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Autore: Dannata93    15/09/2011    3 recensioni
Fan Fiction che segue la trama del film "Io sono Leggenda" e, in parte, anche dal meraviglioso libro di Richard Matheson, e narra gli avvenimenti che si sono svolti in quegli anni da un altro punto di vista.
Samantha Gray è appena maggiorenne quando scopre di avere un cancro e il suo medico le consiglia di sottoporsi alla nuova cura sperimentale della dottoressa Krippin.
La terapia la trasformerà in un mostro e solo grazie all'aiuto del dottor Thomas Wood il suo corpo riuscirà a sconfiggere il virus, ma non completamente...
Personaggi: Nuovi personaggi.
Spero di avervi incuriosito!
Genere: Avventura, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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1. dfdsc
La Famosa Cura

Da tre anni il mondo era silenzioso, troppo silenzioso.
L'uomo aveva tentato per molto tempo di trovare una cura contro il cancro senza risultati degni di nota, fino a quando la Dott.ssa Alice Krippin dichiarò di esserci riuscita in diretta televisiva. 
In un certo senso l'aveva trovata.
La razza umana non era forse definita il cancro della terra?


Avevo diciotto anni quando mi diagnosticarono un cancro maligno al cervello e, dopo mesi di chemioterapia, il Dr. Bennett mi parlò di questa nuova cura sperimentale che stava ottenendo degli ottimi risultati sugli animali ed era pronta a passare alla sperimentazione umana.

I miei genitori non furono subito d'accordo, ma riuscì a convincerli con poche e dure parole. << Morirò in ogni caso, che sia per la cura o per il cancro non fa differenza >>

Dopo una settimana conobbi la famosa Dott.ssa Krippin.

Provai subito una inspiegabile antipatia nei suoi confronti che aumentò drasticamente quando mi separò dalla mia famiglia dicendomi che era soltanto per  il mio bene, ma non le credetti e nemmeno mio fratello Ryan che provò in tutti i modi di restare al mio fianco, ma quella donna fu irremovibile.

Vidi per la prima volta uno di
loro, quando venni trasferita nel suo ambulatorio privato.
Era un uomo, rinchiuso in una cella di vetro, spessa quasi venti centimetri ed era tenuto costantemente controllato. Passava le giornate a sbattere violentemente la testa calva contro il vetro e a fare dei versi mostruosi che giungevano chiari fino alla mia stanza. Un giorno mi arrischiai a chiedere che cosa avesse, ma non ricevetti mai risposta.
Quando incominciai la terapia era nervosa e felice allo stesso tempo; sfortunatamente nulla andò come speravo.

Inizialmente la cura sembrava funzionare: riacquistavo le forze e dalla risonanza che mi fecero dopo una settimana di terapia risultò che la massa tumorale si stava lentamente rimpicciolendo, ma man mano che il tempo passava, sviluppai una fame incontrollabile.

Sentivo costantemente il bisogno e, il desiderio, di nutrirmi e non di una semplice minestra. Volevo carne, carne fresca e cruda e, sebbene, provavo un forte disgusto nel trovarmi davanti ad una bistecca completamente al sangue, impiegavo non più di una manciata di secondi per divorarla, per poi richiederne subito un altra.
Dopo la fame, iniziai ad amare la notte e ad odiare la luce.
Dove la luce colpiva la mia pelle mi sentivo bruciare e dopo pochi minuti si formavano delle piccole vesciche che pulsavano dolorosamente non appena le sfioravo. Non riuscivo più a parlare ed incomincia ad esprimermi con dei versi mostruosi, da animale; identici a quelli dell'uomo in cella.
Eppure la Dottoressa continuava a sostenere che tutto procedeva per il meglio.
Era al limite della pazzia quando conobbi il suo assistente, il Dr. Thomas Wood, un ragazzo simpatico, dai corti capelli biondi e dagli occhi color cioccolato.
Spesso veniva a farmi visita, parlandomi del suo recente matrimonio, della sua nuova casa e di quanto adorasse la medicina. Io lo ascoltavo rapita e i miei istinti animaleschi sembravano svanire davanti a quella dolcezza.
Perciò non mi allarmai quando venne da me, nonostante fosse in compagnia di quella donna. << Credo di aver trovato il modo di aiutarti, Samantha >> mi aveva detto estraendo una piccola siringa. << Mi sono reso conto che i sintomi del virus sono molto simili a quelli della rabbia e... >>
<< Non perdere tempo a darle spiegazioni, Wood >> l'aveva interrotto la Dott.ssa con impazienza. << Ormai non è altro che un animale e noi non parliamo con le nostre cavie >>
<< Mi scusi, Dottoressa >>
Con un movimento deciso mi aveva inserito l'ago nella vena del braccio, senza provare la minima paura nei miei confronti, perché sapeva che non avrei mai potuto fargli del male.
Passarono circa ventiquattro ore quando iniziai ad avvertire i primi miglioramenti. La fame era diminuita di colpo, anche se continuavo a desiderare la carne cruda, ma con molta meno frequenza.
Riuscivo a sopportare l'esposizione alla luce, purché non eccessivamente intensa, ma anche allora mi bastava coprirmi il corpo con degli abiti lunghi e non avvertivo nessun dolore. Anche il continuo istinto di aggredire gli altri sembrava del tutto scomparso e avevo persino ricominciato a parlare.
Ero felice, nonostante i numerosi test a cui venivo sottoposta, perché iniziavo finalmente a sentire vicina la mia libertà.
Dopo quattro giorni, però i sintomi si ripresentarono e, prima che potessero fermarmi aggredii uno degli infermieri, staccandogli a morsi tre dita della mano destra, provando un piacere immenso nel sentire il sapore del sangue caldo nella mia bocca.
In seguito all'accaduto, Thomas mi disse che dovevo ricevere un dose quasi giornaliera di antirabbica se non volevo ritrasformarmi in una bestia e le mie speranze andarono in frantumi.
Nemmeno scoprire che avevo acquisito una forza maggiore di quella di un normale essere umano e dei sensi più raffinati riuscì a rianimarmi perché significava che il virus era ancora in circolo nel mio corpo, in attesa di riprendere il controllo.
Solo le visite di Thomas riuscivano a non farmi deprimere e, lo aspettavo sempre con ansia, soprattutto da quando ero di nuovo in grado di parlare.
Lo bombardavo di domande, chiedendogli se stavano facendo progressi, come avevano reagito gli altri alle cura e all'antirabbica e lui rispondeva sempre con sincerità, senza mai nascondermi nulla, tranne quando gli domandavo dei miei genitori.
Mi disse che erano in un vicolo cieco e non sapevano che cosa aveva innescato la guarigione nel mio corpo e che cosa impedisse al vaccino di completarla.
Rimasi sconvolta quando mi confessò che sugli altri malati l'antirabbica non aveva funzionato e, che erano morti nel giro di poche ore. Passai tutta la notte a pensare a quante persone erano morte per colpa di quella donna e quante ne sarebbero ancora state uccise.
Quella stessa notte, Thomas si intrufolò in camera mia e chiuse la porta blindata, facendomi segno di tacere; in mano aveva una piccola tv.
<< Cosa ci fai qui? >> gli avevo chiesto incuriosita e spaventata dalla sua insolita espressione nervosa. << Sono venuto per rispondere alla tua ultima domanda >>
<< Vuoi dirmi come sta la mia famiglia? >> mi eccitai all'istante, felice di poter finalmente avere loro notizie. << Allora? >>
Per tutta risposta lui aveva appoggiato il televisore sulle mie ginocchia e l'aveva acceso sul telegiornale di New York.
Avevo guardato con nostalgia le immagini della città addobbata per il Natale, ma mi ero accorta subito che, nelle strade, qualcosa non andava.
Si vedeva la gente correre, gridare e implorare aiuto. La telecamera inquadrò il viso di una donna che perdeva sangue dagli occhi, mentre di avvicinava ad una velocità sorprendente al cameraman.
Restai ad ascoltare le urla dell'uomo intanto che veniva divorato vivo, provando un brivido di terrore lungo la schiena. La città era invasa da infetti.
Avevo iniziato a piangere, capendo che cosa intendesse Thomas con quelle immagini raccapriccianti. << La mia famiglia è stata contagiata, vero? >>
<< Si >> aveva risposto in un sussurrò cingendomi dolcemente le spalle.
<< N-non... non si sono trasformati? >>
<< I tuoi genitori no >>
<< E Ryan? >>
Era rimasto in silenzio, aspettando paziente che la verità facesse breccia nella mia mente e, quando capii che mio fratello si era trasformato in uno di loro, piansi più forte nel ricordare il mio fratellone iperprotettivo salutarmi con un sorriso triste, mentre venivo trasportata in ambulatorio.
<< Loro non erano malati di cancro >> avevo detto quando mi ero ripresa. << Come hanno fatto a contrarre il virus? >>
<< Sono state le persone sottoposte alla cura a contagiare le altre >>
<< Ma voi sapevate quello che ci era successo dopo il trattamento. Perché avete continuato?! >>
<< La Dottoressa Krippin sosteneva che non era nulla di grave, che saremmo riusciti a trovare una soluzione grazie ai soldi che gli ospedali di tutto il mondo ci avrebbero pagato per la cura >> si era alzato, prendendo la tv. << Mi dispiace, Sam >>
<< Vattene >>

Da quel giorno erano trascorsi due mesi, due mesi di continui esperimenti, due mesi senza Thomas poi, la vigilia di Natale tutto andò a rotoli.

L'ambulatorio fu evacuato e, tutti gli esperimenti tranne me, furono eliminati; avevo ascoltando le loro urla di dolore cercando di non provare pietà per quegli assassini, ma come potevo? Ero stata anch'io uguale a loro e sapevo quando forte ed incontrollabile fosse il desiderio di uccidere.
Durante l'evacuazione finì in un furgone con Thomas e altre otto persone e, nonostante non ci parlavano da quella lontana notte non avevo potuto resistere alla tentazione di sapere che diavolo stava succedendo.
<< Sigillano l'isola >> era stata la sua cupa risposta.
<< Perché? >>
<< Per cercare di bloccare l'avanzamento del virus >>
Era rimasta in silenzio per un po', con un'altra domanda che desideravo fargli, ma avevo troppa paura per esprimerla. Alla fine avevo preso coraggio. << Dov'è tua moglie? >>
<< E' morta >> una risposta secca, incolore.
<< Per colpa del virus? >>
<< No, è stata fatta a pezzi da uno di loro >>
<< Mi dispiace
>>
Mi aveva guardata e aveva aperto la bocca per rispondermi quando qualcosa aveva fatto ribaltare il furgone, mandandolo fuori strada.
Era stato Thomas a farmi riprendere conoscenza e, guardandomi intorno, avevo visto cinque corpi senza vita ed un uomo che si teneva la gamba dalla quale gli usciva un pezzo di osso, gemendo di dolore.
All'esterno qualcuno stava tentando di sfondare le pareti del mezzo gridando e colpendo senza pietà.
<< Sono loro >> aveva sussurrato impaurita una giovane infermiera. << Che cosa facciamo? >>
<< Prendete qualunque cosa che potete utilizzare come arma >> avevo risposto senza esitazioni, strappando il freno a mano con un unico gesto. Non era il massimo, ma con un colpo ben assestato poteva far perdere conoscenza anche a quegli esseri.
Avevo guardato il resto del gruppo, soffermandomi sul ferito. << Tu non può venire >> non dimenticherò mai lo sguardo shoccato e terrorizzato che mi rivolse nel sentire le mie parole. << Non potete lasciarmi qui! >>
<< Mi dispiace, ma rallenteresti soltanto la nostra fuga >>
<< Io non abbandono un ferito! >> aveva protestato l'infermiera.
<< Allora morirai con lui >>
Era stato allora che Thomas aveva posato una mano sulla mia spalla sussurrando il mio nome, era bastato quello a farmi tornare in me. << Va bene, lo porterò io >> poi avevo guardato l'ultimo sopravvissuto dell'incidente, un giovane agente di sicurezza. << Tu hai una pistola? >>
<< Si, ma ho solo due colpi e quattro pallottole in tasca >> aveva risposto mostrandogli i proiettili.
<< Allora vedi di non sprecarli >>
Mi ero messa in spalla l'uomo, ignorando i suoi lamenti e avevo guardato lo sportello davanti a me. << Non appena l'aprirò, iniziate a correre più forte che potete >>
Di quello che era successo dopo, ho solo un ricordo confuso. C'erano state grida umane e non, e senza guardarmi indietro avevo capito che l'infermiera non aveva retto alla vista di tutti quei mostri che adesso se la stavano mangiando viva. Avevamo corso, senza fermarci, senza perdere tempo a guardarci alle spalle
Due colpi partirono dalla pistola del ragazzo, andando a centrare in pieno i bersagli.
Ricordo che avevo guardato di sfuggita Thomas, per assicurarmi che fosse ancora con me e avevo visto che portava a tracolla un enorme borsone e sulle spalle uno zaino. << Lasciali, ti rallentano soltanto! >>
<< Non posso >> aveva risposto lanciandomi una sguardo eloquente e subito avevo capito cosa contenessero: l'antirabbica.
Dopo circa un'ora avevamo rallentato l'andatura. Io non ero stanca, nemmeno per il peso che avevo sulla schiena, ma i due uomini alle mie spalle iniziavano a non farcela più, così trovammo rifugio in un piccolo edificio a tre piani.
Annusai attentamente il suo interno per assicurarmi che non contenesse pericolo e al mio via libera Thomas e il ragazzo avevano sospirato felici di poter finalmente riposare.
Restammo in quell'edificio per giorni, ad ascoltare le grida delle persone lasciate in città cercare di sfuggire agli infetti, ai balordi e al virus e ad assistere come meglio potevamo il ferito, ma dopo quattro giorni di agonie era spirato, ringraziandoci di aver tentato di salvarlo.
Non lo avevamo seppellito, avevamo semplicemente cambiato edificio, cercando cibo, acqua e armi ed evitando i luoghi troppo affollati, per non imbatterci in loro durante le ore di buio.
Imparai ad apprezzare il giovane agente di sicurezza per la sua ottima mira e il suo intaccabile ottimismo. << Mi chiamo Ian Prince >> si era presentato porgendomi la mano. << Lavoravo al laboratorio e fino ad ora la pistola era solo una decorazione della divisa, niente di più >>
<< Avrei preferito che continuasse ad esserlo >> aveva osservato Thomas mentre tentava di preparare una zuppa con i miseri ingredienti che eravamo riusciti a procurarci.
<< Io mi chiamo... >>
<< Samantha Gray >> aveva concluso al posto mio, sorprendendomi. << So chi sei e anche perché eri lì >>
<< Prova ad ucciderla e ti ammazzo >> Thomas si era parato davanti a me, in un gesto protettivo. << Lei non è come loro >>
<< Fino a quando ha l'antirabbica >>
<< Ho quasi cento flaconi in quelle sacche ed ognuno le basta per quasi un mese >>
Il ragazzo era rimasto in silenzio per poi aprirsi in un ghigno. << Quindi non dovrò ucciderti per circa quattro anni se ho fatto bene i calcoli >>
Avevo ricambiato, spostando Thomas con una lieve spinta. << Va a cucinare, tu >> gli avevo detto scherzosa prima di continuare a parlare con quello strano ragazzo.

Da allora passammo le giornate a cambiare continuamente nascondiglio e città, alcune volte a piedi e, quando eravamo fortunati in macchina, trovando morti, infetti e.... persino alcuni superstiti.
   
 
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