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Autore: namedemme    18/09/2011    8 recensioni
Cosa può succedere se un'adolescente finisce dentro al suo videogioco
preferito proprio mentre ci sta giocando?
E come farà a tornare nel mondo reale?
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Sim
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dentro al gioco - the sims Vecchi ricordi

Cominciai ad andare a scuola, facendo i compiti regolarmente.
Che pacchia, solo un quadernetto da compilare e niente da studiare!
Il giorno dopo il mio arrivo avevo scoperto di essere in classe con Jacob e la sua nuova fiamma, Maura.
Strinsi una forte amicizia con entrambi, erano davvero simpatici e disponibili.
Avevo appena finito i compiti quando sentii il cellulare vibrare, lo presi in mano e aprii l'sms che mi era appena arrivato. 
Era di Maura.
«Ciao, vuoi venire a casa mia verso le 17.00 ? Viene anche Jacob».
Risposi digitando il messaggio alla velocità della luce.
«Va benissimo, allora alle 17.00 davanti a casa tua».
Ero felice, anche se mi mancavano da morire le mie amiche "reali" e i miei genitori.
Guardai l'orologio appeso al muro, erano le 15.00 ed era troppo presto per recarmi all'appuntamento,
dato che Maura abitava a pochi minuti di cammino da casa mia.
Allora andai in salotto, con il cellulare in tasca, e mi guardai intorno.
Optai per il karaoke, lo accesi e scelsi come canzone Last Friday Night di Katy Perry.
Inutile dire che stonai al massimo. Poi guardai la TV finché non mi accorsi che erano le 16.50.
Allora mi alzai, mi pettinai in bagno, mi sistemai, presi la borsa con l'essenziale e uscii in direzione di casa Fortuna.
Arrivai e nello stesso momento arrivò anche Jacob.
Maura uscì per accoglierci dopo che ebbi suonato al citofono e, come potete immaginare, lei e Jacob si salutarono scambiandosi un bacio appassionato, poi salutarono me abbracciandomi.
«Avete già fatto i compiti?», ci chiese la signora Fortuna dalla cucina, mentre noi eravamo seduti nei morbidi divani del salotto.
«Sì!!!», esclamai in contemporanea con Jacob, il quale non era un amante dello studio.
«Perfetto ragazzi, fate come se foste a casa vostra. Io devo andare a fare una cosa, i Loschi mi stavano ancora spiando con il telescopio, devo dirgli quattro parole...», aggiunse e si allontanò a passo spedito.
«È normale, crede di essere spiata da tutti e va nelle loro case a fare delle crisi isteriche», mi spiegò Maura con nonchalanche,
mentre io la fissavo perplessa.

Osservai il sontuoso salotto in cui ci trovavamo mentre continuavamo a parlare del più e del meno;
i mobili erano di classe ed era tutto disposto in perfetto ordine.
Ad un certo punto la signora Fortuna, o meglio, Fiona, rientrò.
«Di cosa state parlando?», domandò sentendo il nostro chiacchiericcio.
«Oh nulla mamma, scuola, compagni di classe, professori...»
«Volete che vi racconti una storia di famiglia?»
«Certo!», rispondemmo tutti in coro.
Ero davvero incuriosita.
«Bene, allora cominciamo. Quando ero solo una ragazza neodiplomata vivevo in un appartamento a Sim City. 
In quel periodo conobbi un ragazzo di nome Bernardo, Bernardo Fortuna».

Bernardo? La storia era appena iniziata eppure già mi intrigava.
Intanto Maura era pietrficata, sapeva di chi stava parlando sua madre, e naturalmente anche Jacob.
«Avevo da poco iniziato la carriera che mi avrebbe portato a essere Direttrice qui a Colleverde e intanto io e questo ragazzo iniziammo a frequentarci, diventammo amici, poi migliori amici e successivamente nacque qualcosa tra di noi. Passò il tempo... ci fidanzammo e poco dopo
scoprii di essere incint», a quel punto guardò Maura.
«Bernardo era felicissimo ma l'appartamento dove vivevamo non era adatto a un neonato, così cercammo casa e comprammo questa villa, che all'epoca era in vendita a un prezzo stracciato. Venduto l'appartamento a Sim City ci trasferimmo, preparando anche la cameretta per il nascituro. Vivemmo momenti felici tra queste mura, il tempo passò velocemente e arrivò il giorno del parto. Ero a casa, in riposo dal lavoro per maternità, quando mi accorsi di aver perso le acque. Non avevo capito di cosa si trattava, mi cambiai e non ci badai. Ma poche ore dopo sentii dei dolori acuti al ventre, e Bernardo era al lavoro. Gli telefonai in preda al panico e lui arrivò qui poco dopo; ormai non c'era più tempo per chiamare l'ambulanza e Maura nacque in casa, grazie ai suggerimenti che il 911 ci passava al telefono. Eravamo davvero una famiglia felice, ora. Pochi mesi dopo ci sposammo e io divenni la signora Fortuna. Ma la felicità non durò a lungo», il suo viso si oscurò.
«Dodici anni fa, quando Maura aveva tre anni, Bernardo si sentì male all'improvviso mentre la stava cullando. Gliela presi di mano e la rimisi nella culla, lei ci guardava spaventata, aveva capito che qualcosa non andava. Disse "pa-pà" con le lacrime agli occhi mentre lui veniva trasportato nell'ambulanza ormai privo di sensi». Una lacrima scivolò sul viso della ragazza, quello era l'unico ricordo che le era rimasto di suo padre, l'unico.
«Salii nell'ambulanza con loro dopo aver chiamato la babysitter pregandola di fare presto e dicendole che avrebbe trovato la bambina nella sua culla. Arrivati all'ambulatorio di Colleverde, Bernardo venne visitato da un medico, gli fece molte domande e una tac, infine analizzò i risultati con un collega oncologo chiamato da Sim City apposta. Io intanto ero accanto a mio marito, che giaceva nel letto candido dell'ambulatorio.
Il medico tornò da noi alcune ore dopo e ricordo ancora la sua voce quando ci annunciò che...», dovette interrompersi a causa delle lacrime che cominciavano a scorrere copiose sul suo viso, «ci annunciò che aveva un tumore al pancreas allo stato avanzato e che era impossibile curarlo, le metastasi si stavano diffondendo in tutto il corpo. In poche parole lo aveva condannato a morte. Piangemmo insieme tutta la notte, e quella mattina Bernardo venne trasferito all'ospedale di Sim City. Cominciai a fare la spola tra casa nostra e l'ospedale, e ormai Maura passava più tempo con la babysitter che con me. Poi smisi di andare ogni giorno dato che dovevo lavorare e badare a nostra figlia, però andavo a trovarlo due volte alla settimana appena finivo i turni. Il tempo cominciò a scorrere, e più tempo passava più diventava debole e cianotico, inoltre aveva perso tutti i capelli a causa delle chemio che faceva. Due anni dopo quel maledetto malore, due anni chiuso in ospedale, io ero andata a trovarlo come al solito. Stava malissimo. Gli strinsi la mano. Lui mi guardò, mi disse che era arrivato il momento di andarsene e che dovevo avere cura di me e di Maura, che non dovevo arrendermi per nulla al mondo. Io gli strinsi ancora di più la mano e gli chiesi che cosa stava dicendo. Lui continuò a fissarmi senza dire nulla e e chiuse gli occhi. Sentii il bip piatto dell'elettrocardiogramma, mi voltai e iniziai a gridare aiuto. Arrivarono medici e infermiere che fecero di tutto per rianimarlo, ma ormai non c'era nulla da fare. Bernardo era morto. E pochi giorni dopo la sua unica figlia avrebbe compiuto cinque anni».
Maura sbarrò gli occhi, «vuoi dire che papà è morto poco prima del mio compleanno? E perchè non me l'hai mai detto?», lei la guardò, «scusami, scusami tanto, davvero, ma non volevo che tu soffrissi proprio prima del tuo compleanno. Sono passati già dieci anni da allora...».
Rimanemmo in silenzio, tutti a guardarci senza dire nulla, io avevo abbassato la testa perché sentivo gli occhi inumidirsi e odiavo farmi vedere così.
«Mi dispiace davvero moltissimo Fiona... e Maura», riuscii solamente a sussurrare.
«Oh, non preoccuparti», rispose tra i singhiozzi.
Si calmò e passammo il pomeriggio in allegria cercando di non pensare troppo a quel racconto drammatico, verso sera tornammo a casa felici e contenti. Ormai mi ero ambientata a Colleverde, ma ero determinata a tornare a casa.


   
 
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