Salve!
Ho anticipato la nascita
di Althea di un anno e il motivo ve lo spiegherò più avanti: è al quinto anno,
invece che al quarto, niente di troppo sconvolgente. XD
Aggiorno presto, nella
speranza di ricevere un commento in più.
Ringrazio ElleH, come sempre. <3
Enjoy! ;D
Cadence of Her Last Breath
Capitolo III: Packets From Nobody.
I primi due
mesi ad Hogwarts passarono con una velocità impressionante.
Althea
riusciva a malapena a rendersi conto del tempo che passava tanto era impegnata in
quelle settimane: tutti i professori era ossessionati dal prepararli all’anno
degli O.W.L.s. Non che la cosa dispiacesse alla
ragazza, che voleva impegnarsi seriamente nell’intento di costruirsi
un’istruzione valida e solida, ma non capiva perché gli insegnanti dovessero
iniziare a terrorizzarli con dodici mesi di anticipo.
Quando non
era chiusa in biblioteca con la testa china sui libri, Althea era in compagnia
di Darren. Non aveva ancora ben
capito se stessero insieme o no, non c’era stata alcuna dichiarazione
ufficiale, ma visto che passavano insieme un sacco di ore e che lui la baciava
e la prendeva per mano in pubblico doveva supporre che lui la considerasse la
sua ragazza. Althea, per il primo mese, era stata in preda ad una totale e
fantastica euforia che, purtroppo, era scemata troppo presto e senza alcun
genere di preavviso. Pensava che, andando avanti nella relazione, avrebbe
iniziato ad innamorarsi di lui o perlomeno a provare qualcosa che
rassomigliasse vagamente all’amore, ma si era resa conto che era legata a lui
da un forte affetto di natura confusa e ambigua. Passava da momenti in cui lo
guardava come un amico ad altri in cui era seriamente e irresistibilmente
attratta da lui: per fortuna lo osservava con un certo distacco solo quando non
le era vicino. Non appena le loro labbra si univano e sentiva una sua mano
affondare tra i suoi capelli e prenderle la nuca, ogni dubbio sembrava
dileguarsi e si trastullava nella sicurezza di essere in compagnia del ragazzo
giusto.
Peccato che
quando si trovava da sola, nel suo letto, finiva sempre con l’addormentarsi con
il pensiero opposto.
Quella
mattina si svegliò di soprassalto, dopo una notte agitata e costellata di
incubi assurdi di cui non ricordava le immagini, ma che le avevano lasciato
addosso un insolito senso di solitudine. Tentò di mettersi a sedere e la sua
testa iniziò a dolerle in maniera atroce, per protesta. Si lasciò ricadere
sulla federa nera, coprendosi il viso con le mani. La sera prima aveva preso
parte al festoso e incredibilmente abbondante Banchetto che ogni anno veniva
organizzato in occasione di Halloween e poi ricordava di essersi appartata da
qualche parte con Darren, il
quale le aveva fatto bere una dose non specificata di Firewhisky e Idromele barricato. Si sforzò di
riportare alla mente cos’era successo con lui e a che ora fosse tornata a
letto, ma non vi riuscì: si maledisse mentalmente per aver ceduto alle sue
moine e aver aggiunto una quantità indeterminata di alcool a una già
incredibile indigestione di dolci.
Nervosa e scocciata,
si alzò dal letto e si trascinò in bagno dove passò la prima mezzora della sua
giornata con la testa a stretto contatto con il water. Judith la raggiunse
quando lei era certa di aver vomitato anche qualche organo interno e si stava
pulendo la faccia, fermandosi ogni tanto ad osservare il suo riflesso
spaventoso sullo specchio.
La guardò con
un’espressione curiosa che la fece innervosire ancora di più e che non le
impedì di grugnire –perché non si sentiva ancora in grado di parlare- uno
sgarbato: «Che c’è?».
La risposta
dell’amica fu laconica e sospetta, tanto che Althea pensò che presto si sarebbe
ritrovata a urlarle contro.
«Niente».
«Judith,
dimmi che c’è».
«Guarda che
sei tu quella che deve parlare fra le due!» disse lei, cominciando ad assumere
un’aria offesa.
«Perché?»
«Non sono io
quella che è stata beccata in atteggiamenti intimi con il suo ragazzo».
«Cosa?! Chi
mi ha beccata a fare cosa?»
«Io ti ho beccata mentre Darren sembrava molto impegnato con i bottoni
della tua camicetta».
Althea si concentrò,
sforzandosi di ricordare: l’unica cosa di cui era certa è che se n’era andata
via piuttosto di fretta, scappando quasi, ma non si capacitava ancora del
motivo. Si spremette le meningi al massimo e poi vi fu un lampo di
comprensione.
Oh.
Ora ricordava,
già.
«Non c’è
niente da raccontare, hai visto l’unica cosa interessante».
«Come? Non
siete andati avanti?»
«No».
«E perché?!»
«Non sono
affari tuoi».
«Ehi, penso
di avere il diritto di sapere!»
Althea non
aveva la forza di sostenere un litigio, quindi decise di porre fine alla
questione riassumendo in poche parole la discussione che era avvenuta tra lei e Darren, che stranamente le era tornata
alla memoria con tanto di particolari.
«Ha cercato di
mettermi le mani nelle mutande, ma grazie a Merlino sono stata abbastanza
lucida da respingerlo e andarmene prima che mi stuprasse, visto che lui era
ancora ubriaco marcio e in preda agli ormoni. Contenta?» era stata acida e
ingiusta, lo sapeva, ma avrebbe voluto che Judith capisse che non le andava di
parlarne e che non si sentiva per niente bene.
La sua amica
rimase ferma a guardarla, ferita e quasi spaventata dalle sue parole. Althea
non pensava che Darren l’avrebbe mai toccata in quel modo, ma
rammentava il panico che l’aveva presa la sera precedente in sua compagnia e
come lui avesse cercato di calmarla. La sua mente, stravolta dai bicchieri di
troppo e da un principio di indigestione, aveva completamente frainteso le
intenzioni del suo ragazzo, ne era sicura. In quel momento, però, non voleva
dirlo a Judith; la sua mancanza di tatto l’aveva offesa, ferita e fatta sentire
umiliata. Essere sorpresa in atteggiamenti compromettenti con il proprio
ragazzo senza nemmeno essere del tutto consapevole di quello che si sta
facendo, non era certo una delle esperienze che Althea preferiva e che voleva
annoverare nel suo bagaglio di vita.
Al pensiero
della possibilità di aver fatto qualcosa di cui ora, a mente lucida, si sarebbe
pentita, un altro conato la fece piegare in due dal dolore. Si raccolse alla
buona i capelli e tornò verso il water, l’unico oggetto con cui si sentiva in
vena di avere contatti intimi.
Judith la
seguì, preoccupata, ma Althea l’allontanò con un gesto eloquente e appena
riuscì a riprendere fiato disse: «Vattene».
Poi la sua
testa ricadde perché un altro attacco allo stomaco l’avvertì che non aveva
ancora buttato fuori tutti i dispiaceri della sera prima.
Per la
seconda volta nella stessa mattinata, Althea si ritrovò a ringraziare Merlino,
un’ora più tardi, perché era sabato e quindi la colazione in Sala Grande era
disponibile fino a tarda ora. Non che fosse affamata, ma voleva incontrare Darren e chiarire la situazione.
Era stanca e
aveva fatto fatica a trascinarsi per le scale per risalire i sotterranei:
probabilmente aveva un colorito più giallognolo di quando aveva lasciato il
bagno e sembrava più malaticcia di quanto lo fosse mai stata in quattro anni di
istruzione magica. Le sue gambe la avviarono automaticamente al tavolo di
Slytherin, le sue palpebre erano pesanti e si sentiva come se qualche strano
essere invisibile continuasse a scagliarle violente martellate sulle tempie e
sulla fronte. Avvertì un altro conato di vomito salirle lungo la trachea e
maledisse sottovoce se stessa e Merlino in tutti i modi che riuscisse a
concepire in quel momento, ma fece il terribile errore di girarsi troppo
velocemente per correre in bagno: le sue gambe cedettero, perse l’equilibrio e
per un attimo tutto si fece nero.
Quando riaprì
gli occhi non si ritrovò a terra, contro il pavimento di pietra gelido, ma
addirittura seduta su una panca con qualcuno la stava sorreggendo. All’inizio,
pensò che fosse Darren perché era l’unica persona che la
toccasse e da cui si lasciasse sfiorare, in genere, ma appena riacquistò un
minimo di lucidità si accorse che le mani che la tenevano erano diverse, più
affusolate e più gentili. Sentiva intorno a sé il chiacchiericcio di qualche
curioso che si era fermato ad osservare la scena.
Alzò la
testa, aspettandosi una piccola folla riunita attorno a lei, ma in realtà c’era
solo qualcuno di poco discreto che l’osservava dalle panche vicine. Si volse
nella direzione opposta e incontrò gli occhi grigi del suo salvatore.
«Stai bene?»
chiese Sirius, con una nota di preoccupazione nella voce che Althea, ancora
frastornata, non colse.
«Secondo te?»
rispose, laconica e sarcastica.
Non
sopportava di apparire debole di fronte a chiunque e in quel momento la
innervosiva in modo particolare essere così vulnerabile di fronte a lui.
«No,» confermò
lui «è meglio se ti accompagno da Madam Pomfrey».
Le prese le
mani e le poggiò attorno al suo collo. Althea inizialmente non capì che cosa
avesse intenzione di fare, poi quando sentì una sua mano scivolare sotto le sue
ginocchia si scostò velocemente. La colse un attimo di panico, che non riuscì a
spiegarsi e che per fortuna passò in fretta, poi disse, decisa: «No,
assolutamente no! Ce la faccio da sola!».
Ovviamente
stava mentendo; si sentiva uno straccio e si stava chiedendo a quali forze
avrebbe fatto appello per riuscire a salire le scale fino all’Infermeria
perché, anche se stava rifiutando il suo aiuto, il ragazzo aveva ragione a
volerla portare da qualcuno che potesse farla star meglio. Il suo senso di
rispettabilità, però, le impediva di lasciare che qualcuno la prendesse
addirittura in braccio per accompagnarla.
Sirius alzò
un sopracciglio, intuendo la preoccupazione di Althea per la sua dignità e
integrità di Slytherin, e poi sul suo volto si dipinse un ghigno divertito.
«Ti piace
agire per conto tuo, eh? Come vuoi! Mandami un gufo quando arriverai fin
lassù».
Althea cercò
di rigirare la frittata: non avrebbe mai ammesso di aver un così grande bisogno
di aiuto.
L’aiuto di un Gryffindor, per giunta!
«Non riesci
proprio a tenere a freno il tuo nobile e cavalleresco spirito di Gryffindor,
vero?»
Lui sorrise e
le porse la mano, promettendo che l’avrebbe semplicemente scortata. Le assicurò
anche che avrebbe fatto tutto il percorso sulle sue gambe e che avrebbe
resistito alla tentazione di trarre la donzella in salvo dai suoi stessi
tentativi di suicidio.
La ragazza
sbuffò, nascondendo alla meglio una risata, prese la sua mano e si alzò,
tremolante. La testa le girava terribilmente –non mi apparterò mai più con
quell’idiota!- e fu costretta ad aggrapparsi a Sirius per non rischiare di
cadere.
In quel
momento, entrò in Sala Grande proprio Darren,
il suddetto idiota, che li vide e fraintese del tutto la scena che aveva di
fronte.
«Ehi!» urlò
«Che stai facendo?».
«Darren»
chiamò Althea, a mezza voce, ma lui non parve ascoltarla.
«È la mia
ragazza!»
Sirius lo
squadrò da capo a piedi, un ghigno di superiorità dipinto sul volto. Adorava le
schermaglie tra Gryffindor e Slytherin e non poteva di certo perdersi
l’occasione di vincere una di queste, soprattutto se c’era di mezzo un ragazzo
geloso e la possibilità di accaparrarsi altre simpatia.
Se non fosse
stata così debole, la ragazza avrebbe scosso la testa e poi alzato gli occhi al
cielo.
«Lo so».
«Lasciala».
«La tua ragazza
sta male, idiota. Non vedi che si regge a malapena in piedi?»
Pur
sentendosi lusingata da quella manifestazione di gelosia, prevalse in Althea
l’approvazione per le parole di Sirius. La ragazza si sentiva sempre più debole
e non vedeva l’ora di avere tra le mani un catino per svuotarsi lo stomaco.
Cercò di porre fine alla discussione dando il suo apporto e lanciando allo
Slytherin uno sguardo d’intesa, di cui sperava comprendesse il significato.
Non potreste rimandare a più tardi?
«Darren, mi
sta solo aiutando, calmati».
Gli occhi
verdi del ragazzo saettarono su di lei e le sue spalle si fecero meno rigide.
Forse capì perché parve calmarsi e poi disse: «La porto io in Infermeria».
Il panico si
impossessò della ragazza un’altra volta al pensiero delle mani di Darren su di lei. Il senso di nausea aumentò
e probabilmente dovette impallidire ancora di più e mollare la presa visto che
Sirius la prese per un fianco per riuscire a farla rimanere in posizione
eretta. Passato il momento di debolezza, la ragazza passò un braccio attorno
alla vita del Gryffindor e lo strinse.
«No,» rispose
Althea, con grande stupore di entrambi i ragazzi «ci vediamo dopo».
Sirius la
trascinò fuori prima che lo Slytherin si rendesse conto che la sua ragazza lo
aveva appena respinto di fronte a tutta la Sala Grande.
Poco dopo, in
Infermeria, il Gryffindor meditava ancora sulla risposta di Althea e non vi
trovava nessuna spiegazione logica in grado di soddisfarlo. Per tutto quel
tragitto fino a quel locale, erano rimasti silenziosi; lei sembrava troppo
preoccupata di concentrare tutte le sue forze nel fare le scale e lui non
ritenne opportuno affaticarla costringendola a parlare o rischiando di
innervosirla.
Madam Pomfrey scostò le tende del lettino dove aveva
fatto accomodare Althea e annunciò a Sirius che la ragazza l’avrebbe raggiunto
subito, si stava solo infilando il maglioncino. Lei infatti non si attardò e
parve perfettamente ristabilita: aveva riacquistato quel poco colore che la sua
pelle chiara naturalmente aveva e le gambe non accennavano a nessun cedimento.
Appariva sciupata, visto che aveva passato l’ultima mezzora a vomitare, ma il
vuoto che avrebbe dovuto albergare nel fondo del suo stomaco era stato
ampiamente riempito da una dose massiccia di malumore. Lo leggeva nei suoi
occhi cerulei che sembravano due cubetti di ghiaccio tanta era la freddezza con
cui guardava Madam Pomfrey, la quale le stava consegnando una
boccetta con una pozione per scacciare il suo mal di testa allucinante con
tanto di ramanzina.
«Sono stanca
di vederla in Infermeria almeno una volta l’anno, signorina Malfoy» l’informò,
con cipiglio severo «Deve avere un po’ di più cura di se stessa».
«Grazie, Madam Pomfrey» fu
la concisa risposta della ragazza che poi si avviò verso l’uscita senza aver
dato segno di aver notato la presenza di Sirius.
Lui la seguì
e la raggiunse con poche falcate; quando le fu a fianco decise di essere
diretto e soddisfare la sua curiosità. In realtà, avrebbe preferito
accompagnarla fino ai sotterranei, visto che l’andatura della ragazza non gli
sembrava ancora così sicura bensì fin troppo tremolante, ma sapeva che lei
avrebbe rifiutato e che si sarebbe infuriata.
Se c’era una
cosa che aveva imparato in tanti anni di amicizia, è che Althea poteva tirare
fuori un bel caratterino e che non era quindi il tipo da provocare se era di
malumore.
«Perché non
ti sei fatta accompagnare dal tuo ragazzo?» chiese e poi si morse la lingua,
pensando che forse quella domanda era esattamente quello che la ragazza
intendeva per ‘provocazione giusta al momento sbagliato’.
Per fortuna
Sirius era coraggioso e anche un buon duellante.
«Perché sono
un’idiota».
La risposta
così tranquilla, sebbene secca, di lei, lo sorprese non poco. Sembrava che in
tutto quel tempo che aveva passato in Infermeria avesse placato il suo
nervosismo a cui ora si era sostituito un certo grado di acidità.
Il ragazzo
pensò che quella la poteva gestire senza ricorrere alla bacchetta.
«E perché lo
sei?»
«Perché lui è un idiota e io me ne sono accorta
solo ora».
Sirius ci
pensò su un attimo e poi concluse che era una buona motivazione e che
effettivamente quello Slytherin non gli era sembrato molto intelligente. Trovò
strano che Althea fosse così in vena di confidenze, lei era solita raccontare
spiccioli della sua vita, ma non penetrare mai a fondo dei suoi sentimenti e
ora gli parve che lei si stesse scoprendo parecchio.
«Non posso
che essere d’accordo».
Questa frase
di approvazione fu ripagata con uno sguardo che avrebbe fatto congelare anche
l’Inferno, ma Sirius aveva ormai capito come gestire quel particolare umore
dell’amica e comunque non aveva proprio nessuna intenzione di farsi intimorire.
Da una Slytherin, per giunta!
«Perché non
lo lasci?» osservò.
«Perché ero
convinta che mi piacesse».
«Appunto,
eri».
«Beh, non so
se lo sono ancora».
«È successo
qualcosa che ti ha fatto cambiare idea?»
Un attimo di
pausa precedette una risposta negativa.
Lui fece
spallucce, anche se non era del tutto convinto della conversazione che stava
avendo con la ragazza. Aveva ricordato come lei si era attaccata al suo fianco
e di come la sua stretta gli era sembrata strana. Forse però aveva equivocato e
lei aveva semplicemente bisogno di essere sostenuta.
«In ogni
caso, per quanto mi riguarda, se non mi convincono le lascio perdere».
Althea sbuffò.
«Devi essere
difficile allora, non ti ho mai visto con la stessa ragazza per più di tre
giorni».
Sirius
ridacchiò divertito, sostenendo un’altra occhiata della Slytherin che poteva
fare concorrenza a quelle che sua madre gli lanciava nei suoi momenti di
collera, cioè praticamente ogni giorno.
Sì, Althea
era decisamente di malumore.
«Sono un uomo
a cui piace fare esperienza».
Lei fece per
scagliargli una gomitata sul fianco, ma lui con prontezza la evitò.
«Sono un
prode cavaliere Gryffindor: sono abituato ad evitare colpi a tradimento».
«Se ci tieni
alla pelle, caro il mio cavaliere, meglio che torni alla tua Torre e dalle tue
cortigiane perché un maestoso Basilisco biondo è pronto ad ammazzarti con il
suo sguardo».
«Ma io sono
uno spirito temerario e coraggioso!»
«E perciò stupido. Vai a studiarti un
piano e poi mettilo in atto, come fanno le Serpi, è sempre più conveniente».
Sirius si
rabbuiò: non gli piaceva quello che aveva sentito perché gli ricordava tutto
ciò da cui si era sempre dichiarato distante e avverso. Era abituato alle
frecciatine di Althea sulla leggendaria ottusità Gryffindor, ma quelle parole
lo ferirono in particolare poiché pronunciate in tono troppo serio.
Eppure,
pensò, le sue azioni contraddicevano i suoi pensieri perché ora era lì, in
compagnia di quella che con il tempo avrebbe potuto conquistare senza
difficoltà lo scettro di Regina delle Serpi e desisteva dal lasciarla andare.
Pensò di
poter essere attratto dal male e si spaventò, prima di rammentare che Althea
era un’adolescente tanto quanto lo era lui ed era forse meno pericolosa di
quanto lo fosse suo fratello Regulus. Sicuramente era attratta dal potere,
vista la sua ambizione e la famiglia con cui era cresciuta, ma la sua curiosità
sembrava più genuina e lontana dalle Arti Oscure, anche se non c’era niente che
glielo assicurasse.
«Sai che ti
dico? Hai ragione!» improvvisò un mezzo inchino.
Sia la frase
che il suo atteggiamento la colsero completamente di sorpresa, ma dopo un
attimo di perplessità lei sembrò classificarli come una bizzarria qualsiasi del
suo carattere. Il barlume di un sorriso si accese dietro alla patina di
ghiaccio che eludeva dai suoi occhi cerulei qualsiasi emozione.
Sirius
comprese la parziale assurdità delle riflessioni che l’avevano colto poco prima
e la perdonò per la brutta piega che aveva assunto la frase sulla furbizia
degli Slytherin. Si disse che era probabile che lei non si fosse nemmeno
accorta di averla detta in quel modo, tanto gli sembrava presa dai suoi
pensieri.
«Torno alla
mia Torre».
Lei le fece
un cenno di saluto, lui le diede le spalle e prese una scorciatoia verso la sua
Sala Comune.
***
Althea riuscì
a parlare con Darren solo due giorni dopo, quando
finalmente si decise a smettere di evitarlo intenzionalmente e aveva ripreso a
consumare i suoi pasti in Sala Grande. Nel frattempo, aveva parlato con Judith
e le due si erano riappacificate: avevano entrambe ammesso di essere state
ingiuste l’una con l’altra ed erano tornate a chiacchierare allegramente come
se niente fosse accaduto.
Era proprio
in sua compagnia che Althea attraversava la Sala Grande per dirigersi verso il
tavolo della sua Casa, guardandosi intorno nervosa.
«È laggiù»
l’avvertì Jude e con molta discrezione le indicò il
punto preciso in cui si trovava.
Althea fece
un respiro profondo e assunse la sua migliore espressione di indifferenza e
determinazione.
«Vado».
Lo raggiunse
quasi a passo di marcia e vi si sedette di fronte, in modo da poter evitare
qualsiasi tentativo da parte sua di baciarla. In quei giorni in cui non si
erano né visti né parlati, aveva riflettuto molto sul loro rapporto ed era
giunta alla conclusione che lui le piaceva, ma la sua fiducia nei suoi
confronti era ben lungi dall’essere completa. L’unica sicurezza che aveva era
che, la notte di Halloween, era stata a lei a non sentirsi pronta e che era
molto più probabile che lui avesse cercato di scusarsi piuttosto che di
saltarle addosso, visto la scena di gelosia a cui aveva assistito.
Comunque, non
era ancora sicura di volersi sentire di nuovo le sue mani addosso.
«Althea!»
l’accolse così, con un sorriso «Finalmente sei tornata a parlarmi».
«Non sono
stata molto bene in questi giorni».
«Lo so,
ricordo che sei andata in Infermeria» e lanciò uno sguardo truce a Sirius, che
Althea non poteva vedere perché gli dava le spalle, ma era sicura fosse il
destinatario delle maledizioni di Darren.
«Voglio
parlare di quello che è successo la sera di Halloween. Io...»
Il ragazzo la
interruppe: «No, ascoltami tu. Sono stato un idiota, d’accordo? Non avrei
dovuto né farti bere né cercare di convincerti a spingerti più in là poi»
ammise, con un certo imbarazzo «Ho insistito un po’ all’inizio, ma quando ho
capito che davvero non volevi ti ho lasciata andare.
Scusami».
«Beh, ci hai
messo un po’ a capirlo».
«In realtà
no, sei stata molto eloquente. Per gran parte del tempo ho cercato di calmarti
e di farti restare, ma ad un certo punto mi sono arreso».
Althea si
passò una mano tra i capelli e sospirò, scocciata dal suo stesso comportamento:
«Ok, vorrà dire che non perderò mai più la testa così».
Darren sorrise e la ragazza sentì tutta la
tensione che la opprimeva sciogliersi.
Era sincero,
lo sapeva, e non provava più alcuna repulsione nei suoi confronti. Si tuffò
quindi sotto al tavolo per mettersi accanto a lui: appena le fu a fianco, le
cinse le spalle e poi la lasciò iniziare la colazione.
Dopo pochi
minuti, uno stormo di dimensioni titaniche composto dai più vari tipi di gufi e
di specie a loro affini fece il suo teatrale ingresso nella Sala Grande per
portare la posta agli studenti. Althea non aspettava nessun genere di pacco o
di lettera, visto che l’unica corrispondenza che aveva durante l’inverso era
con i suoi genitori e non era solita scrivere loro molto spesso, ma quella
mattina vide Ezra,
il suo enorme e bellissimo gufo reale, attraversare lo stanzone per portarle
qualcosa.
La ragazza lo
salutò con sorpresa e poi riempì un piattino di bacon, lasciando poi che
l’animale lo mangiasse in tranquillità. Si dedicò quindi al pacco, di forma
rettangolare e molto spesso: era quasi certa che fosse un grosso tomo. Non si
stupì infatti quando, tolto l’involucro in cui era rinchiuso, si trovò in mano
un volume dal titolo: ‘La pure et vénérable Lignée
De La Broquiere’.
Althea
impallidì e lo nascose nella borsa di scatto; era un gesto insensato e lo
sapeva –non c’era nessuno a Hogwarts che conoscesse quel cognome-, ma preferiva
tenere quel libro lontano da sguardi curiosi e domande indiscrete, almeno per
il momento. Darren non notò la
sua agitazione e la salutò con un bacio sulla guancia, avvertendola che andava
a lezione con i suoi compagni. Lei ricambiò, distratta, e fece per tirarlo
fuori di nuovo, ma la raggiunse Judith che la guardò con curiosità: «Allora?
Com’è andata?».
«Bene,
suppongo».
«Mi fa
piacere! Che ti ha portato Ezra?»
«Una lettera
di mio padre, sai, mi avverte che a Natale lui e Laila saranno in Francia
quindi devo fare la richiesta per rimanere a scuola».
Non era una
bugia, o almeno non del tutto.
Abraxas
l’aveva davvero avvertita che non sarebbe potuta per le vacanze, ma era stato Sham, il maestoso volatile di suo padre, a portarle il
messaggio, un paio di giorni prima.
«Posso
chiedere ai miei di ospitarti se vuoi».
Althea
considerò brevemente le tre possibilità che aveva se avesse accettato l’invito:
portare con sé il libro e rischiare di perderlo o –peggio ancora- che Judith lo
vedesse e le facesse domande; lasciare il volume a Hogwarts; disfarsene
definitivamente.
Nessuna di
quelle opzioni andavano bene, ma la sua amica, senza volerlo, le venne in
aiuto.
«Come non
detto,» e assunse un’espressione infastidita «quest’anno andiamo in Scozia
dalla cara Zia Diana».
Un certo sollievo
la pervase completamente e le permise addirittura di sorridere alle parole
della sua compagna.
«Povera Jude!
È la sorella di tuo padre, vero?»
Lei fece un
cenno di assenso, mentre con aria contrita si caricava la borsa dei libri sulle
spalle.
«Esatto e non
mi sopporta».
«Non ho mai
capito perché».
Judith fece
spallucce.
«È una pazza
isterica» ci pensò su un attimo e poi aggiunse «e dev’essere
anche sessualmente frustrata visto com’è mio zio».
«Jude!»
esclamò Althea, sconvolta «Ma ti pare il caso di dirmi certe cose?»
«Perché ti
sconvolgi tanto? È la verità! Non tutti possono vantare un compagno di vita
come il tuo attuale, sai».
La ragazza
provò una certa soddisfazione nel sentire l’ultima frase, ma era sinceramente
convinta che gli affari più intimi di Zia Diana dovevano rimanere tra lei e suo
marito.
«D’accordo,
come vuoi».
«Comunque,
mia cara principessa, se non si muove credo che Slytherin perderà almeno una
ventina di punti già alla prima ora».
«Oh,» Althea
si alzò dalla panca in fretta «hai ragione, muoviamoci o la McGonall ci ucciderà».
Attraversarono
di corsa la Sala Grande e si lanciarono per le rampe di scale sperando di
arrivare in tempo alla lezione di Trasfigurazione.