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Autore: missohara    28/08/2011    4 recensioni
Hogwarts 1977.
il mitico, epico settimo anno dei Malandrini.
Quel settimo anno che, tantissime fra noi autrici, abbiamo cercato di narrare.
Ed eccola, la mia versione.
Elizabeth Dorea Potter, sorella di James Potter. Un nuovo personaggio, la protagonista della mia storia.
è attraverso i suoi occhi, e quelli dei Malandrini e di Lily, che racconterò questa storia.
I primi amori, la guerra, l'amicizia.
la spensieratezza di godersi ancora una volta il fantomatico "ultimo anno", e la paura del futuro.
Lord Voldemort che incombe su di loro, ma anche tanta voglia di vivere.
Un Torneo Tremaghi che porterà chissà dove, dei legami d'amicizia che diventano più forti ed una storia, quella dei Malandrini, che io non dimenticherò mai.
Se voleste leggere (o rileggere, dato che è stata già pubblicata) la cosa mi piacerebbe tantissimo.
A presto, forse
beth :)
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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Note:

il primo cap è quello che è stato riscritto proprio totalmente.

Alcune scene, sono cmabiate..

Io non ho mai capito quanti siano i Capiscuola.

Secondo me sono due e basta, in tutta Hogwarts.

non un maschio ed una femmina pr ogni casa, che se no i Prefetti del settimo anno... Non esisterebbero, no?

O forse non ho capito io...

Baci

Beth

Niente più

 

 

Capitolo  primo: il nostro ultimo primo giorno

 

Il sole filtrava appena, attraverso le tende color lavanda della cucina di casa Potter.

 

Era una mattina di quelle che, come molti primi giorni di scuola, invitavano ad uscire, passeggiare, sorvolare con la scopa le colline.

il cielo era d’un bell’azzurro limpido ed il vento giocava felice con qualche ciuffo di nuvola.

Uno scenario da cartolina, insomma.

Era molto presto, tant’era che James e sirius dormivano ancora.

Anche i suoi genitori, molto probabilmente.

Elizabeth scrutò il tè che bolliva piano, nel bricco di porcellana.

Le era sempre piaciuta, la solitudine del primo mattino.

Quel  morbido silenzio che circondava la stanza, quella pace tranquilla ed ovattata che aleggiava per tutta la casa.

Solo qualche occasionale scricchiolio dei mobili, nient’altro.

            Minerva, la gatta nera, s’arrampicò in grembo a Beth.

Restarono così, padrona e micia, ad aspettare che l’acqua si scaldasse.

Si studiarono in silenzio, occhi smeraldini felini riflessi in occhi momentaneamente turchesi umani.

La ragazza si alzò e lasciò che Minerva le scivolasse via dalle ginocchia.

Questa s’acciambellò, con un sibilo stizzito, accanto alla madia che sua madre usava per impastare i dolci.

Aveva sempre cucinato alla Babbana, Dorea Black in POtter.

La rilassava e diceva che, quando impastava, poteva sfogare i suoi istinti omicidi.

Che istinti omicidi avesse Dorea potter, era per tutti un mistero.

Era una pazza, ed una madre atipica.

Un’Auror matta come un cavallo, diceva il marito. Quest’ultimo, a parere dei figli, non era meno matto.

Il pittore eclettico, coi capelli arruffati e gli occhi grandi.

Sembrava ed era assente dalla realtà, eppure ti comprendeva meglio di qualunque psicologo.

Li adoravano, i loro genitori, Beth e James.

L’Auror irrequieta lei, il pittore di storie lui.

Erano così perfetti, Dorea e Charlus.

“Siiirriiuuuss! Se mi canti ancora una volta astro del ciel nelle orecchie ti ammazzo! Siiiriiuuuuuss,, dorrmiiivvvo!”

E eccolo, anche suo fratello. Occhi di un caldo color nocciola e capelli sconvolti.

Sorriso d’angelo bambino e risata squillante. Quello era James Potter, punto.

E poi c’era Sirius. Il fratello acquisito, la mina vagante.

Il “bello ed impossibile” della situazione, ma che a Beth mezza avance non l’aveva mai fatta.

E mai gliene avrebbe fatta, a giudicare da come la trattava.

La trattava come la sorella piccola (che poi, erano coetanei) che non aveva mai avuto.

Ed a Lizzie era sempre andato bene così.

Anzi, era meglio così. Se Sirius le avesse fatto delle avance, lei ci sarebbe rimasta male.

Per lei, stare insieme a Sirius era una specie d’incesto.

 

E lei gli voleva un gran bene,  a quel testone del suo secondo fratello.

Ed eccoli lì, che scendevano le scale a rotta di collo.

James con un pigiama che probabilmente era appartenuto a Dorea, Sirius che..

“la mia copia di Cime Tempestose, Cristo! Ti sembra che tu debba usarla come antistress?” Elizabeth Potter che inveiva contro Sirius era uno spettacolo, sì. Valeva la pena di essere vista, almeno una volta.

Era una Potter, per quanto bionda. Era una Potter quando si arrabbiava era terribile.

“Daaai, Liz! Perdonami...” Sirius si trasformò in Felpato, e corse a strusciare la testa contro il vestito dell’amica.

Elizabeth sapeva degli animagi, ma non della licantropia di Remus.

O meglio, lo sapeva, ma non avrebbe dovuto saperlo.

Già, Remus..

Il pensiero agrodolce del ragazzo dagli occhi ambrati la distrasse dal cane nero, che le era saltato addosso.

I suoi occhi vagavano per la cucina, un po’ persi un po’ addolciti.

Nessuno se ne accorse, per fortuna.

Fu un attimo, poi il suo sguardo tornò normale.

Arrivarono anche Dorea e Charlus. Il padre diede a Beth un bacio sulla fronte e scompigliò i capeli a James e Sirius.

Dorea portò il caffè in tavola.

Charlus sorrise appena.

Era un gesto consueto, ma era un piccolo   moto di muta tenerezza fra i due.

La colazione procedette fra chiacchere varie ed ultime cose da arraffare per poi metterle in valigia.

I bauli erano pronti ed i gufi sistemati.

Rufus, il nobile allocco di Sirius, era l’ultima cosa che gli era rimasta di casa Black. Era stato il regalo dei suoi undici anni, e ci era affezionato.

Nimbus era la civetta che Beth e James dividevano equamente.

Arruffava le penne, sgranando gli occhi e sbatacchiando le ali. Era una nevrocivetta, diceva Ramoso.

Elizabeth, inoltre, aveva portato con sé Minerva. Senza la micia non si sentiva a suo agio, ad Hogwarts.

L’auto del Ministero, alla fine, partì. Dorea era un’Auror, e perciò veniva scortata praticamente ovunque.

Sgusciarono nel traffico senza fretta. Godric’s Hollow non distava troppo, da Londra.

Arrivati alla stazione, tutti scesero.

“Sirius, pensi che Remus ci lincerà per il ritardo?” Chiese James, imitando un tono innocente perfetto.

Felpato ghignò. A differenza di James, aveva notato la sua sorellina acquisita arrossire quando vedeva il Licantropo.

“Oh, magari... Magari s’è fatto la ragazza e non ci guarda neanche, Ramoso!” Elizabeth voleva morire. L’idea di buttarsi sotto il treno Londra-Liverpool era troppo, troppo allettante.

Bastava fare due passi ed eccolo lì, il convoglio che portava alla città britannica.

E l’idea di finire sulle rotaie, dopo una tale gaffe, era piuttosto confortevole.

Nonostante ciò, risolse che era una pessima pensata. Se proprio voleva finire sotto un treno allora era meglio buttarsi direttamente giù dai finestrini dell’Espresso per Hogwarts, che almeno sarebbe rimasto come tragico incidente.

“Andiamo, Beth? o se no la mia cuginettina-ina-ina ti butta davvero sotto al treno Londra-Liverpool.” Scherzò Sirius.

Dopo l’ennesima linguaccia, anche Beth si mise a camminare. Rideva, accanto ai suoi amici.

Con James e Sirius la ragazzina un po’ saccente ed introversa spariva.

Diventava una persona più spensierata e meno timida. Non sarebbe mai stata una Malandrina, non ci sarebbe mai riuscita. Ma tutti volevano bene ad Elizabeth POtter.

Un po’ per quel modo di fare da brava bambina innocente che negli anni aveva conservato, un po’ per aver sempre dato una mano a tutti.

Non era priva di difetti, Lizzie.

Ma quella timidezza e quella paura che aveva degli altri la riusciva a mascherare bene, sotto quell’atteggiamento di gentilezza e disponibilità che aveva sempre dimostrato.

Alla barriera c’era Lily, da sola.

James, stranamente, non si mise ad importunarla. Aveva l’aria assorta ed imbronciata, e gli occhi le vagavano lontani attraverso la stazione.

Beth le sarebbe corsa vicino, se non fosse che sapeva bene che Lily non lo voleva.

Erano molto simili, in questo. Preferivano stare rincantucciate nei propri pensieri piuttosto che condividerli con gli altri.

I capelli rossi piovevano in disordine dsulle spalle di Lily. Aveva ombre scure sotto gli occhi e sembrava in procinto di piangere.

Visti James e gli altri iniziò a correre via.

Ramoso ebbe il buon senso di tacere e di non seguirla.

Peter era appoggiato alla barriera, insieme a...

“Andromeda!” Elizabeth corse ad abbracciare l’amica.

Capelli color cioccolato ed occhi dolci e scuri, ecco chi era Andromeda.

Sorrideva, di quel sorriso un po’ materno un po’ ingenuo di cui aveva sempre sorriso.

Lei ed Elizabeth  erano migliori amiche da tempo. Per loro, il proverbio “gli opposti si attraggono” non valeva per niente.

Erano entrambe due ragazze dolci ed un po’ timide, e forse erano amiche proprio per questo.

L’altra migliore amica, Jenny, era poco lontana.

Una bambina bruna le era attaccata alla gonna.

Sarah Lynton, occhi di pece e capelli nerissimi. Era la sorellina piccola di Jenny ed anche l’unica bambina che quest’ultima non avesse voluto uccidere.

Si adoravano, quelle due.  Avevano gli stessi capelli, ma Jenny aveva gli occhi azzurri.

Il suo essere un po’ di Istanbul un po’ della Danimarca le dava un fascino esotico.

Era bella, Jenny. Di quella bellezza che salta all’occhio, pur non essendo particolarmente eccessiva.

Era una Corvonero atipica, forse. Non aveva voti particolarmente eccellenti né doti di arguzia molto alte, ma era davvero sveglia.

Era una di quelle persone che le cose le intuiva, più che saperle realmente.

Adorava la musica, Jenny. Il suo violino le facevaa sempre compagnia, nei momenti di solitudine.

“Jen!” Esclamò Andromeda, trasinandosi dietro Beth.

Si abbracciarono, le tre Corvonero.

Erano loro... Loro, amiche come sempre e con tutta l’estate da raccontarsi.

Erano loro, con le loro storie d’amore e i loro sogni.

Andromeda, che ormai con Ted viveva la sua fiaba personale.

Elizabeth, che sognava un ragazzo ed era troppo timida per parlare.

Jenny, decisa a non innamorarsi mai.

Erano tutte così diverse, in questo.

Ma in quel momento, appoggiate alle colonne della stazione, erano tanto affiatate.

 

James E Sirius, insieme a Peter e Ted, erano poco più lontani.

Remus, a quanto pareva, era già salito sul treno.

“Oh, ma Beth.. La spilla!” Esclamò Andromed,a adocchiando per la prima volta il distintivo che occhieggiava sulla camicia della bionda.

La ragazza lo coprì con le mani, un po’ vergognosa.

“Daaai, facci vedere la spilla!” Jenny le tolse le amni dal petto.

James e Sirius l’avevano già presa in giro troppo, su quella spilla maledetta.

 

“Siete tu e Remus, i nuovi Capiscuola.” Osservò Meda. Lei e Jenny non avevano intuito niente di quello che era successo alla loro amica.

Salirono, alla ricerca di uno scompartimento libero.

Ne trovarono uno in coda al treno, da dividere coi Malandrini.

Riposti i bagagli nella reticella, balzarono sulla banchina.

I Potter erano accanto alla signora Lynton e alla piccola Sarah.

Quest’ultima, appena vide Jenny, si attaccò alla gonna piangendo e pestando i piedini.

 

 

“Anch’io.. Hogwarts, anch’io!” Piagnucolò.

“Dai, piccola.. quando andrai ad Hogwarts rimpiangerai questo periodo!” Esclamò Sirius.

Lei lo guardò con curiosità. Alla fine, dopo averlo scrutato attentamente, gli rivolse un sorrisone.

“in braccio!” Odrinò secca a Sirius piantando i propri occhi cioccolato in quelli del ragazzo.

“ehm... ma..” Provò a replicare lui.

“che ti costa?” chiese Jenny puntandogli gli occhi addosso.

Alla fine lui si piegò docilmente. Prese la bimba a sé che gli rivolse un sorrisone adorante.

Sembrava una delle ochette isteriche del suo fan club, decisamente.

“Cavolo, piccola, se tua sorella mi sorridesse così...” disse piano il bruno.

Solo Jenny ed Elizabeth, che gli erano accanto, lo sentirono.

Sirius aveva sempre stuzzicato così Jenny. In molti pensavano non ci fosse davvero interesse, da parte del black.

Beth sapeva, grazie a meda, che in realtà forse Sirius qualcosa lo provava pori davvero per Jenny.

Dietro a quelle battutine c’era davvero qualcosa di più, anche se la diretta interessata non se ne era mai accorta.

Sarah intanto stava rivolgendo tutta la sua attenzione al viso di Sirius.

Lo studiava con occhi analitici ed adoranti insieme.

“ti vogio bene!” Esclamò la bimba, gettandogli le braccine al collo.

Aveva quattro anni, Sarah Lynton. E nell’innocenza di quel “ti voglio bene” riuscì a far avvampare Sirius.

E poi, come ripensandoci, disse:

“Vogio bene a te e a Jenny uguale.”

“Beh.. magra consolazione...” Soffiò piano quest’ultima a Beth.

Tutti ormai cercavano di non scoppiare a ridere.

Sarah riempiva Sirius di moine affettuose, gli accarezzava i capelli  e se lo mangiava con gli occhi.

La scena era troppo divertente.

Attorno a loro si era riunito un folto stormo di ragazzine adoranti.

“Voglio carezzargli anch’io i capelli..” Mormorò una ando di gomito all’amica, ridacchiando.

“Non avrai mai l’innocenza che a Sarah, cara..” Commentò Beth ghignando sadicamente.

“ed ora dobbiamo salire!” Esclamò Meda.

**

avevano preso tutti posto. Elizabeth aspettava Remus per andare con lui alla carrozza dei Capiscuola.

Erano andati a recuperarlo James e Sirius, perché si era instalato in un vagone occupato per metà da ragazzine di Corvonero urlanti e sbavanti.

Tornarono poco dopo. Remus non era cambiato di molto.

Rivolse a tutti il solito sorriso un po’ mesto, e si sedette vicino alla porta.

Era fra James e Peter, di fronte a Sirius.

Beth non aveva molta occasione di guardarlo. Lo scrutò appena, da dietro al libro.

“dobbiamo andare  nella carrozza dei Prefetti. Immagino dovremo dar loro istruzione.” Spiegò Lizzie.

Remus la seguì senza parlare.

Beth si addentò un labbro, nella speranza che le venisse l’ispirazione per un argomento di conversazione.

Il volto di Remus era pervaso da delle nuove cicatrici.

Le mani erano segnate ed alcuni tagli, nonostante la luna piena fosse passata  da due settimane, sembravano freschi.

I vestiti erano sempre più laceri ed i capelli gli stavano crescendo in maniera un po’ irregolare.

Ma aveva un’aria intelligente e patita al contempo, che lo faceva sembrare un personaggio di qualche romanzo ottocentesco. Un ragazzo gracile, tisico, afflitto da mille problemi eppure dotato di una mente eletta, brillante, meravigliosa.

“Elizabeth Dorea Potter, i  tuoi deliri mentali su Remus fatteli un’altra volta, non qui in mezzo al corridoio.” Pensò lei decisa.

Ma una parte della sua mente continuò a fantasticare indisturbata.

Trovare un argomento su cui parlare era impossibile, ormai. L’imbarazzo toccava le vette dell’Everest.

“ehm... Passato una buona estate?” Domandò Beht.

“Domanda più deficiente non potevi fargliela, nevvero? È chiaro che la sua estate non  è stata proprio ottima, già solo per le brutte ferite che ha sul volto!” Pensò.

Il volto del ragazzo si tinse lievemente di rosso.

“Sì, grazie... tu?” Sembrava un dialogo fra due gorilla, quello. Era estremamente banale ed impacciato.

“Grazie.. James e Sirius mi han fatta impazzire, ma mi sono divertita.” Gli sorrise appena, Beth.

Erano arrivati al vagone dei Prefetti. Lumacorno dette loro delle istruzioni sui loro incarichi e su quel che dovevano dire ai Prefettti.

Dopodiché, lasciò a loro il compito di indottrinare questi ultimi.

La mente di Beth vagava. Pensava a Remus, lo pensava in ogni momento.

Potevano tornare dagli altri, per quel giorno.

Beth si alzò, rimettendosi a posto i capelli meccanicamente.

Tornarono indietro per il corridoio.

Nello scompartimento nulla era cambiato.

Meda e Jenny chiaccheravano piano, James e Peter si sfidavano a scacchi e Sirius li guardava.

Peter era bravo, autenticamente bravo negli scacchi. Er forse l’unica cosa in cui eccelleva.

Remus afferrò un libro e vi tuffò dentro il viso. Beth fece altrettanto, per evitare lo sguardo di Sirius che la fissava insistentemente.

Doveva avere il viso porpora, a giudicare dallo sguardo del suo amico.

“cioccorane, liz?” Le chiese James porgendogliene una.

“grazie....” Non aveva fame, anzi. Il suo stomaco era annodato e la sua voglia di mangiare era nulla.

Ma doveva fare qualcosa, doveva.

 

Fu Sirius, che momentaneamente era il solo ad aver capito in che situazione era l’amica, a coinvolgerla in una lunga discussione sulla bellezza di una Tassorosso del sesto anno.

Beth era contenta di partecipare ad un simile discorso. Non era impegnativo, le bstava annuire ed alzare gli occhi al cielo.

Ma almeno doveva costringersi ad ascoltare qualcosa.

Il pomeriggio trascorse pigramente: i Malandrini sembravano stranamente quieti e James, per una volta, aveva lasciato in pace la Evans.

Peter aveva battuto tutti a scacchi, a turni.

Il tramonto, ormai, s’avvicinava.

Il cielo era grigio ed un venticello fresco portava qua e là deelle nuvolette dall’aria dispettosa.

Il lago nero, la sera, era particolarmente spettrale e con quel vento le barche avrebbero oscillato sull’acqua grigia.

Beth benedisse mentalmente le carrozze, perché la  prospettiva del ventaccio malefico non era allettante, affatto.

Entrò in una di esse. C’erano lei, Jenny, Meda e Lily, che era già seduta lì da un po’.

Aveva ancora gli occhi rossi di pianto.

Nessuna delle tre le chiese qualcosa. Preferiva restarsene da sola, lei.

Il viaggio procedette in un silenzio tutt’altro che spiacevole.

Ognuna delle ragazze era immersa nei propri pensieri, scrutando il cielo tormentato.

Era lunga, la strada che portava da Hogsmeade a scuola.

Ma era rilassante il muoversi un po’ traballante della carrozza, l’odore confortevole della paglia umida.

Jenny sonnecchiava, gli occhi semichiusi ed il capo appoggiato sulla spalla di Meda.

Lily aveva l’aria cupa ed imbronciata, ma quando Beth le chiese se andava tutto bene stirò la bocca in una smorfia che doveva sembrare un sorriso.

“Ed eccoci a scuola!” Esclamò Lizzie balzando giù nel fango.

Schizzò palta ovunque, macchiando la divisa a due bambini del secondo anno che la guardarono male.

I Malandrini erano già lì, che confabulavano fra loro.

James, per la prima volta, s’accorse di Lily.

“here come s the suuuuuunnn!” la mano di Ramoso corse automatica ai propri capelli scuri, e puntò i suoi occhi nocciola al volto di Lily.

“Potter, il sole s’è oscurato appena sei entrato nel mio campo visivo.” I capelli le mulinarono ed  i suoi occhi si erano illuminati appena.

Sembrava come se, suo malgrado, a battibeccare con James si divertisse.

L’espressione cupa era sparita, sostituita da un broncio che però le faceva sembrare il viso più animato, più gioioso, quasi.

Si diressero tutti alla Sala Grande.

Il banchetto fu luculliano, poco ma sicuro.

Furono servite le tante portate, accompagnate dalle chiacchere piacevoli coi compagni.

Le posate tintinnavano allegramente e le conversazioni s’intrecciavano divertite.

Era bello, tornare ad Hogwarts.

Bello per mille motivi. Per vedere i Malandrini circondati dal solito gruppo di ragazze adoranti che scherzavano fra loro, per ridere delle facce atterrite dei bambini del primo annno, per indovinare dalle espressioni del viso le  conversazioni dei professori.

Silente, prima di cena, aveva parlato del Torneo Tremaghi.

C’era chi voleva iscriversi, chi scommetteva già sui campioni della scuola.

Chi, come Beth, era curiosa di appurare che differenze c’erano fra Beauxbatons e Durmstrang, chi invece era totalmente indifferente alla cosa.

“Jenny, non è che sei stata digiuna...” Cercò di dire Meda, senza molto successo.

L’amica stava,, giustappunto, infilzando una patata unta e straunta.

“Andwomeda, pew favowe... lasciami wifocillawe!” Esclamò la bruna, annaffiando Beth di poltiglia alimentare.

“puoi mangiare finché vuoi, Jenny, anche se ti consiglierei di terti lo spazio nello stomaco per la torta al cioccolato che ho preso per festeggiare il ritorno a scuola.” Abbassò la voce Meda.

Chiaccherarono allegramente tutt’etre, come al solito.

Beth guardava i Malandrini più spesso del solito.

James era immerso in una fitta discussione con Edgar Bones, il loro compagno di stanza.

Era un ragazzo estremamente  studioso ed innamorato follemente delle scienze Babbane. Soprannominato Newton, egli si divertiva con provette, alambicchi e fornelletti.

Sirius invece  era seduto accanto ad una ragazza di Grifondoro il cui nome era ignoto a Beth.

Doveva essere una delle cacciatrici, forse la Smith o forse la Spinnett.

Peter mangiava con gli occhi persi nel vuoto. Ogni tanto, quando Sirius faceva una battuta particolarmente gustosa alla sua nuova conquista, lui scoppiava in risatine simili a singulti.

Remus, invece, aveva il libro poggiato contro la caraffa del succo di zucca.

Non leggeva, ma studiava la sala con interesse molto neutro.

Alla luce delle candele, le cicatrici che gli solcavano mani e viso erano ancora più lampanti e se possibile inquietavano maggiormente la ragazza.

“quando la smetterai di guardare il tuo principe azzurro, forse ti accorgerai della meringa...” Azzardò  Jenny.

“Um... Oh... Cosa?” Chiese Beth, che aveva l’aria di essersi appena distolta dalla fantasticheria più bella della vita.

“Meringa, Liz, sveglia!” Andromeda le sbatté sotto al naso il piattino con la meringa al cioccolato.

Elizabeth si mise a mangiare. Se poco prima aveva rimproverato Jenny nella sua grazia nello sforchettare le patate, lei era anche peggio.

Due simpatici baffi di crema al cioccolato le coloravano il viso, dandole un’aria persa e buffa.

La forchetta, nella foga e nell’entusiasmo gastronomico, non c’entrava sempre l’obiettivo. Perciò il dolce si spiaccicava un po’ ovunque, capelli di Meda compresi.

“Ma perché ti devi sfogare su di me?” Si lamentò la Black.

“devi ringraziarmi per  averti preso io la torta! Se era per Jenny restava lì, a ridere malignamente della tua faccia da pesce lesso.” Ribatté Dromeda, piccata.

Beth riprese a mangiare, stavolta compostamente.

Fissava il tavolo dei professori. Silente sembrava stesse per alzarsi, ma esitava a farlo.

Era come se, in un certo senso, volesse ritardare il momento di parlare.

Beth lo aveva sempre adorato, Silente.

Era, insieme ad Alastor Moody, un amico di famiglia.

Durante l’infanzia dei piccoli Potter era stato spesso a Godric’s Hollow in visita.

Era diventato una sorta di nonno giocherellone ed affettuoso, per i due bambini.

Alla fine, col fruscio della veste blu trapunta di stelle, il preside si alzò.

“Miei cari... Solitamente preferisco sputare fuori le cattive notizie prima di cena, e serbare quelle buone per dopo il pasto. Ma stasera non volevo rovinarvi il banchetto. Ho preferito che parlaste del Torneo, piuttosto che di quello che sto per dire ora.” Il silenzio era teso ed oltremodo scoraggiante. L’uomo incrociò le lunghe dita, e continuò:

“è mio dovere informarvi che la guerra, di cui immagino avrete letto nei giornali, è ufficialmente  iniziata. Lord Voldemort è al pieno dei suoi poteri, ed è armato. Insieme a lui c’è un esercito di maghi e streghe molto potenti, e di creature inimmaginabili.” Si fermò ancora, per osservare gli studenti.

“Non voglio dover crederci, ma... C’è chi insinua che qualche seguace di Voldemort è qui, a scuola. Ora, io non ritengo possibile una cosa del genere. Ma... Ma malgrado ciò devo raccomandarvi di stare cauti, ed anche qui a scuola.” La Sala era immersa in un silenzio pesante, spiacevole.

“Qualunque comportamento strano sarà segnalato ad un insegnante, e mi verrà riferito. Ma vi raccomando un’altra cosa. Sperate, ragazzi. Perché se c’è una luce in questo mondo è quella della speranza. Questa guerra la combatteremo e la vinceremo, forse, solo grazie alla speranza.” E l’uomo si risedette, senza più parlare.

**

L’oscurità era calata da tempo, quella notte.

La sveglia a forma di papera di Meda segnava le 3.54, e Beth si rigirava nel letto insonne.

Le altre ragazze, alla fine, si erano addormentate.

O forse erano tutte sveglie, ma nessuna parlava.

Era chiaro a cosa stessero pensando tutte loro, ma nessuna lo avrebbe mai detto apertamente.

Ognuna di loro aveva la propria famiglia, i propri amici di cui preoccuparsi.

Meda una sorella che chissà chi stava torturando in quel momento ed un cugino che se non si era ancora unito a Voldemort era solo questione di tempo.

Il padre di Jenny se l’erano portati viai Mangiamorte, ed il cadavere non era mai stato trovato. E Jen aveva la mamma e Sarah, che erano in pericolo.

E Beth... Beth aveva i suoi genitori.

Sua madre,  l’Auror combattiva ed ardita.

Ed il padre che dipingeva quadri anti Voldemort, in cui Maghi e Babbani erano insieme in vari contesti della vita quotidiana.

La mamma ed il papà rischiavano la vita quotidianamente.

E poi c’era James.... Anche se erano coetanei, lei per lui si sarebbe sempre preoccupata al pari di una mamma.

Erano sempre stati protettivi l’uno verso l’altra, i fratelli Potter.

Lui la difendeva quando, da bambina, lei era costantemente presa in giro perché troppo timida e schiva.

 

E lei, d’altro canto, lo salvava da tanti pasticci. Per James, la sicurezza era il sorriso un po’ rassegnato un po’ divertito della sorella.

E poi c’era Remus. Remus, che Beth non l’avrebbe ammesso mai, ma la preoccupava.

La sua Licantropia, il fatto di essere figlio di un uomo che li aveva combattuti, i Mannari, e che questi ultimi erano alleati di Voldemort. Erano tutti fattori che non l’avrebbero certo fatto risplendere di fortuna.

Doveva rassegnarsi, scappare da Remus.

Doveva toglierselo dalla testa, era troppo...

“Troppo cosa?” Chiese una vocina simile a quella di Jenny nell’orecchio.

“è troppo difficile, Jen.” E chissà come, Beth ricacciò quel pensiero nella testa.

S’addormentò molto tempo dopo, con la consapevolezza che come primo giorno era stato molto intenso.

**

 

Note:

 

Scritto anche questo primo capitolo.

È dura, è dura riscrivere tutta niente più.

ma questo è l’unico capitolo che non è solo ampliato..

Spero vi piaccia!

La scenetta fra Sarah e Sirius è la più doolce che io abbia mai scritto... Sirius è un ragazzo dalle grandi capacità di dongiovanni, immagino che anche le bimbe ne saranno incantate!

 

Se non dovessi incontrare per strada qualche anima dipartita, il prossimo aggiornamento sarà per... Giovedì!

Kiss

Beth – ceci

 

 

 

 

   
 
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