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Autore: rotinpieces    06/08/2011    2 recensioni
Perché qualcuno stava distruggendo con tanta cattiveria tutti i suoi castelli di carta? Non poteva lasciare che fosse il tempo a farli bruciare con esasperante lentezza, in modo che lei fosse più matura e preparata al momento in cui avrebbe visto tutte le sue certezze crollare inesorabilmente?
E ancora: era davvero possibile essere pronti a qualcosa del genere?

_______
Althea è la figlia illegittima di Abraxas Malfoy.
Ha vissuto un'infanzia costellata di pochi momenti di felicità finché, per un motivo a lei sconosciuto, la signora Malfoy cambia improvvisamente atteggiamento nei suoi confronti e inizia a prendersi cura di lei. A quindici anni, Althea è convinta di avere una vita perfetta: la sua famiglia è fiera di lei; non si sente ferita dall'indifferenza e dalla freddezza di Lucius; è orgogliosa del cognome che porta; riesce a ottenere buoni risultati a scuola. La felicità, però, è un cristallo tanto fragile quanto bello e perciò va trattato con cautela. Basta poco per sgretolarla ed essere travolti da eventi troppo grandi per poter essere affrontati da soli.
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, I Malandrini, Lucius Malfoy, Nuovo personaggio, Sirius Black
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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Cadence of Her Last Breath

Salve!

Ho anticipato la nascita di Althea di un anno e il motivo ve lo spiegherò più avanti: è al quinto anno, invece che al quarto, niente di troppo sconvolgente. XD

Aggiorno presto, nella speranza di ricevere un commento in più.

Ringrazio ElleH, come sempre. <3

Enjoy! ;D

 

Cadence of Her Last Breath

Capitolo III: Packets From Nobody.

 

 

I primi due mesi ad Hogwarts passarono con una velocità impressionante.

Althea riusciva a malapena a rendersi conto del tempo che passava tanto era impegnata in quelle settimane: tutti i professori era ossessionati dal prepararli all’anno degli O.W.L.s. Non che la cosa dispiacesse alla ragazza, che voleva impegnarsi seriamente nell’intento di costruirsi un’istruzione valida e solida, ma non capiva perché gli insegnanti dovessero iniziare a terrorizzarli con dodici mesi di anticipo.

Quando non era chiusa in biblioteca con la testa china sui libri, Althea era in compagnia di Darren. Non aveva ancora ben capito se stessero insieme o no, non c’era stata alcuna dichiarazione ufficiale, ma visto che passavano insieme un sacco di ore e che lui la baciava e la prendeva per mano in pubblico doveva supporre che lui la considerasse la sua ragazza. Althea, per il primo mese, era stata in preda ad una totale e fantastica euforia che, purtroppo, era scemata troppo presto e senza alcun genere di preavviso. Pensava che, andando avanti nella relazione, avrebbe iniziato ad innamorarsi di lui o perlomeno a provare qualcosa che rassomigliasse vagamente all’amore, ma si era resa conto che era legata a lui da un forte affetto di natura confusa e ambigua. Passava da momenti in cui lo guardava come un amico ad altri in cui era seriamente e irresistibilmente attratta da lui: per fortuna lo osservava con un certo distacco solo quando non le era vicino. Non appena le loro labbra si univano e sentiva una sua mano affondare tra i suoi capelli e prenderle la nuca, ogni dubbio sembrava dileguarsi e si trastullava nella sicurezza di essere in compagnia del ragazzo giusto.

Peccato che quando si trovava da sola, nel suo letto, finiva sempre con l’addormentarsi con il pensiero opposto.

Quella mattina si svegliò di soprassalto, dopo una notte agitata e costellata di incubi assurdi di cui non ricordava le immagini, ma che le avevano lasciato addosso un insolito senso di solitudine. Tentò di mettersi a sedere e la sua testa iniziò a dolerle in maniera atroce, per protesta. Si lasciò ricadere sulla federa nera, coprendosi il viso con le mani. La sera prima aveva preso parte al festoso e incredibilmente abbondante Banchetto che ogni anno veniva organizzato in occasione di Halloween e poi ricordava di essersi appartata da qualche parte con Darren, il quale le aveva fatto bere una dose non specificata di Firewhisky e Idromele barricato. Si sforzò di riportare alla mente cos’era successo con lui e a che ora fosse tornata a letto, ma non vi riuscì: si maledisse mentalmente per aver ceduto alle sue moine e aver aggiunto una quantità indeterminata di alcool a una già incredibile indigestione di dolci.

Nervosa e scocciata, si alzò dal letto e si trascinò in bagno dove passò la prima mezzora della sua giornata con la testa a stretto contatto con il water. Judith la raggiunse quando lei era certa di aver vomitato anche qualche organo interno e si stava pulendo la faccia, fermandosi ogni tanto ad osservare il suo riflesso spaventoso sullo specchio.

La guardò con un’espressione curiosa che la fece innervosire ancora di più e che non le impedì di grugnire –perché non si sentiva ancora in grado di parlare- uno sgarbato: «Che c’è?».

La risposta dell’amica fu laconica e sospetta, tanto che Althea pensò che presto si sarebbe ritrovata a urlarle contro.

«Niente».

«Judith, dimmi che c’è».

«Guarda che sei tu quella che deve parlare fra le due!» disse lei, cominciando ad assumere un’aria offesa.

«Perché?»

«Non sono io quella che è stata beccata in atteggiamenti intimi con il suo ragazzo».

«Cosa?! Chi mi ha beccata a fare cosa?»

«Io ti ho beccata mentre Darren sembrava molto impegnato con i bottoni della tua camicetta».

Althea si concentrò, sforzandosi di ricordare: l’unica cosa di cui era certa è che se n’era andata via piuttosto di fretta, scappando quasi, ma non si capacitava ancora del motivo. Si spremette le meningi al massimo e poi vi fu un lampo di comprensione.

Oh.

Ora ricordava, già.

«Non c’è niente da raccontare, hai visto l’unica cosa interessante».

«Come? Non siete andati avanti?»

«No».

«E perché?!»

«Non sono affari tuoi».

«Ehi, penso di avere il diritto di sapere!»

Althea non aveva la forza di sostenere un litigio, quindi decise di porre fine alla questione riassumendo in poche parole la discussione che era avvenuta tra lei e Darren, che stranamente le era tornata alla memoria con tanto di particolari.

«Ha cercato di mettermi le mani nelle mutande, ma grazie a Merlino sono stata abbastanza lucida da respingerlo e andarmene prima che mi stuprasse, visto che lui era ancora ubriaco marcio e in preda agli ormoni. Contenta?» era stata acida e ingiusta, lo sapeva, ma avrebbe voluto che Judith capisse che non le andava di parlarne e che non si sentiva per niente bene.

La sua amica rimase ferma a guardarla, ferita e quasi spaventata dalle sue parole. Althea non pensava che Darren l’avrebbe mai toccata in quel modo, ma rammentava il panico che l’aveva presa la sera precedente in sua compagnia e come lui avesse cercato di calmarla. La sua mente, stravolta dai bicchieri di troppo e da un principio di indigestione, aveva completamente frainteso le intenzioni del suo ragazzo, ne era sicura. In quel momento, però, non voleva dirlo a Judith; la sua mancanza di tatto l’aveva offesa, ferita e fatta sentire umiliata. Essere sorpresa in atteggiamenti compromettenti con il proprio ragazzo senza nemmeno essere del tutto consapevole di quello che si sta facendo, non era certo una delle esperienze che Althea preferiva e che voleva annoverare nel suo bagaglio di vita.

Al pensiero della possibilità di aver fatto qualcosa di cui ora, a mente lucida, si sarebbe pentita, un altro conato la fece piegare in due dal dolore. Si raccolse alla buona i capelli e tornò verso il water, l’unico oggetto con cui si sentiva in vena di avere contatti intimi.

Judith la seguì, preoccupata, ma Althea l’allontanò con un gesto eloquente e appena riuscì a riprendere fiato disse: «Vattene».

Poi la sua testa ricadde perché un altro attacco allo stomaco l’avvertì che non aveva ancora buttato fuori tutti i dispiaceri della sera prima.

 

Per la seconda volta nella stessa mattinata, Althea si ritrovò a ringraziare Merlino, un’ora più tardi, perché era sabato e quindi la colazione in Sala Grande era disponibile fino a tarda ora. Non che fosse affamata, ma voleva incontrare Darren e chiarire la situazione.

Era stanca e aveva fatto fatica a trascinarsi per le scale per risalire i sotterranei: probabilmente aveva un colorito più giallognolo di quando aveva lasciato il bagno e sembrava più malaticcia di quanto lo fosse mai stata in quattro anni di istruzione magica. Le sue gambe la avviarono automaticamente al tavolo di Slytherin, le sue palpebre erano pesanti e si sentiva come se qualche strano essere invisibile continuasse a scagliarle violente martellate sulle tempie e sulla fronte. Avvertì un altro conato di vomito salirle lungo la trachea e maledisse sottovoce se stessa e Merlino in tutti i modi che riuscisse a concepire in quel momento, ma fece il terribile errore di girarsi troppo velocemente per correre in bagno: le sue gambe cedettero, perse l’equilibrio e per un attimo tutto si fece nero.

Quando riaprì gli occhi non si ritrovò a terra, contro il pavimento di pietra gelido, ma addirittura seduta su una panca con qualcuno la stava sorreggendo. All’inizio, pensò che fosse Darren perché era l’unica persona che la toccasse e da cui si lasciasse sfiorare, in genere, ma appena riacquistò un minimo di lucidità si accorse che le mani che la tenevano erano diverse, più affusolate e più gentili. Sentiva intorno a sé il chiacchiericcio di qualche curioso che si era fermato ad osservare la scena.

Alzò la testa, aspettandosi una piccola folla riunita attorno a lei, ma in realtà c’era solo qualcuno di poco discreto che l’osservava dalle panche vicine. Si volse nella direzione opposta e incontrò gli occhi grigi del suo salvatore.

«Stai bene?» chiese Sirius, con una nota di preoccupazione nella voce che Althea, ancora frastornata, non colse.

«Secondo te?» rispose, laconica e sarcastica.

Non sopportava di apparire debole di fronte a chiunque e in quel momento la innervosiva in modo particolare essere così vulnerabile di fronte a lui.

«No,» confermò lui «è meglio se ti accompagno da Madam Pomfrey».

Le prese le mani e le poggiò attorno al suo collo. Althea inizialmente non capì che cosa avesse intenzione di fare, poi quando sentì una sua mano scivolare sotto le sue ginocchia si scostò velocemente. La colse un attimo di panico, che non riuscì a spiegarsi e che per fortuna passò in fretta, poi disse, decisa: «No, assolutamente no! Ce la faccio da sola!».

Ovviamente stava mentendo; si sentiva uno straccio e si stava chiedendo a quali forze avrebbe fatto appello per riuscire a salire le scale fino all’Infermeria perché, anche se stava rifiutando il suo aiuto, il ragazzo aveva ragione a volerla portare da qualcuno che potesse farla star meglio. Il suo senso di rispettabilità, però, le impediva di lasciare che qualcuno la prendesse addirittura in braccio per accompagnarla.

Sirius alzò un sopracciglio, intuendo la preoccupazione di Althea per la sua dignità e integrità di Slytherin, e poi sul suo volto si dipinse un ghigno divertito.

«Ti piace agire per conto tuo, eh? Come vuoi! Mandami un gufo quando arriverai fin lassù».

Althea cercò di rigirare la frittata: non avrebbe mai ammesso di aver un così grande bisogno di aiuto.

L’aiuto di un Gryffindor, per giunta!

«Non riesci proprio a tenere a freno il tuo nobile e cavalleresco spirito di Gryffindor, vero?»

Lui sorrise e le porse la mano, promettendo che l’avrebbe semplicemente scortata. Le assicurò anche che avrebbe fatto tutto il percorso sulle sue gambe e che avrebbe resistito alla tentazione di trarre la donzella in salvo dai suoi stessi tentativi di suicidio.

La ragazza sbuffò, nascondendo alla meglio una risata, prese la sua mano e si alzò, tremolante. La testa le girava terribilmente –non mi apparterò mai più con quell’idiota!- e fu costretta ad aggrapparsi a Sirius per non rischiare di cadere.

In quel momento, entrò in Sala Grande proprio Darren, il suddetto idiota, che li vide e fraintese del tutto la scena che aveva di fronte.

«Ehi!» urlò «Che stai facendo?».

«Darren» chiamò Althea, a mezza voce, ma lui non parve ascoltarla.

«È la mia ragazza!»

Sirius lo squadrò da capo a piedi, un ghigno di superiorità dipinto sul volto. Adorava le schermaglie tra Gryffindor e Slytherin e non poteva di certo perdersi l’occasione di vincere una di queste, soprattutto se c’era di mezzo un ragazzo geloso e la possibilità di accaparrarsi altre simpatia.

Se non fosse stata così debole, la ragazza avrebbe scosso la testa e poi alzato gli occhi al cielo.

«Lo so».

«Lasciala».

«La tua ragazza sta male, idiota. Non vedi che si regge a malapena in piedi?»

Pur sentendosi lusingata da quella manifestazione di gelosia, prevalse in Althea l’approvazione per le parole di Sirius. La ragazza si sentiva sempre più debole e non vedeva l’ora di avere tra le mani un catino per svuotarsi lo stomaco. Cercò di porre fine alla discussione dando il suo apporto e lanciando allo Slytherin uno sguardo d’intesa, di cui sperava comprendesse il significato.

Non potreste rimandare a più tardi?

«Darren, mi sta solo aiutando, calmati».

Gli occhi verdi del ragazzo saettarono su di lei e le sue spalle si fecero meno rigide. Forse capì perché parve calmarsi e poi disse: «La porto io in Infermeria».

Il panico si impossessò della ragazza un’altra volta al pensiero delle mani di Darren su di lei. Il senso di nausea aumentò e probabilmente dovette impallidire ancora di più e mollare la presa visto che Sirius la prese per un fianco per riuscire a farla rimanere in posizione eretta. Passato il momento di debolezza, la ragazza passò un braccio attorno alla vita del Gryffindor e lo strinse.

«No,» rispose Althea, con grande stupore di entrambi i ragazzi «ci vediamo dopo».

Sirius la trascinò fuori prima che lo Slytherin si rendesse conto che la sua ragazza lo aveva appena respinto di fronte a tutta la Sala Grande.

 

Poco dopo, in Infermeria, il Gryffindor meditava ancora sulla risposta di Althea e non vi trovava nessuna spiegazione logica in grado di soddisfarlo. Per tutto quel tragitto fino a quel locale, erano rimasti silenziosi; lei sembrava troppo preoccupata di concentrare tutte le sue forze nel fare le scale e lui non ritenne opportuno affaticarla costringendola a parlare o rischiando di innervosirla.

Madam Pomfrey scostò le tende del lettino dove aveva fatto accomodare Althea e annunciò a Sirius che la ragazza l’avrebbe raggiunto subito, si stava solo infilando il maglioncino. Lei infatti non si attardò e parve perfettamente ristabilita: aveva riacquistato quel poco colore che la sua pelle chiara naturalmente aveva e le gambe non accennavano a nessun cedimento. Appariva sciupata, visto che aveva passato l’ultima mezzora a vomitare, ma il vuoto che avrebbe dovuto albergare nel fondo del suo stomaco era stato ampiamente riempito da una dose massiccia di malumore. Lo leggeva nei suoi occhi cerulei che sembravano due cubetti di ghiaccio tanta era la freddezza con cui guardava Madam Pomfrey, la quale le stava consegnando una boccetta con una pozione per scacciare il suo mal di testa allucinante con tanto di ramanzina.

«Sono stanca di vederla in Infermeria almeno una volta l’anno, signorina Malfoy» l’informò, con cipiglio severo «Deve avere un po’ di più cura di se stessa».

«Grazie, Madam Pomfrey» fu la concisa risposta della ragazza che poi si avviò verso l’uscita senza aver dato segno di aver notato la presenza di Sirius.

Lui la seguì e la raggiunse con poche falcate; quando le fu a fianco decise di essere diretto e soddisfare la sua curiosità. In realtà, avrebbe preferito accompagnarla fino ai sotterranei, visto che l’andatura della ragazza non gli sembrava ancora così sicura bensì fin troppo tremolante, ma sapeva che lei avrebbe rifiutato e che si sarebbe infuriata.

Se c’era una cosa che aveva imparato in tanti anni di amicizia, è che Althea poteva tirare fuori un bel caratterino e che non era quindi il tipo da provocare se era di malumore.

«Perché non ti sei fatta accompagnare dal tuo ragazzo?» chiese e poi si morse la lingua, pensando che forse quella domanda era esattamente quello che la ragazza intendeva per ‘provocazione giusta al momento sbagliato’.

Per fortuna Sirius era coraggioso e anche un buon duellante.

«Perché sono un’idiota».

La risposta così tranquilla, sebbene secca, di lei, lo sorprese non poco. Sembrava che in tutto quel tempo che aveva passato in Infermeria avesse placato il suo nervosismo a cui ora si era sostituito un certo grado di acidità.

Il ragazzo pensò che quella la poteva gestire senza ricorrere alla bacchetta.

«E perché lo sei?»

«Perché lui è un idiota e io me ne sono accorta solo ora».

Sirius ci pensò su un attimo e poi concluse che era una buona motivazione e che effettivamente quello Slytherin non gli era sembrato molto intelligente. Trovò strano che Althea fosse così in vena di confidenze, lei era solita raccontare spiccioli della sua vita, ma non penetrare mai a fondo dei suoi sentimenti e ora gli parve che lei si stesse scoprendo parecchio.

«Non posso che essere d’accordo».

Questa frase di approvazione fu ripagata con uno sguardo che avrebbe fatto congelare anche l’Inferno, ma Sirius aveva ormai capito come gestire quel particolare umore dell’amica e comunque non aveva proprio nessuna intenzione di farsi intimorire.

Da una Slytherin, per giunta!

«Perché non lo lasci?» osservò.

«Perché ero convinta che mi piacesse».

«Appunto, eri».

«Beh, non so se lo sono ancora».

«È successo qualcosa che ti ha fatto cambiare idea?»

Un attimo di pausa precedette una risposta negativa.

Lui fece spallucce, anche se non era del tutto convinto della conversazione che stava avendo con la ragazza. Aveva ricordato come lei si era attaccata al suo fianco e di come la sua stretta gli era sembrata strana. Forse però aveva equivocato e lei aveva semplicemente bisogno di essere sostenuta.

«In ogni caso, per quanto mi riguarda, se non mi convincono le lascio perdere».

Althea sbuffò.

«Devi essere difficile allora, non ti ho mai visto con la stessa ragazza per più di tre giorni».

Sirius ridacchiò divertito, sostenendo un’altra occhiata della Slytherin che poteva fare concorrenza a quelle che sua madre gli lanciava nei suoi momenti di collera, cioè praticamente ogni giorno.

Sì, Althea era decisamente di malumore.

«Sono un uomo a cui piace fare esperienza».

Lei fece per scagliargli una gomitata sul fianco, ma lui con prontezza la evitò.

«Sono un prode cavaliere Gryffindor: sono abituato ad evitare colpi a tradimento».

«Se ci tieni alla pelle, caro il mio cavaliere, meglio che torni alla tua Torre e dalle tue cortigiane perché un maestoso Basilisco biondo è pronto ad ammazzarti con il suo sguardo».

«Ma io sono uno spirito temerario e coraggioso!»

«E perciò stupido. Vai a studiarti un piano e poi mettilo in atto, come fanno le Serpi, è sempre più conveniente».

Sirius si rabbuiò: non gli piaceva quello che aveva sentito perché gli ricordava tutto ciò da cui si era sempre dichiarato distante e avverso. Era abituato alle frecciatine di Althea sulla leggendaria ottusità Gryffindor, ma quelle parole lo ferirono in particolare poiché pronunciate in tono troppo serio.

Eppure, pensò, le sue azioni contraddicevano i suoi pensieri perché ora era lì, in compagnia di quella che con il tempo avrebbe potuto conquistare senza difficoltà lo scettro di Regina delle Serpi e desisteva dal lasciarla andare.

Pensò di poter essere attratto dal male e si spaventò, prima di rammentare che Althea era un’adolescente tanto quanto lo era lui ed era forse meno pericolosa di quanto lo fosse suo fratello Regulus. Sicuramente era attratta dal potere, vista la sua ambizione e la famiglia con cui era cresciuta, ma la sua curiosità sembrava più genuina e lontana dalle Arti Oscure, anche se non c’era niente che glielo assicurasse.

«Sai che ti dico? Hai ragione!» improvvisò un mezzo inchino.

Sia la frase che il suo atteggiamento la colsero completamente di sorpresa, ma dopo un attimo di perplessità lei sembrò classificarli come una bizzarria qualsiasi del suo carattere. Il barlume di un sorriso si accese dietro alla patina di ghiaccio che eludeva dai suoi occhi cerulei qualsiasi emozione.

Sirius comprese la parziale assurdità delle riflessioni che l’avevano colto poco prima e la perdonò per la brutta piega che aveva assunto la frase sulla furbizia degli Slytherin. Si disse che era probabile che lei non si fosse nemmeno accorta di averla detta in quel modo, tanto gli sembrava presa dai suoi pensieri.

«Torno alla mia Torre».

Lei le fece un cenno di saluto, lui le diede le spalle e prese una scorciatoia verso la sua Sala Comune.

 

***

 

Althea riuscì a parlare con Darren solo due giorni dopo, quando finalmente si decise a smettere di evitarlo intenzionalmente e aveva ripreso a consumare i suoi pasti in Sala Grande. Nel frattempo, aveva parlato con Judith e le due si erano riappacificate: avevano entrambe ammesso di essere state ingiuste l’una con l’altra ed erano tornate a chiacchierare allegramente come se niente fosse accaduto.

Era proprio in sua compagnia che Althea attraversava la Sala Grande per dirigersi verso il tavolo della sua Casa, guardandosi intorno nervosa.

«È laggiù» l’avvertì Jude e con molta discrezione le indicò il punto preciso in cui si trovava.

Althea fece un respiro profondo e assunse la sua migliore espressione di indifferenza e determinazione.

«Vado».

Lo raggiunse quasi a passo di marcia e vi si sedette di fronte, in modo da poter evitare qualsiasi tentativo da parte sua di baciarla. In quei giorni in cui non si erano né visti né parlati, aveva riflettuto molto sul loro rapporto ed era giunta alla conclusione che lui le piaceva, ma la sua fiducia nei suoi confronti era ben lungi dall’essere completa. L’unica sicurezza che aveva era che, la notte di Halloween, era stata a lei a non sentirsi pronta e che era molto più probabile che lui avesse cercato di scusarsi piuttosto che di saltarle addosso, visto la scena di gelosia a cui aveva assistito.

Comunque, non era ancora sicura di volersi sentire di nuovo le sue mani addosso.

«Althea!» l’accolse così, con un sorriso «Finalmente sei tornata a parlarmi».

«Non sono stata molto bene in questi giorni».

«Lo so, ricordo che sei andata in Infermeria» e lanciò uno sguardo truce a Sirius, che Althea non poteva vedere perché gli dava le spalle, ma era sicura fosse il destinatario delle maledizioni di Darren.

«Voglio parlare di quello che è successo la sera di Halloween. Io...»

Il ragazzo la interruppe: «No, ascoltami tu. Sono stato un idiota, d’accordo? Non avrei dovuto né farti bere né cercare di convincerti a spingerti più in là poi» ammise, con un certo imbarazzo «Ho insistito un po’ all’inizio, ma quando ho capito che davvero non volevi ti ho lasciata andare. Scusami».

«Beh, ci hai messo un po’ a capirlo».

«In realtà no, sei stata molto eloquente. Per gran parte del tempo ho cercato di calmarti e di farti restare, ma ad un certo punto mi sono arreso».

Althea si passò una mano tra i capelli e sospirò, scocciata dal suo stesso comportamento: «Ok, vorrà dire che non perderò mai più la testa così».

Darren sorrise e la ragazza sentì tutta la tensione che la opprimeva sciogliersi.

Era sincero, lo sapeva, e non provava più alcuna repulsione nei suoi confronti. Si tuffò quindi sotto al tavolo per mettersi accanto a lui: appena le fu a fianco, le cinse le spalle e poi la lasciò iniziare la colazione.

Dopo pochi minuti, uno stormo di dimensioni titaniche composto dai più vari tipi di gufi e di specie a loro affini fece il suo teatrale ingresso nella Sala Grande per portare la posta agli studenti. Althea non aspettava nessun genere di pacco o di lettera, visto che l’unica corrispondenza che aveva durante l’inverso era con i suoi genitori e non era solita scrivere loro molto spesso, ma quella mattina vide Ezra, il suo enorme e bellissimo gufo reale, attraversare lo stanzone per portarle qualcosa.

La ragazza lo salutò con sorpresa e poi riempì un piattino di bacon, lasciando poi che l’animale lo mangiasse in tranquillità. Si dedicò quindi al pacco, di forma rettangolare e molto spesso: era quasi certa che fosse un grosso tomo. Non si stupì infatti quando, tolto l’involucro in cui era rinchiuso, si trovò in mano un volume dal titolo: ‘La pure et vénérable Lignée De La Broquiere’.

Althea impallidì e lo nascose nella borsa di scatto; era un gesto insensato e lo sapeva –non c’era nessuno a Hogwarts che conoscesse quel cognome-, ma preferiva tenere quel libro lontano da sguardi curiosi e domande indiscrete, almeno per il momento. Darren non notò la sua agitazione e la salutò con un bacio sulla guancia, avvertendola che andava a lezione con i suoi compagni. Lei ricambiò, distratta, e fece per tirarlo fuori di nuovo, ma la raggiunse Judith che la guardò con curiosità: «Allora? Com’è andata?».

«Bene, suppongo».

«Mi fa piacere! Che ti ha portato Ezra

«Una lettera di mio padre, sai, mi avverte che a Natale lui e Laila saranno in Francia quindi devo fare la richiesta per rimanere a scuola».

Non era una bugia, o almeno non del tutto.

Abraxas l’aveva davvero avvertita che non sarebbe potuta per le vacanze, ma era stato Sham, il maestoso volatile di suo padre, a portarle il messaggio, un paio di giorni prima.

«Posso chiedere ai miei di ospitarti se vuoi».

Althea considerò brevemente le tre possibilità che aveva se avesse accettato l’invito: portare con sé il libro e rischiare di perderlo o –peggio ancora- che Judith lo vedesse e le facesse domande; lasciare il volume a Hogwarts; disfarsene definitivamente.

Nessuna di quelle opzioni andavano bene, ma la sua amica, senza volerlo, le venne in aiuto.

«Come non detto,» e assunse un’espressione infastidita «quest’anno andiamo in Scozia dalla cara Zia Diana».

Un certo sollievo la pervase completamente e le permise addirittura di sorridere alle parole della sua compagna.

«Povera Jude! È la sorella di tuo padre, vero?»

Lei fece un cenno di assenso, mentre con aria contrita si caricava la borsa dei libri sulle spalle.

«Esatto e non mi sopporta».

«Non ho mai capito perché».

Judith fece spallucce.

«È una pazza isterica» ci pensò su un attimo e poi aggiunse «e dev’essere anche sessualmente frustrata visto com’è mio zio».

«Jude!» esclamò Althea, sconvolta «Ma ti pare il caso di dirmi certe cose?»

«Perché ti sconvolgi tanto? È la verità! Non tutti possono vantare un compagno di vita come il tuo attuale, sai».

La ragazza provò una certa soddisfazione nel sentire l’ultima frase, ma era sinceramente convinta che gli affari più intimi di Zia Diana dovevano rimanere tra lei e suo marito.

«D’accordo, come vuoi».

«Comunque, mia cara principessa, se non si muove credo che Slytherin perderà almeno una ventina di punti già alla prima ora».

«Oh,» Althea si alzò dalla panca in fretta «hai ragione, muoviamoci o la McGonall ci ucciderà».

Attraversarono di corsa la Sala Grande e si lanciarono per le rampe di scale sperando di arrivare in tempo alla lezione di Trasfigurazione.

  
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