Serie TV > Chuck
Segui la storia  |       
Autore: LaFolie108    31/08/2011    4 recensioni
Sono passati dodici anni dalla fine della quarta stagione e Chuck e Sarah sono riusciti a trovare la felicità: si amano e amano i loro figli, il loro lavoro procede a meraviglia, persino il Buy More rende bene gestito dalla solita banda di folli! Tuttavia un giorno cambia tutto, una missione non va come dovrebbe e Sarah scompare. Riuscità Chuck a ritrovare sua moglie e ad avere il suo lieto fine? Attorniato da nuove minacce e vecchie conoscenze porterà a termine anche questa nuova, pericolosa missione?
Genere: Azione, Comico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

 prologo

New York,  Quartier generale dell'ONU - 23.58, lunedì

Il corridoio era deserto a quell'ora di notte. Chuck Bartowski, in equilibrio all'interno di un condotto dell'aria, confidava soprattutto in quello, e magari in un provvidenziale colpo di fortuna. Aveva studiato la pianta dell'edificio nei minimi dettagli, sapeva di essere poco ad est del grande ufficio al terzo piano che doveva raggiungere. La scalata attraverso l'impianto d'aerazione era stata un'impresa titanica, continuava a scivolare da un piano all'altro. Aveva rimpianto di non aver utilizzato l'ingresso principale, ma sapeva che sarebbe stato impossibile eludere i due addetti alla sicurezza ben armati senza attirare necessariamente l'attenzione, e non poteva permettersi di attendere il cambio delle sentinelle per sgattaiolare all'interno indisturbato. Inoltre adorava calarsi a testa in giù dal soffitto, come se fosse spider man. Fingersi un supereroe era uno dei lati positivi del suo lavoro. In compenso ce n'erano fin troppi di negativi.
Appeso per le gambe al buco aperto nel soffitto, Chuck valutò che sicuramente qualcosa sarebbe andato storto. Non poteva essere davvero così semplice infiltrarsi nel palazzo di vetro, sicuramente qualche super guerriero ninja sarebbe spuntato da un angolo per catturarlo e metterlo a marcire in una cella buia per il resto dei suoi anni. Finchè si trovava in quell'edificio non era legalmente sul suolo degli Stati Uniti, se l'avessero preso l'avrebbero sicuramente processato come terrorista. Rabbrividì, una goccia di sudore gli imperlò la fronte e scivolò lentamente sui suoi capelli per poi infrangersi con un impercettibile "plic" sul pavimento di linoleum. Trattenne il respiro, aspettando di sentire il suono di una sirena rompere il surreale silenzio che regnava nel palazzo. In attesa, immobile, sentiva il suo respiro rimbombare nelle orecchie. Cercò di concentrarsi per calmare i battiti del cuore che gli impedivano di ascoltare ciò che gli accadeva intorno. Che quelli fossero passi? O forse era solo la sua immaginazione. Doveva mantenere i sensi in allerta.
Sobbalzò spaventato quando sentì l'imbragatura, che lo sosteneva in quella posizione innaturale, gemere, troppo tesa sotto il persistente peso del corpo umano. Chiuse gli occhi e pregò che la corda non cedesse, sperando che qualche entità benefica non meglio definita lo esaudisse. Gettò l'occhio all'orologio, il tempo sembrava non trascorrere mai, eppure due minuti non dovrebbero essere così lunghi. Seguì il quadrante digitale, scandendo gli ultimi secondi che lo separavano alla mezzanotte... 58, 59...
Il blackout lo colse di sorpesa, nonostante lo avesse organizzato proprio lui. Era ciò di cui si era occupato nel pomeriggio, era entrato mimetizzandosi fra un nutrito gruppo di diplomatici europei, per poi utilizzare un pass temporaneo rubato ad uno sventurato elettricista allo scopo di infiltrarsi nei sistemi di sicurezza del palazzo e inserire il timer. Era andato quasi tutto per il verso giusto, era decisamente incredibile, mai un suo piano era andato come previsto. Ormai la sua vita era un continuo colpo di scena. Certe volte avrebbe desiderato solo un po' di tranquillità, una casetta sulla spiaggia, il sole al tramonto, una brezza fresca fra le foglie delle palme, il rumore delle onde, il sorriso della sua Sarah sotto un cielo rosso come il fuoco, le curve del suo corpo infiammate dalle ultime luci del giorno, esattamente come quando in luna di miele erano rimasti soli su quel tappeto di sabbia fine e bianca e...
Un brivido gli attraversò la schiena e spalancò gli occhi sul buio, disorientato. Non poteva perdersi a fantasticare, non ora che il tempo era poco. Aveva esattamente altri nove minuti prima che il programma di Orion riattivasse la corrente cancellandosi automaticamente dal sistema informatico, e quelli che sentiva rimbombare nel corridoio erano decisamente passi. Con un unico tocco si lasciò cadere sul pavimento, atterrando maldestramente in ginocchio.
-Chi va la!- Urlò un uomo di mezza età, dall'altro lato del corridoio. Chuck non poteva vederlo, ma sentiva la sua voce profonda tremare. Doveva essere lui, appurò la spia indossando gli occhiali ad infrarossi. La massiccia mole del diplomatico sessantenne che si stagliava di fronte a lui sembrava rimpicciolire mentre vagliava il buio alla ricerca del suo invisibile nemico.
-Arthur Rosenfeld?- Scandì Chuck, chiedendo una conferma di cui non aveva veramente bisogno. Quell'ometto insulso era un venduto, un traditore, non osava nemmeno lasciare quel palazzo per paura di sfiorare il suolo americano.
-S... si?- Pigolò Mr. Rosenfeld addossandosi alla parete in cerca di un interruttore, una maniglia dell'allarme antincendio, qualunque cosa potesse attirare l'attenzione. Chuck era disgustato da tanta viltà.
-Lei era in affari con un trafficante legato alla mafia russa- la sua voce era di ghiaccio mentre gli elencava le sue colpe -Lei lo usava come tramite. Gli dava informazioni governative segrete, e lui avrebbe portato i suoi nuovi acquisti al suo capo, un brav'uomo Ivan Vassiljevich, ho visto il suo cadavere. Era un uomo di parola.- Si fermò sentendo di nuovo squittire di terrore l'uomo. Sapeva di non avere scampo, ma stava arretrando lentamente verso quello che doveva essere l'ufficio. Chuck estrasse una pistola dalla cintura e gliela punto contro con uno scatto metallico. Il diplomatico dovette riconoscere il rumore perchè si immobilizzò all'istante.
-Eh si, il caro vecchio Ivan. Prima di morire ha dato informazioni importanti alla mia collega, informazioni che ci portavano dritti a lei, Mr. Rosenfeld. In questo momento la CIA. sta elaborando un mandato governativo di estradizione. Domani mattina lei sarà costretto ad uscire da questo edificio e verrà arrestato. Sarà incarcerato in una prigione di massima sicurezza, insieme ai peggiori assassini, che probabilmente si divertiranno molto a fare di lei ciò che vogliono-
-Lei è... è della CIA?- Il terrore si sentiva chiaramente nel tono piagnucoloso della voce di quel verme.
-Io posso offrirle un accordo- Chuck sfuggì volutamente alla domanda. Che credesse pure che era della CIA. Era più veloce e lui non aveva tempo. Mentì con sicurezza, in realtà come spia freelance non aveva alcun potere, men che meno in un momento del genere, ma negli anni aveva imparato a sfruttare l'ignoranza altrui a suo vantaggio. -Ivan e il suo capo non erano in proprio, giusto? C'era qualcuno che li spaventava ben più di un mandato federale. Siamo stati a San Pietroburgo, Mr. Rosenfeld. Sappiamo che non si tratta solo di documenti riservati sfuggiti alla dogana, un complotto internazionale sta per mettere alla prova i governi di tutto il mondo-
Una pausa ad effetto lasciò spazio solamente al silenzio rotto dal ronzio lontano del generatore d'emergenza che scalpitava incapace di entrare in funzione.
-Mi aiuti a fermarli. Mi basta un nome e le farò avere tutto ciò che desidera. Anche la libertà.-
Gli occhietti porcini di Rosenfeld brillarono bramosi attraverso l'oscurità. Chuck non riuscì a reprimere un sorriso soddisfatto, capendo che aveva vinto. Gli avrebbe detto ogni cosa, e ciò che lui sapeva lo avrebbe avvicinato di un passo alla verità, e a Sarah. La sua Sarah, i suoi capelli dorati e il suo sorriso innamorato, che lo aspettavano, da qualche parte.
-Io- balbettò l'uomo, incerto -mi dispiace, io non so nulla di una cospirazione russa, ma se vuole sapere la verità il capo di Ivan si chiamava...-
Rosenfeld cominciò a sputare nomi di mafiosi russi, di altri colleghi corrotti, persino di un trafficante d'armi curdo che gestiva una cellula terroristica nel centro di New York. Per la CIA sarebbe stata una manna dal cielo. Ma a Chuck non importava, ormai non ascoltava più.
Non aveva dubbi, quell'uomo non sapeva nulla. Dalla velocità con cui stava cercando di dare tutte le informazioni di cui era in possesso era chiaro che avrebbe detto qualunque cosa pur di non finire in carcere. Era un debole, in prigione non sarebbe durato nemmeno un giorno, e lo sapeva. La spia guardò l'orologio: 00.09. Ancora un minuto.
Era stato tutto inutile. Risalire a quell'uomo con fatica, trovare un modo per entrare in uno dei palazzi più sorvegliati della costa est, completamente senza supporto, perdere giorni e giorni dietro a quella pista. Non era servito a niente, solo un buco nell'acqua. E ora che la CIA era venuta a conoscenza dello scandalo, lui non aveva più uno straccio di indizio da seguire. Sentì la rabbia montare dentro, l'impotenza era disarmante. Quell'uomo era inutile, Sarah era perduta e lui era completamente solo in un mondo totalmente nemico..
Arthur Rosenfeld stava andora parlando quando la pallottola gli perforò il cranio. L'esplosione rimbombò nel corridoio, subito seguita dal tonfo sordo del corpo morto, ancora con la bocca aperta, a svelare quegli ultimi segreti. Traditore fino alla fine.
Le luci si riaccesero di colpo. Chuck aveva forse ancora trenta secondi prima che anche le telecamere di sorveglianza entrassero nuovamente in funzione.
Tolse il dito guantato dal grilletto e velocemente infilò l'arma in mano al diplomatico, in modo che la posizione potesse far credere ad un suicidio. Forse avrebbe trovato un medico legale abbastanza distratto da non accorgersi che il colpo era stato sparato a distanza, e in ogni caso a nessuno sarebbe dispiaciuto, a nessuno sarebbe mancato quell'essere ignobile. La CIA l'avrebbe prelevato cadavere l'indomani.
Velocemente Chuck si riagganciò alla corda che prontamente si riavvolse riportandolo nella sicurezza del caldo e angusto condotto di lamiera. Solo lì, mentre lentamente si trascinava verso l'uscita, potè lasciarsi andare al senso di nausea che lo assaliva. In parte perchè gli sembrava che gli occhi spalancati di Rosenfeld lo stessero ancora fissando, mentre i resti di sangue e cervello gli colavano piano sulla fronte. E in parte perchè non riusciva a provare nulla, nemmeno il più piccolo rimorso, per aver tolto la vita ad un altro essere umano, a sangue freddo, in una splendida notte di primavera.

Burbank, California, Casa Bartowski - 3.42, martedì

Chuck rientrò in casa fradicio e trafelato. Fuori la pioggia cadeva fitta infrangendosi sui tetti, sugli alberi e su tutti i tiratardi come lui, che ancora non si erano rifugiati fra le mura domestiche. Appoggiò le chiavi sul mobile in entrata, gettò la valigetta contenente il suo portatile sul divano, desiderando solamente togliersi i vestiti bagnati e andare a dormire. Dopo quasi sei ore di volo trascorse ad autocommiserarsi era giunto alla conclusione che non poteva arrendersi.
Non aveva ancora nessuna idea di come fare a trovare Sarah, ma era certo che l'avrebbe raggiunta ad ogni costo. C'era sicuramente un modo, anche se ancora non sapeva quale. Dopotutto glielo aveva giurato, era pronto a dare la vita per salvarla, lo sarebbe stato sempre. E decisamente non avrebbe mollato solo perchè si era ritrovato in un vicolo cieco. La mattina successiva avrebbe ricominciato tutto da zero, avrebbe ricontrollato tutti i fascicoli inerenti San Pietroburgo, avrebbe provato con altri metodi di ricerca. Tutto sarebbe andato bene.
Questo si ripeteva mentre lasciava cadere a terra la giacca e la camicia zuppe d'acqua, rimanendo in maglietta e pantaloni. La casa era talmente buia e silenziosa che non si era nemmeno dato la briga di guardarsi intorno. Non aveva acceso la luce, l'oscurità lo tranquillizzava, e poi non ne aveva bisogno, conosceva ogni angolo di quella stanza, poteva tranquillamente attraversarla ad occhi chiusi.
Per questo motivo quando sentì la voce squillante di Ellie provenire da quello che doveva essere il tavolo da pranzo, si spaventò abbastanza da lasciarsi sfuggire un gemito di sorpresa, prima di rendersi conto che non c'era alcun pericolo.
-Sei impazzito? Lo sai che ore sono?- Lo aggredì la giovane donna, accendendo la luce che, com'era prevedibile, lo accecò per alcuni istanti. -Non puoi andartene senza nemmeno avvisare! Hai idea di quanto io mi sia preoccupata?-
-Ellie, calmati. Sono un uomo adulto e responsabile, ricordi?- Certe volte sua sorella lo trattava ancora come un bambino. Sapeva che si comportava in questo modo solo perchè gli voleva bene e non voleva perderlo, ma a volte avrebbe preferito non dover rendere sempre conto a qualcuno di tutti i suoi spostamenti.
-Un uomo adulto e responsabile non scompare per un giorno intero senza lasciare nemmeno un biglietto!-
-Se eri così preoccupata potevi telefonarmi. I cellulari sono stati inventati proprio per questo- Chuck sospirò esasperato, non era la prima volta quella settimana che era costretto ad affrontare una simile conversazione, e quella sera non era decisamente in vena di discussioni.
-Quale cellulare? Quello che hai dimenticato a casa di Morgan? Tu...- Ellie cercava di mantenere la voce bassa, era pur sempre notte fonda e non aveva intenzione di svegliare tutto il vicinato, ma la voglia di urlare contro il fratello era forte. Era frustrante rimanere a casa ad attendere una telefonata, con il timore che qualcuno potesse ucciderlo e portarglielo via per sempre. Ma lui sembrava non capire, continuava a rischiare la sua vita, anche senza protezione, e lasciava crollare tutto ciò che negli anni Sarah lo aveva aiutato a costruire. Ellie vedeva il suo fratellino andare verso l'autodistruzione e non poterlo salvare la rendeva irritabile e incredibilmente triste.
Voleva parlargli ancora, aiutarlo a sfogarsi, ma fu lui a fermarla. Gli occhi di Chuck sembravano quelli di un vecchio mentre la fissavano. Quegli occhi avevano già visto tutto il dolore possibile, non c'era più paura, non c'erano più lacrime, nè la minima scintilla di gioia in quello sguardo. Le si avvicinò e la cinse in un maldestro abbraccio, il suo corpo umido e freddo la fece rabbrividire. 
-Scusa. Lo so, sto sbagliando tutto. Ma non ce la faccio El- Mormorò, come se avesse paura di confessare questa debolezza che lo rendeva ancora più vulnerabile. 
-Va tutto bene- Sussurrò lei appoggiando la testa sulla sua spalla. -Non importa-
-Ne parleremo domani, ok?- Chuck abbozzò un sorriso di scuse allontanandosì dalle braccia calde e sicure della sorella. Era sicuro che se fosse rimasto in quella posizione anche solo per un altro minuto sarebbe scoppiato in lacrime come un bambino. -Loro...?-
-Stanno dormendo- Ellie sorrise accennando al corridoio che portava alle camere. -Vado, Devon mi avrà data per dispersa. Buonanotte Chuck-
-Buonanotte sorellina- A Chuck non sfuggì lo sguardo triste di Ellie, mentre usciva dal portone per raggiungere la sua abitazione, a pochi metri di distanza. Quella situazione stava divorando la sua famiglia.
L'uomo sospirò e spegnendo la luce dietro di sè imboccò lo stretto corridoio. Si sentiva così stanco che era certo che se la sua testa avesse sfiorato un cuscino avrebbe potuto dormire per anni ininterrottamente, eppure era altrettanto certo che la mattina successiva sarebbe stato sveglio all'alba, tormentato dagli incubi che affollavano le poche ore in cui riusciva a chiudere occhio. Ormai non riposava decentemente da settimane, precisamente due settimane e mezza, anche se a lui sembravano secoli.
Mezzo mese non sembra così lungo in apparenza: diciotto giorni, quattrocentotrentadue ore, venticinquemilanovecentoventi minuti, un milione e cinquecentocinquantacinquemiladuecento secondi senza Sarah. E ogni scatto della lancetta di quel maledetto orologio lo allontanava sempre più da lei.
L'avevano presa. Era in Russia, doveva essere una missione semplice, per questo aveva accettato. Doveva essere a casa per l'ora di cena, invece non era più tornata. Era scomparsa nel nulla.
Più il tempo passava, più girava voce che in realtà l'avessero uccisa, ma Chuck non poteva rassegnarsi. Sapeva bene che i criminali professionisti erano soliti far scomparire i corpi delle loro vittime: un veloce bagno dell'acido e i pochi resti gettati nelle fogne o sepolti nel deserto. Migliaia di "scomparsi" sulla carta erano in realtà solamente morti, perduti per sempre. Rifiutava di credere che sua moglie fosse fra quelli, che della sua pelle candida e sottile non fosse rimasto in realtà più nulla.
Odiava la pietà che lo circondava da giorni. Amici e parenti stavano solo attendendo che impazzisse dal dolore, per questo lo seguivano, cercavano ogni occasione per non lasciarlo solo, quando lui voleva soltanto poter cercare l'amore della sua vita in santa pace. Nessuno gli avrebbe mai fatto accettare una realtà in cui Sarah non esisteva. E se non avesse trovato lei, almeno avrebbe trovato la vendetta.
Chuck si accasciò contro lo stipite della porta di quella che un tempo era stata la sua camera. Sulla destra troneggiava un letto a castello, con due cuscini gemelli e due coperte identiche, azzurre a pallini blu, in perfetto ordine, sulla sinistra invece, incassato nell'armadiatura c'era un letto rialzato, candido e soffice, con le lenzuola a cuoricini di diverse sfumature di rosa. Ovviamente nel buio della stanza lui non poteva distinguere quei colori, ma riusciva ad immaginarli perfettamente, esattamente come immaginava il mucchio indistinto di bambole, pupazzi e robot sicuramente abbandonato sul tappeto nel centro della camera, e il sorriso felice di Sarah nella fotografia adagiata sulla scrivania addossata al muro, accanto alla finestra su cui ancora batteva insistente la pioggia. Prevedibilmente la stanzetta era deserta, ormai stava diventando un'abitudine trovare quei cuscini freddi e vuoti la sera.
Facendosi forza Chuck finì di spogliarsi, si strofinò i capelli bagnati con un asciugamano e indossò una maglietta asciutta e dei pantaloni di una tuta ancora abbandonati sul pavimento dalla sera precedente. Poi con passo strascicato zoppicò lentamente fino all'altra camera, quella sua e di Sarah, nella quale entrò cercando di essere il più silenzioso possibile.
La poca luce bluastra che filtrava attraverso le persiane lasciate socchiuse illuminava tre fagotti indistinti abbandonati sul grande e comodo letto matrimoniale. Chuck si scoprì a sorridere osservandoli, sorridere per il sollievo di vedere quel miracolo con i suoi occhi, sorridere sinceramente per la prima volta negli ultimi giorni.
A destra, con i capelli lunghi e biondi ad incorniciarle il viso, era stesa supina Samantha, dieci anni, una piccola copia di Sarah. Con le sopracciglia aggrottate sussurrava qualcosa nel sonno, come se stesse sognando qualcosa di particolarmente complicato, il volto spigoloso contratto nello sforzo di concentrarsi. Raggomitolato in posizione fetale, giusto accanto a lei e con la testa sprofondata fra i cuscini, stava il piccolo Peter, tre anni appena, gli occhi azzurri e grandi nascosti sotto le palpebre e i capelli corvini incollati alla fronte.
Infine, ad occupare tutto lo spazio rimasto, a pancia in giù e con le gambe e le braccia spalancate, c'era Christopher, sette anni, con i suoi capelli castani arruffati e la bocca aperta, a Chuck ricordava molto sè stesso da piccolo, almeno nell'aspetto.
Quei bambini erano tutta la sua vita, ciò che di più prezioso gli restava, ognuno perfetto nella sua minuscola personalità in formazione.
Sentendo le gambe cedergli per la stanchezza si scavò un buchetto fra i corpicini caldi dei suoi figli, fiduciosi e vivi, e finalmente al sicuro con la sua famiglia, si addormentò.

NOTE
Solo due piccole precisazioni, non per tediarvi, ma perchè sono d'obbligo. Prima che me lo dimentichi, gli orari sono riferiti al luogo indicato, tenendo conto del fuso orario. Non ho inserito riferimenti all'intersect, semplicemente perchè ora come ora non so se Chuck lo recupererà, decidete voi se le sue abilità come cecchino derivano da quindici anni di pratica nello spionaggio o ancora da un aiutino mentale. So che fargli uccidere una persona a sangue freddo è stato un po' azzardato, ma la disperazione spinge a fare cose impensabili, quindi prendetela come una dimostrazione di quanto l'assenza di Sarah possa cambiarlo. Cercherò di essere fedele al telefilm, il prossimo capitolo sarà meno malinconico, conosceremo meglio i piccoli Bartowski, incontreremo lo zio Morgan e farà una capatina anche il caro vecchio Casey.
Spero che interessi a qualcuno, in ogni caso dovevo scriverla, perchè mi frullava in testa da troppo tempo.
Il telefilm Chuck e i suoi personaggi non mi appartengono, sono di chi ne detiene i diritti, e questa storia non è assolutamente a scopo di lucro.  
Sono ben accette (e molto desiderate) le recensioni.
A presto,
M
.
  
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Chuck / Vai alla pagina dell'autore: LaFolie108