveva dato spazio alla mattina e non aveva fatto caso che i lampioni s’erano spenti, perché non c’era più bisogno della loro artificiale luce quando i primi raggi del sole si stavano svegliando all’orizzonte.
La città, qualunque essa fosse, stava ritornando alla vita dopo il lungo sonno: i negozi riaprivano i battenti dopo la chiusura notturna, le strade incominciavano a brulicare di studenti, lavoratori o solamente persone che andavano a fare le loro commissioni e,  dalle porte aperte dei bar, l’aroma pungente del caffè appena macinato si librava nell’aria, mischiandosi con lo smog causato dal traffico che andava ad intensificarsi sempre di più.
Nessuno badava a lui, né tantomeno lo avevano riconosciuto come uno di quei cantanti che tanto facevano impazzire le loro figlie.
D’altronde, come potevano?
Quella figura che si aggirava per le strade era molto lontana da quella che avevano sempre osservato su poster, durante concerti o interviste, o semplicemente in un video musicale.
Con lo sguardo abbassato, gli occhi completamente privi di qualsiasi emozione e le braccia strette attorno alla vita, il ragazzo procedeva come se fosse un fantasma, un entità solamente corporea perché l’anima era stata trafitta e rubata dal più vile dei tradimenti.
Non sapeva come ma dalle strade di quella città irriconoscibile, il ragazzo si era ritrovato davanti alla loro casa.
Già il solo vederla portò un colpo sordo al cuore.
Andare a vivere insieme era stato un passo importante e, nello stesso tempo, qualcosa di inevitabile.
Con una pausa di qualche settimana tra una serie di date e l’altra, nessuno dei due voleva interrompere quel magico momento in cui tutto quello che si voleva fare era stare insieme all’altro. 
Non sembrava un qualcosa di affrettato, come poteva del resto quando si conoscevano già da anni?
E così era stato, andare alla ricerca della casa dei loro sogni, trovarla e poi perdere ore ed ore davanti ad un computer per progettare l’arredamento... erano stati, forse, i momenti migliori perché rappresentavano  i primi passi verso un futuro insieme.
Aveva mentito anche lì?
Perché non gli aveva detto immediatamente che stavano correndo troppo e che, forse, dovevano calmarsi ed allungare i tempi?
Che senso aveva tradirlo così?
Nessuno, almeno apparentemente.
Aprì la porta d’ingresso e venne assalito dai ricordi: nel salone c’erano ancora tutti gli scatoloni pieni di oggetti che andavano smistati nelle varie stanze. Non avevano avuto il tempo di disfarli, impegnati com’erano nell’esplorazione dei loro corpi.
Come era riuscito ad ingannarlo così potentemente?
Gli aveva fatto credere che sarebbero stati insieme per sempre, che la loro relazione era tutto ciò che il suo cuore desiderava. Aveva lenito le sue paure con baci e carezze, lo aveva assicurato quando i dubbi lo assalivano nel mezzo della notte e gli aveva aperto una parte della sua anima a cui nessuno aveva mai avuto accesso.
Come era potuto cambiare tutto in sole poche ore?
Come poteva essersi beato di lusinghiere bugie senza accorgersene?
Perché eri innamorato.
Perché lo ami ancora.

Le immagini che aveva bloccato ritornarono con più veemenza, torturandolo con suoni che, la prima volta che aveva udito, aveva pensato fossero i più armoniosi mai sentiti. E la consapevolezza di essere stato lui l’artefici, lo aveva travolto con un potere che ora lo lasciava impotente.
A che cosa serviva sentirsi speciale per un qualcosa che accadeva anche con altre persone?
Guardandosi in giro, il ragazzo si accorse che doveva andarsene.
Quello non era più il suo posto.
Non poteva rimanere lì, non con tutti quei ricordi e tutte quelle promesse che non avrebbero più visto luce.
Dove poteva andare?
Non poteva tornare indietro, non aveva la forza necessaria per far finta che nulla fosse successo, sorridere alle fans ed alle telecamere mentre dentro stava lentamente morendo.
Per non parlare del dolore che solamente la sua presenza gli avrebbe causato: vederlo e non poterlo toccare, stringere di nascosto la sua mano e rubare qua e là dei baci; accoccolarsi mentre guardavano un film, commentando quanto stupide fossero certe scene e certi dialoghi.
Niente, non avrebbe potuto più fare nessuna di quelle cose.
Vederlo e ricordare ogni secondo che passava il motivo per cui non potevano stare più insieme.
Vederlo e ricordarsi perché il suo cuore aveva smesso di battere e, da allora, non aveva ancora ripreso un solo battito.
Ma non poteva nemmeno restare in quella casa, dove ben presto lo avrebbero ritrovato.
Gli altri sapevano che ormai loro due vivevano insieme, avevano anche organizzato loro una piccola festicciola di inaugurazione della casa nel giardino sul retro.
Se lo avessero trovato lì, avrebbero cercato di sicuro di riportarlo in tour e lui avrebbe accettato, solo per non dover star lì ad ascoltare, per l’ennesima volta, quanto gli affari personali non dovessero mai interferire con il lavoro.
Oh no, non avrebbe giocato a quel gioco.
Aveva bisogno di tempo, necessitava di un luogo dove nessuno poteva raggiungerlo e dove avrebbe potuto leccarsi le ferite e trovare un modo per andare avanti.
Sempre ammesso che esistesse.
Come poteva smettere di amare qualcuno che gli era entrato nell’anima da sempre?
Accuratamente, evitò di entrare nella loro  camera, l’unica stanza in tutta casa che era stata arredata, l’unica in cui ogni singolo oggetto era stato scelto con cura. Ricordava ancora le ore trascorse a scegliere il letto perfetto e le lenzuola in coordinato, le discussioni perché lui voleva tanti cuscini mentre Nick preferiva uno stile più semplice.  
Un’amara risata uscì dal suo petto, poteva anche non entrare ma ogni vivido dettaglio era impresso nella sua mente, insieme ai ricordi che loro due avevano creato.
Il più velocemente possibile recuperò qualche vestito, gettandoli alla rinfusa nel primo borsone che aveva recuperato nella camera degli ospiti.
Chissà che avrebbero detto se lo avessero visto in quel modo, comportarsi in modo così irrazionale proprio lui che aveva sempre fatto della meticolosità e dell’ordine una sua caratteristica. Era stato solo un mese prima che si era ritrovato in quella medesima scena ma alle prese con borse e valigie per due persone mentre il suo ragazzo cercava di interromperlo con baci e carezze. 

“Smettila o non finiremo... no, scusa, non finirò in tempo e poi Kevin si arrabbierà perché siamo arrivati in ritardo!” Un’obiezione inutile, le mani che circondavano la sua vita scesero sempre più in basso, iniziando ad armeggiare con la cintura dei pantaloni. Baci che bruciava come se fossero fiamme rosse incominciarono a discendere sul collo, sulla spalla per poi risalire fino all’orecchio. 
“Magari è proprio questo il mio piano. Tu non hai idea di quanto tu sia così eroticamente affascinante quando sei arrabbiato.” 
Erano caduti sul letto, Nick sopra di lui, le sue mani che sembravano essere dovunque... i vestiti erano finiti per terra, sopra i mobili; i cuscini avevano presto fatto quella fine e, per ore, il mondo esterno era stato pazientemente ad aspettare. 

 Anche il solo ricordo di quella voce roca di desiderio, dopo giorni e giorni trascorsi da quel momento, lo faceva tremare, scuotendolo dall’apatia in cui era caduto dal momento in cui era fuggito via.
Si lasciò cadere per terra, tra le mani una maglietta che aveva ancora l’odore del ragazzo che aveva amato e che amava ancora.
La prima lacrima scese silenziosa, scorse sulla guancia senza lasciare traccia e si posò sul tessuto nero. L’argine che aveva costruito fino a quel momento si disintegrò sotto la potenza delle lacrime, troppo fragile per tener testa al dolore che era tornato più prepotentemente che mai.
Si era ripromesso di non piangere perché, se solo avesse incominciato, non avrebbe più smesso.
Ma lì, sommerso dai ricordi, abbandonò ogni promessa.
Lasciò libertà al dolore, rannicchiandosi su se stesso per contenere quella voragine che lo stava risucchiando via in una marea troppo alta per poter ostentare un minimo di forza contro di essa.
Era stato tradito, nel modo più subdolo e vigliacco che possa mai esistere.
La sua fiducia era stata schiacciata come se non contasse niente, come se tutto si fosse ridotto semplicemente ad un insieme fortunato di coincidenze.
Aveva pianto fin quando aveva avuto la sensazione di essere rimasto senza più liquidi nel corpo.
Aveva pianto fin quando aveva sperato di aver cacciato via il dolore, depurato la sua mente da quelle terribili immagini.
Ma quelle si mescolavano insieme ai ricordi, a quegli attimi di assoluta gioia in cui lui si era sentito l’uomo più fortunato al mondo. Aveva tutti i motivi per esserlo, aveva finalmente tutto ciò che aveva sempre desiderato: il suo migliore amico, il suo amante, la sua roccia... il tutto riunito in un’unica persona.
Non aveva mai creduto così fortemente nell’amore, aveva ormai perso la speranza di incontrare quella persona che lo rendesse completo, che lo facesse sentire come se ogni pezzo, finalmente, avesse trovato il suo posto. 

Poi...

 Poi si era ritrovato, seduto nella sua macchina, davanti al piccolo cottage in una zona sperduta del Maine.
Confuso, si chiese come ci era arrivato.
A parte l’ovvia risposta, con la macchina, il tempo aveva perso il suo regolare fluire, scandito nelle classiche divisioni in ore, minuti e secondi. Sembrava che solo un attimo primo fosse crollato all’interno della stanza degli ospiti ed ora era lì, a kilometri di distanza ed a ore ed ore di viaggio di cui non ricordava assolutamente nulla.
Era un miracolo se era giunto a destinazione senza avere un incidente!
Rimase seduto in macchina per tempo immane, ormai aveva perso il conto delle ore e dei minuti. O, forse, era più semplice dire che niente sembrava più aver senso, nemmeno qualcosa di così eterno come lo scorrere del tempo.
Il loro rifugio.
Altre lacrime, lacrime di cui non sapeva da dove potessero provenire, ricominciarono a scendere lungo le guance.
Dove aveva sbagliato?
Fino al giorno prima, fino solo qualche ora prima, tutto era stato così perfetto!
Perché non aveva captato i segnali che qualcosa, invece, era imperfetto?
Perché non aveva capito che qualcosa turbava la mente del suo ragazzo?
Si era sempre inorgoglito del fatto che potesse leggere il ragazzo come uno specchio, ogni minima espressione e cambio di pensiero. Dove era andata a finire quella sua saggezza?
Possibile che l’amore lo avesse accecato a tal punto da non rendersi conto di niente se non la propria felicità?
Eppure...
Doveva aver combinato qualcosa, doveva aver fatto qualcosa che avesse spinto il suo ragazzo a cercare conforto in qualcun altro!
Nemmeno in un altro uomo! No, era andato a scegliersi una ragazza!
Era un messaggio, quello?
Voleva, forse, dirgli che aveva considerato la loro storia come un semplice esperimento?
Di tutta quella situazione, era quello che ora faceva più male.
Il pensiero che promesse e parole fossero state solamente seme per la tempesta, vuote fino al loro più profondo significato.
Mentire con le parole è facile, mentire con la consapevolezza di illudere chi ti ama è un atto credule, il peggiore dei crimini ed il più difficile da decifrare.
Ma nemmeno cento parole, nemmeno mille promesse, avrebbero potuto consegnare un messaggio più dolorosamente chiaro di quelle gambe avvolte attorno ad un’altra vita, le labbra che marchiavano altra pelle e mani che accarezzavano qualcosa a cui non si era detto mai più interessato.
Faceva maledettamente male ritrovarsi ora in quel luogo, dove ogni angolo aveva impresso un segno del loro amore.
Giorni in cui si erano dedicati solamente a loro, a celebrare qualcosa che veniva creato solamente dal battito dei loro cuori e dagli sguardi colmi di amore.
E lì, al sicuro in quel luogo dimenticato e sconosciuto da chiunque se non da una persona, le urla di rabbia, dolore ed angoscia trovarono finalmente la loro via d’uscita.
Gridò fino a quando l’aria che usciva dai suoi polmoni sembrasse una pugnalata ad ogni respiro.
Gridò fino a quando, esausto e completamente vuoto, cadde per terra perché le sue gambe non riuscivano più a reggere quel peso di dolore e sofferenza.
L’incoscienza era subentrata, un oblio che gli garantiva, almeno, un periodo di completa anestesia da dolore e ricordi. Il buio lo aveva cullato, aveva avvolto la sua scura coperta attorno a quel corpo ed aveva cercato di offrigli conforto, illudendolo sul fatto che si fosse immaginato tutto e che, spesso, le cose non erano come apparivano.
Ma no, niente di quella fortuna!
Il sonno, se così lo poteva chiamare, era durato pochissimo: immagini e figure avevano incominciato a prendere forma e lui si era ritrovato a rivivere ogni cosa, ogni scena, ogni gemito di passione che non apparteneva a lui.
Persino il tempo aveva deciso di compatirlo, freddo ed acqua avevano incominciato a tamburellare contro le finestre mentre il vento faceva fischiare gli infissi che ancora andavano messi a posto.
Quanti progetti avevano avuto per quel cottage!
Che fine avrebbe fatto?
Chi lo avrebbe tenuto?
Non sapeva spiegarsi perché si stava fissando su quei dettagli, che importanza aveva a chi sarebbe andato quell’edificio?
In realtà, una spiegazione c’era: era così’ che la sua mente funzionava, era così che cercava di proteggersi dal dolore focalizzando ogni energia su concetti e problemi all’apparenza semplici.
Concentrarsi su tutto tranne che sull’unica cosa che poteva rimandarlo ancora a pezzi.
Senza pensarci, incominciò a camminare nella casa, passando per le stanze senza vedere niente: la sua mente non era lì ma era intrappolata dai e nei ricordi.
Era furioso, sì.
Era arrabbiato, adirato, irato ma... ma sotto tutti quei sentimenti così forti e passionali, non vi era odio.
Era possibile ciò?
Era possibile continuare ad amarlo anziché odiarlo?
Eppure, l’odio doveva essere giustificato in una situazione del genere. L’odio era quasi un sentimento che ci si aspettava quando scopri un tradimento in quel modo.
Invece, non c’era niente. Solo l’orgoglio lo tratteneva dal riprendere in mano la macchina e fare marcia indietro, ritornare da chi l’aveva ferito per chiedergli spiegazioni e cercare di rimediare.
Ma non toccava a lui. Oh no, decisamente no!
Questa era la prova del nove, se lui fosse tornato, allora significava che qualche speranza poteva ancora ardere, anche se flebilmente.
Quanto tempo era passato? Un giorno? Due?
Non se lo ricordava ma sembrava essere trascorsa un’eternità, anche se in alcuni momenti sembrava essere successo solamente il giorno prima.
Quando si accorse della pioggia che lo colpiva direttamente sul viso, il ragazzo si accorse di essere uscito e di stare camminando per la spiaggia.
Il cielo era di un grigio plumbeo, il mare era agitato dalla forza del vento ed alte onde si infrangevano sul bagnasciuga, risucchiando qualsiasi cosa trovassero sulla loro strada.
Ma al ragazzo non importava, il freddo che lo stava invadendo non poteva reggere il confronto con quello che già provava.
Voleva solo sparire, scomparire e, nello stesso tempo, voleva essere fra le sue braccia: in un contorto pensiero, solo colui che l’aveva ferito poteva lenire il suo cuore infranto ed infondergli nuova linfa.
 
“Se un giorno ci dovesse succedere qualcosa, se un giorno dovessimo essere separati, ci ritroveremo qui, fra queste rocce. Questo è il nostro posto.”
 

Il loro luogo.
Non era niente di che, solo alcune rocce che formavano un cerchio all’interno del quale loro due si erano nascosti tante volte.
Si aggrappò a quelle parole e si lasciò cadere sulla spiaggia bagnata, rannicchiandosi su se stesso per cercare un po’ di calore.
La pioggia continuava a scendere senza sembrare di voler smettere, anzi!
Diventava sempre più fitta, luccicava della luce dei fulmini che apparivano all’orizzonte mentre i tuoni si facevano più forti, soccombendo ogni altro il rumore, anche il suono dei suoi stessi singhiozzi.
Ma, distintamente, sentì qualcuno avvicinarsi, il rumore di passi che si confondeva con il rombo delle onde e dei tuoni.
Nick.
Nick era lì o era solo un’allucinazione?
Nick, oh Nick.
Perché lo stava torturando in quel modo? Che cosa ci faceva lì quando lui era scappato proprio per non provare quel lancinante dolore non appena metteva lo sguardo sopra quei capelli biondi e quegli occhi azzurri?
Ma era davvero lui, poi?
Forse... forse il suo cuore stava costringendo la sua mente a creare un palliativo, qualcosa, qualsiasi cosa, che fermasse quell’oceano di agonia in cui stava lentamente soccombendo ancora una volta.
“Nick?”
Era quella la sua voce? Non la sentiva nemmeno lui, era più qualcosa che si avvicinava ad un sussurro e la sua gola... oh, la sua gola bruciava solamente al mettere insieme quelle due semplici sillabe.
“Brian?”
 

 

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Rieccomi! A questo capitolo ci stavo lavorando da più di una settimana. La scelta di far pronunciare i due nomi dei protagonisti solo alla fine di ciascun punto di vista é volontario, spero, più che altro, che si capiscono i vari cambiamenti. 

Ricordatevi del prologo e non uccidete Nick! ^__^ So che l'ha fatta grossa ma... l'ha fatto in buona fede.

Il prossimo capitolo farà un salto indietro nel tempo e vedremo come si sono messi insieme e, soprattutto, perché Nick ha deciso di tradire Brian.

Oh, l'aria di montagna sta facendo tanto bene al mio cricetino! lol

La canzone usata, sì, non siate sorprese é di Nick, "Falling Down", una delle poche canzoni che mi piacciono del nuovo album! 

Buona lettura!

   
 
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